ePerTutti


Appunti, Tesina di, appunto letteratura

La personalità di Vincenzo Monti - Le caratteristiche della poesia montiana, Al signor di Montgolfier (febbraio 1784), Sermone sulla mitologia

ricerca 1
ricerca 2

La personalità di Vincenzo Monti


Il giudizio sulla personalità del Monti è stato a lungo (e lo è ancora, sostanzialmente) negativo. Ciò è dovuto soprattutto alla variabilità dei suoi atteggiamenti politici: da clericale e conservatore infatti diventò anticlericale e giacobino; da celebratore della politica moderata e delle vittorie di Napoleone diventò cantore della Restaurazione e dell'Austria. Con questi disinvolti passaggi da un estremo all'altro si attirò l'accusa di incoerenza morale e politica già dai suoi contemporanei, che lo soprannominarono "Camaleonte" e "Proteone" ( da Proteo , dio del mare, che aveva il potere di trasformarsi in tutte le forme non solo di animali, ma anche di piante e di elementi naturali, come l'acqua ed il fuoco).

La stessa accusa gli viene mossa dai critici romantici (De Sanctis), che lo considerarono, un opportunista, degno nipote del Guicciardini, sempre disposto a cambiar casacca per il suo "particulare", per ricevere cioè onori e prebende.

Ma già lo stesso De Santis finì con l'attenuare queste accuse di volgare opportunismo, quando definì il Monti "segretario dell'opinione dominante", come per dire che il Monti, infondo, non faceva che interpretare e rappresentare i sentimenti della maggioranza del suo tempo, frastornata dai rapidi ed improvvisi mutamenti. Fu forse solo un po' ingenuo degli altri, perché con le sue opere si esponeva pubblicamente ad esprimere il suo entusiasmo sincero e quasi fanciullesco per il nuovo.



Oggi anche la critica storicistica ha ridimensionato l'accusa di essere stato un volgare opportunista giudicando il Monti nel contesto della cultura del suo tempo, non alla luce dell'esperienza morale e politica del nostro tempo. Per comprendere storicamente la personalità del Monti, così volubile ed incoerente, bisogna tenere presente la sua formazione di tipo umanistico, di un umanesimo cioè tutto formale, retorico ed esteriore, del tutto privo di interessi morali, religiosi e politici. Come già gli umanisti del '400, anche il Monti era convinto che la poesia sorgesse all'ombra dei prìncipi, e di essi doveva cantare le gesta. Questo tipo di intellettuale di formazione umanistica durava in Italia da secoli e portava necessariamente ad una concezione arcadica della poesia, che celebrasse gli avvenimenti del tempo, visti solo nella loro esteriorità spettacolare, indipendentemente dai motivi ideali che li avevano determinati, che non era compito del poeta individuare, ma se mai dello storico.

Per un poeta di formazione retorico-umanistica il motivo occasionale era solo un pretesto di canto, per cui non c'è da meravigliarsi se il Monti esaltava un giorno quello che aveva condannato prima e viceversa, senza provare alcun rimorso né scrupoli etici, tanto ciò gli sembrava ovvio e naturale.


Le caratteristiche della poesia montiana:

L'eclettismo letterario consiste nella prodigiosa assimilazione di spunti, immagini, similitudini, miti, attinti a piene mani dalla tradizione poetica di tutti i tempi, antichi e moderni, al punto che l'opera montiana è apparsa ad alcuni una specie di perpetua "traduzione". Le sue opere sono ricchissime di echi e reminiscenze della Bibbia, di Omero, Orazio, Virgilio, Ovidio, Dante, Petrarca, Shakespeare, Parini, Alfieri, come se si fosse trasformato in "tesoriere musaico delle belle forme". Nell'assimilazione di motivi e forme della tradizione poetica il Monti obbediva al concetto classicistico della poesia come imitazione e alla poetica neoclassica del suo tempo, che insegnava a scrivere "versi antichi con pensieri nuovi". Lo stesso avevano fatto nel '400 Poliziano e nel '500 l'Ariosto e il Tasso. Ma mentre nel Poliziano, nell'Ariosto e nel Tasso l'imitare era un vero e proprio ricreare, perché essi riuscivano a trasfondere nelle forme antiche la loro visione del mondo, nel Monti le voci antiche, strappate dal loro contesto, appaiono sostanzialmente staccate, avendo perduto la vita interiore dell'originale senza riempirsi di una nuova vita, per lo scarso vigore umano e sentimentale del Monti. Il Croce riconosce l'eclettismo letterario del Monti vedendone l'aspetto positivo e considera il Monti un tipico rappresentante della "poesia letteraria" o della "poesia sulla poesia" (altrui), un genere certamente minore di poesia, ma che pure ha una certa suggestione e validità estetica, perché espressione di cultura letteraria e di buon gusto.

