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Plauto - Anfitrione - Trama, Personaggi, Ambientazione, Atteggiamento antiellenico, Motivi e temi, Tema del doppio

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Amphitruo (Anfitrione) è l'unica opera di Plauto a soggetto mitologico: Giove, innamorato di Alcmena, approfittando del fatto che suo marito, Anfitrione, è impegnato nella guerra tra Tebani e Teleboi, si presenta nel suo palazzo sotto le spoglie dello stesso Anfitrione. Alcmena lo accoglie e gli si abbandona in una notte d'amore. Ma ecco giungere il vero Anfitrione, preceduto dal servo Sosia; l'incontro di costui con Sosia, vale a dire Mercurio, servo di Giove, è ricco di motivi comici. E ancora più sapido e scintillante di umori farseschi è il gioco tra il vero e il falso Anfitrione, gioco così abilmente sostenuto da Plauto da rendere difficile per lo stesso spettatore l'identificazione del vero marito di Alcmena. La commedia si scioglie con l'annuncio divino della nascita di due gemelli, cioè di un lio di Anfitrione e del semidio Ercole, concepito dall'amore tra Alcmena e Giove.





I personaggi di Plauto non sono dei caratteri individuali ma delle maschere fisse, dei 'tipi', e per questo già noti al pubblico nel momento stesso in cui si presentano sulla scena: anche i loro nomi propri servono esclusivamente a ribadirne la fissità del ruolo scenico.


Nome del personaggio

Caratteristiche del personaggio

Mercurio

Divinità protettrice dei commercianti e dei mercanti e messaggero degli dei che prese le sembianze di Sosia per appoggiare il piano di Giove.

Sosia

Servo di Anfitrione che all'interno della commedia si definisce "pelle da frustate".

Giove

Suprema divinità della religione romana che, sotto le sembianze di Anfitrione, innamorato di Alcmena, ne eluse la fedeltà, rendendola madre di Ercole.

Alcmena

Matrona e moglie di Anfitrione che, sedotta da Giove, partorì Ercole.

Anfitrione

Mitico eroe, lio di Alceo, re di Tirino, e marito di Alcmena; comandante dell'esercito dei Tebani in guerra contro i Teleboi.

Blefarone

Pilota.

Bromia e Tessala

Ancelle.


I personaggi maggiori più importanti presenti nell'Amphitruo sono:

La 'matrona': accanto alla ura dell'etera, risalta per contrasto quella della matrona, madre dell'adulescens e sposa del senex, quasi sempre autoritaria e dispotica, soprattutto se 'dotata' (cioè provvista di dote). Accade che spesso il senex sia vittima delle sue ire furibonde (come nell'Asinaria). Non manca qualche eccezione: la nobile ura di Alcmena nell'Amphitruo o le due spose fedeli nello Stichus.

Il 'servus': è la ura più grandiosa, il vero motore delle fabulae plautine, personaggio sfrontato e geniale, spavaldo orditore di incredibili inganni a favore dell'adulescens e contro l'arcigna taccagneria dei senes o l'avidità dei formidabili lenoni. Senza di lui, non ci sarebbe storia; la storia, anzi, è quasi sempre il risultato delle sue invenzioni e delle sue creazioni: Plauto lo definisce in vari luoghi come un 'architetto' (Palestrione, nel Miles Gloriosus), un 'poeta' (Pseudolo, nello Pseudolus), un 'generale' (ancora in riferimento a Pseudolo e Palestrione), finendo palesemente per identificarsi nella sua ura.




I personaggi principali sono Anfitrione, Alcmena e Giove; Anfitrione e Alcmena appartengono alla nobiltà tebana mentre per Giove è impossibile determinare la classe sociale di appartenenza, essendo egli un dio. Anfitrione è un generale e ha il compito di guidare l'esercito tebano del re Creonte, Giove non ha un preciso ruolo sociale. Neanche Alcmena ha un compito all'interno della società, in quanto nell'antica Grecia le donne non partecipavano alla vita sociale; la sua unica occupazione è probabilmente accudire la casa.






Spazio

Tempo

Durata temporale

Stesura

L'azione scenica si svolge in un unico luogo: una porzione di strada dinanzi al palazzo di Anfitrione, che si trova a Tebe, in Beozia. L'autore non presenta alcuna descrizione di ambiente né caratterizza in alcun modo i luoghi in cui si svolge l'azione scenica. Questo perché a Plauto non interessava fornire una rappresentazione realistica di Tebe; ciò è evidente anche quando la rafura come una città fornita di porto in quanto in poco tempo i personaggi si recano dal porto all'abitazione di Anfitrione mentre in realtà la città si trova nell'entroterra della Grecia.

In generale la narrazione si svolge ai tempi dell'antica Grecia, ma essa non ha una precisa collocazione temporale, in quanto tratta di argomenti mitici di cui non esistono riferimenti storici precisi: si parla infatti del regno di Creonte e della guerra di Tebe contro i Teleboi, ma probabilmente questi sono solo elementi mitici.

Il passaggio dall'inizio alla fine del racconto avviene prevalentemente in successione cronologica, ma ci sono alcune eccezioni in cui si presentano flash-back, ad esempio quando Alcmena narra ad Anfitrione come lo ha accolto la sera precedente o quando Mercurio descrive a Sosia il suo comportamento durante la battaglia.

La stesura e la rappresentazione risalgono al 206 a.C.







Un altro aspetto del teatro plautino è l'atteggiamento nei confronti dei greci: è significativo, a riguardo, un passo del Curculio, in cui l'omonimo protagonista, egli stesso greco, pur parla male dei Greci: sta attraversando una via e gli danno fastidio questi Greci che hanno invaso le vie della città e vanno in giro col capo coperto, carichi di libri, confabulando fra loro e affollando le osterie in cerca di chi possa offrire loro in bicchiere di vino. È chiaro che Plauto sfrutta a fini comici quel sentimento di ostilità nei confronti dei Greci, tipica di una parte della società romana e che aveva trovato portavoce in Catone. Plauto conia addirittura un verbo, 'pergraecari', che significa più o meno 'gozzovigliare alla greca', vivere in modo dissoluto, proprio come farebbero i Greci. Alcuni studiosi hanno inserito per questo motivo il teatro plautino nell'entourage catoniano, ma questa posizione pare però poco sostenibile, poiché il nostro, come visto, vuole solo 'risum movere', e non schierarsi politicamente, rinunciando a trasmettere qualsiasi tipo di messaggio. Nelle sue opere Plauto fornisce dei Greci residenti a Roma una descrizione che ne mette in ridicolo abitudini e modi di vita. Il tono che usa nei loro confronti è palesemente sprezzante e il giudizio che emerge è di forte disapprovazione. Plauto interpreta e rappresenta sulla scena un atteggiamento antiellenico diffuso nella società romana; tale tentativo antiellenico è espressione di una diffusa xenofobia, ossia di un atteggiamento di paura e di differenza verso il nuovo e il diverso presenti nei costumi dei popoli sottomessi e di ostilità verso gli stranieri vinti. Questo atteggiamento xenofobo si fonda su motivazioni ideali e scaturisce da tensioni sociali determinate dagli squilibri politici ed economici prodotti dalle guerre e dalle conquiste. L'impatto con i Greci e la loro cultura produce un sentimento di paura e di ostilità; il rifiuto assume a pretesto le abitudini negative dei Greci.




Uno dei temi fondamentali dell'intera commedia è sicuramente quello del doppio: Mercurio si è infatti travestito da Sosia, il servo assente, per accomnare Giove, il quale invaghitosi di Alcmena, si è trasformato in suo marito, Anfitrione. L'intrigo ordito dagli dei mette Sosia in una condizione difficile di perdita d'identità che lo porta a chiedere al suo sosia: "Se non sono Sosia, chi sono allora? Lo chiedo a te".

Come nel il Miles Gloriosus, anche nell'Amphitruo è presente il tema dell'agnizione-riconoscimento, che costituisce lo scioglimento dell'intera vicenda: Anfitrione e Sosia smascherano Giove e Mercurio che avevano assunto le loro rispettive sembianze.

Un altro tema molto importante è quello dell'inganno o beffa: Giove, travestitosi da Anfitrione, passa sotto gli occhi della moglie Alcmena di costui come tale, riuscendo così a giacere con la matrona; a questo tema si riallaccia quello del doppio: dal gesto d'amore tra Giove e Alcmena nascono due gemelli, uno dei quali, Ercole, è un semidio.





Nel dialogo tra Mercurio e Sosia la rappresentazione del doppio si realizza, sul piano linguistico, attraverso una serie di passaggi che prendono l'avvio della relazione oppositiva iniziale io/tu (ego/tu). La scena dell'incontro tra Sosia e il proprio "doppio" è scandita dall'uso ripetuto ed insistente di ego, me e meus, in opposizione con l'uso meno martellante ma altrettanto insistente, di tu. La presenza della relazione io/tu corrisponde nel testo alla fase di iniziale incredulità di Sosia allorché cerca di riaffermare la propria identità e di riappropriarsi del proprio io, prendendo le distanze dall'altro. Lo specchio permette a Sosia di guardarsi a distanza e riconoscersi nella somiglianza; il concetto di somiglianza è sottolineato nel testo dalla ripetizione lessicale e dalla ura etimologica. Il processo si conclude con l'accettazione della perdita di sé, del proprio essere fisico. Sosia può solo sperare di trarre vantaggio dall'evento di "sdoppiamento"; immagina allora che l'altro se stesso che ha incontrato sia la propria imago funeraria: dunque egli non sarebbe più uno schiavo ma un uomo libero. È il desiderio di riscatto sociale del servo che prende corpo dietro un'azione scenica il cui unico intento è quello di far ridere lo spettatore.





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