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Francesco Petrarca

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Francesco Petrarca


Francesco Petrarca nacque ad Arezzo nel 1304. Il padre, il notaio ser PETRACCO (di cui il poeta per amore d'eleganza letteraria mutò il nome in quello di Petrarca) era stato bandito da Firenze insieme con Dante e altri capi dei guelfi bianchi, e di famiglia fiorentina era anche la madre Eletta Canigiani. Ad Arezzo visse meno di un anno; ben presto la famiglia si trasferì nel podere dell'Incisa sull'Appennino e lì rimase fino al 1310 circa, quando, per un breve periodo, passò a Pisa. Il soggiorno nella città toscana fu memorabile, perché fu quella la sola occasione in cui il poeta, ancora fanciullo, poté conoscere di persona Dante. Nel 1311 ser Petracco aveva già deciso di trasferirsi ad Avignone, dove la presenza della curia pontificia gli poteva assicurare un fruttuoso lavoro; ma per la crisi degli alloggi sistemò la famiglia nella vicina Carpentras. Petrarca si recò a studiare legge a Montpellier (1316-l320) e a Bologna (1320-l326). Quelli di giurisprudenza non furono studi a lui congeniali; troppo forte sentiva l'attrazione delle lettere, che invano il padre ostacolò. Dopo gli anni bolognesi il poeta tornò ad Avignone. Per garantirsi una situazione conveniente prese gli ordini minori, grazie ai quali ottenne nel corso della vita cariche ecclesiastiche redditizie. Ma ad Avignone badò anche a vivere da raffinato signore; e fu allora, il 6 aprile 1327, giorno del venerdì santo, che nella chiesa di Santa Chiara vide Laura e concepì per lei l'amore che lo accomnò per tutta la vita. Chi realmente fosse Laura è difficile stabilire, ma appurare il casato e le vicende private di Laura poco importa per comprendere la poesia del Petrarca: su dati molto esigui di cronaca si fonda la storia di questo amore - oltre il giorno fatale dell'innamoramento, quello della morte della donna amata avvenuta il 6 aprile 1348 -; il resto è tutto una storia di emozioni, di desideri, di rimpianti, di memorie. Amore di sogno, intensissimo, tale da assorbire tutta la fantasia del poeta fu quello cantato nel Canzoniere; ma appunto perché amore di sogno non impedì al Petrarca di vivere una vita intensa di studi, di viaggi, di impegni politici, e anche di conoscere altri amori. Da una donna che non si può identificare, per la grande discrezione che il poeta osservò su questo argomento, egli ebbe anzi due li: Giovanni e Francesca. Ma degli impegni e degli interessi del poeta molto più ci dicono le varie relazioni d'amicizia che intrattenne - a cominciare da quella con Giacomo Colonna vescovo di Lombez e col cardinale Giovanni Colonna - e i viaggi e gli studi. Già il lungo viaggio compiuto attraverso la Francia, la Fiandra e la Germania fra il 1332 e il 1333 può considerarsi un tipico viaggio di uomo di cultura, mosso come egli scriveva, dall'"ardente desiderio di molto vedere", e da appassionata curiosità non solo per i costumi degli uomini ma per tutte le reliquie della civiltà antica. Nel 1341 a Roma ricevette in Campidoglio la laurea poetica, e scelse Roma, a preferenza di Parigi, che attraverso la sua università gli aveva rivolto il medesimo invito, proprio perché credette che quella cerimonia, tipicamente medievale, potesse assumere un significato nuovo se celebrata nella città eterna. Mentre l'opera più importante del soggiorno a Valchiusa era stata il Secretum, dopo il ritorno, fra il 1346 e il 1347, attese specialmente al Bucolicum Carmen e ai trattati De vita solitaria, in lode della solitudine dei santi e degli studiosi, e De ocio religioso, ispirato da una visita in convento al fratello Gherardo, che nel 1342 si era fatto certosino. In Italia tornò sulla fine del 1347 e visse in diverse città del Settentrione: era a Verona nel 1348, quando ebbe notizia della morte di Laura; nel ritorno visitò Arezzo, la città natale, e Firenze, la patria dei suoi genitori, dove fu accolto con particolare entusiasmo dal Boccaccio, che si strinse a lui di una devota amicizia, fraternamente ricambiata. Effetto della visita fu un invito dei Fiorentini a tornare nella città dei suoi avi: gli avrebbero restituito i beni confiscati al padre e conferito una cattedra nello Studio. Gli recò l'invito, a Padova, il Boccaccio stesso; ma il poeta non accettò. Si preparava del resto a tornare a Valchiusa, dove dimorò ancora dal 1351 al 1353.



Quando lasciò la Provenza, nel 1353 il Petrarca aveva l'intenzione di stabilirsi definitivamente in Italia; pensava forse come a luoghi particolarmente accoglienti a Mantova o a Padova, ma cedette agli insistenti inviti dell'arcivescovo Giovanni Visconti, e si stabilì a Milano. Gli otto anni milanesi (1353-l361) furono tra i più fecondi di opere. Era a Padova nel luglio 1361 quando ricevette la notizia della morte del lio Giovanni, e quel dolore ebbe senza dubbio parte nella decisione che prese di non tornare a Milano. Si trattenne a Padova sino al settembre 1362, quando si stabilì a Venezia. Nel 1367 lasciò Venezia. Padova fu dunque di nuovo la sua dimora, e benché vecchio si sobbarcò ancora a importanti mansioni ufficiali e affrontò nuovi viaggi. Visse gli ultimi anni della sua vita ad Arquà, e lì fu colto dalla morte nel 1374.

Agli scritti latini menzionati occorre aggiungerne altri che completano il vasto quadro degli interessi culturali, politici e religiosi del Petrarca. Della sua curiosità per la storia antica e moderna, testimoniata dal De viris illustribus e anche dall'Africa, dà prova pure l'ampia compilazione dei Libri delle cose degne di memoria (Rerum memorandarum libri).

Ma la gloria del Petrarca, più che sui meriti altissimi di promotore d'una nuova cultura, si fonda sulla rara perfezione della sua poesia volgare. Certamente il poeta pensò molto presto a raccogliere e ordinare le sue rime, forse già prima del 1336, e in varie fasi successive attese alla correzione e sistemazione dei suoi componimenti poetici, in modo che il libro, nell'insieme, testimoniasse la storia di un uomo che dall'amore per una bellissima creatura è stato portato, attraverso speranze e tormenti, a elevarsi a una visione sempre più chiara delle vanità terrene e a un profondo desiderio di redenzione spirituale. Ma perché il Canzoniere potesse prendere questa forma fu necessario che Laura morisse, per assumere la funzione di guida e consolatrice. Il libro è diviso in due parti: una prima comprendente le poesie composte in vita di Laura, una seconda comprendente le rime scritte dopo la sua morte. Il titolo in esso è latino: Rerun vulgarium fragmenta (Frammenti di rime in volgare), e l'intero libro comprende 366 componimenti. Il Petrarca ereditò e sublimò nel Canzoniere la tradizione medievale della lirica d'amore che, iniziata in Provenza, si affermò nel Duecento in Italia, dalla Scuola siciliana al Dolce stil novo. A differenza però dei suoi predecessori il Petrarca non accettò le convenzioni di un codice amoroso. Analizzò con instancabile lucidità la sua vita sentimentale, e a essa riportò tutto il dramma della sua vita, perplessa tra i richiami della bellezza e della felicità terrena e la coscienza della caducità di ogni bene mondano. Questo dramma fu così intensamente vissuto che già alcuni amici del poeta dubitarono della reale esistenza di Laura, ravvisando nella donna cantata con tanta passione soltanto una finzione per dare un senso al proprio dramma interiore. Ma il poeta smentì. Se infatti nelle poesie d'amore più a fondo si rivela il dramma del Petrarca, è anche vero che la sua malinconia pervade ogni altro suo sentimento; e le stesse poesie d'ispirazione politica, tra le quali eccelle la canzone Italia mia, recano inconfondibile il sigillo della malinconia. Al dramma il poeta non si abbandona; lo contempla, e questo dà ragione anche del suo instancabile lavoro di correzione intorno a quelle che pure definiva le sue "cosucce volgari" (nugelle vulgares).



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