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IL PRINCIPE

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IL PRINCIPE


  • Tratta "che cosa è il principato, di quale spetie sono, come e' si acquistono, come e' si mantengono, perché e' si perdono".
  • Tono lucidamente argomentativi. In un primo momento intendeva dedicare il trattato a Giuliano de' Medici, più tardi fu indirizzata a Lorenzo, capitano generale dei Fiorentini per conto dello zio, papa leone, poi duca d'Urbino.
  • Volontà di cercare un avvicinamento ai Medici e di offrire la sua collaborazione in un momento in cui la famiglia aveva acquistato una posizione di grande potere e mirava a costituire un forte dominio nell'Italia Centrale: molto scalpore.
  • Proclama di voler guardare alla verità effettuale della cosa, non propone le virtù morali, ma quei mezzi che possono consentire la conquista e il mantenimento dello Stato, addirittura deve essere anche non buono.
  • Forma concisa e incalzante, ma densissima di pensiero.
  • Cap. I-XI esaminano i vari tipi di principato e mirano a individuare i mezzi per conquistarlo e mantenerlo, dandogli forza e stabilità. Ci sono quelli ereditari e nuovi: misti, aggiunti come membri allo Stato ereditario di un principe o nuovi del tutto: conquistati con virtù e armi proprie, oppure con fortuna e armi altrui. Chi vi giunge attraverso scelleratezze (crudeltà usata solo per necessità, per i sudditi o che cresce nel tempo, per il tiranno). Quello civile, dove il pr. riceve il potere dai cittadini stessi. Come si debbano misurare le forze dei principati. Principati ecclesiastici.
  • Problema delle milizie, no eserciti mercenari perché infidi ( causa principale di debolezza dell'Italia), la forza di uno stato sta nel poter contare su armi proprie: un esercito composto dai cittadini in armi. Modi di comportarsi del principe con i sudditi e gli amici, qui và dietro alla verità effettuale della cosa: poiché gli uomini sono malvagi, avidi, mancatori della fede e violenti, il principe che è costretto ad agire tra di essi non può seguire in tutto le leggi morali, ma deve imparare anche ad essere non buono, ove le circostanze lo esigano; il fine (vincere e mantenere lo stato)giustifica i mezzi (onorevoli se vincerà). Condanna.
  • Esamina le cause per cui i principi italiani, nella crisi dopo il 1494, hanno perso i loro stati. E' l' "ignavia", nei tempi quieti non hanno saputo prevedere la tempesta,e porvi i necessari ripari.
  • Il rapporto tra virtù e fortuna, cioè la capacità propria del politico di porre argini alle variazioni della fortuna, paragonata a un fiume in piena che quando straripa allaga le camne e devasta i raccolti e gli abitanti.
  • L'ultimo modulo, un'appassionata esortazione ad un principe nuovo accorto ed energico che sappia a porsi a capo del popolo italiano e liberare l'Italia dai "barbari".Dalla straordinaria virtù, capace di organizzare le energie che potenzialmente ancora sussistono nelle genti italiane e di costruire una comine statale abb. Forte da contrastare le mire espansionistiche degli stati vicini.
  • Visione eroica dell'agire umano. Fiducia nella forza dell'uomo. L'uomo nel suo agire ha precisi limiti e deve fare i conti con una serie di fattori a lui esterni, che non dipendono dalla sua volontà.  Mette tra parentesi la presenza nel mondo della provvidenza, intesa come disegno divino indirizzato ad un fine, e porta in primo piano il combinarsi di forze puramente casuali, accidentali, svincolate da ogni finalità trascendente. La convinzione che l'uomo può fronteggiare vittoriosamente la fortuna. Essa sia arbitra solo della metà delle cose umane e lascia regolare l'altra metà a gli uomini.
  • Virtù = complesso di varie qualità: la perfetta conoscenza delle leggi generali dell'agire politico ricavate, sia dall'esperienza diretta sia dalla lezione della storia passata; la capacità di applicare queste leggi ai casi concreti e particolari prevedendo in base ad esse i comportamenti degli avversari e gli sviluppi delle situazioni, la decisione, l'energia, il coraggio nel mettere in pratica ciò che si è disegnato: e quindi una sintesi di doti intellettuali e pratiche.
  • Il metodo espositivo =la realtà si scinde sempre in due possibilità nettamente contrapposte, il secondo corno di ogni "dilemma" di norma si scinde in altre due alternative: o repubbliche o principati, i principati sono o ereditari o nuovi, i principati nuovi o lo sono del tutto o misti; si acquistano con armi altrui o le proprie, con virtù o con fortuna.
  • Fusione concreta di teoria e prassi. Non servono costruzioni ideali: dovendo misurarsi con la realtà concreta che è sempre lontanissima dall'ideale, è dalle sue leggi effettive che il politico deve guardare. Vuole esaminare come si fa realmente politica, in un mondo in cui gli uomini non sono buoni.
  • Coraggio di affermare che una stessa azione può essere valutata a seconda di due metri di misura diversi o in base al criterio morale, fondato sulla distinzione tra bene e male, o in base al criterio politico fondato sulla distinzione tra utile e danno. Criteri tra loro autonomi: osservare certe virtù mette in condizioni di debolezza, mentre usare metodi riprovevoli può essere utile a raggiungere il risultato. Lo statista deve essere pronto ad usare tali metodi e il giudizio politico sul suo operato deve essere positivo.
  • Sostanziale pessimismo sulla natura umana. La visione di M.è interamente laica ed immanente, la sua è una pura constatazone di fatto che nasce dall'osservazione dell'uomo nel suo agire nella storia, il rapporto alle forze che gli si oppongono.
  • La verità effettuale =proposito di parte dall'esperienza della realtà così com'è . Il costruire la teoria osservando il modo effettivo di comportarsi degli uomini è la prova migliore del fatto che il suo metodo è induttivo, parte dai dati empirici, sperimentandoli direttamente, osservandoli e da essi ricava le leggi e generali. Il procedere da principi ideali è da lui respinto con l'atteggiamento sprezzante e bollato come pura immaginazione.
  • Distinzione tra politica e morale, da un lato si collega il dover essere, la norma morale, dall'altro la "verità effettuale della cosa", entro la quale il politico deve operare e della quale deve tener conto.

Politica e morale



  • Riconosce quanto sarebbe lodevole per un principe l'osservanza delle leggi morali, ma nella realtà effettiva della politica, il non mantenere la parola e le astuzie e i raggiri hanno consentito di compiere grandi cose, mentre chi è stato leale è stato sconfitto. Ciò scaturisce dall'esperienza, dall'osservazione della realtà concreta.
  • Alle norme morali non è indifferente, né si propone di sovvertirle. Il rigore, la consequenzialità logica, l'onestà intellettuale lo inducono a registrare un dato di fatto incontrovertibile, che mentire e ingannare è il risultato spesso politicamente produttivo e indispensabile. Non vuole giustificare moralmente tutto ciò perché sa che è riprovevole, semplicemente lo giudica con un altro metro. Slealtà e crudeltà non devono mai essere fini a se stesse, tanto meno rispondere al puro interesse egoistico del princ., bensì mirano al mantenimento dello stato per garantire pace e benessere ai cittadini: quindi da quelli che sono "vizi" può scaturire il bene.

Il centauro

  • La legalità non basta nell'agire politico, spesso è indispensabile usare la forza.
  • Centauro = mezzo uomo e mezzo bestia, compendia l'essenza del politico che deve saper usare sia la forza si la legalità se vuole dare solidi fondamenti allo stato.
  • Volpe e leone =astuzia -violenza, deve saperlo essere a seconda della situazione: chi ha un comportamento rigido non può avere successo. Deve avere un animo disposto a cambiare a seconda della fortuna. Duttilità, sapersi adattare in ogni situazione.

Pessimismo sull'uomo

  • Se gli uomini fossero tutti buoni, i precetti esposti non avrebbero valore; ma la realtà è diversa: gli uomini sono "tristi". Il principe deve anche dissimulare la malvagità e simulare la virtù. Nel mondo politico non è necessario avere certe qualità, basta parere di averle; anzi, avere le qualità buone ed osservarle sempre può risultare dannoso, mentre sembrare solo di averle può essere utile, perché all'occorrenza si può anche non osservare la virtù, e operare in senso contrario. Ciò è possibile perché gli uomini sono anche sciocchi e creduli, e giudicano più dall'apparenza che dalla realtà.

Virtù e fortuna

  • Occorre una straordinaria virtù per superare una straordinaria "gravità de' tempi", virtù in confronto con la variazione degli assetti politici provocata dalla fortuna in una specifica situazione storica.
  • La ragione per cui  i principi italiani hanno perso i loro stati è l'ignavia.
  • Ritenendo che non vi sia alcun margine per la loro azione, gli uomini rinunciano a lottare VS la fortuna, vedendola come qlc di invincibile, e si lasciano governare da essa. Lui collega ciò alla crisi italiana tanto da evidenziare scetticismo e passività. Egli ha una concezione eroica e combattiva della vita, l'uomo non deve mai rinunciare a lottare contro la fortuna avversa, si rifiuta di credere che il libero arbitrio dell'uomo sia spento. L'uomo può imporre la propria volontà preparando ripari preventivi all'azione della sorte da poter reggere ogni urto imprevisto.
  • I principi italiani nel 400 non hanno preparato i ripari per prevenire sconvolgimenti futuri.
  • Fortuna = fiume in piena che travolge tutto; virtù =argini, costruiti dall'uomo, che la contengono. Italia = camna senza argini né riparo. La fortuna "dimostra la sua potenzia dove non è ordinata virtù a resisterle".
  • Uomo = faber suae fortunae, trionfo di una visione laica e antropocentrica.

Duttilità del politico di fronte alla fortuna

  • Le ragioni per cui il princ. Ora va in rovina ora abbia successo stanno nell'incapacità di mutare la direzione dell'operato: la fortuna è varia e mutevole, il politico deve essere duttile, flessibile, adattarsi a tutte le variazioni. Rispetto e impeto = prudenza e ardimento, la natura umana è incline ala rigidezza e qui la sua fiducia nella natura umana subisce una sensibile attenuazione.Se l'uomo è così poco duttile, allora è preferibile che sia impetuoso, così le possibilità di riscontrarsi con la fortuna sono maggiori. Ammira l'attivismo energico.
  • La fortuna è donna, e come tale deve essere battuta per venire sottomessa, ama i giovani perché sono meno rispettivi e più audaci.

Esortazione conclusiva

  • Dà la colpa alla pessima organizzazione precedente, il popolo è capace ma i capi sono degli inetti così scrive una perorazione al redentore à Lorenzo di Piero
  • Personificazione Italia devastata, fervore, reagire al clima di fatalismo rinunciatario  e di scetticismo.
  • L'analisi della realtà effettuale finisce in questa exhortatio perché sin dall'inizio mirava a smuovere gli animi e a contrastare l'inerzia contemporanea.
  • Sostiene la teoria dell'occasione: è l'occasione migliore perché un principe nuovo prenda l'iniziativa del riscatto. Il punto più basso a cui la fortuna può spingere un popolo ne è la redenzione.



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