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Metodo di Galileo Galilei, di Francesco Bacone e di Rene Descartes (Cartesio)

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Metodo di Galileo Galilei, di Francesco Bacone e di Rene Dessectiunes (sectiunesio)




Rivoluzione scientifica:

Comprende il periodo che va dal 1543, anno della pubblicazione del "De Revolutionibus" di Niccolò Copernico ,al 1687,anno della pubblicazione dei "Philosophiae naturalis principia mathematica" di Isaac Newton. In questo periodo si ha un grosso sviluppo delle scienze con l'adozione del Metodo Scientifico.

Sorgono così le scienze matematiche e quelle sperimentali della natura; queste si basano sull'osservazione, sull'esperimento e sul ragionamento matematico. Il metodo induce i rapporti tra le cose e le esprime mediante una misurazione oggettiva e universalmente comunicabile.



Perciò si può fare una distinzione tra scienza medievale e quella moderna: la prima è dominata dalla fisica di Aristotele ed è qualitativa e finalistica vale a dire ricerca la qualità delle cose, cioè la loro essenza e i loro fini, in altre parole la causa finale; invece la seconda è quantitativa e meccanicistica cioè indaga soltanto gli aspetti misurabili della realtà e si serve delle cause efficienti.

In questo periodo non muta soltanto l'immagine del mondo, ma avviene anche il mutamento delle idee sull'uomo, sulla scienza, sull'uomo di scienza, sui rapporti tra scienza e società, sulle relazioni tra scienza e filosofia e tra sapere scientifico e fede religiosa. La rinascita dell'uomo, che è l'annuncio e la speranza del Rinascimento, è la rinascita dell'uomo nel mondo. L'uomo si comprende come parte del mondo, si distingue da esso per rivendicare la propria originalità, ma nello stesso tempo si radica in esso e lo riconosce come il proprio dominio. Il tema dell'uomo come natura media, tema comune ad Umanisti, Platonici, Aristotelici e maghi, esprime la consapevolezza con cui l'uomo si riconosce essenzialmente inserito nel mondo e la sua decisione di servirsi della propria posizione privilegiata, simile a quella di Dio, per far del mondo stesso il suo regno.

v    Il problema del nuovo metodo è affrontato da:

dall'Accademia Platonica

da Aristotele che delinea le differenze anche metodologiche delle scienze

dalla Scolastica- medievale

dalla discussione filosofica del 1600

- nell'epoca moderna il problema del metodo è assolutamente centrale. Si passa dall'orientamento

ontologico del pensiero antico e medievale a un indirizzo gnoseologico (teoria filosofica della

conoscenza)

la riflessione seicentesca sul metodo inizia con una critica del sapere tradizionale, perché i metodi

precedenti appaiono inadeguati per risolvere i problemi emergenti. Si ricercano, quindi, criteri e

regole più sicure per conoscere.

Metodo come strumento per un uso più corretto delle facoltà conoscitive.

Metodo, strumento per scoprire, nuove conoscenze.

Il nuovo metodo si modella su quello della geometria.

La fisica è il principale campo d'applicazione del metodo geometrico.

v    Le premesse della discussione sul metodo vanno ricercate nella seconda metà del 1500 con Bernardino Telesio, Giordano Bruno, Tommaso Campanella e con alcuni filosofi minori come Pierre della Ramee (1515- 1572) e con Iacopo Zabarella (1533- 1589).




Bernardino Telesio (1509-l588): l'indagine della natura secondo i propri principi. Per la prima volta nasce, ad opera sua, un naturalismo rigoroso, una concezione che non vede nella natura altro che forze naturali e intende spiegarla con i suoi stessi principi.

