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Medea di Euripide

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ricerca del vello d'oro, posseduto dal re della Colchide. Giasone partì con cinquanta giovani greci, tra i quali Eracle, Orfeo, Teseo, Meleagro, Castore e Polluce e Peleo. L'equigio con L'Argo salpò da Iolco dirigendosi verso la Tracia; dopo aver fatto scalo sull'isola di Lemno e poi sulle coste della Misia, una regione orientale del mare Egeo, Eracle lasciò la nave per cercare l'amico e scudiero Ila, smarritosi durante una sosta. Gli argonauti salvarono Fineo, re tracio, dal lungo digiuno in cui lo tenevano le arpie, creature alate con la testa di vecchia e il corpo di uccello, che gli sottraevano il cibo o glielo insudiciavano. Per ringraziarli, Fineo rivelò loro come attraversare le Simplegadi, rocce che custodivano il Ponto Eusino (l'odierno Mar Nero) e che si urtavano tra loro ogni volta che qualcuno cercava di entrare. Gli argonauti vi fecero volare in mezzo una colomba, e non appena le rocce, che si erano subito chiuse, ripresero la loro posizione, le varcarono rapidamente. Quando, finalmente, la nave giunse in Colchide, il re Eeta si disse disposto a cedere il vello solo se Giasone fosse riuscito ad aggiogare due tori dagli zoccoli di bronzo che soffiavano fuoco dalle narici; avrebbe poi dovuto arare un campo seminandovi denti di drago e scongere gli uomini armati che sarebbero germogliati da quegli insoliti semi. Con il magico aiuto della lia di Eeta, Medea, che si era innamorata di lui, Giasone superò le prove e si impossessò del vello fuggendo poi con lei. Durante il ritorno l'Argo superò indenne Scilla, mostro dalle sei teste, e il vortice di Cariddi. Le ninfe marine, inviate dalla dea Era, salvarono la nave da una tempesta che infuriava sulle coste della Libia. La nave salpò quindi per Creta e tornò infine a Iolco. " v:shapes="_x0000_s1028">Medea



di

Euripide

LA TRAMA: La Medea di Euripide (431 a.C.) è ambientata nella città di Corinto, dove Giasone e Medea, lia di Eete, re della Colchide, con i loro due bambini, si sono rifugiati dopo che la 'maga' ha provocato con le sue arti la fine di Pelia, re della Tessaglia, zio e nemico di Giasone.

Quando infatti l'eroe Giasone, al comando degli argonauti, raggiunse la Colchide alla ricerca del vello d'oro, Medea si innamorò perdutamente di lui; in cambio del giuramento di Giasone di eterna fedeltà e della promessa di ricondurla in Grecia con sé, Medea usò le proprie arti magiche affinché l'eroe scongesse Eete e si impossessasse del vello. Medea salpò poi dalla Colchide con Giasone, portando con sé il fratello minore Apsirto. Per sfuggire all'inseguimento di Eete, Medea uccise Apsirto e sparse i suoi resti in mare. Il re si fermò per raccoglierli, e il ritardo permise a Giasone e ai suoi comni di fuggire. In un'altra leggenda, fu Giasone a uccidere Apsirto dopo che Eete aveva mandato quest'ultimo all'inseguimento dei fuggitivi. Quando gli amanti raggiunsero la Grecia, scoprirono che i genitori di Giasone erano stati uccisi da Pelia, malvagio zio di Giasone. Per soddisfare il desiderio di vendetta di Giasone, Medea con l'inganno provocò la morte di Pelia. La maga promise rendere Pelia eternamente giovane: le lie, dopo aver addormentato il padre, avrebbero dovuto farlo a pezzi e poi portare i resti del corpo al cospetto di Medea; questa, recitando una formula magica, lo avrebbe riportato in vita, giovane e forte. Le lie di Pelia seguirono scrupolosamente le indicazioni, ma Medea, di fronte al cadavere a pezzi si dileguò senza pronunciare il sortilegio.

