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Hubert van Eyck



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Il contesto


La regione delle Fiandre viveva, nel XV secolo, uno dei più gloriosi momenti della sua storia. Gli intensi scambi commerciali, la diffusa ricchezza, l'elevazione del tono economico delle classi, la facilità dei traffici riconducono l'arte stessa verso il fasto e le forme esteriori del benessere: mentre l'artista medievale, sotto le sollecitazioni di una civiltà prevalentemente teocentrica, era impegnato ad esprimere una visione tutta interiore, il linguaggio corrente della nuova società borghese è fatto di esteriorità: damaschi, tappeti, broccati, perle, metalli preziosi.


La vita


Dei due fratelli Hubert e Jan van Eyck, soltanto il secondo ha la consistenza viva e tangibile delle persone storiche.




IL MISTERO DI HUBERT


Il nome del più anziano Hubert van Eyck è legato a pochissime testimonianze, o insignificanti, o discutibili, o fantasiose. Gli "hubertisti" si attaccano a quattro documenti d'archivio della città di Gand, che si riferiscono a amenti e diritti vari relativi a lavori di scarsa importanza: in tre di essi ricorre il nome ora di Lubrecht, ora di Ubrecht, ora di Huberechte, senza alcuna designazione di famiglia; il quarto, un documento riguardante l'imposta sull'eredità ata dai suoi eredi, riguarda un Lubrecht van Heycke, morto il 18 settembre 1426, di cui non si conosce nemmeno la professione.


Il più grande mistero riguarda la famosa quartina scritta sulla cornice esterna del Polittico di Gand:


"ubertus eyck maior quo nemo repertus

incepit pondusq iohannes arte secundus

iodici vyd prece fretus

uersu sexta mai vos collocat acta tueri


(«Uberto Eyck, al quale nessuno finora è stato trovato superiore, cominciò questo lavoro, Giovanni, secondo nell'arte <lo portò a compimento> per la preghiera di Iodocus Vyd. Il 16 maggio <di questo anno 1432> vi mette di fronte all'opera».)


Il Renders, il più fiero fra gli avversari della sua autenticità, la considera opera degli umanisti di Gand: essa fu dipinta a olio sulla cornice (il Polittico è dipinto "al giallo d'uovo") non prima del 1600; nel 1621 la quartina fu fatta sparire - non si sa perché - sotto un denso strato di colore verdastro; nel 1823 il Waagen la riportò alla luce.


I difensori dell'autenticità - Hulin de Loo, Leo van Puyvelde, Beenken, Baldass - ritengono invece che l'iscrizione sia un invito all'inaugurazione dell'opera, e ciò non avrebbe alcun significato se non fosse contemporanea al quadro; la grafia, poi, corrisponderebbe a quella in voga nel '400. Il problema più grosso per coloro che considerano l'iscrizione inoppugnabile è quella di discriminare l'opera dei singoli fratelli nel Polittico e di riconoscere, nei quadri vaneyckiani, le caratteristiche dell'arte di Hubert.


Ma l'esistenza storica e la fama artistica di quest'ultimo sono legate ad un filo troppo sottile; come mai Filippo il Buono, quando cercava un pittore di genio, non ha preso al suo servizio Hubert "maior quo nemo repertus", ma Jan, dichiarato "arte secundus" dalla quartina? Né è trascurabile il fatto che nessun quadro porti la sua firma.



JAN VAN EYCK


Mancano documenti precisi che attestino la data ed il luogo di nascita di Jan van Eyck: molti studiosi tendono a fissare la città di Maaseik, vicino a Maastricht, nel Limburgo, una provincia dell'attuale Belgio nord-orientale, per quanto riguarda il luogo e il 1390 per quanto riguarda la data.


Il fatto che l'artista sia nato nella suddetta regione si deduce da tre fattori:

dalle testimonianze di Lukas de Heere e di Carel van Mander, poeti e pittori successivi di Gand (il primo, in particolare, celebra in una sua Ode risalente al 1565 Jan, il presunto fratello e addirittura una presunta sorella, anch'ella pittrice; probabilmente de Heere si confondeva con l'omonima moglie Margaretha);

dalla fioritura artistica della zona in questo periodo;

dal fatto che Jan annoti i margini del disegno preparatorio del ritratto del cardinal Albergati in basso dialetto tedesco.


L'anno di nascita è, invece, dedotto dal fatto che un documento del 1422 lo definisce "maestro": un appellativo che, per le norme in uso nei Paesi Bassi all'epoca, non avrebbe potuto essergli attribuito se avesse avuto meno di venti o venticinque anni.

Non c'è nulla di certo riguardo all'infanzia e all'adolescenza di van Eyck. Probabilmente la sua educazione pittorica ha avuto luogo nell'ambiente dei fratelli Limbourg (Pol, Hermant e Jehannequin de L. erano noti miniatori belgi, fra i più importanti di ogni tempo). Negli anni 1415-l417 sembra aver eseguito con il fratello Hubert cinque miniature dal Libro delle Ore di Torino e Milano, le prime tre delle quali andarono distrutte in un incendio del 1904 - buone fotografie erano state per fortuna scattate prima del disastro -, mentre le altre due sono conservate alla Pinacoteca di Torino e sono le uniche opere autentiche dell'artista esistenti in Italia. C'è chi data le miniature posteriormente (1420-l425), a causa dei tratti arcaici e dalla presenza in una scena del duca Guglielmo VI, fratello di Giovanni di Baviera.


Solo a partire dal 1422 la documentazione biografica si fa sempre più dettagliata e precisa. Dal 24 ottobre 1422 all'11 settembre 1424, egli lavora a L'Aia al servizio di Giovanni di Baviera, già vescovo di Liegi e dal 1419 conte di Olanda e Zelanda: riceve regolari stipendi ed è nominato valet de chambre. Dalle fonti si apprende che Jan è a capo di un atelier, dal momento che opera dapprima con un assistente e poi con due, ma le opere ricordate esplicitamente non ci sono pervenute.


Morto il Conte il 5 gennaio 1425, Jan entra al servizio di Filippo III il Buono, duca di Borgogna, che aveva sentito celebrare il talento dell'artista e che aveva anche avuto modo di apprezzarne personalmente l'ingegno; con il decreto speciale del 19 maggio 1425 viene nominato pittore di corte e di nuovo valet de chambre ed è condotto a Bruges. La sua residenza passa a Lilla.

In realtà, fu più di un pittore di corte: dotato di intelligenza vivace e di ampia cultura (uno storico del tempo, il Facio, lo definisce "litterarum nonnihil doctus, geometrie praesertim, et earum artium, quae ad pictura ornamentum accederent"), egli fu l'uomo di fiducia del duca, e gli fu riservato un trattamento di particolare deferenza, del tutto svincolato dagli statuti e dalle regole delle corporazioni.

Il duca gli affidò numerose missioni diplomatiche, il cui scopo ci è rimasto sconosciuto. Infatti, il 2 agosto 1425 viene ato per le spese sostenute in un viaggio da Bruges a Lilla; altri due viaggi sono compiuti l'anno seguente, il 26 agosto e il 27 ottobre; dal 18 al 20 ottobre 1427 soggiorna a Tournay per un'altra missione segreta; nel febbraio del 1428 lo ritroviamo ancora a Lilla. Una carta, in data 3 marzo 1428, ordina che gli sia ato un cospicuo appannaggio annuale, comunque lautamente integrato nelle occasioni dei particolari incarichi. L'ostinata riservatezza da parte la tesoreria di corte circa questi viaggi ci fa pensare all'ipotesi che Jan fu mandato in missione in Terrasanta, da cui doveva tornare con disegni e appunti sui luoghi e sui percorsi; una missione che ben si inserirebbe nelle lunghe trattative che il Buono andava compiendo a libello diplomatico per promuovere una nuova crociata. Quest'ipotesi è confermata da un certo numero di precise citazioni di edifici di Gerusalemme, quali la moschea di Omar, la chiesa del Santo Sepolcro, il tempio di Salomone, e da un altro motivo ricorrente, quello delle catene montuose innevate che, digradando nei toni dall'azzurro al candore delle nevi immacolate, costituiscono spesso la lontana chiusura dei profondi paesaggi. È impensabile che non ne avesse mai avuto un'esperienza di presa di visione diretta! E certo non rappresentano i Pirenei, mai visti dal neerlandese nei suoi viaggi verso la penisola iberica sempre compiuti via mare. Sono invece le Alpi, attraversate dal viaggiatore in transito lungo l'Europa fino all'Italia e ai suoi porti.



La fiducia che Filippo III riponeva in lui era tale da lasciargli la facoltà di operare anche per altri committenti, a differenza della normale prassi del tempo secondo la quale dovrebbe essere vincolato a un rapporto di produzione esclusiva per il duca salvo deroghe. Non per nulla le opere giunteci sono testimonianza proprio dell'attività di Jan al di fuori della diretta committenza ducale.


Il 19 ottobre dello stesso anno Jan parte per il Portogallo insieme con l'ambasceria, incaricata di chiedere la mano di Isabella, lia di re Giovanni I, per Filippo il Buono. Egli dipinse il ritratto dell'Infanta, che fu inviato a Bruges il 12 febbraio 1429. Il soggiorno portoghese, che ebbe termine nel Natale del 1429, fu occasione di fecondi contatti con la pittura locale. Quello fu l'ultimo viaggio.

