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TRE FASI DELLA VITA DI MATTIA - SDOPPIAMENTO

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TRE FASI DELLA VITA DI MATTIA

C'è nelle varie vicende di Mattia Pascal un motivo di fondo, che le unifica e consiste nella sua condizione di forestiero della vita e nella mancanza di un rapporto positivo con la realtà. Questo fallimento si può constatare nelle varie fasi della vita di Mattia, ma nasce da cause differenti. In un primo tempo, quando egli ancora vive in famiglia la sua mancata realizzazione, la coscienza della propria crisi nasce dalle istituzioni sociali, quali il matrimonio e la famiglia e dalla sua funzione superflua di bibliotecario dove nessuno legge. In un secondo tempo, quando il personaggio è diventato Adriano Meis e si apre per lui un nuovo senso della vita per merito della dolce Adriana, la mancata realizzazione, la coscienza dell'estraneità derivano paradossalmente dal rovesciamento della motivazione iniziale e dipendono dal fatto che Adriano Meis non è inserito nelle istituzioni sociali, quindi non può agire in nessun senso, neppure possedere una cagnetta. La conclusione del romanzo risulta di un irriducibile pessimismo, perché secondo Pirandello non ci si salva né dentro le istituzioni del vivere associato né fuori, quindi in nessun modo è realizzabile una condizione di pienezza. Non resta, quindi, che una condizione di spettatore della vita, guardarla da escluso e tutt'al più scriverla, non potendola vivere: la vita infatti "o la si vive o la si scrive". Con "Il Fu Mattia Pascal", viene creato da Pirandello una specie di modello esemplare, che sarà sviluppato nella letteratura del novecento, che consiste in un uomo frustrato nel proprio desiderio di identità e straniero alla vita, incapace o impossibilitato a determinarla, quindi inetto e nella quale il caso gioca un ruolo determinante. Questa atteggiamento in Mattia Pascal si risolve nel vedersi vivere, in una sorta di sdoppiamento prodotto da un eccesso di riflessione e dalla consapevolezza della frattura che c'è tra vivere e coscienza del vivere.




SDOPPIAMENTO

Nella prima ina, ricordando la vita trascorsa, non può fare a meno di ricordare che l'unica certezza fin dalla gioventù è stata per lui l'identità anagrafica. L'episodio della collutazione tra la zia Scolastica e la vedova Pescatore è come un lampo abbagliante, che rivela a Mattia se stesso e finalmente si vede vivere e una gaiezza ironica comincia ad imvaderlo, facendogli conoscere il gusto di ridere delle proprie sciagure. Così Mattia comincia ad acquistare coscienza di sé, ad avvedersi criticamente del suo stato di un uomo inventato, di un doppio, costretto ad una falsa esistenza. La vita nuova di Mattia Pascal sta dunque per cominciare, ma è incalzata da funerei auspici, che culminano nella lettura della notizia della propria morte, vera almeno per gli altri. Il nuovo Adriano Meis fin dal primo tentativo di cambiare per prudenza i connotati di Mattia, scopre un'immagine di se stesso dimenticata e sgradevole, perciò il tentativo di evadere dal passato rivela subito la sua illusorietà di fronte allo specchio del barbiere, perché il nuovo Adriano ha le fattezze incresciose, che per tanti anni Mattia aveva cercato di nascondere. Esaurita l'euforia del mascheramento e dell'anonimato, la sua condizione di frustrato si ripropone immutata ed egli sente la necessità di vivere soltanto con sé, senza incrociare la vita degli altri, così si scopre forestiero della vita e condannato a non viverla. Il caso ha solo momentaneamente deviato il corso dell'esistenza e, alla fine, Mattia si ritrova come all'inizio del romanzo, ma dopo aver subito un'irreparabile perdita, quella della propria identità. Il terzo Mattia Pascal rappresenta un uomo senza qualità, abbandonato e solo in una condizione quasi ascetica di distacco, scandita solo dalle visite al cimitero.


UMORISMO

L'estraneità di Mattia dalla massa dei suoi simili è evidente in quella attitudine a ridere di fronte alle sciagure ed è rafforzata da una caratteristica fisica, dall'occhio, che tende a guardare per conto suo altrove, offrendo un'altra prospettiva della realtà. L'autore, quindi, trasforma il difetto in segno di forza, per rilevare la presenza di una capacità di auto-riflessione. L'inettitudine di Mattia concerne soltanto la capacità negli affari, mentre gli lascia il pieno esercizio di certe doti naturali, infatti ha un aspetto galante, nonostante l'occhio strabico, tale da far colpo sulle donne e una gagliarda vigoria erotica, che fa di lui un pronto datore di vita, disposto a colmare anche le deficienti virtù procreative del suo disonesto fattore. La cattiva sorte negli affari è ormai un qualcosa di cui si può ridere, anche perché ci pensa il caso a porre rimedio. Mattia non ha usato prudenza nella scelta della mogli, portando via all'amico Pomino la donna che lui amava e ora non tardano a farsi sentire i problemi e così fugge dalla famiglia, forse con l'intento di ritornare pentito. In questa circostanza l'autore soccorre benevolmente il protagonista, facendogli cadere dall'alto una favolosa vincita al casinò e la sua presunta morte. A questo punto la soluzione più giusta e naturale sarebbe il ritorno in famiglia dell'eroe per smentire subito la notizia del suo suicidio e riaffermare la propria presenza fra i viventi. Ma Pirandello si allontana dalla tradizione e ricerca l'originalità, infatti Mattia ha il coraggio di compiere un ribaltamento, venendo, però, cancellato dal registro dei vivi. Si sottopone perfino ad un'operazione chirurgica per far sparire l'occhio strabico e chiudere col passato. Ma Adriano non può sposare la donna che ama, perché per lo stato civile egli non esiste, così non gli resta che riaffidarsi alla simulazione del suicidio e tornare al punto di partenza.




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