La tragedia si apre con un lungo sfogo della Nutrice, angosciata e piena di oscuri presentimenti per lo stato fisico e mentale della padrona. Giasone, infatti, l'ha ripudiata per convolare a nuove nozze con Glauce, la lia di Creonte, sovrano di Corinto. L'arrivo del Pedagogo con i bambini accresce l'ansia della Nutrice, da lui informata che Creonte ha deciso di cacciare da Corinto Medea con i suoi li. Dall'interno del palazzo pervengono i lamenti e le maledizioni di Medea: ma quando esce fuori essa si rivolge con amara calma al coro e ne chiede la solidarietà. Di persona, Creonte comunica i suoi ordini a Medea e le concede, però, di rimanere ancora un giorno a Corinto, vinto dalle sue suppliche e ignaro dei rischi che corre. Giasone e Medea si scontrano con estrema violenza
verbale: invano la donna ricorda all'eroe di averlo aiutato a impadronirsi nella Colchide, del vello d'oro, di aver fatto uccidere Pelia.  Ma Giasone è disposto solo a procurare alla 'barbara' da lui civilizzata un tetto nell'esilio e del denaro.
Inatteso passa da Corinto, tornando da Delfi, Egeo, sovrano di Atene: Medea gli strappa la promessa di asilo nella sua città. Ora si sente in grado di prendersi la sua vendetta. Fingerà di riappacificarsi con Giasone, invierà i suoi bambini con doni nuziali a Glauce per implorarne la protezione almeno per loro. I doni, imbevuti di veleno, causeranno la morte della principessa e di suo padre, e morte Medea riserva anche alle sue creature. Dopo un nuovo incontro, in un falso clima di tranquillità tra la donna e l'eroe (alla riconciliazione vengono chiamati ad
assistere i li), il Pedagogo riferisce che i regali sono stati consegnati e l'esilio per i piccoli revocato. Medea si stringe al petto gli amati li, sostiene un'aspra lotta con se stessa, ma non rinuncia ad ucciderli. Un nunzio riferisce i particolari raccapriccianti della fine di Glauce e Creonte, vittime delle inestinguibili fiamme scaturite dai doni nuziali. Medea esulta e passa alla seconda parte del suo piano: dall'interno della reggia le grida dei suoi li indicano che il crimine si va compiendo. Accorso per salvare i bambini dalle rappresaglie dei Corinzi, Giasone apprende l'ulteriore delitto di Medea. Mentre tenta di abbattere la porta della reggia, in alto, sul carro del Sole, gli appare Medea che ha con sè i cadaveri dei bambini e rovescia ancora sull'eroe parole di condanna e di odio. A Giasone non resta che invocare Zeus a testimone delle atrocità di Medea e maledire il proprio destino


L'AUTORE: EURIPIDE nacque ad Atene nel 484 a.C., morì a Pella nel 406 a.C. Una leggenda, oggi screditata, lo fa nascere nello stesso anno della battaglia di Salamina (480 a.C.), alla quale collega tutti i tre grandi tragici greci: Eschilo, perché vi avrebbe combattuto, e Sofocle, perché sedicenne avrebbe guidato un coro di giovani per un ringraziamento agli dei dopo la vittoria. Nonostante le voci malevole che lo volevano lio di un'erbivendola e di un bottegaio, sembra che sia nato da famiglia benestante e che abbia avuto un'educazione di prim'ordine, forse distinguendosi nelle gare sportive e frequentando i più illustri intellettuali del tempo, compresi i sofisti. Condusse una vita piuttosto ritirata a Salamina dove, ancora durante l'impero romano, si mostrava ai turisti una grotta in riva al mare nella quale si diceva che avesse scritto le sue tragedie. Nel 408 si recò alla corte di re Archelao di Macedonia dove morì due anni dopo, sbranato, secondo una leggenda, da un cane da caccia. La notizia della sua morte arrivò ad Atene alla vigilia delle Grandi Dionisiache e la commemorazione venne fatta da Sofocle, ormai novantenne, vestito a lutto, tra le lacrime del pubblico.

Alcune tra le sue opere, come Le baccanti, vennero rappresentate postume a cura di uno dei li, anch'egli di nome Euripide. Scrisse una novantina di opere, 18 delle quali sono arrivate integre fino a noi, mentre delle altre conosciamo in genere i titoli o frammenti anche lunghi. Le tragedie che conosciamo integralmente sono: Al cesti, Medea, Ippolito, Eraclidi, Andromaca, Ecuba, Supplici, Elettra, Le troiane, Ienia fra i Tauri, Elena, Ienia in Aulide, Baccanti. L'elenco è completato dal dramma satiresco Il ciclope .


LA COLCHIDE: Antica regione sulla costa orientale del Mar Nero, a sud del Caucaso, attualmente parte della repubblica della Georgia. La Colchide fu indipendente fino al 100 a.C. circa, quando fu conquistata da Mitridate VI Eupatore, re del Ponto. Nella mitologia greca, la Colchide era la patria della principessa Medea e il luogo in cui si trovava il vello d'oro, ricercato da Giasone e dai suoi argonauti.

Il grande storiografo nel primo secolo a.C. Strabone, rifacendosi al mito di Giasone e del vello d'oro, descrive un antico metodo per estrarre l'oro dai depositi alluvionali dei torrenti, facendo scorrere l'acqua sopra pelli di ariete che trattengono la polvere d'oro nel loro vello.

Strabone attribuisce l'invenzione di questa tecnica agli abitanti della Colchide, l'attuale Georgia, una regione posta tra il Caucaso, l'Armenia ed il Mar Nero, dove secondo la leggenda trovò asilo il principe Frisso, tratto in salvo proprio da un ariete d'oro, dono degli dei al padre degenere Atamante, e da lui sacrificato in onore del re Eeta che gli aveva dato asilo.

Il mito di Giasone e degli Argonauti si riallaccia come è noto a questa leggenda: Giasone dopo mille peripezie insieme al suo drappello di Argonauti, sopra la nave Argo, costruita dal lio di Frisso, giunge nella Colchide dove trova il vello d'oro dell'ariete sacrificato, e riesce ad impossessarsene superando altre mille difficoltà. 
 




































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