Per determinare i principi della natura, Telesio parte da un'osservazione molto semplice: il sole è caldo, luminoso, tenue e mobile; la terra è fredda, oscura, densa ed immobile. Il sole e la terra sono, dunque, le sedi di due principi agenti, il caldo e il freddo: il caldo dilata le cose e le rende più leggere e adatte al movimento; invece, il freddo le condensa, le rende più pesanti e quindi immobili. il caldo e freddo sono principi incorporei, hanno bisogno di una massa corporea che possa subire l'azione dell'uno e dell'altro; questa massa corporea , provvista di inerzia, è il 3° principio naturale. Affinché tutti i fenomeni del mondo siano determinati dalle azioni opposte del caldo e del freddo nella massa corporea, occorre che i due principi agenti siano provvisti di sensibilità. Dei due il caldo è il vero principio attivo; la terra in cui agisce il freddo è piuttosto la materia originaria degli enti prodotti. Oltre al sole e alla terra non ci sono altri elementi originari, Telesio nega che siano l'acqua( per Talete ) e l'aria( per Anassimene ). Le due nature agenti bastano, secondo Telesio, a spiegare i movimenti dei corpi, la vita e la sensibilità di tutti gli esseri naturali.

All'esposizione dei principi della sua fisica, Telesio intreccia la critica a quell'aristotelica: Aristotele aveva considerato Dio come il motore immobile del cielo, invece, Telesio, ritiene che l'azione di Dio non possa essere ristretta a spiegare un fatto o un aspetto determinato dell'universo; ma deve essere riconosciuta come assolutamente universale e presente in tutti gli aspetti dell'universo, come fondamento o garanzia di quell'ordine che assicura la conservazione di tutte le cose. Nessun uomo, animale o ente naturale potrebbe conservarsi a lungo senza l'azione di una potenza superiore, poiché questi si distruggerebbero a vicenda, se non fossero governati da un unico ente che provvedesse alla loro salvezza; perciò la loro conservazione suppone il governo di un essere onnipotente e perfetto. Dio non può essere invocato come causa diretta e immediata di qualsiasi evento naturale è semplicemente il garante dell'ordine dell'universo: egli ammette un Dio creatore e al di sopra della natura, e nega che si debba far ricorso a lui nell'indagine fisica. 

Anche l'uomo è considerato come una realtà naturale ed è spiegabile come tutte le altre. Per Aristotele gli organismi animali erano spiegati in funzione dell'anima sensitiva. Invece, per Telesio, l'uomo è spirito prodotto dal seme. Lo "spirito", sostanza corporea tenuissima, è incluso nel corpo come nel proprio rivestimento e nel proprio organo.


Giordano Bruno (1548-l600): la derivazione dell'universo da Dio e 'l'eroico furore". Bruno è certamente il filosofo rinascimentale più complesso; con la sua visione vitalistica e magica, non anticipa per niente le scoperte scientifiche del secolo che segue, ma è possibile ritrovare nel suo pensiero sorprendenti anticipazioni di Spinoza e dei Romantici, soprattutto del giovane Schelling. Il suo pensiero può essere inteso come una sorta di gnosi rinascimentale, un messaggio di salvezza improntato al tipo di religiosità egiziana , quale appunto vuol essere quella degli scritti ermetici.

Dopo il suo soggiorno in Francia, la tappa più significativa della carriera di Bruno fu il soggiorno in Inghilterra, dove compose e pubblicò i dialoghi italiani. Egli espose ai dotti dell'Università di Oxford una visione copernicana dell'universo, incentrata sulla concezione eliocentrica e sull'infinitudine del cosmo, collegandola alla magia astrale e al culto solare quale era stato proposto da Ficino, al punto che uno dei dotti pensò che le sue lezioni erano state tratte dalle opere di Ficino. Ne nacque uno scandalo, che costrinse Bruno a lasciare l'Inghilterra. L'immagine che lui voleva dare di sé era quella di mago rinascimentale, di colui che propone la nuova religione egiziana della rivelazione ermetica, il culto del DEUS IN REBUS, del Dio che è presente nelle cose. In questi dialoghi Bruno ammette una "causa" o un "principio" supremo, che egli chiama "mente sopra le cose" da cui tutto il resto deriva, ma che ci rimane inconoscibile. Tutto l'universo è effetto di questo 1°principio.

