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L'EVOLUZIONE DELL'INTELLETTUALE NELLE SUE LINEE GENERALI NEL PRIMO '900
Il ruolo dell'intellettuale nella società contemporanea è uno dei nodi maggiormente studiati in tutte le epoche. Si presenta storicamente in modo differenziato ed ha avuto notevole influenza in tutte le società.
Prendendo in considerazione i primi anni del '900 italiano,dominati dalla cultura del Decadentismo, ci accorgiamo che tale ruolo presenta notevoli diversità rispetto ai decenni precedenti.L'800 italiano, infatti ha, visto l'intellettuale partecipare attivamente alla vita politica e sociale del proprio tempo.Già Foscolo è la testimonianza agli inizi dell'800 di un grande impegno : egli infatti sognava la diffusione degli ideali della rivoluzione francese in tutta Europa, compresa la sua Venezia, dominata da secoli da una oligarchia;non si è limitato alla predicazione di tali ideali, ma ha combattuto attivamente al fianco di Napoleone, da lui considerato il portatore e il diffusore di una società basata sulla libertà, fraternità e uguaglianza; nonostante le delusioni animatrici del romanzo autobiografico 'Le ultime lettere di Jacopo Ortis', rimarrà sempre al fianco di Napoleone fino alla sconfitta definitiva, perchè lo riteneva 'Uomo nuovo'. Dopo di lui gli intellettuali romantici saranno ancora più decisi nel porsi quali educatori del popolo e costruttori dell'indipendenza d'Italia. Tutti gli scrittori, i poeti, i musicisti ecc, saranno i fari del nostro Risorgimento; basti pensare che Mazzini, Gioberti, Cattaneo, Manin, Tommaseo, Guerrazzi, ecc, li troviamo sia nella storia della letteratura italiana che nella storia del Risorgimento italiano. Lo stesso Manzoni, che pure non partecipò di persona all'attività politica, attraverso i suoi libri ha dato un grande contributo all'idea di libertà e di indipendenza; gli sarà riconosciuto, al punto che nel 1861, appena formatosi il Regno d'Italia, sarà nominato senatore.
Anche nella seconda metà dell'800, l'intellettuale italiano, pur se non in modo deciso,
conserverà una funzione di guida e di punto di riferimento, vedi Carducci e i veristi. Questi ultimi in verità non si proponevano programmaticamente come guida del popolo ma non c'è dubbio che, nel rappresentare 'veristicamente' la condizione di vita delle masse diseredate del sud, ne emergeva anche una qualche forma di denuncia delle ingiustizie sociali; come si può infatti non rabbrividire e porsi delle domande di fronte al crudo mondo della 'Lupa' o de 'I malavoglia'?
Tale ruolo positivo viene invece completamente scardinato nei primi anni del '900. Sono anni dominati dall'imperialismo e cioè dalla colonizzazzione di interi continenti da parte di alcune grandi potenze europee; l'ottimimismo legato alla facoltà dell'uomo di dominare attraverso la scienza l'universo intero e le sue leggi è crollato di fronte al barbaro sfruttamento di centinaia di milioni di uomini in Africa, in Asia e nelle Americhe. In Europa la grande trasformazione industriale ha sfaldato gli assetti sociali e ha fatto diventare protagoniste due nuove classi sociali, la borghesia e il proletariato, ovvero i proprietari delle industrie e le masse dei lavoratori. Lo scontro tra queste due classi, che si è avvalso anche di grandi sistemi filosofici come il Marxismo, ha schiacciato gli intellettuali che si sono sentiti sradicati e senza ruolo. Esempi tipici di sradicamento dalla realtà sociale del primo '900 italiano sono Svevo e Pirandello, le cui opere sono autentiche testimonianze della malattia dell'anima del tempo, derivata appunto dal crollo delle certezze di una volta, dalla mancanza di ideali. Per fornire soltanto dei piccoli esempi di quanto ho affermato, possiamo pensare ai protagonisti dei romanzi di Svevo che, come sappiamo, hanno in comune la caratteristica 'dell'inettitudine' e cioè una condizione di debolezza, di insicurezza psicologica che rende l'eroe sveviano 'incapace alla vita'. Alfonso Nitti, protagonista di 'Una vita', metafora di Svevo stesso, è un piccolo borghese declassato e un intellettuale di