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INDICE



Premessa: Svevo e il romanzo moderno . . . . . . . . . . . . . . . .



Romanzo classico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .





Romanzo moderno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .



La vita . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .



Le opere . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .



Le novelle e il teatro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..



La formazione culturale di Italo Svevo . . . . . . . . . . . . . . . . .



Influenza di una nuova rivoluzione copernicana: Bergson - Einstein -Freud sulla cultura . . . . . . . . . . . . . . . . . . .





Svevo e la crisi della media borghesia . . . . . . . . . . . . . . . . .



Svevo e la psicanalisi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .



Sintesi del romanzo: "La coscienza di Zeno" . . . . . . . . . . . . .



Analisi dei vari moduli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..



"La coscienza di Zeno": Continuazioni . . . . . . . . . . . . . . . . .



Commento a "La coscienza di Zeno" . . . . . . . . . . . . . . . . . .



Tecnica narrativa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .



Malattia e salute . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..



Valenza della scrittura in Zeno e rapporto autore - lettore - personaggio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .





"Lo scrivere male" di Svevo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .



Bibliografia  . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .




PREMESSA

Svevo e il romanzo moderno

Svevo è il massimo rappresentante in Italia della "letteratura della crisi" interpretata in Europa da ure quali: Franz Kafka, Robert Musil, James Joyce, Philip Roth, Thomas Mann, nata sull'onda degli sconvolgimenti preparatori o risultanti dalla Grande Guerra, che spazza via definitivamente l'ottimismo positivista e i sogni decadenti. Il nuovo romanzo europeo si caratterizza nella tendenza a cogliere il vero senso della vita al di sotto delle apparenze esteriori della realtà che lo celano ai nostri occhi. Questa è la conseguenza della crisi della società e dell'uomo contemporaneo.

«Nell'arte di Svevo si fissa la proiezione morale di una classe che sente esaurirsi il proprio "compito sociale" e la propria funzione direttiva, o almeno non sa più trovare una giustificazione sociale in un quadro storico e politico in piena trasformazione»[1].



Romanzo classico

Legge costitutiva del romanzo classico:

Una serie ordinata di fatti che somiglia ad una necessità






Tratto da: "Profilo storico della letteratura del Novecento", Angelo Porcaro, ed. Meridies, 1999, pp. 26-27.28.



Romanzo moderno







Tratto da: "Profilo storico della letteratura del Novecento", Angelo , ed. Meridies, 1999, pp. 28-29.




La vita

1861-l892. Ettore (registrato col nome Aron) Schmitz, che assumerà come scrittore lo pseudonimo di Italo Svevo, nasce nel 1861 a Trieste in una famiglia ebrea. Il padre è un commerciante e anche Ettore segue studi commerciali, prima in Germania, presso Wurzbug (1873-l878), poi a Trieste. Nel 1880 il padre fallisce ed Ettore, interrotti gli studi, si impiega nella sede cittadina della banca viennese Union. Nel dicembre del medesimo anno inizia la collaborazione con il quotidiano «L'Indipendente» che durerà per un decennio: compone recensioni e articoli culturali, firmandoli con lo pseudonimo E. Samigli. Nel 1886 muore il fratello che gli è più caro, Elio, nel 1892 il padre. Nel medesimo anno, vede la luce a spese dell'autore il primo romanzo firmato da Italo Svevo: Una vita, che ottiene scarsissimo interesse.

1892-l918. Sin dal 1892 inizia la stesura di un secondo romanzo, Senilità, che verrà pubblicato prima a puntate e poi in volume, nel 1898. Nel 1896 ha intanto sposato Livia Veneziani, di quindici anni più giovane di lui, lia di un industriale. Il totale disinteresse che accomna l'uscita del secondo romanzo spinge Svevo a una svolta: licenziato dalla banca, entra nell'azienda del suocero (1899). Lavora prima alla fabbrica di Murano, presso Venezia; dal 1901 al 1912 si reca annualmente a controllare il lavoro nella fabbrica di Charlton, vicino a Londra. Nel 1907 incontra a Trieste James Joyce, insegnante alla Berlitz School, e stringe con lui una solida amicizia. Inizia in questi anni a interessarsi alla psicoanalisi freudiana. Allo scoppio della prima guerra mondiale, continua a lavorare, prima in Germania e poi a Trieste, fino a quando la fabbrica viene chiusa per gli eventi bellici. Scrive articoli per «La Nazione».



1919-l928. Nel 1919 inizia a stendere La coscienza di Zeno, che vede la luce, a spese dell'autore, presso l'editore Cappelli, nel 1923. Nel 1925 scoppia il «caso Svevo»: i critici francesi a cui ha inviato La coscienza su consiglio di Joyce esaltano il libro; Eugenio Montale scrive un articolo sullo scrittore pubblicato dalla rivista «L'esame». Si aprono le discussioni sulla sua opera. Svevo riprende il lavoro letterario con grande alacrità, come per recuperare il tempo perduto: nel 1928 inizia un quarto romanzo (Il vecchione o Le confessioni del vegliardo), ma nello stesso anno muore, in seguito alle ferite riportate in un incidente stradale, a Motta di Livenza (Treviso).
«Le opere»


L'asse centrale della produzione sveviana è costituito dai romanzi dove è evidente una linea evolutiva e una trasformazione del personaggio. Svevo inizia il primo romanzo nel 1888, avrebbe voluto intitolarlo "Un inetto", ma sconsigliato dall'editore, che riteneva tale titolo poco accattivante, si risolse per il neutro "Una vita".

L'opera ebbe pochissime recensioni e fu un insuccesso. Il protagonista è Alfonso Nitti, un piccolo impiegato che viene in contatto con una società dominata dall'interesse e dal denaro, da cui finisce con l'essere travolto. Nel ritratto di questo personaggio, l'autore concentra l'alternativa sogno-realtà, la crisi della volontà e della coscienza di fronte alla brutalità delle scelte imposte dalla vita.

Alfonso è il primo uomo senza qualità, l'inetto, intellettuale megalomane, il suo vero regno è il sogno. Quando Anna gli cade fra le braccia, l'inetto non è in grado di vivere il proprio successo, perché questo significherebbe la preclusione del sogno, la sostituzione della fantasia alla realtà. Questo romanzo ha una soluzione narrativa di gusto veristico nella minuzia descrittiva e nella cura di rendere fedelmente i tratti dei personaggi, nell'analisi di ambiente e di ceti sociali, quali l'anonimo mondo bancario, dove lavora Alfonso o quello umile di casa Lanucci.

Il secondo romanzo "Senilità" (1892) racconta la storia di Emilio Brentani, un impiegato di 30 anni, che ha una piccola notorietà letteraria e vive a Trieste. Conduce una vita mediocre, occupandosi della sorella Amalia. Un suo amico, lo scultore Balli, ha molti successi con le donne. Per imitare Belli, Emilio frequenta la bella Angiolina che un po' lo tradisce e un po' lo ricambia. Incapace di staccarsi da Angiolina ricorre all'amico Balli, ma questi entrando nel triangolo costituito da Emilio-Angiolina e Amalia, attira su di sé l'amore di entrambe le donne e prepara inconsapevolmente la tragedia. Amalia minata dall'alcool, muore. Angiolina continua i suoi tradimenti, mentre Emilio non riesce a scrivere il libro che avrebbe voluto dedicare a quella esperienza amorosa.

"Senilità", a differenza di "Una vita" non offre più un articolato quadro sociale, ma si incentra quasi esclusivamente su quattro personaggi centrali, i cui rapporti e le cui vicende si compongono in una struttura rigida. I fatti esteriori, l'intreccio romanzesco, la descrizione di ambienti fisici e sociali in "Senilità" hanno poco rilievo. Si può dire che la vicenda si svolga essenzialmente dentro la mente di Emilio: è la dimensione psicologica che l'autore si preoccupa in primo luogo di indagare. Ciò non significa che Svevo ignori la dimensione sociale, ci arriva attraverso l'analisi della psiche. Emilio piccolo borghese, incapace di vivere è congelato nella sua Senilità, cioè nella sua inerzia, nella incapacità di vivere con gli altri. Di conseguenza lo scontro della sua «diversità» con la normalità della società, si conclude come per Alfonso Nitti, nell'isolamento e nella solitudine.

"Senilità" può dirsi il romanzo della coscienza di Emilio, anche se l'autoanalisi è parziale e c'è l'uso della terza persona. Con "La coscienza di Zeno" l'autoanalisi del personaggio sarà raggiunta.





Le novelle e il teatro

Dopo il successo de "La coscienza di Zeno" Svevo scrisse saggi, novelle e testi teatrali.

Alcuni racconti furono pubblicati su riviste mentre l'autore era ancora vivo; furono poi riuniti insieme agli inediti, nelle raccolte postume "Le novelle del buon vecchio e della bella fanciulla" (1929) e "Corto viaggio sentimentale" (1925-26) e altri racconti inediti (1949). Un racconto lungo: "L'assassino di Via Belpoggio" era uscito a puntate nel 1890 sul quotidiano di Trieste «L'Indipendente». Fra i racconti più noti ricordiamo: "La madre", "Vino generoso", "Una burla riuscita", scritti nel 1926.

Iniziò nel 1928 a scrivere un ampio romanzo che doveva intitolarsi "Il vecchione", rimasto incompiuto dopo i primi moduli per la morte dell'autore avvenuta a causa di un incidente automobilistico.





La formazione culturale di Italo Svevo

Lo pseudonimo di Italo Svevo nelle intenzioni dello scrittore aveva lo scopo di congiungere l'italianità del suo sentire con il germanesimo della sua educazione, istituendo fra l'altro una precisa distanza fra l'uomo Ettore Schmitz, impiegato e commerciante e il grande letterato che questi da sempre sognava di diventare.

La sua appartenenza a Trieste, stretta fra il mare e le colline carsiche, abitata da razze e percorsa da lingue e culture diverse (la maggioranza italiana, l'alta borghesia tedesca, il proletariato sloveno, la comunità ebraica dedita ai commerci) indubbiamente condizionarono la sua formazione. Anche la passione per il teatro si spiega con l'influenza di una certa cultura e costume mitteleuropeo borghese e benestante che considerava il teatro manifestazione mondana.

Svevo ha una conoscenza eclettica della letteratura, dai classici alla narrativa russa, da autori francesi a quelli inglesi e italiani, in modo particolare il Boccaccio, il Machiavelli, il Guicciardini. Educato fin dagli anni del suo soggiorno in Germania alla riflessione sistematica, ad un'austera disciplina di vita, si interroga su tanti quesiti connessi all'esistenza. Legge Schopenhauer, Darwin, Nietzsche, Marx e Freud, pensatori che analizza lungamente e che influenzarono in tempi successivi le sue opere, le sue idee. Pensatori diversi, ma tutti caratterizzati dal rilievo dato alla disarmonia che spesso si instaura fra individuo e società o che agisce all'interno stesso del singolo individuo. In nessuno di questi pensatori Svevo troverà le risposte che cerca, passerà da Schopenhauer a Darwin, da Darwin a Nietzsche, a Freud.

L'incontro con la psicoanalisi (databile intorno al 1910) diviene per Svevo un'esperienza fondamentale. Da Vienna, le teorie psicoanalitiche, si diffusero con anni di anticipo sulle altre città europee, a Trieste, accolte con vivo interesse dall'ambiente intellettuale medico, soprattutto ebraico. La malattia del cognato Bruno Veneziani, che si sottopose all'analisi di Freud, favorì una conoscenza più diretta sia del metodo terapeutico (a cui Svevo nega ogni valore) sia delle teorie psicoanalitiche. Nel 1918 traduce con l'aiuto del nipote medico "Il sogno" operetta di Freud che compendia la più ampia "Interpretazione dei sogni".

L'adesione a Marx rimarrà sempre nell'ambito di un socialismo astratto proprio del borghese che sogna, senza crederci davvero, in una realtà diversa. In un apologo politico, la "Tribù" si scontrano una concezione di vita vicina allo stato di natura, e la vita alienata della civiltà industriale. La felicità dell'uomo, la sua liberazione sono procrastinate in un futuro molto lontano, quando albeggerà «un'era nuova»: la speranza socialista che promette per tutti «il pane, la felicità, il lavoro» si afferma con la forza dell'utopia, accettata in quanto tale.









Influenza di una nuova rivoluzione copernicana:

Bergson, Einstein, Freud sulla cultura

Alla fine dell'800 e nei primi decenni del '900 con i fisici Max ck (1858-l947) e Albert Einstein (1879-l955) con il filosofo Henri Bergson (1858-l941) e il medico Sigmund Freud (1856-l939) si ha una nuova rivoluzione copernicana in grado di incidere a tutti i livelli della cultura e di provocare angoscia e smarrimento negli uomini.

Stabilendo che spazio e tempo e massa non sono grandezze di valore assoluto, ma relative al sistema di riferimento (Einstein), mettendo un discussione il principio di causa ed effetto (Heisenberg e Freud), vengono messi in crisi i principi su cui si erano rette, fino alle soglie del '900 le scienze della natura - in particolare la fisica e le scienze dell'uomo. Come ai tempi «della rivoluzione copernicana» queste scoperte investono il mondo della cultura e, intrecciate alla dinamica storica, operano una profonda lacerazione, smontano l'universo e l'uomo.

La coscienza moderna ne rimane disorientata e gli intellettuali, per primi, avvertono il dramma della crisi. I concetti di spazio e di tempo relativizzati saranno sentiti non come un dato scientifico, ma come uno stato d'animo, come perdita di un centro, di un mondo di valori, come perdita di identità e verranno trascritti a livello letterario come frantumazione - relativizzazione del personaggio, della coscienza, della realtà, del tempo. Cambiando i rapporti di spazio e tempo, i rapporti di causalità e i rapporti logici, cambiano anche i modi di guardare la realtà e con essi di gestire la letteratura, l'arte e la cultura. Specificamente subiranno profonde trasformazioni il romanzo, la lirica, il teatro.










Svevo e la crisi della media borghesia

Svevo vive e descrive la crisi della cultura borghese, prodotta da una profonda trasformazione economico-politica della grande borghesia industriale che nel primo Novecento si avvia al trionfo, travolgendo nella sua ascesa la piccola e media borghesia. Svevo appartiene a questa piccola borghesia, ormai incapace di farsi classe egemone, schiacciata tra l'ascesa del proletariato e il grande capitale. L'Italia era uscita dal conflitto prostrata: miseria, inflazione, squilibri per la riconversione dell'apparato industriale bellico in apparato di pace. La piccola borghesia e i ceti medi ritornavano dal fronte delusi, scontenti, anche perché si aspettavano prosperità e gloria ed adesso subiscono il disagio economico e l'incertezza dell'avvenire. I piccoli borghesi protagonisti della narrativa sveviana, coscienti della loro incapacità di fare storia, sono costretti alla lotta contro la società. Per il singolo che si oppone al sistema, c'è solo la sconfitta.

I piccoli borghesi sveviani constatano la loro impotenza, la loro inettitudine, la loro "malattia". Essi non hanno che due alternative: o essere alienati o subalterni al servizio della grande borghesia industriale, od opporre ad essa la barriera consapevole e tragica dell'ironia, della denuncia.


Svevo e la psicanalisi

Ne La coscienza di Zeno, Italo Svevo trascura o addirittura distorce alcuni aspetti fondamentali della psicanalisi e in particolare quelli inerenti al rapporto tra analisi e paziente, è altrettanto vero che l'opera non avrebbe potuto essere concepita, né compresa, al di fuori di un orizzonte psicanalitico. L'interesse di Svevo è rivolto soprattutto alla dimensione psicologica dell'individuo, all'analisi degli strati profondi della coscienza, da cui far emergere le contraddizioni, i conflitti, le angosce, le finzioni entro cui si dibatte l'individuo con la sua "inettitudine" e le sue nevrosi. La psicanalisi offre allo scrittore strumenti conoscitivi validi per scandagliare fino in fondo la condizione umana, attraverso il vaglio lucido e rigoroso della malattia, con i suoi lapsus, autoinganni, rimozioni, fantasie allucinatorie, gratificazioni.





Sintesi del romanzo "La coscienza di Zeno"

"La coscienza di Zeno" racconta in prima persona la vita di Zeno Corsini, ricco commerciante triestino, ormai maturo, che dovrebbe essere contento della posizione raggiunta, ma soffre di fastidiosi disturbi: trafitture al fianco di natura misteriosa, una strana zoppia che lo colpisce quando è emozionato e teso.

Zeno decide di affidarsi alla terapia psicoanalitica per liberarsi dalla sua inettitudine, dai vari complessi che lo affliggono, per guarire dal vizio del fumo e dalla «malattia» che lo tormenta. Lo psicanalista il dott. S. suggerisce a Zeno di annotare su un libretto di appunti memoria - I processi di memorizzazione dall'acquisizione al richiamo - Studi comparati" class="text">la memoria della propria vita, in cerca delle radici della malattia. Le ine che egli ha scritto vengono pubblicate dal medico psicanalista che vuole così operare "una vendetta" nei confronti del suo paziente, il quale «sul più bello» si è «sottratto alla cura» come dice il dottor S. nella Prefazione che apre il romanzo.

Una "prefazione", a firma del dottore, e un "preambolo", in cui prende la parola lo stesso Zeno, precedono la narrazione. Zeno, nel rievocare il suo passato non segue un ordine cronologico, ma si abbandona al flusso dei ricordi, lascia vagare in libertà la propria memoria in un seguito di episodi legati ciascuno a un suo vizio o a un suo fallimento.

Pur essendo la storia lineare vi si possono identificare dei blocchi narrativi, in prima persona, dal forte significato simbolico: Il fumo - La morte del padre - La storia del suo matrimonio - La moglie e l'amante - Storia di una associazione commerciale. Cinque sondaggi nel passato, nel tentativo di vedere chiaro in esso e diagnosticare le cause e la natura della "malattia" che tormenta il paziente.

La biografia di Zeno è la storia di una serie di sconfitte. Vuole guarire dal vizio del fumo, ma vani sono gli sforzi, per disintossicarsi si fa persino ricoverare in una casa di cura, ma da questa fugge dopo aver corrotto l'infermiera. Si iscrive all'università, ma non riesce a terminare gli studi. I rapporti con il padre sono difficili, fatti di reciproca diffidenza ed estraneità. Si innamora di Ada Malfenti, la lia più bella di un furbo commerciante, ma finisce per sposare Augusta, la sorella strabica. Intreccia una relazione extraconiugale con Carla, ma questa lo abbandona per sposare il maestro di musica che lui stesso, Zeno, le aveva presentato. Lo scoppio della guerra favorisce alcune sue speculazioni commerciali che trasformano paradossalmente "l'inetto" Zeno in un abile uomo d'affari e per di più in un "guarito".

Noi sappiamo bene che non è vero e che queste resistenze sono un sintomo tipico della malattia. Ma Zeno ha buon gioco, nelle ine finali, a sottolineare il confine incerto tra malattia e salute nelle condizioni attuali, in cui la vita è «inquinata alle radici». Il romanzo termina così in chiave apocalittica, con una riflessione di Zeno sull'uomo costruttore di ordigni che finiranno per portare ad una catastrofe cosmica.







Analisi dei vari moduli

Il fumo. Racconta del suo vizio del fumo, di tutti i complicati rituali per liberarsene, del loro fallimento. Nelle ultime sigarette, annotate da tutte le parti, spesso usate per ricordare date futili o anniversari di altri fallimenti e altri mille disturbi, come quello delle donne.

« . Una non mi bastasse e molte neppure. Le desideravo tutte! Per istrada la mia agitazione era enorme: come passavano, le donne erano mie . »[2]. Persino il ricovero in una clinica per disintossicarsi si conclude con una buffa evasione.

Tema dell'inetto. Privo di volontà, incapace di agire, impegnato solo nell'invenzione di un alibi. Ogni scusa è buona per fumarsi l'ultima sigaretta, una delle tante ultime sigarette di Zeno è quella che coincide con la morte del padre.

La morte del padre. La parte più segnata dal pensiero di Freud. Il signor Corsini, ricco e pacifico commerciante, non ha mai capito né accettato il lio.



«Peccato che sei venuto tanto tardi. Prima ero meno stanco e avrei saputo dirti molte cose . »[3].

Tema dell'incomunicabilità. La malattia terminale lo svela vecchio, fragile e incerto: il padre soffre amaramente l'immobilità e la dipendenza del lio. Nei giorni dell'agonia Zeno scopre la fisicità della morte e la degenerazione del corpo e poi si sorprende a desiderarne la sua fine.

« . Chi ha provato di restare giorni e settimane accanto ad un ammalato inquieto, essendo inadatto a fungere da infermiere . mi intenderà. Io poi avrei avuto bisogno di un gran riposo per chiarire il mio animo e anche regolare e forse assaporare il mio dolore per mio padre e per me. Invece dovevo ora lottare per fargli ingoiare la medicina . La lotta produce sempre rancore . »[4].

Spirando il vecchio colpisce Zeno sulla guancia: è un movimento irriflesso, una contrazione della morte, ma appare uno schiaffo e tale rimane nella coscienza del lio.

La storia del matrimonio. Zeno conosce Giovanni Malfenti "grande negoziante" ma soprattutto padre di Ada, Augusta, Alberta, Anna. Zeno decide che è giunto il momento di sposarsi, dopo molti tentennamenti si dichiara alla bellissima Ada, ma è respinto. Passa ad Alberta, nuovo fallimento, visto allora che Anna è ancora una bambina, ripiega sulla strabica Augusta. Il gioco sui quattro nomi che iniziano per A, lo scivolare di Zeno dall'una all'altra senza affetto, la fortuna che deriverà dalla più brutta Augusta teorizzano la dipendenza assoluta dell'uomo dal caso e il predominio delle convenzioni borghesi sull'amore. A Zeno infatti basta che Augusta prometta onestamente di assisterlo. In una buffa seduta spiritica nella quale Zeno approfitta del buio per sussurrare ad Ada che l'ama, con un soffio di voce Augusta risponde chiedendogli, perché da tanto tempo non era andato da lei. Ada sposerà Guido Speier, donnaiolo, irresponsabile, preteso violinista. Augusta e Zeno si sposano e Zeno lo spiega così « . All'altare dissi di sì distrattamente, perché nella mia viva compassione per Augusta stavo escogitando una quarta spiegazione al mio ritardo e mi pareva la migliore di tutte»[5].

La moglie e  l'amante. Augusta è la salute personificata, la continuità dell'esistenza, la sicurezza. « . Essa sapeva tutte le cose che fanno disperare, ma in mano sua queste cose cambiavano di natura . . La terra girava, ma tutte le altre cose restavano al loro posto . le ore dei pasti erano tenute rigidamente e anche quelle del sonno. Esistevano quelle ore, e si trovavano sempre al loro posto . »[6].

Zeno si tuffa fra le scritture contabili della azienda con rinnovato impegno, ma ben presto lo riprende l'incapacità di dedicarsi sul serio a qualcosa. Per sfuggire al tedio intreccia una relazione con la giovane cantante Carla. Zeno prima tradisce e poi annota questo tradimento come l'ultimo, come per l'ultima sigaretta. Carla lo abbandonerà per sposarsi con un pianista spiantato. Zeno medita un istante sul suicidio, ma ci vuole troppa volontà.

Storia di un'associazione commerciale. Zeno diventa socio di Guido (che in fondo odia, perché gli ha rubato Ada) e lascia tranquillamente che tutto vada in malora. Guido, affarista fallito, simulerà un suicidio per sfuggire ai creditori, e morirà . per sbaglio, per colpa di un dottore impreparato . della pioggia che ha cancellato un biglietto . cioè del caso. Zeno è protagonista di un lapsus freudiano; arriva in ritardo al funerale di Guido e per sbaglio segue un altro feretro. Per rendere a Guido un estremo omaggio, e perché nessuna macchia offuschi più il suo nome, Zeno si improvvisa uomo d'azione, gioca in Borsa al posto suo, recupera in solo cinquanta ore tre quarti delle perdite accusate da Guido. Quando si reca da Ada per comunicarle che non ha più da temere per il futuro, si stupisce che nella sua assenza al funerale, nella sua stessa vittoria in Borsa, ella legga il segno di un odio nei confronti di Guido. I suoi rimproveri fanno soffrire Zeno, ma per fortuna, a consentirgli di tornare in pace con se stesso è la «coscienza» che lo sorregge ancora mentre scrive, di non averli meritati, di essere stato per Guido un amico fraterno, di averlo «assistito» come sapeva e poteva. Zeno ormai ricco, speculando in borsa, senza sapere il perché ricomincia a sentirsi bene.

Psico-analisi. Con la "Storia di un'associazione commerciale" si è chiusa l'autobiografia che Zeno aveva scritto come preludio al trattamento psicoanalitico: riprende ora a scrivere, il 3 maggio 1915, dopo sei mesi di terapia, perché pensa che la scrittura sia l'unico sistema per dare importanza al passato e sfuggire al presente noioso. I paragrafi di quello che vuole essere per lui, ormai "un diario" sono datati nell'ordine 3/5/15 - 15/5/15 - 26/5/15 - 26/3/16.

3 Maggio 1915. Zeno esprime la sfiducia nei confronti della psicanalisi. Per cui la sua prima preoccupazione, scrivendo, è quella di negare le scoperte che dalla psicanalisi, tramite il dottor S., gli sono derivate. La psicanalisi lo ha costretto a vedere nel suo inconscio; ora Zeno deve riparare a quella presa di coscienza, non può abolirla per cui può solo svalutarla. La malattia scoperta dal dottor S. è il complesso di Edipo. «Avevo amata mia madre e avrei voluto ammazzare mio padre». «La miglior prova ch'io non ho avuto quella malattia risulta dal fatto che non ne sono guarito»[7].

15 Maggio 1915. Zeno constata, rallegrato, di non essere affatto guarito, perché si è messo alla prova e ha appurato come, malgrado l'età e contro il parere del medico S., sia ben vivo in lui uno dei sintomi primi della sua malattia; la tendenza a desiderare ogni donna incontrata per la via.

26 Giugno 1915. Zeno racconta di come incontrò la guerra durante una scamnata: l'impressione più forte di quel conflitto con milioni di morti è il rimpianto per un caffelatte non sorbito come di abitudine.

26 Marzo 1916. Zeno prima di chiudere il suo diario tiene a precisare che gode di ottima salute. A guarirlo sono state alcune fortunate  operazioni commerciali, legate allo stato di guerra che lo hanno indotto a un sentimento di forza, a una nuova fiducia in se stesso e soprattutto la verifica che la sua storia privata rispecchia una storia comune. La vita somiglia un poco alla malattia. Ritiene di essere guarito, anzi sano. Egli possiede l'unica salute possibile su questa terra, è l'accettazione della vita com'è, nella coscienza dei meccanismi che la muovono, nell'esperienza piena, diretta della malattia che la contamina. Zeno da un lato proclama la propria guarigione, dall'altro confessa «La vita attuale è inquinata alle radici. L'uomo si è messo al posto degli alberi e delle bestie e ha inquinato l'aria, ha impedito il libero spazio . Qualunque sforzo di darci la salute è vano . Questa non può appartenere che alla bestia che conosce un solo progresso, quello del proprio organismo» .

Svevo accenna ad un progresso che può essere tale solo per gli animali che si evolvono secondo natura conformando il proprio organismo al bisogno del momento, che non arrivano mai a ledere «la salute» di cui sono portatori. Al contrario il progresso dell'uomo che si affida agli ordigni (come strumenti materiali di offesa e di difesa, ma anche come "idee", mezzi intellettuali e morali di coercizione e dominio) coincide con un regresso. In questo senso l'uomo appare vittima degli ordigni da lui inventati, divenendo tramite di malattia, causa probabilmente, in un prossimo futuro, di un'immensa totale distruzione. Guarire è quindi solo comprendere la verità arida del gran vuoto della società e dell'anima. « . per lui la malattia fa parte del destino degli uomini, eppure dentro questa malattia è possibile amare la vita ed intenderla ed accettare e saper afferrare i piaceri che ogni attimo ci può dare. È una sorta di danza continua e in questo Svevo è profondamente nietzschiano e l'esperienza di Nietzsche è un'esperienza cruciale in questa concezione del personaggio sveviano. Segue Nietzsche perché in qualche modo Svevo compie con Zeno quello che Nietzsche chiamava "nichilismo compiuto" che significa che non solo i valori che stanno al di là della vita non hanno senso, ma si compie una sorta di capovolgimento dei valori: ciò che prima non era valore, era svalutato, invece diventa valore. Tutto questo serve a potenziare la realtà della vita, dell'esistenza, serve a dare spessore, a dare peso alla realtà vivente, alla dimensione del vivere»[9].










"La coscienza di Zeno": Continuazioni

Il successo arriva per Svevo, clamoroso, fra la fine del 1925 e l'inizio del 1926.

Artefici «palesi» della scoperta sono Montale in Italia e Larbaud e Crémeux in Francia, a seguito dei cui scritti sul «L'Esame» e su «Le Navire d'Argent», il nome dell'autore acquista risonanza a livello europeo. Ma il merito di aver creduto in lui, va al triestino Roberto Bazlen, intellettuale vivacissimo, che invia i tre romanzi in lettura a Montale e a J. Joyce, che interviene presso Larbaud e Crémieux perché prestino alla "Coscienza" la dovuta attenzione. Per Svevo fu il trionfo, la fama e la rivincita contro il passato.

Tra le sectiune sveviane sono rimasti anche i frammenti di un quarto romanzo, progettato dallo scrittore, «una continuazione di Zeno» come lo definisce egli stesso. Il titolo avrebbe dovuto essere probabilmente "Il vecchione" o "Le confessioni del vegliardo". Svevo riprende i motivi della "Coscienza" e di "Senilità" ma le sviluppa in una direzione più intimamente autobiografica. Ritornano così i motivi dell'amore, della relazione erotica, della malattia, dei rapporti difficili fra vecchi e giovani. La riflessione sulla memoria, per i vecchi esercizio obbligato, si accomna al pensiero della morte, della fine del viaggio, del «nulla» per sempre.
















Commento a "La coscienza di Zeno"

La composizione della "Coscienza di Zeno", iniziata nel 1919 si conclude, dopo tre anni, nel 1922, perché promossa da una travolgente ispirazione, è accomnata da ripensamenti che portano Svevo a distruggere, correggere, rifare. Il titolo non è solo un invito a leggere il libro, ma un segno preciso, il primo messaggio che il testo ci invia. Il termine "coscienza" non riesce a definire ciò a cui si riferisce, la parola coscienza ha mille significati e nessuno, va solo interpretata. La parola coscienza ricorre con frequenza non casuale nel romanzo, come consapevolezza, coscienza morale, attività psicologica, accesso alla coscienza.

Zeno è l'incarnazione suprema dell'inetto, antieroe, uomo senza identità, intellettuale privo di stimoli e di ideali, Charlot borghese ecc. Uno dei primi interpreti del romanzo, il critico francese Crémieux, afferma che «Zeno inciampa nelle cose» come Charlot. In effetti molte ine della "Coscienza di Zeno" avvicinano l'andamento e il ritmo ai films di Charlie Chaplin (1889-l977). Basti ricordare l'intera "commedia" matrimoniale di Zeno (cap. V) di cui alcune scene emblematiche, sono di una gag charlottiana, oppure l'incontro al bar con l'amico Tullio.

Tullio spiega a Zeno il tremendo congegno dei 54 muscoli per muovere la gamba. Zeno allora presta attenzione alla propria gamba e scopre in essa una macchina mostruosa. Da quel momento Zeno non riuscirà a coordinare i movimenti ed uscirà, zoppicando dal caffè, colpito dalla solita menomazione dell'amico.

In Svevo ci sono molti tratti tipici dell'uomo moderno: la percezione perturbante della lacerazione dell'io e della doppiezza umana, il ricordo insopprimibile della nostra lontana origine animale, il bisogno forte di autoanalisi, il valore liberatorio del riso e dell'umorismo.

Questo tipo di personaggio, che rappresenta l'uomo del Novecento, è spesso portato a contemplare e a riflettere più che ad agire. La grande intuizione di Sevo è stata quella di far incontrare uno di questi uomini troppo pensosi con il grande tema della psicanalisi. Il risultato però non è stato positivo, perché neanche la psicanalisi riesce ad aiutare l'uomo contemporaneo a guarire dalla nevrosi.

Zeno guarisce solo in quanto diventa completamente cosciente che la sua malattia è la malattia di tutto il mondo moderno e solo una totale autodistruzione potrà eliminarla. "L'occhialuto uomo" che ha inventato ordigni straordinari e potenti è votato, in una così fatta società, dominata dal profitto, all'autodistruzione e alla catastrofe finale. L'uomo contemporaneo, personificato da Zeno, frustrato e nevrotico, non ha più fiducia nella razionalità della storia e nella conoscibilità del reale. L'unica salvezza è ritagliarsi uno spazio tutto personale. « . è comunque possibile continuare a vivere con una sorta di precaria felicità, che si può raggiungere nei singoli momenti del proprio tempo, della propria storia»[10].

Zeno è capace di una grande ironia, rivolta non solo agli altri, ma anche a se stesso. L'ironia è anzi uno dei tratti più evidenti dello stile del romanzo.



Tecnica narrativa

Narrazione in prima persona. Zeno il personaggio protagonista narra in prima persona, più che i fatti, la propria visione dei fatti e più ancora la storia del proprio animo dentro i medesimi, muovendosi sui binari della memoria. È quel che si dice "romanzo analitico" che ha le sue radici in "Alla ricerca del tempo perduto" di Proust e la forma più alta in "Ulisse" di J. Joyce.

Una nuova concezione del tempo. «Il tempo misto» - La rievocazione dei fatti è continuamente riportata alla coscienza attuale del narratore Zeno. Il romanzo presenta due piani temporali diversi: quello della memoria (io raccontato) e quello dell'attualità (io che racconta e giudica). L'uso del tempo misto porta alla disgregazione dell'intreccio della narrazione lineare e cronologica degli avvenimenti, per cui si assiste alla continua intersezione dei piani del racconto e a frequenti trapassi temporali.

Disintegrazione del personaggio. Il personaggio è disgregato e frantumato, come è disgregato e frantumata è la realtà in cui si dibatte. Immerso nel vero tempo della coscienza, il personaggio perde ogni consistenza e ogni certezza, salvo per rifugiarsi, come fa Zeno, nella consapevolezza ironica e nella cinica saggezza di chi ha scoperto l'assurdità del reale e l'impossibilità, per l'uomo, di un'alternativa reale.

Uso modesto del monologo interiore. La confessione in prima persona, la necessità di far affiorare la realtà dalla coscienza portano Svevo all'uso del "monologo interiore" che si risolve in una sorta di discorso indiretto libero.




Malattia e salute

Malattia e salute assumono significati mutevoli lungo tutto il percorso del romanzo.

Malattia uno stato patologico individuale, quindi suscettibile di cure, in cui si trovano un complesso edipico non risolto, lapsus, tic, nevrosi, atti mancati, ecc.

Malattia

Una condizione di disadatta­mento che coincide con la «co­scienza», è malato chi si guarda, si analizza e vede il proprio di­sadattamento. Il ma­lato è un con­templatore.



Malattia

È una condizione universale di malessere e follia collettiva, tipici della società moderna, sconvolta da guerre, smanie distruttive, or­digni esplosivi, inquinamento, so­vrappopolazione.

Salute

È mancanza e silenzio della co­scienza; è sano e in salute chi non analizza se stesso e neppure si guar-da allo specchio. È sor­retto da un ottimismo acritico, è un "lottatore".

Salute

È accettazione dell'ordine costituito, delle istituzioni, delle convenzioni comuni, delle abitudini sociali e reli­giose.




Nel saggio "La teoria darwiniana" Svevo teorizza la separazione del mondo dei personaggi in due blocchi: sani e malati. Sani e malati sono categorie dinamiche, reversibili, perché i malati improvvisamente diventano attivi e i sani, invece, rimangono rigidi e incapaci di intendere quello che accade. I personaggi forti sono personaggi che hanno fortificato le armi per la vita, ma sono ormai condannati a non avere sviluppo. Gli inetti, privi di sviluppo sono quelli più pronti ad evolversi e quindi a trasformarsi secondo le necessità della realtà





Valenza della scrittura in Zeno

e rapporto autore - lettore - personaggio


Zeno attraverso la scrittura cerca di mettere ordine all'interno del caos della propria esistenza.


Rapporto autore - personaggio - lettore


Condividono la stessa ambiguità. Zeno mette in scena la propria vita, il lettore è chiamato ad assumere un atteggiamento di commento, analisi. Il testo è enigmatico con verità e bugie, il lettore deve separare ciò che è vero da ciò che è falso.


Tratto da: "Profilo storico della letteratura del Novecento", Angelo, ed. Meridies, 1999, pp. 14-l5-l6-l7.

"Lo scrivere male" di Svevo

Ha circolato fra i critici la questione secondo la quale Svevo «scrive male», egli non userebbe un vero linguaggio letterario, sarebbe poco ricercato e troppo elementare nello stile, ciò dipenderebbe dal suo essere troppo avvezzo a parlare in triestino e in tedesco.

In realtà lo stile di Svevo è qualcosa di particolare. Scarno e sobrio, spesso si avvicina «al parlato», si avvale di una sintassi elementare, costituita da frasi brevi e semplici e caratterizzate, talora, da apparenti salti di livello dovuti alla adozione del discorso indiretto libero e talora dal monologo interiore. Il lessico, essenziale e dimesso, è ricco di metafore e di similitudini, che tendono a produrre una forte concretezza espressiva. Frequente è l'uso, a scopo realistico, di termini "tecnici", medico scientifici e bancario-commerciali, di dialettalismi triestini e di calchi dal tedesco (come il frequente uso del passato remoto invece del passato prossimo o l'uso della preposizione «da» nell'accezione di «in»). La fusione di tutti questi elementi dà vita ad una sorta di plurilinguismo, una lingua semplice eppure composita.

Oggi la polemica sullo scrivere male di Svevo è superata e si può affermare che lo stile sveviano è funzionale alle necessità espressive dello scrittore.



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Giovanna BENVENUTI (a cura di), "La coscienza di Zeno", Principato Paravia, 1993, cap. III, p. 16.

Idem, cap. IV, p. 42.

Idem, cap. IV, p. 54.

Idem, cap. V, p. 134.

Idem, cap. VI, p. 141.

Idem, cap. VIII, p. 334.

Giovanna BENVENUTI (a cura di), La coscienza di Zeno, Ed. Principato Paravia, 1993, p. 358.

Angelo PORCARO, Profilo storico della letteratura italiana del Novecento, ed. Meridies, 1999, pp. 39-40.

Angelo PORCARO, Profilo storico della letteratura italiana del Novecento, ed. Meridies, 1999, p. 39.






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