ePerTutti


Appunti, Tesina di, appunto letteratura

GIACOMO LEOPARDI

ricerca 1
ricerca 2

GIACOMO LEOPARDI


Egli nasce il 29 giugno del 1798 a Recanati. lio primogenito del conte Monaldo e della Marchesa Adelaide Antici. Il giovane cresce in un ambiente familiare severo.

Giacomo apprende con grande facilità la filosofia, la letteratura e le scienza. Dal 1812 i precettori non hanno più nulla da insegnare a Giacomo che dall'età di dieci anni si dedica allo studio nella biblioteca del padre, dove, da solo, impara il greco, il latino, l'ebraico e coltiva gli studi eruditi.

Gli anni tra il 1809 al 1816, che definirà di studio matto e disperatissimo, aggravano le sue deboli condizioni di salute. Nel 1816, Leopardi passa dell'erudizione al bello. In questo stesso anno compone le prime poesie. Un anno dopo inizia a corrispondere con Pietro Giordani, rompendo la solitudine recanatese. Nel frattempo, per la prima volta, si innamora della cugina Geltrude Cassi Lazzari, è però un amore non corrisposto e segreto. Nel 1817 inizia a scrivere lo Zibaldone, importante diario che proseguirà fino al 1832.

Già nel 1817 si va preparando la conversione dal bello al vero e che si compie definitivamente nel 1819 con il passaggio alla poesia filosofica e sentimentale.

Vivere a Recanati, per Leopardi, diventa causa di un disagio sempre più acuto, inoltre i genitori lo verrebbero avviare alla vita ecclesiastica, me egli si rifiuta, in quanto ha maturato concezioni atee e meccaniciste dopo la lettura di opere illuministiche. È colpito da una grave malattia agli occhi, che ne compromette ancora di più le condizioni di salute. Vuole fuggire da Recanati, ma il padre lo scopre. In tale situazione, scrive i "piccoli idilli". Nel 1822 ottiene il permesso di recarsi a Roma dagli zii Antici, ma ne rimane deluso, e paragona la città ad una grande Recanati. L'anno dopo torna a casa, dove inizia a scrivere le Operette Morali. Dal 1825 si reca prima a Milano, dove conosce Monti, nel 1827 fa breve ritorno a casa. Poi riparte per Bologna e poi per Firenze, dove incontra Manzoni che vi si è recato per risciacquar i panni in Arno. Sempre nel 1827 si reca a Pisa dove inizia a scrivere i "grandi idilli". L'anno dopo ritorna a Recanati, ma si sente prigioniero, dopo due anni, grazie ad un assegno giuntogli dagli "amici di Toscana" ritorna a Firenze.



Nel 1831 viene pubblicata l'edizione fiorentina del Canti. Nel 1833, riacutizzatasi la malattia, si trasferisce a Napoli dall'amico Antonio Ranieri. Qui, mantenuto con un assegno mensile, entra un contrasto con l'ambiente intellettuale, scrive versi satirici, contro le illusioni politiche dei liberali.

A Napoli appaiono le edizioni definitive dei Canti e delle Operette Morali, ma vengono sequestrate dalla censura borbonica. Il poeta trascorre gli ultimi anni della sua vita in un'abitazione alle pendici del Vesuvio dove scrive La Ginestra e Il tramonto delle luna.

Assistito dall'amico Ranieri, muore all'età di 39 anni, il 14 giugno del 1837.


La produzione leopardiana può essere divisa in diverse parti.

  • Dal 1809 al 1812 abbiamo la fase storico-mitologica, in cui troviamo opere come saggi e trattati eruditi, che trattano gli argomenti più svariati.
  • Intorno al 1816, abbiamo al passaggio dell'erudizione al bello, e scrive alcune poesie di gusto classicista, tra cui l'Inno a Nettuno e le Rimembranze.
  • Tra il 1817-l9 abbiamo il passaggio del bello al vero.

