Non recidere, forbice, quel volto. (E. Montale)
Quando Montale scrisse questa lirica, in lui era
ancora molto forte il ricordo di Drusilla, della sua amata che ora però
era morta. Poiché il tempo di solito rimedia ad ogni dolore, Montale prega alle
forbici del tempo di risparmiare quest'ultima immagine piacevole che ancora ha
nella sua mente. Implora di non far diventare quel dolce viso una nebbia, che
lo avvolgerà per sempre. I termini che usa Montale sono davvero efficaci
poiché sia le forbici, che la nebbia provocano, a mio avviso, nell'animo del
lettore la stessa angoscia che provava il poeta in quel momento. Poi, all'improvviso
c'è tutto un freddo, forse inteso come quello delle gelide lame delle
forbici, che con un solo colpo, deciso, stacca la cima di un albero, di un
acacia che ora è ferita proprio come lo stesso Montale. E, quest'acacia
ferita, lascia cadere dal ramo un guscio di cicala che rotola nella fanghiglia
autunnale. Anche in questa metafora Montale esprime tutti i suoi sentimenti
poiché allo stesso modo in cui la cima, cadendo, porta con sé il guscio nel
fango, anche l'immagine di Drusilla (il guscio di cicala), venendo dimenticata,
porta via al poeta l'unico barlume di felicità, svanendo nella desolazione
di una vita priva di ricordi dolci.