cultura umanistica sradicato dalla società triestina, i cui valori sono il profitto, l'energia, la produttività e il denaro; è l'uomo di cultura che cerca di evadere nei sogni della sua cultura umanistica. Anche Emilio Brentani, protagonista di 'Senilità', può essere considerato il simbolo dell'uomo del primo '900; egli infatti è incapace di inserirsi attivamente nel mondo; la sua senilità non è un momento cronologico, cioè la vecchiaia, ma un modo di esistere, il simbolo di una radicale assenza dalla realtà, dell'incapacità di incidere su di essa, di dominarla e trasformarla. Ciò è ancor più vero nell'ultimo e più importante romanzo 'La coscienza di Zeno'. Anche Zeno Cosini, infatti, è un debole, 'un inetto' , timoroso di affrontare la realtà; per questo si è costruito un sistema protettivo conducendo una vita cauta che garantisce calma e sicurezza, ma che implica rinuncia al godimento, mortificazione della vita. Zeno è infatti un uomo mancato, abulico, che tenta invano di liberarsi dal torpore dell'inerzia spirituale. Nel suo scoraggiamento e nella sua rassegnazione c'è tutta l'arte di Svevo e la lucida conoscenza dell'intellettuale del '900, che sa riconoscere la propria malattia, ma è incapace di superarla. Svevo non poteva darci migliore analisi della crisi che si abbatteva sull'uomo e sull'intellettuale del suo tempo. Per questo motivo la sua opera è idealmente vicina a quella di Pirandello e di Joyce, testimonianza cioè della malattia dell'anima moderna che deriva dal crollo delle certezze di una volta. Pirandello infatti, rigettando la cultura del positivismo, fa propria la teoria filosofica dello 'slancio vitale' di Bergson, per il quale tutta la realtà è vita, cioè un perpetuo movimento vitale, inteso come eterno divenire, un'incessante trasformazione da uno stato all'altro, un flusso continuo. Tutto ciò che si stacca da tale flusso e prende una forma comincia a morire. Cosi' avviene all'identità personale dell'uomo; anch' egli infatti è parte del flusso e tende a fissarsi in una realtà e personalità, cosa questa che è solo illusione e scaturisce dal sentimento soggettivo. Anche gli altri lo vedono in un particolare modo e lo fissano in una forma; cosi' il singolo uomo è uno per se stesso e centomila, a seconda di come lo vedono gli altri. Si può comprendere ciò sia dal titolo di un suo famoso romanzo(Uno nessuno e centomila)sia da un passaggio del dramma 'Sei personaggi in cerca d'autore'. Nel quale il padre dice:<<Il dramma per me è tutto qui, signore: nella coscienza che ho, che ciascuno di noi -veda- si crede <uno>, ma non è vero: è <tanti>, secondo tutte le possibilità di essere che sono in noi:<uno> con questo, <uno>con quello- diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'essere sempre <uno per tutti>, e sempre <quest'uno> che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero!non è vero! Ce ne accorgiamo bene, quando in qualcuno dei nostri atti, per un caso sciaguratissimo, restiamo all'improvviso come agganciati e sospesi, alla gogna, per una intera esistenza, come se questa fosse assommata tutta in quell'atto!>> Tale visione è in completa armonia con la cultura del '900 che mette in crisi l'idea di una realtà oggettiva, organica e definita. Il reale è multiforme e polivalente; ne deriva un'inevitabile incomunicabilità tra gli uomini. Anche ciò lo ricaviamo da vari punti della sua opera tra cui un famoso passo sempre dei'Sei personaggi.': << Ma se è tutto qui il male ! Nelle parole! Abbiamo tutti dentro un mondo di cose; ciascuno un suo mondo di cose! E come possiamo intenderci, signore, se nelle parole che io dico metto il senso e il valore delle cose come sono dentro di me; mentre chi le ascolta, inevitabilmete le assume col senso e col valore che hanno per sè, del mondo come egli l'ha dentro? Crediamo di intenderci; non ci intendiamo mai! >> Rispetto a tale incomunicabilità la consequenza è il senso di completa solitudine dell'individuo. Come può quindi l'intellettuale svolgere un ruolo attivo nella società? Naturalmente Pirandello visse il suo tempo e fece le sue scelte politiche.
Il suo periodo di vita è per l'Italia tormentato e drammatico. Pirandello infatti si trovò a vivere da adulto, anche i due grandi e drammatici avvenimenti della prima guerra mondiale e del fascismo al potere. Rispetto alla guerra, come era normale in relazione alle tradizioni risorgimentali e garibaldine della sua famiglia, ebbe una visione patriottica, nel senso che guardò con favore l'intervento in guerra dell'Italia, considerandolo come una sorta di compimento del processo risorgimentale.
Dobbiamo ricordare che l'intervento dell'Italia nella prima guerra mondiale fu preceduto da un dibattito politico cui parteciparono anche gli intellettuali.
La prima guerra mondiale scoppiò nell'agosto del 1914 a causa dell'attentato a Sarajevo, capitale della Bosnia, in cui morì l'arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d'Austria. L'arciduca si trovava in quella città in visita ufficiale perchè la Bosnia era da pochi anni territorio austriaco, tolta all'impero Ottomano, ormai in disfacimento.
La debolezza dell'impero Ottomano che aveva dominato per secoli i balcani aveva attirato le ambizioni delle grandi potenze, in primo luogo dell'Austria che vi confinava ma anche della Russia che aspirava ad avere la facilità di accesso ai porti sul Mediterraneo.
L'Europa del giugno 1914, momento dell'attentato, è caratterizzata da due grandi blocchi militari: la Triplice Alleanza (Austria, Germania, Italia) e la Triplice Intesa (Francia, Inghilterra e Russia). Dopo l'attentato l'Austria inviò un ultimatum alla Serbia, paese slavo di recente indipendenza, poichè la riteneva implicata nel complotto; l'attentato infatti era stato compiuto da patrioti bosniaci che aspiravano ad unire la Bosnia alla Serbia. Nell'ultimatum l'Austria poneva condizioni inaccettabili quali il diritto di fare indagini proprie sul territorio serbo, calpestando quindi la sovranità di una nazione. Non potendo la Serbia accettare anche questa condizione, la guerra fu scatenata. Naturalmente ciò fu la classica 'goccia che fa traboccare il vaso'; le vere cause della guerra furono ben altre:
Cause economiche
La corsa agli armamenti, gli scontri imperialistici, la perdita del ruolo di prima potenza dell'Inghilterra, la concorrenza spietata dei paese europei a difesa delle loro economie, intrecciata al problema coloniale.
Cause politiche
La tensione tra Francia e Germania dopo la sconfitta francese del 1870; la rivalità tra Russia e Austria, già ricordata per la questione balcanica; il conflitto tra Inghilterra e Germania, poichè quest'ultima rafforzatasi negli ultimi tempi voleva riequilibrare il sistema delle colonie nel mondo; l'irredentismo balcanico e italiano.
Dallo scoppio delle ostilità tra Austria e Serbia in pochissimi giorni il conflitto coinvolse i sistemi di Alleanze e successivamente anche paesi extraeuropei come il Giappone e gli Stati Uniti per cui la guerra sarà definita mondiale. L'Italia non entrò subito in guerra, pur se firmataria della Triplice Alleanza, poichè il patto era esclusivamente difensivo, cioè comportava l'obbligo di un reciproco aiuto bellico, qualora una delle tre nazioni fosse stata attaccata; non era questo il caso ne l'Austria aveva preventivamente consultato l'Italia. L'Italia ebbe quindi un anno di non belligeranza, durante il quale si scatenò nel paese uno scontro politico e culturale tra interventisti (che volevano la guerra), e neutralisti (che volevano rimanere estranei).
In tale disputa gli intellettuali furono in prima fila, tra di essi anche molti nomi che troviamo nella storia della letteratura italiana: D'Annunzio, Marinetti, Ungaretti, ecc.
Essi si schierarono tra gli interventisti e furono poi anche volontari di guerra.