Come principio del mondo ,Dio è l'intelletto universale "che è la prima e principal facultà de l'anima del mondo, la quale è forma universale di quello", esso è tutto infinito e totalmente infinito; l'universo, come effetto derivato da Dio, è tutto infinito ma non totalmente infinito. Ora si può capire le ragioni dell'accetazione della rivoluzione copernicana da parte di Bruno. Infatti l'eliocentrismo è:

si accordava perfettamente con la sua gnosi ermetica, che al Sole( simbolo dell'intelletto) attribuiva un significato del tutto particolare;

inoltre gli permetteva di spezzare la visione angusta degli Aristotelici che sosteneva la finitudine

dell'universo e di far svanire così tutte le "fantastiche muraglie" dei cieli, senza limiti verso l'universo.

Inoltre Dio è l'artefice interno della natura ed è causa non solo intrinseca, ma anche estrinseca di essa,

giacché pur operando nella materia non si moltiplica col moltiplicarsi delle cose prodotte. Dio non solo

anima e informa il mondo, ma lo dirige e lo governa.

In questa visione bruniana la "contemplazione" plotiniana e il farsi uno col Tutto diventa "eroico furore" .In Bruno la contemplazione si trasforma in una forma di "indiamento", che è furore d'amore, brama di essere uno con la cosa bramata, in cui l'estasi plotiniana si trasforma in esperienza magica. Il punto centrale del suo scritto "De gli eroici furori" spiega che il senso stesso degli "eroici furori" sta nel mito del cacciatore Atteone che vide Diana e fu trasformato da cacciatore in cervo, cioè in selvaggina, e fu sbranato dai cani. Diana è il simbolo della Divinità immanente nella natura e Atteone simboleggia l'intelletto alla caccia della verità e della bellezza divina; i mastini sono le volizioni e i veltri sono i pensieri. Perciò conclude Bruno: " Cossì gli cani, pensieri de cose divine, vorano questo Atteone, facendolo morto al volgo, alla moltitudine, sciolto dalli nodi de perturbati sensi, libero del carnal carcere della materia; onde non più vegga come per forami e per fenestre la sua Diana, ma avendo gittate le muraglie a terra, è tutto occhio a l'aspetto de tutto l'orizonte". Al culmine dello "eroico furore", l'uomo vede tutto intero tutto, perché si è assimilato a questo tutto.


Tommaso Campanella (1568-l639): i fondamenti della metafisica.

Il nuovo significato che Campanella conferisce al conoscere telesiano è espresso nella parola "sapienza", fatta derivare da "sapore"; il "sapore" è la rivelazione di quanto c'è di più intimo nella cosa per unione con la cosa medesima. Inoltre, si sa ciò che si è: vivere è un crescere nell'essere e nel sapere, e questo mutare è anche in certo modo morire: solo mutarsi in Dio è vita eterna.

Campanella divide la sua Metafisica in tre parti:

a)  la prima dedicata ai principi del sapere;

b)  la seconda ai principi dell'essere;

c)  la terza ai principi dell'operare.

Egli inizia la sua trattazione riproducendo il movimento di pensiero di S.Agostino nel "Contra

Academicos" . Egli dice: "sapiente è colui al quale le cose sanno così come sono e sapere è percepire la  

cosa così come è

Ogni cosa è costituita "dalla potenza di essere, dal sapere di essere, dall'amore di essere".

Queste sono le primalità dell'essere poiché ogni ente è:

a)  "potenza" di essere;

b)  inoltre, tutto ciò che può essere "sa" anche di essere;

c)  e se sa di essere, "ama" il proprio essere.

Si può parlare anche di "primalità del non essere", che sono l'impotenza, l'insipienza e l'odio.

Dio, invece, è Potenza suprema, Sapienza suprema, Amore supremo.

Ciò che Telesio aveva appurato a livello di una pura analisi naturalistica, Bruno lo porta sul piano metafisico. L'autoconsapevolezza non è propria soltanto dell'anima ma di tutti gli enti naturali, poiché dotati di sensibilità. Campanella dice nella " Theologia": " vi è una duplice sapienza nelle cose: una innata per la quale esse sanno di essere e per la quale ad esse l'essere piace e il non essere dispiace, e questa sapienza è essenziale, sicché non si può perdere senza perdere l'essere; questa autocoscienza è un sensus sui, un autosentirsi. L'altra acquisita (illata) per la quale esse sentono le cose esterne perché sono da esse modificate e ad esse rese simili."