La seconda caratteristica dell'arte del Monti è il gusto di mitologizzare il presente. Esso consiste nella tendenza a creare un legame tra gli avvenimenti spettacolari e i protagonisti del suo tempo con i miti classici. (vedi "Al signor di Montgolfier"). Il passaggio però, dalla realtà contemporanea al mito, avviene quasi sempre in modo artificioso e retorico. Si avverte subito che il Monti prende dalla realtà solo degli spunti per evadere subito da essa e trasferirsi nel caro mondo dei classici. La sua immaginazione non è tanto colpita dal signore di Montgolfier, da Napoleone o dall'imperatore d'Austria quanto dalle immagini e dalle forme delle tradizione classica. Perciò la poesia del Monti che pretende di essere viva e contemporanea, è in realtà antiquata, perché si muove, sia pure con entusiasmo sincero, tutta nei limiti di una tradizione letteraria, indubbiamente opulenta e nobile, ma che sta per essere rifiutata in blocco dalla imminente rivoluzione del Romanticismo. In questo senso il Monti chiude veramente un'età.

Sulla poesia del Monti si può tuttora accettare il giudizio di Leopardi. Egli che da giovane era stato ammiratore del Monti al punto che gli dedicò la canzone All'Italia, in seguito, nello Zibaldone, definì il Monti "poeta dell'orecchio e dell'immaginazione, del cuore in nessun modo". Infatti le opere del Monti, mentre sono ammirevoli per l'abilità retorica e tecnica, oltre che per la felice rappresentazione di qualche particolare, nell'insieme sono disorganiche ed artificiose. Egli è dotato di una vasta cultura letteraria, ma è incapace di poetici ripiegamenti interiori, perché è privo di interessi umani profondi che possano suscitare in lui autentici sentimenti d'ispirazione.


Al signor di Montgolfier (febbraio 1784)


L'ode rispecchia la poetica del Neoclassicismo. Tratta infatti con immagini e versi antichi, d'impronta classica, un tema d'attualità, anzi un fatto di cronaca: l'ascensione del pallone aerostatico, compiuta in Francia prima dai fratelli Montgolfier Michele e Stefano, poi con una tecnica più perfezionata, mediante la sostituzione dell'aria calda con l'idrogeno, da Charles e Robert. I critici parlano di sviste del Monti: infatti il poeta prima confonde Charles e Robert con i primi ideatori del pallone e poi parla di un solo signor di Montgolfier che identifica erroneamente con Robert. Monti aveva cantato un fatto di cronaca come pretesto per una esercitazione letteraria; era infatti più interessato alla mitologia (ideale del classicismo), alla creazione di un eroe ideale indipendentemente dalla fama.

L'ode svolge due motivi: il primo è quella della celebrazione dell'impresa specifica dell'aerostato , considerata come primo tentativo umano di conquistare lo spazio; il secondo è quello dell'esaltazione illuministica della scienza considerata come strumento di liberazione, di progresso e di felicità per gli uomini.

Essa si divide in due parti. La prima (vv 1-l12) si apre con il confronto tra l'antica impresa degli Argonauti - che furono i primi mitici navigatori del mare, guidati da Giasone alla conquista del vello d'oro, e celebrati da Orfeo, il poeta che li accomnò nell'impresa - e la recente impresa dei primi aeronauti, cioè dei primi navigatori del cielo celebrati dal Monti.

L'impresa recente supera in arditezza quella antica, anche se egli, come poeta - dice per modestia il Monti - non è all'altezza di Orfeo per celebrarla degnamente. Alla rievocazione dell'impresa segue l'elogio della chimica, che, scoperte le proprietà dell'idrogeno (citando i chimici Sthal e Black), lo ha reso facile strumento nelle mani dell'uomo, il quale se n'è servito per la conquista dell'aria mediante l'aerostato, descritto nella sua ascensione e nello stupore che suscita in quelli che lo vedono salire al cielo.

Alla descrizione particolareggiata dell'impresa segue la seconda parte dell'ode (vv 113-fine) costituita da un'entusiastica esaltazione della scienza, di cui si enumerano le conquiste come il parafulmine (invenzione di Franklin), la legge della gravitazione universale (Newton), il telescopio, la scomposizione dello spettro solare (Newton), il barometro (Torricelli), la coltivazione dei campi, l'uso del fuoco, la navigazione, l'addomesticamento delle fiere, la civiltà umana.

L'ode si chiude con l'augurio che la scienza possa vincere un giorno il potere della morte, sicché[MS1]  l'uomo, divenuto immortale, in un brindisi alla pari possa bere con Giove il nettare della vita, la bevanda degli dei che dona l'eterna giovinezza.

La chiusa di carattere conviviale è parsa volgare al Momigliano che l'ha definita di "ottimismo volgare" e di "entusiasmo conviviale", ma essa esprime con immagine plastica l'entusiasmo illuministico per la scienza. Il Binni invece afferma che il Monti da buon declamatore, chiama a raccolta tutte le sue virtù stilistiche per ottenere una chiusa ad effetto.


Sermone sulla mitologia (1825)

E' i contributo dato dal Monti a difesa della poesia classica, nel corso della polemica che, in quegli anni (1816-l825), contrappose romantici e classicisti.

L'occasione per la composizione fu offerta dalle nozze del marchese Bartolomeo Costa. Il Monti dedica il discorso alla madre dello sposo, la marchesa Antonietta Costa di Genova.