La produzione leopardiana viene suddivisa in quattro fasi:

    • 1° : il poeta esprime il suo pessimismo storico, cioè la nostalgia per le civiltà classiche che traevano sollievo credendo alle divinità e ai miti religiosi. Compone le prime Operette morali e comincia a svilupparsi il pessimismo cosmico, in cui la natura è ostile alle sue creature.
    • 2°: caratterizzata dai grandi idilli, in cui sono cantati con nostalgia ricordi e giovanili illusioni. Ampio è lo sviluppo della tematica del pessimismo cosmico.
    • 3°: rappresentata dai canti antidillici del Ciclo di Aspasia, in cui la natura è intesa ora come matrigna e nemica dell'uomo e di ogni essere vivente.
    • 4°: la vita del poeta si conclude con la stesura del suo testamento spirituale La Ginestra., in cui la Natura è nemico comune di tutti gli essere da lei creati.

La teoria del piacere

Un punto centrale delle riflessioni leopardiane, è il tentativo di coniugare il sensismo e il materialismo. La così detta teoria del piacere vede come fine supremo dell'uomo la ricerca del piacere, che per Leopardi è però sinonimo di felicità. Contiene in se significati spirituali e materiali senza alcuna separazione tra le due sfere. Questa aspirazione è per il poeta infinita, sia perché non cessa mai, sia perché non accetta limiti all'intensità, ma nel contempo, essa non può mai realizzarsi compiutamente, poiché la nostra condizione di essere finiti e mortali implica inevitabilmente che ogni piacere sia limitato e temporaneo e destinato al nulla della morte.


Il pessimismo storico

Nella fase giovanile definita del "pessimismo storico" Leopardi inizia ad elaborare una propria concezione filosofica. Accusa la ragione di essere nemica della Natura. Essa ha dato agli uomini la possibilità di sognare una condizione beata e protetta degli dei, mentre con l'avvento della ragione gli uomini sono divenuti incapaci di fantasticare. Svelando all'uomo, attraverso l'uso della ragione, la sua vera condizione nell'universo, l'umanità ha imboccato la via dell'infelicità. Secondo la conclusione del primo Leopardi, nella storia del passato l'uomo era meno infelice.


Il pessimismo cosmico

La fase del pessimismo cosmico si estende dal 1823 al 1830. In questo periodo, che fa seguito alla delusione del soggiorno a Roma degli zii Antici, lo scrittore si dedica alla stesura delle Operette Morali e la sua vena poetica sembra esaurirsi. Il Dialogo della Natura con un Islandese rivela come l'autore ritenga l'infelicità derivante del fatto che la Natura "matrigna" ha creato il mondo per la sofferenza di chi è stato chiamato a vivere. Dopo aver confutato tutte quelle che egli ritiene possibili ragioni di superamento dell'infelicità, Leopardi raggiunge il vertice del pessimismo cosmico nel Cantico del Gallo Silvestre, in cui prevede, per l'universo intero e la Natura stessa, solo la vecchiaia e la morte. Di fronte a tale abisso di pessimismo, il tema del suicidio non può essere evitato dallo scrittore. Ritiene che l'atto di togliersi la vita non fa altro che accresce il fardello di sofferenze delle persone care. Mentre Leopardi si trova a Pisa, tra il 1827 e il 1828, si sviluppa attorno il concetto secondo cui la rivolta umana deve essere rivolta contro la Natura malvagia matrigna.

Tale concezione è il punto di partenza dei grandi idilli, che cantano le illusioni dell'età giovanile.


Il titanismo

L'ultima fase, detta del titanismo, inizia attorno al 1831 e dura fino alla morte, aprendosi ad una nuova concezione che la morte prematura non permette sia sviluppata.

Leopardi torna a Firenze nel 1830, dove ama senza risposta Fanny Targioni Tozzetti. In questo periodo, scrive componimenti a tema romantico dell'amore e della morte, definite come le due cose più belle e degne di essere desiderate al mondo, poiché danno senso alla vita, infine il poeta canta il disprezzo della vita e della Natura. Questo atteggiamento apre Leopardi alla dimensione eroica, egli dichiara di non essere più disposto a piegarsi di fronte alla sconfitta e alla Natura nemica. La sua poesia diventa antidillica: lo stile è energico, il paesaggio è quasi assente e toni sono aspri.

In seguito la sua poesia diventa il messaggio del poeta-filosofo che riconosce nella ragione lo strumento per liberarsi delle illusioni e per raggiungere la verità. Nella ginestra egli accusa superbo e sciocco il proprio secolo che si presenta vigliaccamente ricco e gagliardo. Infine invita gli uomini a unirsi contro la Natura, unico vero nemico, e ad aiutarsi reciprocamente, anziché tendersi tranelli e combattersi l'un l'altro. Leopardi diventa così invito alla solidarietà.

