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Vesuvio - Eruzione del 79 d.C.

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Vesuvio - Eruzione del 79 d.C.

Origini del nome

Nell'antichità il Vesuvio era ritenuto consacrato all'eroe semidio Ercole, e la città di Ercolano, alla sua base, prendeva da questi il nome, così come anche il vulcano, seppur indirettamente.

Ercole infatti era ritenuto essere il lio del dio Giove e di Alcmena, una donna di Tebe. Uno dei nomi di Giove era Υης (Ves). Veniva così chiamato per essere il dio della pioggia. Così Ercole divenne Υησουυιος (Vesouuios), il lio di ves.

Stato iniziale

Il Vesuvio non apparve sempre come un vulcano attivo. Per molti secoli fu un monte tranquillo. Scrittori antichi lo descrissero coperto di orti e vigne, eccetto per l'arido culmine.

Fra un grande cerchio di dirupi quasi perpendicolari c'era uno spazio piatto sufficiente ad accampare un'armata. Si trattava senza dubbio di un antico cratere, ma nessuno a quei tempi sapeva niente della sua storia. Di questo cratere oggi sopravvive solo un settore, denominato Monte Somma.

Così, non conoscendosi la sua natura vulcanica, la fertilità dei terreni circostanti favorì gli insediamenti osci e sanniti di Stabia, Pompei ed Ercolano, i cui abitanti non nutrivano alcun sospetto sul rischio potenziale dell'area.



Il monte aveva avuto, nel 73 a.c. il suo quarto d'ora di notorietà, grazie a Spartaco e ai suoi seguaci che, nei loro vani tentativi di sfuggire alle legioni romane, si rifugiarono sul Vesuvio.

Incidentalmente, gli schiavi riuscirono a sottrarsi alla cattura, rinviando l'esito cruento della loro rivolta: utilizzarono i tralci delle viti che ricoprivano le pendici del monte per fabbricare scale con le quali fuggirono per l'unico passaggio non sorvegliato perché impervio.

Carta storica del Vesuvio - 1888

Stampa del Vesuvio visto da Pompei - 1900

Nel 63 gli abitanti subirono un primo colpo: la montagna si scosse violentemente e un gran numero di case vennero distrutte dal terremoto. Il successivo periodo di tranquillità favorì la ricostruzione degli edifici crollati. La vita riprese a scorrere ordinata e tranquilla in quelle terre che, ormai stabilmente inserite nel ben strutturato sistema imperiale, si potevano ritenere al riparo da qualsiasi minaccia esterna.

Le abbondanti reliquie di quel periodo sono tipiche di ricche, operose cittadine di provincia, lontane tanto dal fasto e dal rumore dell' Urbe che dall'atmosfera raffinata e decadente della greca Neapolis, pur vicinissima.


Ma venne il 24 agosto 79 e su Stabia, Pompei e Ercolano si scatenò il finimondo.

Plinio il vecchio quel giorno era al suo posto di comando della flotta romana dislocata a Miseno. La sua famiglia era con lui, e, tra gli altri, suo nipote, Plinio il giovane, ci ha lasciato un'interessante testimonianza su ciò che successe. Egli osservò una nube molto densa elevarsi in direzione del Vesuvio, della quale scrisse:

Non posso darvi una descrizione più precisa della sua forma se non paragonarla a quella di un albero di pino; infatti si elevava a grande altezza come un enorme tronco, dalla cui cima si disperdevano formazioni simili a rami. Sembrava in alcuni punti più chiara ed in altri più scura, a seconda di quanto fosse impregnata di terra e cenere.

Vedendo questa notevole apparizione, Plinio il vecchio, grande naturalista e, ovviamente, attento all'osservazione di fenomeni insoliti, fece approntare una nave per andare a vedere più da vicino cosa stesse avvenendo, e offrì al nipote l'opportunità di accomnarlo. Plinio il giovane che preferì restare a casa a studiare, nelle già citate lettere, a Tacito, descrive anche la fine dello zio.

Questi, infatti,aveva ricevuto, nel frattempo, una lettera da Ercolano dalla moglie di Cesio Basso, Retina che chiedeva aiuto non avendo altro scampo che per mare.

La missione da scientifica si trasformò quindi in soccorso: Plinio, comandante della flotta di Miseno, ben conosceva il litorale vesuviano dove erano le residenze di numerosi amici. Altre navi furono quindi fatte salpare verso quelle spiaggie.

Mentre si stava perciò dirigendo verso Ercolano ai piedi della montagna,la nave fu investita da una pioggia di cenere rovente, che diveniva più intensa e calda quanto più si avvicinava, cadendo, insieme a grumi di pomice e roccia nera e rovente.

Una grande quantità di frammenti rotolava giù dalla montagna, agglomerandosi sempre di più. Il mare, poi, iniziò a ritirarsi, rendendo impossibile l'approdo. Plinio, pertanto, si diresse verso Stabia e lì approdò, facendosi ospitare da Pomponiano (Pomponianus), un suo vecchio amico.

Nel frattempo, le fiamme scaturivano da ogni parte della montagna con grande violenza - l'oscurità non faceva altro che aumentare il loro splendore. Nonostante tutto, Plinio decise di riposare. Ma presto la zona si riempì di lapilli e ceneri; i suoi servi lo svegliarono, e lui raggiunse Pomponiano e la famiglia.

La casa tremava per le forti scosse di terremoto e, nel frattempo,lapilli e ceneri continuavano a piovere all'esterno. Valutati i rischi tutti pensarono che fosse più sicuro uscire all'aperto proteggendosi la testa con cuscini. Anche se era ormai giorno, l'oscurità era più profonda della notte più nera.

Plinio, persona di complessione robusta e asmatica, dopo aver bevuto acqua fredda, si stese su una vela che era stata distesa per lui ma, quasi immediatamente, la lava, preceduta da un forte odore di zolfo lo obbligò ad alzarsi. Con l'aiuto di due servi ci riuscì, tuttavia, soffocato dai vapori tossici, morì istantaneamente. Il corpo, rintracciato dopo tre giorni, 'sembrava di persona che dormisse'.

In un'altra lettera a Tacito, Plinio il giovane si sofferma invece su quanto accadde a Miseno, dove era restato con la famiglia.

Si tratta di una descrizione altamente drammatica, in specie nella rafurazione della 'notte' che calò sull'abitato (che, va ricordato, è situato all'estremo opposto rispetto alla costa vesuviana).

Infatti, Plinio è molto preciso e puntualizza che furono avvolti da una notte che non era una notte illune o nuvolosa ma il buio di una stanza chiusa e senza la minima luce (si era in pieno giorno..). Ci si muoveva, ricorda, in questo buio fitto, liberandosi di continuo dalle ceneri calde che cadevano ininterrottamente e che, altrimenti avrebbero sommerso le persone.


La distruzione di Pompei ed Ercolano

Ricostruzione digitale del giorno della ssa di Pompei

Non fu solo,Plinio, nella sua morte; poiché, anche se molti degli abitanti delle città vesuviane furono in grado di trovare una via di fuga, l'improvvisa e sopraffacente pioggia di cenere e lapilli fece si che non pochi di loro perirono nelle strade. Se consideriamo l'efficace narrazione succitata che si riferisce a località site a distanza di sicurezza, è immaginabile quel che si verificò alle pendici del vulcano.

Le città stesse svero alla vista, sepolte sotto almeno 6 metri di materiali eruttivi, e come molte altre cose, con il passare del tempo, furono sepolte anche nella memoria.

Le desolate distese che avevano visto la vita vivace e ricca, ora erano evitate e oggetto di terrori superstiziosi. Per molti secoli restarono completamente dimenticate.

Oggi, peraltro, grazie anche a studi ati con vulcani simili al Vesuvio, si sono chiariti numerosi aspetti di quell'eruzione che, ben descritti da Plinio il giovane, erano stati considerati viziati da eccessiva fantasiosità.

In particolare, le caratteristiche diverse dei fenomeni che interessarono Pompei e Stabia rispetto ad Ercolano: le prime furono sommerse da una pioggia di cenere e lapilli che, salvo un intervallo di alcune ore (trappola mortale per tanti che rientrarono alla ricerca di persone care e oggetti preziosi), cadde ininterrotta.

Ercolano, non fu investita nella prima fase, ma quasi dodici ore dopo, e, sino alle recentissime scoperte, si era pensato che tutti gli abitanti si fossero posti in salvo. Diversa fu la natura dei fenomeni che interessarono questo piccolo centro, molto più elegante e raffinato delle commerciali Pompei e Stabia.

Infatti, il gigantesco pino di materiali eruttivi prese a collassare e, per effetto del vento, un'infernale mistura di gas roventi, ceneri e vapor acqueo, investì l'area di Ercolano. Coloro che si trovavano all'aperto ebbero forse miglior sorte, vaporizzati all'istante, di chi trovandosi al riparo ha lasciato tracce di una morte che, pur rapida, ebbe caratteristiche tremende. Il fenomeno è oggi conosciuto come 'nube ardente' .


Aspetto della montagna prima e dopo l'eruzione

Il Vesuvio era stato sottoposto a un grande cambiamento. La sua cima non era più piatta, ma aveva acquisito una forma conica, dalla cima della quale ascendeva un denso vapore. Questo cono, determinato dalla fortissima spinta del materiale eruttato,ha letteralmente sfondato il precedente cratere per 3/4 circa della sua circonferenza. Ciò che residua dell'antico edificio vulcanico in seguito prese il nome di Monte Somma. L'insieme di foreste, vigne e vegetazione lussureggiante, che ricopriva la parte del fianco del Vesuvio, dove avvenne l'eruzione, fu distrutto. Niente poteva essere più impressionante del contrasto tra lo stupendo aspetto della montagna prima della catastrofe, e la desolazione presente dopo il triste evento. Questo rimarcabile contrasto fornì il soggetto a uno degli epigranni di Marziale, Lib. IV. Ep. 44. Che suona all'incirca così:

Ecco il Vesuvio, poc'anzi verdeggiante
di vigneti ombrosi,
qui un'uva pregiata
faceva traboccare le tinozze;
Bacco amò questi balzi
più dei colli di Nisa,
su questo monte i Satiri in passato
sciolsero le lor danze;
questa, di Sparta più gradita,
era di Venere la sede,
questo era il luogo rinomato
per il nome di Ercole.
Or tutto giace sommerso
in fiamme ed in tristo lapillo:
ora non vorrebbero gli dèi
che fosse stato loro consentito
d'esercitare qui tanto potere.

Dall'eruzione del 79 D.C., il Vesuvio ebbe molti periodi di attività alternati a intervalli di riposo. Nel , scagliò una tale quantità di ceneri, che si sparsero per tutta Europa e riempirono di allarme perfino Costantinopoli. Nel si ebbe la prima eruzione con fuoriuscita di lava. Questa eruzione fu seguita da altre cinque, l'ultima delle quali avvenne nel . A queste fece seguito un lungo riposo di circa 130 anni, durante il quale la montagna si coprì nuovamente di giardini e vigne come in precedenza. Anche l'interno del cratere si ricopri di arbusti.


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