Da quando l'audace scuola boreal, ossia la rivoluzionaria scuola romantica settentrionale, di origine germanica, ha fatto strage di Numi, ha bandito la mitologia classica e ha proclamato che il solo tetro è bello, cioè sono belli e poetici solo i paesaggi foschi e paurosi, popolati di spettri e di streghe, egli non sa più come celebrare le nuove nozze, perché il nudo arido vero, patrocinato dalla sua nuova scuola come il solo oggetto di poesia, senza l'abbellimento dei miti e delle favole antiche, è la tomba dei vati, è cioè la morte della poesia.

Questa è l'esile trama del Sermone, il quale è sovraccarico di eruditi riferimenti mitologici.

Parafrasi:

Ci fu un tempo in cui gli antichi sacerdoti del culto di Apollo, cioè i poeti, facendo dell'arte uno strumento di piacere (teoria edonistica dell'arte), crearono tante divinità quanti erano gli aspetti della natura in cielo e in terra, nell'aria e nel mare, sicché per tutta la materia celeste e terrestre scorreva una mente divina, che era l'anima del mondo. Allora la bell'arte dei poeti dava un'anima a tutte le cose.

Ora il mondo ideale , il mondo cioè creato dalla fantasia dei poeti, è stato distrutto. Prima entro la corteccia dell'albero palpitava il cuore di una Driade ( le Driadi erano le ninfe dei boschi) e quel duro, insensibile genio nordico, ispiratore della scuola romantica, lo uccise.

L'acqua limpida di un fonte usciva dall'urna tenuta in mano da una Naiade e quel crudele genio nordico uccise anche quella, dopo aver infranto l'urna.

Il fiore del narciso era prima un giovane superbo e amante di se stesso, che, innamorato della sua immagine riflessa in una fonte, volendo baciarla, annegò; quell'altro fiore, il girasole, rivolto verso il sole, prima era una ninfa, Clizia, che innamoratasi del Sole (Febo) e gelosa di Leucotoe, si lasciò morire di inedia. Il canto dell'usignolo, che di notte arriva così dolce al cuore, è quello di Filomena, una principessa trasformata in usignolo dopo essere stata sedotta dal cognato Tereo.

L'alloro, la canna, la mirra una volta furono persone viventi, e rispettivamente furono Dafne, amata da Apollo, Siringa, amata da Pan, Mirra, per vendetta di Venere innamoratasi del padre e trasformata nella pianta omonima; Ora tutte e tre sono morte, investite dall'aspro gelo del nord.

Ora il sole, occhio del mondo, non corre più nel cielo sull'aureo carro, attorniato dalle Ore danzanti e tirato da cavalli spiranti fuoco dalle nari. Le nuove dottrine poetiche del Romanticismo l'hanno ridotto ad un globo di fuoco immenso, inanimato e immobile, fortemente gridando: Basta con i sogni e le favole; oggetto della poesia sia il vero!

"Magnifico parlare" - dice ironicamente il Monti - degno però dei filosofi, del senno cioè che dettò le austere dottrine degli stoici, ma non di Omero, del senno che cantò le peripezie di Ulisse (Odissea) e l'ira di Achille (Iliade) e fu il primo grande poeta del mondo.

La poesia non esiste senza la meraviglia dei miti e la meraviglia dei miti non si accorda col nudo arido vero, che è la tomba dei poeti, cioè la morte della poesia.


Il Sermone sulla mitologia è importante perché ci fa conoscere le differenza tra la poetica neoclassica, difesa dal Monti e dai classicisti, e la poetica del Romanticismo.

Monti adeguandosi a questa poetica, considera la poesia come meraviglia, come dilettoso abbellimento del vero, rivestendolo di forme antiche, cioè di immagini e miti classici.

Questo spiega il fatto che tutte le opere del Monti si ispirano a fatti e personaggi della storia contemporanea, che però gli offrono lo spunto occasionale per il canto, tanto è vero che essi subito passano in secondo piano: il Monti, infatti, con analogie più o meno forzate, evade dalla realtà e si rifugia nel caro mondo dei classici. L'ode Al signor di Montgolfier, per esempio, è infarcita di richiami eroici e mitologici proprio per la tendenza compiaciuta del Monti a mitologizzare il presente, a coprire cioè l'arido vero di paludamenti e di aspetti classici, per renderlo meraviglioso e dilettoso, per conferirgli una dignità poetica che esso, secondo lui, non poteva avere altrimenti.

La concezione della vita come meraviglia e dilettoso abbellimento della realtà si spiega perché il Monti e i classicisti avevano della vita una visione statica. Questa visione statica della vita comportava la continuità dei valori morali, religiosi, sociali e civili che avevano validità universale. Di questi valori facevano parte anche l'arte e la poesia, modelli insuperabili di stile e di sentimento e si potevano solo imitare o emulare, mai superare.

I romantici capovolsero la visione statica della vita e ne contrapposero una dinamica: anche la vita , come il mondo, è un continuo divenire e perciò, come cambiano i valori, cambia anche la poesia che rappresenta la vita.


 [MS1]




Privacy

© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta