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Il secondo romanzo: "Senilità"



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Il secondo romanzo: "Senilità"


Il protagonista di questo romanzo è Emilio Brentani, trentacinquenne, precocemente invecchiato e tormentato dal rimpianto di una vita passata ormai inutilmente. Assieme alla sorella Amalia, anch'essa consuntasi nel grigiore e nella solitudine, vive con lo stipendio di un modesto impiego presso una società d'assicurazioni. Egli però, tempo prima, ha pubblicato un romanzo, che non ha avuto successo, ma che tuttora gli permette di godere, tra i conoscenti, di una piccola fama di letterato. Fama che, gli fa maggiormente sentire tutta l'amarezza della sua vita, a causa dell'ironia e della delusione che i suoi sogni, splendidi ma irrealizzati, hanno comportato. E' con la consapevolezza di questo fallimento, che Emilio decide di intraprendere l'avventura d'amore con Angiolina, una splendida e volubile 'lia del popolo', esuberante e piena di vita. Ma Emilio non riesce a mantenere l'avventura entro binari normali; ne è anzi coinvolto oltre ogni ragionevole previsione: la scoperta delle menzogne e dei tradimenti di Angiolina, anziché allontanarlo, lo legano a lei sempre più profondamente, mediante l'insensato tormento di una gelosia, che date le premesse, è del tutto fuori posto. Quest'avventura non sconvolge soltanto la vita di Emilio, ma ha ovvie ripercussioni anche su quella della sorella. Amalia, rassegnata al grigiore di una vita, che fino a poco prima condivideva con Emilio, è costretta a rivederla tutta. Emilio ora non ha più bisogno di lei. Amalia non ha mai pensato all'amore, ma ora, dietro l'esempio del fratello, capisce che quella è una porta che essa ha chiuso troppo presto e troppo avventatamente. Ella s'innamora nientemeno che del Balli, pittore amico di Emilio, di modeste doti artistiche, ma, data la sua prestanza fisica, di grande successo con le donne. Questo è un amore segreto, sofferto nel silenzio e nei deliri notturni. E' da uno di questi deliri che Emilio apprende la verità e così compie la mossa che porterà Amalia alla morte: prega l'amico Balli di non frequentare più la sua casa e lui saputane la ragione, è più che d'accordo. Amalia, vistasi scoperta e respinta in maniera offensiva, per dimenticare ricorre all'etere profumato, deperisce sempre più, finché colpita da polmonite, s'aggrava notevolmente. Emilio richiama il Balli e i due uomini, aiutati da una vicina, assistono la moribonda, che però non supera la malattia e muore. Il ruolo del Balli nel romanzo non è solo questo. Egli, data la sua esperienza, ha anche quello di consigliere di Emilio nei suoi rapporti con Angiolina, con il prevedibile risultato che Angiolina finisce per concedersi anche al Balli, senza che costui in verità abbia fatto nulla d'intenzionale per tradire l'amico. Ad ogni modo la morte di Amalia porta tutta la vicenda alla conclusione. Emilio trova definitivamente la forza di lasciare Angiolina e, ritornato alla vita grigia d'un tempo, conserva il ricordo di due persone che sono state importantissime per la sua vita, Amalia (che rappresenta la malattia) e Angiolina (che rafura la salute).



Nella prefazione alla seconda edizione di Senilità (L'intera prefazione è riportata nell'Appendice C), in data 1 marzo 1927 Svevo scrive:

'Pensa Valéry Larbaud che il titolo di questo romanzo non sia quello che gli competa. Anch'io, che so ormai che cosa sia una vera senilità sorrido talvolta di aver attribuito ad essa un eccesso in amore'.

E poche righe dopo:

'Mi sembrerebbe di mutilare il libro privandolo del suo titolo che a me pare possa spiegare e scusare qualche cosa. Quel titolo mi guidò e lo vissi. Rimanga dunque così questo romanzo che ripresento ai lettori con qualche ritocco meramente formale'.

L'Ettore Schmitz che scrive queste parole è l'ormai celebre Italo Svevo. Enorme è la distanza che in tutti i sensi lo separa dal trentasettenne autore di Senilità: eppure la convinzione che il romanzo consista in qualcosa di non modificabile e di non restaurabile, al punto che lo stesso titolo lontano e sfortunato faccia corpo col testo per una sorta di fatale necessità , mostra quanto poco il triestino abbia agito da professionista della letteratura e quanto invece sia stato cosciente di aver lavorato, al di là di ogni tentazione cosmetica e di ogni accattivante concessione a gusti più larghi, per pronunciare la sua parola intera, consegnata ormai ad un'epoca cui non poteva essere strappata se non con un atto di spregiudicatezza. Non è facile rinnegare i propri insuccessi: l'insuccesso di Senilità prima edizione, stava a dimostrare per lo scrittore, internazionalmente affermato, quanto profonde ragioni contenesse quel libro, a cominciare dal proprio nome. In effetti, col secondo romanzo, il narratore entra quasi brutalmente nella sua prima e già ricca maturità. Quella che Montale ha definito 'l'epica della grigia casualità della nostra vita di tutti i giorni' si presenta spiegata e, quasi al di là di ogni calcolo, liberamente naturale: di naturalezza stringente e carica di progressiva ferocia. Gli impacci scolastici e le preoccupazioni di non uscire dall'orbita naturalistica, che costituiscono la contraddizione non completamente risolta di Una Vita, nel secondo romanzo sveviano sono già conclusi. Fin dall'attacco si avverte un'altra sicurezza, la mano di uno scrittore che rischia sul suo terreno senza guardarsi attorno, e lavora scartando tutte le mediazioni di comodo per stringere seccamente i nodi della sua situazione narrativa:

'Subito, con le prime parole che le rivolse, volle avvisarla che non intendeva compromettersi in una relazione troppo seria. Parlò cioè a un dipresso così: - T'amo molto e per il tuo bene desidero ci si metta d'accordo di andare molto cauti -. La parola era tanto prudente ch'era difficile di crederla detta per amore altrui, e un po' più franca avrebbe dovuto suonare così : - Mi piaci molto, ma nella mia vita non potrai essere giammai più importante di un giocattolo. Ho altri doveri io, la mia carriera, la mia famiglia -'.

Ciò che colpisce in quest'apertura di romanzo, in rapporto al suo antecedente, sono almeno due elementi: il fatto che Svevo elimini senza indugi la cornice dell'azione drammatica, e la perentorietà con la quale, operando riduttivamente quanto all'estensione ma addizionalmente quanto alla profondità, lo scrittore individua subito la situazione dei personaggi ed il rapporto che gli stessi intrattengono con l'ambiente, che non funge più da sfondo, ma da luogo drammatico che si realizza come proiezione necessaria del dramma esistenziale dei protagonisti. Non solo. In meno di dieci righe, si assiste per così dire allo sviluppo dell'intero gioco narrativo. C'è, in quest'inizio, ben più che la prima spinta, ben più che una complessa geometria sentimentale, addirittura il senso conclusivo di questa geometria. Un inizio che contiene in sé la fine della storia, una partenza in cui già s'intravede il baratro che inghiottirà non colei che appare come la destinataria del messaggio ma colui che ne è l'emittente. In altre parole ci viene presentato un ribaltamento di ruoli: il maschio piccolo borghese e colto, che si misura con la donna proletaria ed incolta. Sembra non esserci alcuna possibilità di lotta, ma invece, il confronto va a vantaggio di chi mette in atto la seduzione, che si rivelerà devastante per l'equilibrio di colui che era partito (oggettivamente ed all'interno del suo apparato psico-culturale) vincente in assoluto. Il libro, in fondo, consiste nella radiografia, al tempo stesso emotiva e spietatamente analitica, di un doppio gioco. Da questo gioco escono stritolati i più deboli: Emilio Brentani, che nutre velleità di scrittore, che vuole essere un superuomo di provincia e dimostra invece fragilità e frustrazioni, e sua sorella Amalia, grigia e malinconica creatura votata alla disperazione. Due sconfitte che ribadiscono due impossibilità di vittoria. D'altro canto, il quadrangolo comprende altri due elementi: lo scultore Balli, rude e spregiudicato, per amore del quale Amalia troverà la morte, e Angiolina, splendida popolana senza troppa moralità, smaniosa di salire socialmente senza imporsi eccessive rinunce sul piano degli immediati piaceri, e per la quale il tradimento non rappresenta davvero un problema. Al Balli e ad Angiolina spetta il ruolo di carnefici involontari: proprio in virtù della loro 'innocenza'. Emilio pecca per eccesso di presunzione e difetto d'esperienza ed Amalia pecca per eccesso d'illusioni. Nella scacchiera della vita, sembra suggerire amaramente Svevo, non c'è spazio per la remissione degli errori: il conto del dare e dell'avere non conosce flessibilità, anzi possiede una rigidezza mortale. Emilio, che da principio, con patetico cinismo, considera Angiolina alla stregua di un giocattolo, convinto di poter controllare agevolmente la dinamica del rapporto, entra in una crisi sempre più acuta quando vede sfuggirgli la donna che lo aveva interessato. Il crescere della sua passione coincide con la perdita d'interesse per lui da parte della donna. In realtà se per Emilio l'irruzione di Angiolina nella sua vita ha significato una diversità culturale, l'eccitante sensazione del nuovo, la scoperta di un mondo da sedurre, godere ed insieme pedagogizzare, tutto ciò è frutto di un atroce equivoco: Emilio non regge il confronto con la capacità camaleontica di Angiolina, con la sua doppiezza imprendibile, con la spontaneità della sua pratica della menzogna, e si ritrova ad essere il suo giocattolo. Angiolina gioca contemporaneamente su vari tavoli puntando ad una sistemazione vantaggiosa oltre che alla soddisfazione dei sensi. Ella finge perfino di acconsentire alla frode che Emilio ordisce per darla in moglie ad un inconsapevole estraneo, per poi godersela in tutta tranquillità, libero dai sensi di colpa del corruttore, ma lei, invece, fugge a Vienna con un cassiere di banca. La velleitaria 'carriera di un libertino' si rovescia insomma nell'effettiva carriera di una libertina. L'impatto dell'opportunismo piccolo borghese con l'amoralismo proletario si risolve in tragedia esclusivamente per chi è portatore dei valori del primo. Emilio si rifugia nell'indistinto del sogno e della nostalgia, anzi, cerca un risarcimento al proprio scacco nella persistenza dell'equivoco. Il piccolo inferno di bassezze e di dolore attraverso il quale è passato non è stato sufficiente ad imporgli un rapporto criticamente adulto con la realtà. Il suo continua ad essere semplicemente un atteggiamento di comodo, molto immaturo:



'Anni dopo egli s'incantò ad ammirare quel periodo della sua vita, il più importante, il più luminoso. Ne visse come un vecchio del ricordo della gioventù. Nella sua mente di letterato ozioso, Angiolina subì una metamorfosi strana. Conservò inalterata la sua bellezza, ma acquistò anche tutte le qualità d'Amalia che morì in lei una seconda volta. Divenne triste, sconsolatamente inerte, ed ebbe l'occhio limpido ed intellettuale. Egli la vide dinanzi a sè come su un altare, la personificazione del pensiero e del dolore e l'amò sempre, se amore è ammirazione e desiderio. Ella rappresentava tutto quello di nobile ch'egli in quel periodo avesse pensato od osservato. Quella ura divenne persino un simbolo. Ella guardava sempre dalla stessa parte, l'orizzonte, l'avvenire da cui partivano i bagliori rossi che si riverberavano sulla sua faccia rosea, gialla e bianca. Ella aspettava! L'immagine concretava il sogno ch'egli una volta aveva fatto accanto ad Angiolina e che la lia del popolo non aveva compreso. Quel simbolo alto, magnifico, si rianimava talvolta per divenire donna amante, sempre però donna triste e pensierosa. Sì! Angiolina pensa e piange! Pensa come se le fosse stato spiegato il segreto dell'universo e della propria esistenza; piange come se nel vasto mondo non avesse più trovato neppure un Deo gratias qualunque'.

Emilio Brentani è uno dei tanti piccoli borghesi la cui ambizione creativa si consuma più che altro in un ricordo senza frutto. Egli vive il grande romanzo che non scriverà mai. Eppure quest'inetto 'abita' con la sua presenza il romanzo: le intermittenze del suo cuore segnano il diagramma delle sue frustrazioni e sono colte dal narratore in modo implacabile. L'affascinante ricostruzione di una distruzione, come potremmo definire Senilità, gestisce un linguaggio preciso, dove anche le sfumature, invece di tendere all'evanescenza, sviluppano una sorte di solidità molto visiva e molto tattile. Svevo è ormai padrone dello strumento lingua, con il quale chiude ogni rapporto col Naturalismo. Senilità per quanto abbiamo osservato presenta molti caratteri autobiografici (i quali saranno ancora più evidenti né La coscienza di Zeno), a proposito dei quali ha scritto Giacomo Debenedetti: 'Anche Svevo dunque, allorché sentì comporsi sotto le spoglie di un eroe di romanzo il lievito torturante della propria vita, ed inscriversi nel profilo di quella zona d'ombra della propria autobiografia, si trovò ad avere obbedito, lui ebreo d'origine, all'oscura suggestione ed agli incessanti richiami delle sue origini. La stessa sincerità e necessità del suo protagonista ci comprovano come costui sia colto nei nuclei segreti ed inevitabili delle sensibilità dell'autore, nella matrice dove anche le meglio assortite rime di un poeta si preurano come un tic nervoso. E come il Weininger, sotto veste di filosofo, a liberarsi di questo personaggio che lo infestava, si era provato a scagliarlo via dentro l'involucro di una tesi antisemita, rischiarata da un crudo, e quanto dolente, lume di ragione; così Svevo se ne libera in una ura di romanzo, costrutta col sentimento di un'intransigente compassione, ed aggiustata con gli strumenti di una critica consapevole fino a diventare sospetta. Con un'implacabilità, un gusto della ritorsione, che ricordano l'appassionata ferocia dell'antisemitismo semita, ha portato il suo personaggio alla disfatta, senza concedergli tregua, ma nel tempo stesso ve lo ha accomnato con un cruccio carnale, suscettibile e pronto alle difese come l'innata solidarietà di razza'. Ma se l'autobiografismo è il fulcro del romanzo, ciò che alla fine decide è l'adozione di un punto di vista non univoco. Lo scrittore tiene costantemente attive varie prospettive. Il senso di essere immersi in una realtà dove nei personaggi coabitano uno e più individui, dà all'intero libro una modernità ed una fortissima capacità di suggestione. Svevo ha capito che l'ipocrisia e l'apparenza sono davvero la sostanza dei rapporti che regolano il gran teatro del mondo e teatrale nel senso del ritmo che incalza verso la tragedia e la malinconia è anche il rapporto tra Emilio ed Angiolina. In una Trieste fine Ottocento si consuma dunque questo dramma della gelosia e dello spirito. Questo sentimento è quasi il concentrato di una serie di frustrazioni, per questo scopriamo in Svevo uno scrittore d'analisi ed un 'moralista senza morale', fino alla conclusione della sua esperienza letteraria. Ed anche se è facile individuare il ripetersi di situazioni e personaggi da Una Vita a Senilità in una sorta di parallelismo fatale (passione, tradimento ed abbandono, scacco del protagonista, posizione di fallimento dello stesso rispetto al successo dei personaggi che fanno da controcanto: Macario in Una Vita ed il Balli in Senilità, tuttavia ciò che conta è vedere come l'apparente riduzione del campo d'interesse dello scrittore, ormai definitivamente centrato sull'individuo, risulti, in effetti, la spinta ad un sondaggio in profondità della situazione borghese. Di fronte all'impossibilità di realizzarsi contro un mondo nemico, Alfonso Nitti si rivolta fino al suicidio; Emilio si chiude nella resa e nella rinuncia della senilità. L'eroismo di Alfonso è ancora un gesto romantico realizzato nella zona dell'utopia. La resa di Emilio è già l'indizio della necessità, a lui negata, di una presa di coscienza, è una forzata consapevolezza falsamente liberatrice. La sola concessa alla sua mente di letterato 'ozioso'. Ciò è già l'anticipo del severo giudizio di Svevo sull'abito psicologico del letterato, come si legge in Saggi e ine sparse:



'Io a quest'ora e definitivamente ho eliminato dalla mia vita quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura'.

Lo Svevo che parla in questi termini lucidi e radicali sembra quasi un critico della letteratura, un uomo che si colloca fuori da quell'ambito che in Italia, tra gli anni Venti e Trenta, partorì tutta una serie di ideologie e di stili letterari sintetizzati nella formula della 'letteratura come vita'. Per Svevo, al contrario è uno strumento per misurare le contraddizioni mondane. La tappa 'soffocante' di Una Vita e la tappa 'feroce' di Senilità sono due modi, omologhi e diversi, per affermare questa verità. La coscienza di Zeno, più tardi, ne sarà la dimostrazione poetica più sicura.






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