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Dalla Commedia alle opere latine minori - La fortuna e la critica: dal '300 al '700, L'800 e il '900



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Dalla Commedia alle opere latine minori

L'interruzione del Convivio corrisponde probabilmente all'inizio della Divina Commedia, le cui due prime cantiche erano compiute entro il 1316; il Paradiso sarà invece pubblicato dai li di Dante, Pietro e Jacopo, nel 1322. Il poema è assai esteso: 14 233 endecasillabi in terza rima, organizzati in 100 canti: uno di prologo a tutta l'opera e 33 per ognuna delle tre cantiche (Inferno, Purgatorio, Paradiso). Dante intitolò il suo poema Commedia, in accordo con le definizioni dei lessici medievali e in rapporto a quella tripartizione degli stili che aveva enunciata nel De vulgari eloquentia. L'epiteto di 'divina', già usato dal Boccaccio nel suo Trattatello, apparve per la prima volta nel frontespizio di un'edizione del Giolito del 1555. La Commedia è la summa e la conclusione delle esperienze letterarie, civili, spirituali di Dante. Rimangono a ulteriore testimonianza di esse le Epistole latine, dettate (come le parti più alte e non espositive del De vulgari e della Monarchia) secondo le regole del cursus, o ritmo prosastico, medievale. Abbiamo già menzionato le lettere politiche; ecco le altre, nell'ordine: Epistole II, ai nipoti di Alessandro da Romena, per la morte di lui; III, IV, accompagnatorie di liriche (a Cino da Pistoia e a Moroello Malaspina); VIII, IX, X, in nome di Gherardesca di Battifolle all'imperatrice Margherita; XII, all'amico fiorentino, per rifiutare una disonorevole riammissione in Firenze; XIII (1316), di contenuto letterario, per dedicare a Cangrande della Scala il Paradiso, accompagnando l'invio del I canto con le indicazioni dei canoni esegetici atti a chiarire la struttura e il significato del poema. Appartengono invece a una preumanistica corrispondenza in latino, proposta dal bolognese Giovanni del Virgilio, le due Egloghe responsive di Dante (1320-21): ben superiori a quelle del proponente per struttura dell'esametro e tono virgiliano, rafurano il dolce declino della vita del poeta tra gli amici ravennati, il sogno dell'incoronazione poetica e il proposito di meritarla in Firenze con il completamento del poema.
Di questi anni (1320) è la Questio de aqua et terra, relazione scientifica tenuta in Verona sul rapporto d'altezza tra l'acqua e la terra emersa. L'autenticità del trattato, noto solo dalla prima stampa (1508), è confermata dalla conoscenza che ne mostra Pietro di Dante nell'inedita terza redazione del suo commento alla Commedia.



La fortuna e la critica: dal '300 al '700

La fortuna di Dante entro la cultura letteraria italiana ed europea dal Trecento al Settecento è strettamente legata all'opera maggiore; solo di riflesso, in quei secoli, l'interesse di lettori ed editori si volse alle opere minori, che la scuola 'storica' ottocentesca e la critica del Novecento hanno a buon diritto rivalutato e riproposto nella loro autonomia artistica e, insieme, nel significato di momenti necessari e successivi dell'esperienza letteraria e spirituale di Dante. L'identificazione di fatti e personaggi storici e del rapporto tra realtà e finzione che per essi si instaura nel poema è premessa necessaria alla lettura della Commedia e alla comprensione non solo dell'impegno poetico, morale, politico che la anima, ma anche delle forme - esemplarità, allegoria, lingua - in cui esso si traduce: tale indagine preliminare muove, tra il 1322 e il 1358, i primi commentatori (Jacopo Alighieri, Graziolo Bambaglioli, Jacopo della Lana, l'Ottimo, Pietro Alighieri, Guido da Pisa e altri anonimi), che spesso tuttavia eccedono nell'allegorizzazione, tendendo involontariamente a distruggere l'unità concettuale dell'opera e trascurando e travisando progressivamente il pensiero dantesco, legato alla filosofia scolastica e ai più profondi filoni della cultura medievale. I successivi commenti del Boccaccio, di Benvenuto da Imola, di Francesco da Buti testimoniano sia l'estendersi di tale processo, sia quell'affermarsi del culto di Dante che ebbe incremento, anche dal punto di vista della diffusione testuale, proprio dall'attività del Certaldese 'editore di Dante' (abbiamo le sillogi autografe comprendenti la Vita di Dante, la Divina Commedia, la Vita nuova, le 15 grandi canzoni). Sulla profonda dottrina allegorica e teologico-morale e sulla perfezione retorica del poema pone piuttosto l'accento la critica del Quattrocento e del Cinquecento (commenti di Cristoforo Landino, Alessandro Vellutello, Bernardo Daniello; studi e commenti di Benedetto Varchi, Giovan Battista Gelli e, sopra tutti, di Vincenzio Borghini, aperto anche a problemi generali di pensiero e a questioni testuali). Nel sec. XVI, inoltre, l'attenzione ai fatti di stile e alla questione della lingua stimola l'interesse per il De vulgari eloquentia, posto al centro di quelle discussioni fiorentine sul volgare italiano (ca. 1514) da cui nasceranno i numerosi e noti 'dialoghi' letterari (del Machiavelli, del Martelli, del Tolomei, del Trissino, che nel 1529 tradurrà il trattato dantesco). D'altro canto, non i soli motivi culturali presiedono, tra Quattrocento e Cinquecento, alla prima edizione delle opere minori: si pensi alla editio princeps della Monarchia (1559) in chiave di polemica riformistica. Mentre il Seicento, in genere, nega attenzione a Dante, profondamente innovatore nel giudizio sul poeta e sull'opera è, nel Settecento, Giovan Battista Vico (Scienza nuova, 1725, lettera a Gherardo degli Angioli e Giudizio sopra Dante, 1729) che, istituendo il rapporto poesia-irrazionale- età barbara ed eroica e riconoscendo nell'opera d'arte un autonomo momento creativo, fornisce spunti fondamentali alla critica romantica. Sempre nel Settecento, anche gli studi eruditi danno il loro frutto con il Piano di una nuova edizione della Divina Commedia di Giovan Jacopo Dionisi, che presenta novità di impostazione critica e metodologica in rapporto al testo del poema e alle altre opere dantesche. È È di questo secolo la prima edizione completa di tutte le opere di Dante (1757-58).

L'800 e il '900

Con l'Ottocento Dante diviene vessillo per gli ideali patriottici, oltre che soggetto egregio per gli studi romantici. Ugo Foscolo (Discorso sul testo della Commedia di Dante, 1825; La Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo, 1827), prendendo le mosse dall'interpretazione vichiana, apre il secolo con una voce originale, richiamandosi all'analisi storica e testuale (criterio filologico), valendosi di rigorosa argomentazione e capacità sintetica (criterio storico-filosofico), e infine ponendo il poeta al di sopra del creatore di allegorie. Giuseppe Mazzini (Prefazione a La Commedia di Dante Alighieri illustrata da Ugo Foscolo, 1842; Scritti letterari di un italiano vivente, 1847) segue la traccia foscoliana, mettendo in rilievo la ura umana del poeta e la sua missione entro la nazione e la storia. Pur dando la preferenza all'indagine psicologistica e al rapporto poeta-ambiente, non si allontana molto da questo schema Niccolò Tommaseo nel suo commento al poema, mentre alla visione romantica della vita e della storia si riallaccia il rinato interesse per la biografia dantesca, testimoniato da Il Veltro allegorico di Dante di C. Troya e dalla Vita di C. Balbo. Nella prima metà del secolo, col rifiorire della questione della lingua, si ravviva l'indagine sulle teorie del De vulgari eloquentia (G. Perticari, Dell'amor patrio di Dante) e procede lo studio linguistico-lessicale e interpretativo della Commedia (V. Monti nella Proposta; commenti di G. Biagioli, P. Costa, B. Bianchi; più tardi, edizioni e illustrazioni di tutte le opere a cura di P. Fraticelli e G. B. Giuliani). esponente della critica dantesca romantica è F. De Sanctis, le cui pagine ancor vive e avvincenti delle Lezioni e saggi su Dante (1842-73) e della Storia della letteratura italiana (1870-71) sono fondamentali anche per l'interpretazione moderna: il nucleo del poema è individuato nel motivo universale e interiore (Dante come voce della società umana) e in quello etico-politico; il criterio di lettura è l'emozione, la consonanza patetica tra lettore e testo, senza sovrapposizioni culturali; la poeticità dell'opera è nell'elemento umano, presente più nell'Inferno che nelle altre cantiche (di qui la tendenza a isolare episodi e ure piuttosto che a rilevare l'unità dell'invenzione dantesca). L'ultimo trentennio dell'Ottocento, con l'indagine positivista sui manoscritti della Commedia e delle opere minori, con gli studi storici sui documenti, e linguistici sulle opere di Dante e dei contemporanei, apre la strada alla ricerca critica modernamente intesa. G. Carducci, A. D'Ancona, I. Del Lungo, P. Rajna, F. D'Ovidio, F. Torraca, M. Barbi, E. G. Parodi appartengono a questa scuola 'storica' che insieme all'esperienza crociana segnerà di sé il dantismo del secolo seguente. G. Carducci, in particolare, si volge prima alle trascurate Rime (Delle Rime di Dante, in Dante e il suo secolo, 1865), indi all'opera complessiva (Della varia fortuna di Dante, Dante e l'età che fu sua, 1866-67, L'opera di Dante, 1888), dando per la prima volta un quadro dell'autore nella critica e nel costume del Trecento, indicando i rapporti con l'età successiva, dimostrandosi valido storico e insieme sensibile interprete. Dal canto loro gli altri studiosi, valendosi anche dei contributi della critica dantesca straniera (ricordiamo i nomi di C. Witte, E. Moore, P. Toynbee), avviano quelle sistematiche ricerche filologiche e documentarie che porteranno all'edizione critica del De vulgari eloquentia (1896, a cura di P. Rajna) e della Vita Nuova (1907, 1932 ², a cura di M. Barbi), nonché all'edizione di tutte le Opere curata dalla Società Dantesca Italiana (1921). Di contro alla corrente storico-positivista, G. Pascoli elabora un'interpretazione del tutto soggettiva della Commedia e di Dante: mosso dalla sua vocazione alla visione mistica e simbolica dei fatti, alla rappresentazione dell''inconoscibile' che anima il mondo, egli con Minerva oscura (1898), Sotto il velame (1900), La mirabile visione (1902) offre un'esegesi unitaria in sé, ma fondata su basi eterogenee, e destinata a rimanere in gran parte isolata. L'opera di B. Croce segna, invece, un punto d'arrivo e di partenza per la moderna critica dantesca. Prese le mosse non tanto dal presupposto desanctisiano del rapporto emotivo tra lettore e testo, quanto da una categoria teoretica ben precisa (l'arte come intuizione lirica ed espressione), egli assume come criterio di valutazione dell'opera d'arte l'impressione estetica e la metodica distinzione tra 'poesia' e 'non poesia'. Perciò nella Commedia la 'struttura' è contrapposta alla 'poesia', il 'romanzo teologico' all''elemento lirico': frutto di ragione, e quindi non poetico, il primo; di intuizione lirica, e perciò tutto poetico, il secondo. Il saggio La poesia di Dante (1921) e tutta la riflessione crociana sull'arte hanno rappresentato una tappa obbligata per il critico del Novecento, influendo (in quanto precedente accettato o polemicamente respinto) sulle diverse correnti del campo letterario - e quindi anche del dantismo - del nostro secolo. Tra gli studiosi d'ascendenza crociana è A. Momigliano (commento alla Divina Commedia, 1945-47), il cui saggio sul Paesaggio nella Divina Commedia (1932) propone come criterio d'unità il motivo paesistico, sensibilmente analizzato; con lui ricordiamo anche F. Maggini, Luigi Russo e Carlo Grabher. Entro la tendenza storicizzante postcrociana, che mira a colmare lo iato tra 'poesia' e 'non poesia' e a considerare l'opera d'arte un divenire piuttosto che un fatto, incontriamo l'opera di N. Sapegno (commento alla Divina Commedia, 1957; Dante Alighieri, in 'Storia della letteratura italiana', volume II, 1965), il quale si propone di dare un'interpretazione unitaria dell'autore e delle sue opere, fondendo le componenti linguistica, poetica, storico-culturale; e, ancora, G. Getto, che con il concetto di 'poesia dell'intelligenza' presenta una rivalutazione del Paradiso dantesco (Aspetti della poesia di Dante, 19662). La cultura letteraria contemporanea, che mutua da quella scientifica rigorosità di procedimento e specializzazione di oggetti, trova ancora in Dante un campo di ricerca fecondo, soprattutto per ciò che è dell'individuazione delle fonti, per lo studio dei testi, per la retta interpretazione del mondo dantesco e delle sue forme, sia nei confronti del pensiero filosofico e religioso (B. Nardi e G. Busnelli) e politico (F. Ercole, A. Solmi, ancora Nardi), sia in rapporto alla lingua e allo stile (A. Schiaffini, B. Terracini, C. Segre, M. Fubini) e alla ricerca filologica (G. Contini, F. Mazzoni, G. Petrocchi, A. liaro). Entro questa tendenza e nell'ambito di una tradizione ormai secolare, anche le culture straniere forniscono filoni esegetici particolarmente interessanti, quali l'interpretazione 'urale' di E. Auerbach, quella simbolico-teologica di Ch. S. Singleton, quella linguistica di L. Spitzer.










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