Per quanto concerne propriamente l'arte magica, Campanella distingue tre forme di essa:

quella divina, che è concessa da Dio ai santi e ai profeti;

quella naturale, "è un'arte pratica che si serve delle proprietà attive e passive delle cose naturali per produrre effetti meravigliosi e insoliti, dei quali per lo più si ignora la causa e il modo di provocarli [ . .]";

quella demoniaca, che si avvale dell'arte degli spiriti maligni ed è condannata da Campanella.

La Città del Sole rappresenta la somma delle aspirazioni di Campanella: dà voce alla sua ansia di riforma del mondo e di liberazione dai mali che lo affliggono, facendo uso dei potenti strumenti della magia e dell'astrologia.



Pietro Ramo(1515-l572).

Ramo manifestò la sua decisa contrapposizione all'Aristotelismo, sia nell'insegnamento, sia negli scritti suscitando così delle reazioni nei confronti del re Francesco I, il quale emise un decreto di divieto di insegnamento, poi revocato da Enrico III nel 1551. Pur quando si convertì al calvinismo, rimase in lui l'ostilità verso l'aristotelismo. Ramo contrappose alla logica aristotelica il proprio metodo "dialettico", che si suddivideva in due momenti: l'inventio, ossia la ricerca degli argomenti per risolvere una determinata questione, e la dispositio, cioè la loro disposizione razionale (che comprendeva anche il sillogismo). Questo metodo è naturale poiché riflette la spontaneità in cui si forma il pensiero; questa spontaneità si riflette anche nel linguaggio.


Iacopo Zabarella (1533-l589).

Egli identifica l'intelletto agente con Dio, che è fonte di ogni conoscenza, e perciò è il solo capace di rendere intelligibili gli oggetti. Per quanto riguarda la logica, Zabarella tenta di risolvere il problema dell'induzione e del metodo scientifico all'interno della logica aristotelica.




Metodo di Galileo Galilei:

Galilei intende sgombrare la via della ricerca scientifica dagli ostacoli della tradizione culturale e teologica. Da un lato egli polemizza contro il mondo di carta degli aristotelici; dall'altro vuol sottrarre del mondo naturale ai limiti e agli impacci dell'autorità ecclesiastica. Contro gli aristotelici, egli afferma la necessità dello studio diretto della natura. Egli dice: "niente è più vergognoso che far ricorso nelle dispute scientifiche a testi che spesso furono scritti con altro proposito e pretendere di rispondere con essi ad osservazioni ed esperienze dirette". E' proprio di ingegni volgari e servili rivolgere gli occhi ad un mondo di carta piuttosto che a quello vero e reale, che, fabbricato da Dio, ci sta sempre dinanzi per nostro insegnamento. Né si possono dall'altro lato sacrificare gli insegnamenti diretti della natura alle affermazioni dei testi sacri.

La scrittura sacra e la natura procedono entrambe dal Verbo divino, la prima come dettatura dello Spirito Santo, attraverso il quale si ascolta l'insegnamento che Dio dà agli uomini, la seconda come osservatissima esecutrice degli ordini di Dio. Perciò quello che della natura ci rivela la sensata esperienza o che le dimostrazioni necessarie  ci portano a concludere, non può essere revocato in dubbio, anche se appare difforme da qualche passo della Scrittura (lettera alla granduchessa Cristina di Lorena). La Bibbia impartisce agli uomini il comportamento per raggiungere la salvezza eterna; i suoi insegnamenti sono di carattere etico- pratico e non teoretico- scientifico. Soltanto il libro della natura è l'oggetto proprio della scienza; e questo libro è interpretato e letto soltanto dall'esperienza. L'esperienza è la rivelazione diretta della natura nella sua verità. Il compito del ragionamento tuttavia, e specialmente di quello matematico, è ugualmente importante perché è quello dell'interpretazione e trascrizione concettuale del fenomeno sensibile.

