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Giovanni Pascoli - Patria

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Giovanni Pascoli

- Patria -




Sogno d'un dì d'estate.


Quanto scampanellare

tremulo di cicale!

Stridule pel filare

moveva il maestrale

le foglie accartocciate.




Scendea tra gli olmi il sole

In fascie polverose;

erano in ciel due sole

nuvole, tenui, rose;

due bianche spennellate


in tutto il ciel turchino.


Siepi di melograno,

fratte di tamerice,

il palpito lontano

d'una trebbiatrice

l'angelus argentino .


dov'ero? Le campane

mi dissero dov'ero,

piangendo, mentre un cane

latrava al forestiero,

che andava a capo chino.



La lirica si apre con la descrizione di un giorno estivo: l'autore evidenzia il suono prodotto dalla cicale e quello delle foglie generato dal vento maestrale; nel cielo "turchino" ci sono due nuvole "tenui". L'autore si rende quindi conto del luogo in cui si trova ascoltando il suono delle campane e subito viene rievocato il momento della morte del padre.

La metrica della composizione presenta versi in novenari e sono presenti numerosi enjambements che spezzano sintagmi strettamente uniti, come il soggetto e il verbo, oppure il sostantivo e l'aggettivo ad esso riferito. Le rime seguono lo schema A, B, A, B; tra di esse si trovano due rime equivoche ai versi 7 e 9: "Scendea tra gli olmi il sole . erano in ciel due sole", quindi due parole scritte nello stesso modo hanno un significato ben diverso.

Il testo è incentrato interamente su un gioco di elementi visivi ed uditivi, che suscitano delle sensazioni differenti. Grande rilievo infatti nella poetica pascoliana hanno gli aspetti fonici, cioè i suoni che compongono le parole, espressi per lo più attraverso onomatopee che  indicano un'esigenza di penetrare nell'essenza dell'oggetto decritto. Quindi Pascoli sottolinea appunto lo "scampanellare" delle cicale, il rumore delle foglie e il palpito di una trebbiatrice, suscitando una sensazione, oltre che di tipo uditivo, anche di tipo visivo.

A livello sintattico si nota la predominanza della paratassi e questa scelta stilistica ha una sua spiegazione; in tutti i testi di pascoli infatti prevale la coordinazione sulla subordinazione, quindi la struttura sintattica si frantuma in serie paratattiche di brevi frasi senza rapporti gerarchici tra di loro. Questa frantumazione rivela  il rifiuto di una sistemazione logica dell'esperienza, il prevalere della sensazione immediata e dei rapporti analogici.

Questa sintassi traduce quindi perfettamente la visione del mondo pascoliana, una visione fanciullesca che punta a rendere il mistero che circonda ogni cosa. Gli oggetti descritti  quindi anche se sono i più comuni e quotidiani appaiono come immersi in una dimensione che è propria del sogno. Se il poeta arriva alla verità in maniera alogica ed irrazionale, per lampi intuitivi, la poesia allora deve affidarsi all'intatto potere analogico e suggestivo dei suoi occhi, non ancora inquinati da alcun sistema mentale, culturale e storico. La poesia è quindi una scoperta e non un'invenzione, essa ci mette in comunicazione immediata con il mistero che è la realtà vera dell'essere, essa è un mistico contatto con l'anima delle cosa, è la forma suprema di conoscenza.

Se la poesia è nelle cose stesse, nel particolare poetico, allora anche i motivi della poesia non necessariamente devono essere grandiosi ed illustri, o avere il fascino dell'antico e dell'esotico. Per il poeta, come per il fanciullo, sono belle e degne di canto anche le piccole cose, umili e quotidiane, le piante più consuete, i piccoli animali, gli eventi del mondo naturale e campestre.

Spesso le frasi inoltre presentano lo stile nominale, come nella terza strofa di questa composizione, in quanto Pascoli, con l'elisione del verbo dalla frase,  vuole esplicitare l'accumularsi delle sensazioni.