Poichè abbiamo detto che il dibattito fu di massa, si potrebbe pensare che ciò smentisca la tesi prima descritta dell'intellettuale del '900 sradicato dalla società; non è così: anche quando spingono a manifestazioni di massa c'è in loro, particolarmente in D'Annunzio e nei futuristi, il diprezzo elitario delle masse, l'antiparlamentarismo e il culto dell'azione, il culto del singolo, dell'uomo eccezionale, al di sopra di tutti.
Per molti di questi intellettuali come Ungaretti, l'esperienza concreta della guerra con le sue carneficine sarà esperienza di vita e di ripensamento.
Anche per Pirandello la guerra inciderà dolorosamente sulla sua vita: il lio Stefano infatti, partito volontario, fu subito fatto prigioniero dagli austriaci, e il padre si adoperò con ogni mezzo, ma invano, per la sua liberazione. Pirandello dovette anche fare i conti con il fascismo cioè con il governo dittatoriale di Mussolini durante il ventennio (22-45). Mussolini, infatti, riusci' a diventare capo del governo in Italia alla testa di un partito fondato da pochi anni. Egli era un uomo politico formatosi ed affermatosi in un area completamente diversa; giovanissimo, infatti, si era iscritto al partito socialista, cioè il partito che voleva la rivoluzione proletaria con l'abbattimento del capitalismo e l'eliminazione dei padroni; ne divenne un dirigente di primo piano, cioè membro della direzione nazionale e direttore del 'Avanti', giornale ufficiale del partito; all'interno del partito socialista era anzi tra i più rivoluzionari e massimalisti. Ambizioso e spregiudicato, allo scoppio della guerra divenne interventista, tradendo gli ideali socialisti, in particolar modo l'internazionalismo; nella dottrina socialista, infatti, c'era il rifiuto assoluto della guerra tra popoli; l'unica guerra necessaria era quella di tutti i proletari del mondo contro tutti i padroni del mondo. Espulso dal partito fondò un nuovo giornale 'il popolo d'Italia', con finanziamenti francesi, per continuare la sua camna di stampa a favore dell'intervento dell'Italia a finco della Francia contro l'Austria. Finita la guerra, a cui partecipò personalmente, fondò nel marzo del 19 un nuovo movimento politico, che poi diverrà partito: il movimento dei fasci di combattimento. Il programma inizialmente era confuso con ancora alcune voci di sinistra. La sua presentazione alle elezioni si rivelò un fiasco. Quando però negli anni 19-20, con il cosidetto Biennio Rosso, cioè con l'occupazione delle fabriche da parte degli operai, e dei campi incoltivati da parte dei contadini, ci fu il pericolo dell'insurrezione prolrtaria, il padronato italiano scelse il movimento fascista come arma estrema per arginare la rivoluzione. Concesse notevoli aiuti economici e protezione. Il movimento fascista portò in Italia un nuovo metodo di lotta politica: non più la proanda e il dibattito ma la violenza. Gli avversari, cioè i socialisti, furono affrontati da squadre armate che bastonavano dirigenti, bruciavano sedie, devastavano municipi, nella tolleranza delle forze dell'ordine, poichè il governo riteneva di poterli utilizzare nella sconfitta delle sinistre e soltanto successivamente riportarli all'ordine. La strategia governativa si rivelò errata; il movimento fascista divenne di massa, e ancora con un atto di forza, la marcia su Roma(tentativo insurrezionale di massa), Mussolini costrinse il re a dargli l'incarico di formare il governo. Tale primo governo fu di coalizione, nel senzo che ci furono anche ministri di altri partiti o indipendenti, Le prime scelte però fecero subito capire le intenzioni di Mussolini: venne istituito il gran consiglio del fascismo che in un certo senso era al di sopra del parlamento; fu creata una polizia di parte, la cosiddetta milizia volontaria, ma soprattutto fu decisa una nuova legge elettorale(la legge Acerbo), in base alla quale la lista che avesse avuto la maggioranza relativa avrebbe ottenuto i due terzi dei seggi in parlamento. Nonostante ciò le elezioni dell'aprile del 24, con tale legge, furono caratterizzate da violenze dei fascisti, da sopraffazioni e da brogli. Quando nel parlamento riunito, Giacomo Matteotti denunciò tali violenze e brogli, firmò la sua condanna; egli infatti fu rapito da sicari fascisti e dopo qualche mese ritrovato cadavere. Di fronte allo sgomento per tale delitto, il fascismo fu per alcuni mesi in procinto di crollare, ma a causa delle indecisioni e delle divisioni degli avversari, superò la crisi, e con il discorso del 3 gennaio del 25 in parlamento, Mussolini istaura una vera e propria dittatura. In poco tempo fa approvare le cosiddette 'leggi fascistissime':
1) scioglimento di tutti i partiti antifasci
2) eliminazione della libertà di stampa
3) istituzione del tribunale speciale per la sicurezza dello stato
4) abolizione dell' elettività del sindaco e di consigli comunali,al suo posto podestà di nomina governativa affiancato da consiglieri di nomina prefettizia
5) nuova riforma elettorale: introduzione della lista unica di 400 candidati scelti dal gran consiglio del fascismo.
Questo è il quadro in cui operò il fascismo che condurrà poi l'Italia al fianco di Hitler alla seconda guerra mondiale.
Tornando al nostro discorso su Pirandello dobbiamo notare una stranezza: egli prese la tessera del fascismo ma lo fece nel momento più critico del fascismo stesso, e cioè nel '24 dopo il delitto Matteotti, forse perchè vedeva nel fascismo una garanzia di ordine e una contestazione delle ipocrisie della società borghese fatta di perbenismo e di convenzioni sociali. Dal fascismo ottenne appoggi e benevolenza: fu nominato direttore del teatro di Roma e quando il fascismo, per garantirsi un consenso di massa, creò l' accademia d'Italia cioè una istituzione pubblica per le più grandi personalità nei vari campi della scienza, della tecnica, dell'arte, della cultura, ecc. egli ne fu subito nominato membro. Probabilmente non furono sufficienti gli appoggi del fascismo nell'attribuzione del premio Nobel nel 1934. Non va dimenticato però che spesso nelle sue opere si può trovare anche una velata critica del regime. In questi anni di oppressione il ruolo dell'intellettuale era diventato oggettivamente difficile; i due più grandi intellettuali del tempo Gobetti e Gramsci sono stati vittime del fascismo; il primo morto giovanissimo a causa delle conseguenze di una bastonatura, il secondo morto dopo anni di carcere in Italia. Il fascismo cercò di far apparire di avere il consenso degli intellettuali; a tal proposito fece firmare il 'Manifesto degli intellettuali fascisti' elaborato dal filosofo e ministro della pubblica istruzione Gentile. ½ si rispose con il 'Manifesto degli intellettuali antifascisti' elaborato da Benedetto Croce. In realtà gli intellettuali antifascisti furono incarcerati o costretti all'esilio. Contemporaneo a Svevo e Pirandello anzi amico intimo di Svevo che impose all'attenzione della critica letteraria dopo anni di delusioni, è James Joyce. Come dicevo all'inizio il ruolo degli intellettuali rispetto alla loro epoca è storicamente diversificato. Oltre all'atteggiamento già ricordato dei romantici, possiamo ricordare l'atteggiamento degli illuministi del '700, i quali si proposero in nome del lume della ragione, di diffondere le conoscenze tra le masse; non è un caso che nacquero in quel periodo diversi giornali e l'enciclopedia con l'obiettivo di rivolgersi a strati sempre più ampi e quindi non più soltanto all'elite. Simile atteggiamento possiamo trovarlo anche nella storia della letteratura latina, particolarmente nel primo secolo d.c. con autori che sono nel programma di studi di quest'anno. Mi riferisco in particolar modo a Seneca che fu contemporaneamente filosofo, educatore e uomo politico. Si trovò a vivere periodi burrascosi e cioè l'odio del pazzo imperatore Caligola, l'esilio combinatogli dall'imperatore Claudio, l'educazione da impartire a Nerone, il ruolo di consigliere accanto a Nerone imperatore, il ritiro a vita privata a causa delle stranezze neroniane, la possibilità quindi di dedicarsi ai suoi studi e alle sue opere che gli daranno l'immortalità e infine la morte su ordine di Nerone che l'accusava di complicità con la congiura di Pisone.
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