I Canti

Nell'edizione definitiva, la raccolta è composta da 41 liriche, con ognuna un titolo e un numero, che le ordina in sequenza. Il metro più frequente è la canzone libera, formata da strofe a rima libera. Per la sua libertà di struttura, che la distingue dalla canzone petrarchesca, viene anche chiamata canzone leopardiana. I Canti sono i capolavori di Leopardi e forse la sua vera ragione di vita.

Nei Canti esprime ricordi, moti interiori, emozioni, sentimenti, desideri, riflessioni personali e filosofiche. Il suo stile è limpido ed elegante, composto da una metrica nuova, che si basa sugli echi dei classici, nell'idillio, e soprattutto nella canzone libera. I poeta crea una melodia e una musica molto dolci. L'espressione è antiprosaica: talora melodiosa, talora apra, aggressiva, di taglio ironico. Il lessico nasce dall'intreccio delle lingua quotidiana e di quella letteraria. Spesso il poeta usa termini antichi e vaghi. Uno dei pregi dei Canti consiste nella capacità di mutare stile conservando una fondamentale omogeneità timbrica.


I Piccoli Idilli

Nel 1819, in seguito alla morte di Teresa Fattorini  e alla sua malattia agli occhi, scrive di essere passato dalla condizione tipica degli antichi e dei fanciulli a quella della conoscenza ed esperienza del vero. L'infelicità induce Leopardi ad abbandonare la poesia dell'immaginazione per utilizzare ragione e sentimento. Nascono così i piccoli idilli - il termine idillio è usato nella letteratura classica per indicare un componimento di argomento agreste o amoroso.

I primi idilli leopardiani prendono spunto da motivi paesaggistici, autobiografici e sentimentali, per indirizzarsi verso meditazioni che il poeta stesso definisce avventure storiche dell'animo.

Si inaugura così la poesia moderna: il fulcro è il mondo interiore, i sentimenti del poeta e i pensieri filosofici ed esso connessi. Leopardi già nel piccoli idilli sfugge al rischio di una poesia di arida riflessione, realizzando liriche dei contorni vaghi e sfumati, che pongono al centro l'io del poeta, con i propri sentimenti, ricordi, sogni, pensieri e lo mettono in raffronto con il mondo esterno. In questa situazione vaga, l'io del poeta si smarrisce e l'insegnamento filosofico perde ogni connotazione didascalica. L'infinito, analizza con grande finezza le emozioni e i pensieri dell'uomo posto di fronte all'immensità dell'universo. Lo sguardo del poeta, allora immagina l'infinito, e ne prova stupore e quasi paura. Il rumore di un soffio di vento fra le fronde lo riscuote: il poeta paragona allora l'infinito silenzio alle epoche trascorse e il fruscio, provocato da quel soffio, al rumore e alla vita della realtà presente. Leopardi vuole far intuire che la grandezza dell'infinito nel tempo e nello spazio sovrastano la percezione sensibile a tal punto che il cuore ha paura. In contrapposizione a quest'immensità c'è la piccolezza dell'uomo immerso nel dolore.

La domanda fondamentale che attraversa tutta l'opera di Leopardi riguarda l'esistenza del dolore.

Si chiede per quale motivo la Natura ha chiamato ad esistere gli uomini e poi non se ne cura.

Il tema centrale del pessimismo leopardiano è chiaramente definito: la Natura come una matrigna, trascura i propri li e li abbandona al dolore senza permettere loro di comprendere il motivo di tale situazione. La filosofia, le riflessione e il contenuto della poesia di Leopardi si svilupperanno più dopo i piccoli idilli, attorno il tema della sofferenza e dell'infelicità.


I Grandi Idilli

Tra il 1823 e il 1828 lo scrittore si dedica principalmente all'elaborazione della propria concezione filosofica attraverso la prosa delle Operette Morali, al cui interno matura il pessimismo cosmico.