Come Aristotele, Galilei sarebbe più interessato a trovare le essenze dei fenomeni che non a rintracciare le loro leggi e la esperienze gli servirebbero solo da occasione o da conferma approssimativamente della natura. E certamente l'esperienza o meglio i suoi risultati sarebbero, secondo Galilei, ciechi cioè senza significato, se non fossero illuminati dal ragionamento cioè senza una teoria che ne spiegasse le cause. Galilei esplicitamente afferma che intendere matematicamente la ragione di un evento " supera di infinito intervallo la semplice notizia avuta dalle altrui attestazioni ed da molte esperienze". Evidentemente, per Galilei solo il ragionamento può stabilire le relazioni matematiche tra i fatti dell'esperienza e costruire una teoria scientifica dei fatti stessi. Invece, per quanto riguarda la logica tradizionale, essa non serve a scoprire nulla ma solo a conoscere se i discorsi e le dimostrazioni già fatti e provate procedono concludentemente.

Dall'altro lato l'esperienza non è solo il fondamento ma anche il limite della conoscenza umana. A questa è impossibile raggiungere l'essenza delle cose: deve limitarsi a determinare le loro qualità e le loro affezioni.

Egli distingue le qualità oggettive da quelle soggettive( primarie e secondarie).

Le qualità oggettive sono riducibili a rapporti matematici e perciò oggettivamente misurabili.

Invece, le qualità soggettive, dipendono dalla percezione soggettiva dell'uomo e non dalla natura reale dell'oggetto (il calore, l'odore, . . ). Per Galilei l'esperienza deve essere guidata da un Metodo Sperimentale. Il metodo è composto da tre fasi:

in un primo momento formula un'IPOTESI, ipotesi relativa a una connessione causa effetto;

ESPERIMENTO, che consiste nel provocare artificialmente la causa;

VERIFICA DELL'IPOTESI, la verifica si ha quando dalla causa scaturisce l'effetto, in caso contrario si riparte da zero.


Metodo di Francesco Bacone:

La ricerca scientifica non si fonda né soltanto  sui sensi né soltanto sull'intelletto. Se l'intelletto per suo conto non produce che nozioni arbitrarie e non feconde e se i sensi dall'altro lato non danno che indicazioni disordinate e inconcludenti, la scienza non potrà costituirsi come conoscenza vera e feconda di risultati se non in quanto imporrà all'esperienza sensibile la disciplina dell'intelletto e ad esso la disciplina dell'esperienza sensibile. Il procedimento che realizza questa esigenza è, secondo Bacone, quello della induzione.

La sua filosofia ha lo scopo di restaurare il dominio dell'uomo sulla natura che Dio al momento della creazione gli ha concesso. Bacone critica tutta la filosofia precedente a lui, in particolare quella Greca, perché priva di un fine pratico, ma mirava al conoscere per il piacere di conoscere ed era del tutto priva di risultati pratici. Inoltre critica l'Aristotelismo poiché afferma che la verità non è "lia" dell'autorità degli antichi, ma è "lia temporis" cioè la verità si consegue attraverso la collaborazione degli studiosi di ciascuna generazione.

Per lui il metodo permette all'uomo il dominio della natura ed , contrariamente a quello di Aristotele (metodo deduttivo- sillogismi), è un metodo induttivo. Questo metodo è composto da due parti:

Pars destruens (parte distruttiva), consiste nello sgombrare la mente dai falsi pregiudizi (IDOLA) che invaso l'intelletto umano;

Pars costruens (parte costruttiva), consiste nell'esposizione e nella giustificazione delle regole di

quel metodo che solo può riportare la mente umana a contatto con la realtà .

