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TRADIZIONI NATALIZIE

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TRADIZIONI NATALIZIE


Il Natale è la festa religiosa con cui la chiesa celebra la nascita di Gesù Cristo.

Se come fatto storico essa è acquisita, non si è tuttavia ancora pervenuti a decisive conclusioni circa l'anno e il giorno del mese in cui essa è avvenuta.

La festa fu introdotta nel mondo romano tra la fine del sec. III e l'inizio del IV e da qui si diffuse anche in Oriente, in coincidenza con le lotte dell'arianesimo che provocarono da parte dei cattolici una più ardente venerazione verso il lio di Dio.



Il ciclo natalizio, che comprende un periodo di dodici giorni   ( da Natale all'Epifania ), presenta riti comuni alle altre feste di inizio anno e riti particolari, nuovi o rinnovati, in rapporto al significato assunto in clima cristiano.

L'antica festa del fuoco del solstizio d'inverno sembra sopravvivere nell'usanza, largamente diffusa in Europa   ( specialmente in Italia, Francia, Inghilterra e Germania ) del ciocco di Natale.

Le descrizioni che ci provengono dai vari paesi confermano il valore profilattico e propiziatorio universalmente attribuito al rito e ne fanno riconoscere l'originario carattere agrario.

In Umbria si fa ardere un grosso ceppo di olivo fino al giorno degli innocenti, e se ne sparge poi la cenere nei campi e nelle vigne pronunciando parole augurali.

I contadini romagnoli, nella vigilia di Natale, incendiano un grosso ceppo ( chi brucia il più grosso, ammazzerà il più grosso maiale ), che deve ardere tutta la notte, e talvolta sino all'Epifania; la mattina di Natale spargono nel vigneto i carboncelli spenti, sementa di grazie, e conservano gli avanzi nel tronco bruciato, per scongiurare la grandine e i temporali.

Così nelle valli del Sieg e del Lahn, in Germania, fino a circa la metà del secolo scorso, il ceppo di Natale, costituito da un pesante blocco di quercia, ardeva nel focolare tutto l'anno, e le sue ceneri si spargevano nei campi, durante le dodici notti tra Natale ed Epifania, per stimolare la crescita delle messi.

In Provenza, come dichiarava uno scrittore del sec. XVII, il ceppo di Natale ( chiamato tréfoir ) aveva la virtù, se messo sotto il letto, di proteggere la casa da incendi e fulmini per tutto l'anno e di guarire il bestiame da varie malattie, mentre le sue ceneri, sparse sui campi, impedivano che il grano si ammuffisse.

In molte parti della Francia e dell'Inghilterra tuttora il ceppo carbonizzato protegge la casa non solo dai fulmini bensì anche dalle stregonerie.

La virtù di cacciar via le streghe si attribuisce anche al vischio e al ginepro in Italia.

Tra i serbi si crede che il ceppo, che è di solito un blocco di quercia, ma talvolta di olivo o di betulla, protegga il raccolto dalla grandine; in Albania che le ceneri di quel fuoco rendano i campi più fertili.

Vi sono, poi, credenze e usanze che provano come la tradizione del ceppo si sia cristianizzata, assumendo un significato simbolico.

A una caratteristica comune a tutte le feste d'inizio d'anno o di stagione si riportano i prodigi che si crede avvengano nella notte di Natale, durante la quale si ritiene che gli elementi della natura acquistino poteri straordinari e le forze malefiche diventino più attive.

Così è diffusa credenza che a mezzanotte, che si fa coincidere con l'ora della nascita di Gesù, gli alberi rifioriscano, gli animali parlino nelle stalle, oro e miele scorrano nei fiumi e nelle fontane: chi però assistesse a tali prodigi morirebbe sull'istante.

I doni sono d'obbligo a Natale, come nelle altre principali feste d'inizio d'anno o di stagione, in quanto sono segni augurali di prosperità per tutto l'anno.

Tale valore viene accresciuto dal concetto di rinascita assegnato alla festa ana del Solis invicti e, quindi, alla festa cristiana della nascita di Cristo.

Da qui lo scambio dei doni, che tende a rinnovare o rafforzare legami sociali, in un tempo festivo comune, aldilà del consueto rapporto che il dono instaura fra donatore e beneficiario come atto di obbligazione o di disobbligazione ( M. Mauss ).

Babbo Natale, la cui tradizione è parecchio diffusa in Italia, altro non è che la personificazione di questo rito, e va collegato con personaggi simili, quali S. Nicola e la Befana.

In Sicilia chi porta i doni è la vecchia di Natali, un fantoccio, talvolta un monello, camuffato da donna, che la sera della vigilia di Natale viene portato in giro, fra strepiti, urli e suoni di corni e campanacci.

In Sa e in Danimarca i doni vengono fatti recapitare alle persone cui sono stati destinati in modi strani e furtivi da speciali messaggeri, talvolta a cavallo e mascherati per non farsi riconoscere.

Spesso il 'Juleklap', come viene chiamato il dono natalizio in Sa, è accomnato da versetti mordaci e consiste in un oggetto allusivo a qualche difetto del destinatario che si vuol mettere in burla: l'elenco satirico accresce, in questi casi, il valore propiziatorio della strenna.

In molti paesi d'Europa, specie del centro-nord, i doni sono appesi all'albero, che rappresenta il centro rituale della festa con lo stesso valore propiziatorio dell'albero di Maggio.

L'origine della costumanza dell'albero è meno antica di quanto si credesse, ma è da collocare, comunque, in Alsazia, donde provengono testimonianze del sec. XVII riferentisi a usanze della città di Strasburgo.

L'uso fu introdotto a Parigi nell'800 presso le classi aristocratiche, penetrò, quindi, in Italia, Danimarca, Sa, Norvegia, Russia, e trasmigrò persino in America.

Assai diffusa nell'Europa meridionale è l'usanza del presepe.

Legata al senso di partecipazione collettiva del festivo e al valore socializzante della festa di Natale è la speciale, ricca e svariata confezione ed esibizione di cibi e dolci natalizi, alcuni dei quali, come agnello, capitone e anguille, sono dapertutto rituali, altri, come rami di meli in Sicilia, mustazzoli di zucchero in tutta l'Italia meridionale, sono altrettanto tradizionali per il significato simbolico degl'ingredienti o per le forme augurali di fiori o animali che assumono: tutti sono segni di un festivo collettivo in cui il pranzo comune è momento di aggregazione e di godimento alimentare.

Ai primi secoli delle letterature volgari risalgono i canti popolari sul Natale.

In Italia il tema della natività di Cristo ha ispirato numerose laudi e sacre rappresentazioni: i più antichi testi risalgono al Quattrocento; ma è nel sec. XVII che la rappresentazione natalizia ebbe la maggior diffusione in Italia, favorita dall'uso della stampa, arricchendosi di narrazioni fantastiche e di personaggi nuovi, qual è quello della zingara che dal teatro profano passò in quello sacro con il ruolo di profetessa della venuta di Cristo.

La poesia popolare religiosa italiana comprende, tuttora, un notevole gruppo di brevi componimenti lirico-narrativi, di probabile origine siciliana, che in forme semplici svolgono episodi relativi alla natività e infanzia di Gesù, e si cantano come ninne-nanne.

Grande e vario è, infine, il repertorio di canzoni tradizionali, di contenuto religioso misto a profano, che comnie di giovani, eredi di antiche associazioni, mascherandosi in taluni paesi ( Romania e Bulgaria ) con pelli di animali e ornandosi di campanelli usano cantare di casa in casa nelle visite compiute a scopo di questua nella notte di Natale.





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