A livello fonico, nella prima parte della lirica, si nota una certa insistenza su  suoni aperti e dolci, in quanto il poeta descrive la bellezza della natura; quindi è riscontrabile la predominanza delle lettere "E" e "A" ("scendea tra . fascie . ciel . sole . nuvole . "). Nella seconda parte, invece, il poeta ricorda il momento della morte del padre e di conseguenza i suoni si fanno più duri ed aspri: "Mi dissero . mentre . latrava al forestiero").

Gli oggetti materiali in Pascoli assumono un'importanza fondamentale, in quanto sono intrisi di aspetti allusivi e simbolici, che rimandano ad una dimensione ignota; le cose descritte dal poeta sono infatti portatrici di messaggi dall'oltre, come nel caso dei "Puffini dell'Adriatico".

Pascoli quindi elabora una visione soggettiva della realtà e una precisazione onirica: il mondo è allora visto attraverso il velo del sogno e perde ogni consistenza oggettiva, le cose sfumano le une nelle altre.

L'io del poeta di conseguenza si confonde con la realtà e gli oggetti si caricano di significati umani.

La tematica del sogno, oltre che nelle Myricae è riscontrabile anche in alcuni tra i Poemi conviviali; ne "l'ultimo viaggio" infatti Pascoli immagina che Ulisse, ormai stanco della solita vita, ritorni nei luoghi dove era stato in precedenza, luoghi che si sono modificati nel tempo: il mondo mitico si è quindi disciolto, lasciando posto ad una realtà squallida; le sirene non parlano infatti più ad Ulisse, non permettendogli quindi di apare la sua sete di conoscenza.

Anche in "Alexandros" Pascoli descrive una realtà immaginaria: il poeta infatti fantastica che Alessandro Magno arrivi al fiume oceano, confine del mondo, e si renda conto che, una volta giunto al limite della terra, egli non possa più sognare. Il mare quindi viene descritto senza onde, e la calma delle acque conferisce al testo l'idea dell'infinito e dell'ignoto, l'idea del mistero che circonda la realtà. La voce che Alexandros sente è l'arte che spinge il poeta a superare tutti i limiti, ma egli ha la consapevolezza di doversi arrestare perché non è in grado di superare i limiti del mondo, limiti segnati appunto dal fiume; il poeta quindi avverte il nulla, tipico atteggiamento del decadentismo.

Il tema del sogno è inoltre collegato alla realtà della condizione di esilio del poeta. Baudelaire infatti nella sua opera "Spleen di Parigi" critica in modo duro la borghesia, sostenendo che essa aveva cercato di inglobare l'intellettuale dandogli la soddisfazione di sentirsi superiore, conferendogli quindi una "aureola". La borghesia aveva tentato quindi di portare la letteratura in una dimensione economica per poi trarne dei benefici. Baudelaire rifiuta questa aureola, vedendo il suo privilegio non nella superiorità, ma nell'inferiorità; egli infatti sostiene che il poeta sia come una sorta di prostituta, in quanto la seconda vende il suo corpo così come colui che scrive versi vende la sua intimità, svelando i segreti più profondi del suo io e quindi della sua personalità. Questo disgusto per la borghesia è generato appunto dallo squallore della società, ed il poeta innalzandosi sopra il grigiore della realtà prova un piacere consapevole e maturo, una sensazione di slancio verso la libertà. Ogni cosa è muta per tutti gli uomini che non hanno sensibilità, ma per il poeta tutti gli oggetti assumono un loro linguaggio; quindi tutte le cose della realtà sono simbolo delle cose di una subrealtà; l'inconscio è ciò che permette al poeta di cogliere l'oltre. Consegue quindi che l'io e il mondo coincidono in un tutto e la parola e l'arte sono gli strumenti per eccellenza di conoscenza. L'artista quindi, per questa ragioni, è considerato un diverso, estraneo al mondo comune.




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