La scelta e l'eliminazione su cui si fonda tale induzione suppongono in primo luogo la raccolta e la descrizione dei fatti raccolti: raccolta e descrizione dei fatti particolari: raccolta e descrizione che Bacone chiama storia naturale e sperimentale, perché non dev'essere immaginata o escogitata, ma raccolta dall'esperienza cioè dettata dalla natura stessa. Ma la storia naturale e sperimentale è così varia e vasta che confonderebbe l'intelletto anziché aiutarlo se non fosse composta e sistemata in un ordine idoneo. A questo fine servono le tavole che sono raccolte di casi o esempi (instantiae) secondo un metodo o un ordine che renda tali raccolte adatte alle esigenze dell'intelletto.

Tabula Praesentia (le tavole della presenza), saranno allora la raccolta delle istanze note cioè dei casi in cui una certa "natura", per esempio, il calore, solitamente si presenta;

Tabula Absetiae (le tavole dell'assenza), raccoglieranno invece quei casi che sono privi della natura in questione pur essendo vicini o congiunti con quelli che la presentano;

Tabula Graduum (le tavole dei gradi o ative), raccoglieranno invece quelle istanze o casi nei quali la natura cercata si trova in differenti gradi, maggiori o minori: il che deve farsi o paragonando il suo aumento e la sua diminuzione nello stesso soggetto o paragonando la sua

grandezza in soggetti differenti, confrontati l'uno con l'altro.

Formate queste tavole, comincia il vero e proprio lavoro dell'induzione: la cui prima fase dev'essere negativa, deve consistere cioè "nell'escludere quelle nature che non si trovano in alcuni casi in cui la natura data è presente o si trovano in qualche caso in cui essa è assente o cresce in qualche caso in cui la natura data decresce o decresce in qualche caso in cui la natura data aumenta". La parte positiva dell'induzione comincerà soltanto dopo questa lunga e difficile opera di esclusione, con la formulazione di un'ipotesi provvisoria intorno alla forma studiata, che Bacone chiama Vindematio Prima (prima vendemmia).

Per quanto riguarda gli Idola (che ho nominato qui sopra), la loro funzione è quella di rendere conoscenti gli uomini di quelle false nozioni che ingombrano la loro mente e che sbarrano loro la strada verso la verità. Per sbarazzarsene il primo passo che si deve fare è quello della loro individuazione. Bacone ne individua quattro:

Idola Tribus ,sono i fantasmi della tribù cioè i pregiudizi dell'intero genere umano definito da Bacone tribù. L'intelletto umano mescola la propria natura con quella delle cose, deformandola e trasurandola. Sono radicati nella natura dell'uomo e nelle sue facoltà cioè nei sensi, nell'intelletto, nella volontà e nelle passioni. L'intelletto può subire l'interferenza della volontà e delle passioni ed è condizionata dalle opinioni correnti. La mente umana si apa di generalizzazioni arbitrarie e una volta che si è formata un'opinione tende a trascurare le evidenze contrarie;

Idola Specus, sono i fantasmi della spelonca che derivano dall'individuo singolo, dalla sua interiorità, è considerata come una spelonca perché è un termine che rievoca la caverna di cui parlava Platone. Come nel Mito di Platone, le rappresentazioni dei prigionieri sono determinate dalla particolare condizione in cui si svolge la loro vita. Così anche l'attività conoscitiva di ogni uomo ha una spelonca o grotta particolare in cui la luce della natura si disperde e si corrompe; o per causa della natura proprio e singolare di ciascuno, o per causa della sua educazione , . .. Lo spirito dei singoli individui è vario e mutevole, e quasi fortuito. Pertanto, gli idoli della spelonca, traggono la loro origine dalla natura specifica dell'anima e del corpo del singolo;

Idola Fori, sono i fantasmi del foro cioè della piazza. Essi derivano dalla comunione e dai rapporti che gli uomini intrattengono fra di loro e sono i più molesti di tutti, appunto perché sono legati al linguaggio;

Idola Theatri, sono i fantasmi del teatro cioè filosofie precedenti intese da Bacone come favole adatte ad essere rappresentate in un teatro. Sono i pregiudizi che si trovano nella commedie e nei testi di teatro, cioè negli scritti filosofici. In particolare, Bacone, classifica tre tipi di idola del teatro: idoli sofistici, basati su esperienze comuni non provate; idoli empirici, basati su pochi esperimenti accurati; e idoli superstiziosi, basati su una mescolanza acritica della filosofia con la teologia e con le tradizioni.



Metodo di René Dessectiunes:

sectiunesio ha scoperto il suo metodo mediante la considerazione del procedimento matematico: "quelle lunghe catene di ragionamenti, tutti semplici e facili, di cui i geometri hanno l'abitudine di servirsi per giungere alle loro più difficili dimostrazioni, mi avevano dato l'occasione di immaginare che tutte le cose di cui l'uomo può avere conoscenza si seguono nello stesso modo e che, dato solo che ci si astenga dall'accettare per vera una cosa che non lo sia e che si rispetti sempre l'ordine necessario a dedurre una cosa dall'altra, non vi sarà nulla di così lontano che alla fine non si possa giungervi né di così nascosto che non si possa scoprire". Le scienze matematiche sono dunque già praticamente pervenute in possesso del metodo. Il fatto che le matematiche siano già in possesso della pratica del metodo ha senza dubbio facilitato il compito di sectiunesio; ma questo compito comincia veramente con la giustificazione delle regole metodiche, giustificazione che sola acconsente a autorizza l'applicazione di esse a tutti i domini del sapere umano. sectiunesio doveva dunque:1° formulare le regole del metodo tenendo soprattutto presente il procedimento matematico nel quale esse erano già presenti e operanti; 2° fondare con una ricerca metafisica il valore assoluto e universale del metodo; 3° dimostrare la fecondità del metodo nelle varie branchie del sapere. sectiunesio definisce il metodo come l'insieme di "regole certe e facili che, da chiunque siano esattamente osservate gli renderanno impossibile prendere il falso per vero, senza alcun sforzo mentale, ma aumentando sempre gradatamente la scienza, lo condurranno alla conoscenza vera di tutto ciò che sarà capace di conoscere". Il metodo deve condurre facilmente e sicuramente l'uomo, non solo alla conoscenza vera, ma anche "al più alto punto" al quale può giungere: cioè nello stesso tempo al dominio sul mondo e alla saggezza della vita. Nelle "Regulae ad directionem ingenii" sectiunesio aveva esposto non solo, m le regole fondamentali ma anche le modalità o gli accorgimenti della loro applicazione, aveva così enunciato ventuno regole e aveva poi interrotto la sua opera. Nella seconda parte del "Discorso sul metodo" egli riduce a quattro le regole fondamentali:

La prima è quella dell'evidenza. sectiunesio dice: "La prima era quella di non accettare mai nessuna cosa per vera se non la riconoscessi evidentemente per tale: cioè di evitare al partecipazione e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi niente di più di ciò che si presentasse così chiaramente e distintamente al mio spirito che io non avessi alcuna occasione di metterlo in dubbio". L'evidenza è da sectiunesio opposta alla congettura, la cui verità non appare allo spirito in un modo immediato. L'atto con cui lo spirito raggiunge l'evidenza è l'intuito. sectiunesio intende per intuito "non la fluttuante testimonianza del sensi o il giudizio fallace dell'immaginazione malamente combinatrice, ma un concetto non dubbio della mente pura ed attenta che nasce dalla sola luce della ragione ed è più certo della stessa deduzione". L'intuito è dunque l'atto puramente razionale col quale la mente coglie il suo proprio concetto e diviene trasparente a se stessa. La chiarezza e la distinzione costituiscono i caratteri fondamentali di un idea evidente: intendendo per chiarezza la presenza e l'apertura dell'idea alla mente che la considera e per distinzione la separazione da tutte le altre idee in modo che essa non contenga nulla che appartiene alle altre. Invece la deduzione è la congiunzione delle cose semplici in modo da formare cose composte. Perciò sectiunesio definisce come due soli atti dell'intelletto: l'intuito e la deduzione.