Culmine di questa filosofia pessimistica è l'ipotesi che l'universo sia destinato a morire e finire nel nulla, senza che nessuno abbia potuto sapere a chi giova l'esistenza degli astri, degli essere viventi e degli uomini, tutti condannati a soffrire. Dopo il soggiorno a Pisa negli anni 1827-28, il pessimismo radicale di fondo rimane, ma dopo l'affievolirsi della vena poetica, Leopardi compone quelli che la critica chiamerà i grandi o secondi idilli. La struttura dei piccoli idilli si ritrova anche nei grandi idilli, i cui i personaggi e quadri descrittivi assumono il carattere di simboli universali. Il mutato punto di partenza filosofico pessimistico è chiaramente espresso in "A Silvia", e consiste nella conquistata convinzione che la Natura sia nemica degli uomini, in quanto non mantiene le sue promesse ed inganna i propri li, abbandonandoli ad una vita di sofferenza, in cui l'unico traguardo è dunque la morte.

Il ciclo di Aspasia

A se stanti sono i componimenti detti del ciclo di Aspasia dedicati al grande ed infelice amore per la bellissima Fanny Targioni Tozzetti, che Leopardi chiama Aspasia, dal nome dell'affascinante cortigiana greca, amata da Pericle e celebre per la sua bellezza e cultura. Le liriche esprimono un vero e proprio delirio passionale, espresso attraverso l'accostamento dell'amore e della morte, considerati fratelli. L'esperienza biografica e letteraria rappresentata dei versi del ciclo di Aspasia si conclude con la decisione di rinunciare definitivamente ad ogni illusione e passione e, in particolare, all'inganno amoroso.


La Ginestra

Nel pensiero leopardiano, si sviluppa gradualmente la necessità di ribellarsi eroicamente ala Natura, cattiva madre che tormenta le proprie creature e di unire gli uomini da essa oppressi, sviluppandone la solidarietà. La ginestra, scritta a Napoli nel 1886, che è il vero e proprio testamento spirituale del poeta, dimostra che il pensiero di Leopardi si sta spingendo molto avanti nella direzione della scoperta del valore della solidarietà, prima che la morte prematura ne interrompa l'evoluzione.


Le operette morali

Sono dialoghi o brevi testi in prosa, di carattere filosofico o morale. Le edizioni dell'opera sono tre: per l'editore Stella a Milano nel 1827, per Piatti a Firenze nel 1834, per Starita a Napoli nel 1835, quest'ultima edizione è sequestrata delle autorità. Dopo la morte di Leopardi, e nel 1845, un'edizione postuma. L'autore stesso dichiara che la pubblicazione delle Operette ha un duplice intendo: filosofico, perché espone il suo pensiero, letterario, perché finalizzato alla diffusione di una prosa italiana moderna nella sostanza. I temi fondamentali che emergono sono l'affermazione della vacuità della vita moderna, priva di grandi ideali, le derisione dell'uomo che si crede signore dell'universo, mentre la Natura, per motivi ignoti all'uomo, opera attraverso le proprie leggi di costruzione e costruzione senza curarsi di lui. La convinzione che tante maggiore è l'infelicità e la noia quanto più vengono meno all'uomo possibilità di azione. La morte non va temuta, essendo un precipitare nel nulla, va però rifiutato il suicidio, in quanti ogni uomo non deve aggravare le sofferenze dei propri cari.


Lo Zibaldone

Esso è un diario che il poeta scrive dal 1817 al 1832 affrontando questioni ed argomenti assai eterogenei. Lo Zibaldone viene pubblicato per la prima volta a Firenze - con il titoli Pensieri di varia filosofia e di bella letteratura - a cura di Giosuè Carducci. L'edizione successiva, appare nel 1937 a cura di Francesco Flora, che lascia il titolo originale. Il termine zibaldone - che anticamente indicava una vivanda composta de ingredienti vari e disparati - traduce molto bene il carattere di questo lavoro, che, letto in modo analitico permette di tracciare l'evoluzione del pensiero e l'incessante travaglio formativo del poeta. Lo Zibaldone è una sorta di laboratorio aperto di carattere intellettuale, in cui Leopardi accumula note, appunti, immagini isolate, frammenti di versi, considerazioni, osservazioni e ampie trattazioni sugli argomenti più diversi.

Lo Zibaldone dimostra la feconda e originalissimo compenetrazione di poesia e filosofi nelle concezioni di Leopardi, "filosofo-poeta" o "poeta-filosofo" che non può essere compreso fino in fondo senza passare attraverso la lettura di questo straordinario diario intellettuale e spirituale. 




Privacy

© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta