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Analizza e commenta la seguente lirica di Guglielmo d'Aquitania:
Nella dolcezza della primavera
I boschi rinverdiscono, e gli uccelli
Cantano, ciascheduno in sua favella,
Giusta la melodia del nuovo canto.
E tempo, dunque, che ognuno si tragga
Presso a quel che più brama.
Dall'essere che più mi giova e piace
Messaggero non vedo, né sigillo:
Perciò non ho riposo né allegrezza,
Né ardisco farmi innanzi
Finché non sappia di certo se l'esito
Sarà quale domando.
Del nostro amore accade
Come del ramo di Biancospino,
Che sta sulla pianta tremando
La notte alla pioggia e al gelo,
Fino al domani, che il sole s'effonde
Infra le foglie verdi sulla fronda.
Ancora mi rimembra d'un mattino
Che facemmo la pace tra noi due,
C che mi diede un dono così grande:
Il suo amore e il suo anello.
Dio mi conceda ancor tanto di vita
Che il suo mantello copra le mie mani!
Io non ho cura degli altrui discorsi
Che dal mio Buon-Vicino mi distacchino;
Delle chiacchiere so come succede
Per picciol motto che si profferisce:
Altri van dandosi vanto d'amore,
Noi disponiamo di pane e coltello.
La poesia che sto per prendere in considerazione è un testo che contiene tutti gli elementi caratteristici della lirica cortese.
Ci troviamo agli albori, in Europa, di una letteratura in lingua volgare, che ha le sue prime manifestazioni in Francia con i cicli narrativi e cavallereschi in lingua d'oïl, fioriti nel nord del Paese, e con la poesia in lingua d'oc, diffusa nel sud, specialmente in Provenza. La Francia, in tal modo, anticipa quella che sarà in seguito un'esperienza anche di altri paesi europei, cioè la tendenza sempre meglio affermata verso l'uso della lingua volgare, sia nella comunicazione pratica, sia nella scrittura a fini artistici.
L'area geografica della Provenza e delle regioni circostanti si caratterizza per una ricca produzione lirica che raggiunge notevoli livelli di elaborazione tecnica e formale.
L'amor cortese è il tema prescelto da quasi tutti i poeti provenzali ed è anche il contenuto del testo di Guglielmo d'Aquitania in questione. Esso si compone di cinque strofe, nelle quali il poeta si esprime in prima persona, come avviene normalmente nella poesia lirica, che è quella in cui si manifesta l'interiorità del soggetto, i suoi stati d'animo e si suoi sentimenti.
L'apertura è una serena descrizione di una paesaggio primaverile, dominato dalla dolcezza del canto degli eccelli e dalla rifioritura dei boschi; l'armonia che regna nella natura è un invito all'armonia anche per il mondo umano: "è tempo che ognuno si tragga presso a quel che più brama".
Mettere a confronto il rinverdire della stagione con la rinascita dei desideri amorosi non sembra una cosa molto originale; è un accostamento che ci lascia quasi indifferenti, tanto lo consideriamo ovvio e consueto. Dobbiamo però tener conto che l'idea di originalità, che è importante per noi, non lo era per i poeti dei secoli passati, per i quali l'abilità di un compositore consisteva nel sapersi adeguare ad un modello già dato, più che nel creare cose nuove. Il poeta poteva certo anche portare qualche innovazione, ma entro schemi codificati.
Dopo l'apertura ,l'autore confessa la sua pena d'amore: non ha ricevuto alcun messaggio, né alcuna lettera "dall'essere che più gli giova e piace", cioè dalla sua donna. Ciò è fonte di ansia e toglie all'innamorato il suo riposo e la sua allegria. Si tratta di situazioni tipiche nella psicologia amorosa: quando la persona amata è lontana, l'amante si sente debole e smarrito; vorrebbe farsi avanti, lanciare la sua proposta alla donna, ma gli manca il coraggio, non ha la certezza che la risposta di lei sia quella sperata. Lei, la donna, è posta su un piano molto alto, sembra un essere irraggiungibile e all'innamorato non resta che sentirsi inferiori, come un suo servo.
Non è difficile vedere in questo un rispecchiamento della società feudale nella quale il testo si colloca. Il feudalesimo è basato su una precisa gerarchia sociale, che regola i rapporti tra gli individui; e come il vassallo è sottomesso al suo signore, così l'amante si pone nei confronti della donna, conurata proprio come "domina", cioè signora e padrona.
Questa concezione dell'amore è oggi largamente superata, in quanto l'evoluzione dei tempi ci ha portati verso l'uguaglianza tra uomo e donna e, all'interno della coppia, i due ruoli vengono posti sullo stesso piano. Resta vero però che ciascuno di noi quando è realmente innamorato di una persona tende a idealizzarla e a vedere in lei ogni perfezione; questo fa sì che di fronte all'altro ci si possa benissimo sentire in qualche modo "inferiori".
La parte centrale della lirica è costituita da una similitudine: l'amore è come un ramo di biancospino, che soffre il freddo durante la notte, ma si ricrea nelle ore diurne quando torna a splendere il sole. Tutti sanno che l'amore è fatto spesso di momenti esaltanti a cui si alternano momenti di depressione. L'amore non è certo un sentimento monotono, oscilla spesso tra felicità e tristezza, tra calore solare e gelo notturno.
Nella penultima strofa l'autore lascia spazio ad un lieto ricordo e rievoca un mattino in cui i due amanti fecero la pace e si comunicarono il loro amore tramite un rito: la donna pone il suo mantello sulle mani dell'innamorato. Si tratta evidentemente di un simbolo che esprime unione, amore e fedeltà; l'augurio del poeta è che durino il più a lungo possibile.
Incombe un pericolo sull'amore: l'invidia degli avversari e dei maldicenti; è bene dunque che nessuno conosca il nome della donna oggetto d'amore. Ma come parlare di lei allora? Ricorre ad un "senhal", ad una designazione cifrata dell'identità di lei.
Guglielmo d'Aquitania conclude la sua lirica con ottimismo: non teme che i discorsi malevoli possano allontanarlo dal suo "Buon-vicino"; se gli altri vogliono vantarsi di amori irreali, egli sa che "dispone di pane e coltello", cioè non gli manca nulla ed è contento del suo stato di uomo che ama.
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