La seconda regola è quella dell'analisi. sectiunesio dice : "Dividere ciascuna delle difficoltà da esaminare nel maggior numero di parti possibili e necessarie per meglio risolverle". Una difficoltà è un complesso di problemi nei quali è mescolato insieme il vero e il falso

La terza regola è quella della sintesi. sectiunesio dice: "Condurre i miei pensieri per ordine cominciando dagli oggetti più semplici e più facili a conoscersi, per salire a poco a poco, come per gradi, fino alle conoscenze più complesse ;supponendo che vi sia un ordine anche tra gli oggetti che non precedono naturalmente gli uni dagli altri". Questa regola suppone il procedimento ordinato che è proprio della geometria e suppone anche che ogni dominio del sapere sia ordinato analogamente. L'ordine così presupposto è, secondo sectiunesio, l'ordine della deduzione, che è l'altro dei due atti fondamentali dello spirito umano. Nell'ordine deduttivo, sono prime le cose che sectiunesio chiama assolute cioè provviste di una natura semplice e come tali indipendenti dalle altre; sono invece relative quelle che devono essere dedotte dalle prime attraverso una serie di ragionamenti.

La quarta regola è quella dell'enumerazione. sectiunesio dice: "fare dappertutto enumerazioni così complete e revisioni così generali da essere sicuro di non omettere nulla". L'enumerazione controlla l'analisi, la revisione controlla la sintesi. Questa regola prescrive l'ordine e la continuità del procedimento deduttivo e tende a ricondurre questo procedimento dell'evidenza intuitiva.

Queste regole non hanno in se stesse la loro giustificazione. sectiunesio deve quindi istituire una ricerca che le giustifichi risalendo alla loro radice; e questa radice non può essere che il principio unico e semplice di ogni scienza e di ogni arte: la soggettività razionale o pensante dell'uomo. Questa ricerca è il pensiero, perché il fatto che il soggetto dubiti, e quindi pensi, garantisce l'esistenza di esso. "Cogito ergo sum", "Penso, quindi sono" è la prima salda certezza che il dubbio non può scalfire, proprio perché il dubitare è pensare. Ma la certezza di "me pensante", di me come "res cogitans" non mi può dare la certezza che i contenuti del mio pensiero, cioè il mondo, i rapporti logici, . .siano altrettanto validi. sectiunesio perciò esamina i contenuti del pensiero, cioè le idee, che divide in tre classi:

idee innate, che cioè ritrovo in me, nate assieme alla mia coscienza. L'idea innata di Dio, in particolare, è la più evidente e contiene in sé più realtà oggettiva di ogni altra: essa garantisce l'oggettività e verità di tutte le altre idee innate e di quelle avventizie; l'idea di Dio è l'idea della perfezione totale, dell'onnipotenza, dell'onniscienza e pertanto il soggetto non può averla creata da sé;

idee avventizie o inventive, che cioè mi vengono dal di fuori e mi rinviano a cose del tutto diverse da ma;

idee fittizie, che sono costruite da me stesso.

In sectiunesio la ricerca del divino non nasce da un'esigenza teologica, quanto piuttosto dalla necessità di trovare una garanzia dell'esistenza e della concreta realtà oggettiva del mondo; Dio, infatti, in quanto essere perfetto, buono e verace non può ingannare il pensante e la sua esistenza garantisce che tutto ciò che appare come chiaro ed evidente esiste realmente. In questo senso possiamo veramente applicare a tutti i campi del sapere il metodo geometrico- matematico.

Il mondo esterno è per sectiunesio riducibile all'estensione corporea, la res extensa, che coincide rigorosamente con lo spazio e che quindi esclude in modo assoluto l'ipotesi del vuoto. Pertanto la filosofia sectiunesiana sfocia in un dualismo tra pensiero (res cogitans) e materia (res extensa) che crea una serie di gravi difficoltà, perché l'estensione corporea, che è meccanismo e passività, non può agire sul pensiero e viceversa.









Bibliografia: Reale Giovanni, "storia della filosofia antica", edit. Reale, Milano 1979; Abbagnano Nicola, "storia della

Filosofia", edit. UTET, Torino 1982; Grande Enciclopedia Rizzoli, edit. Rizzoli, Milano 1990


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