Ritornato a Bruges, Jan vi compra una casa in rue Neuve Saint-Gilles (oggi rue de la Main d'Or, 6), dove riceve, il 17 luglio e il 16 agosto del 1432, la visita del magistrato di Bruges, che andò ad ammirarvi le sue opere. Nel 1433 si sposa con Margherita e nel 1433 Filippo è il padrino del primo lio (ne ebbe forse un secondo l'anno successivo).


Della sua attività artistica negli ultimi anni sappiamo poco o nulla: nel 1434 lo troviamo impegnato in un lavoro da artigiano, cioè alla doratura e coloritura di otto statue per il nuovo Stadhuys di Bruges. In questi anni van Eyck dipinge per i privati, cioè per la ricca borghesia mercantile, in questo momento in ascesa economica; il lavoro dell'artista si svolge così tra la corte e ricchi committenti. Sembra che nel 1436 insegnò in carcere a Renato d'Angiò (secondogenito di Luigi II d'Angiò, imprigionato dal duca di Borgogna per il possesso, appunto, del ducato; in seguito duca di Lorena e re di Napoli) la tecnica della pittura.

Nel 1441 dipinge - pare - l'altare di Ypres per l'abate Nicolas van Maalbeke; ma il 1441 è anche l'anno della sua morte, il 9 luglio, sempre a Bruges. Dapprima sepolto nel chiostro, nel 1442 il fratello Lambert ottiene che la tomba sia trasferita all'interno della chiesa di San Donaziano in virtù dei diritti acquisiti dal pittore come membro della corte ducale.

Il van Mander e il van Vaarnewyck ci hanno conservato l'iscrizione sepolcrale originaria:


"Hic jacet eximia clarus virtute Joannes,

In quo picturae gratia mira fuit :

Spirantes formas et humum florentibus herbis

Pinxit, et ad vivum quodlibet egit opus.

Quippe illi Phidias et cedere debet Apelles

Arte illi inferior ac Polycletus erat.

Crudeles, igitur, crudeles dicite Parcas,

Quae nobis talem eripuere virum.

Actum sit lacrymis incommutabile fatum:

Vivat ut in coelis jam deprecare deum."


Ma molto più importanti, per gli storici dell'arte, sono i quadri firmati e datati, che consentono, almeno parzialmente, di ricostruire il periodo aureo (1432-l439) della sua attività artistica:


DATA

OPERA

COLLOCAZIONE ATTUALE

10 ottobre 1432

Ritratto di Timoteo

Londra

21 agosto 1433

L'uomo con il turbante

Londra


La Madonna detta in Ince Hall

Melbourne


I coniugi Arnolfini

Londra


Jan de Leeuw



Vienna


La Madonna del Canonico Van der Peele

Bruges


S. Barbara

Anversa

gennaio 1438

Il Volto Santo

Berlino (copia)


La Vergine con la fontana

Anversa

17 giugno 1439

Ritratto di Margherita van Eyck

Bruges

Sembra poi che il Polittico di Gand si possa far risalire in parte al periodo 1417-l425, in parte agli anni 1430-l432, dopo il ritorno dal Portogalli; le sette miniature delle Très Belles Heures de Nôtre-Dame (le già citate Ore), da Hulin de Loo attribuite a Hubert, si possono riconoscere a Jan e al suo atelier.


Jan cominciò dunque a firmare e datare le sue tavole solo dal 1432; spesso aggiungeva alla firma il motto "als ich can" = come posso, dimostrando dunque una certa modestia.


Stile e poetica


Jan van Eyck supera con un potente colpo d'ala la tradizione medievale e inaugura la pittura neerlandese rinascimentale. Egli scoprì la molteplicità delle parvenze naturali e il segreto di legarle assieme con coerenza mediante la prospettiva lineare ed aerea. Ma la sua prospettiva non è fondata su basi aprioristiche alquanto rigorose, che ne avrebbero potuto soffocare la libera ed incontrollata espansione; nelle sue opere troviamo una sorta di spontanea e gioiosa aderenza al mondo visibile, comunque organizzato prospetticamente ma non costretto in rigidi schemi.

All'affinarsi delle esigenze espressive si accomnò in van Eyck la necessità di perfezionare la tecnica pittorica. Il suo "segreto" consiste nel mezzo impiegato, olio siccativo, come pure nella preparazione bianca di gesso e colla animale, sulla quale il colore veniva steso a velature. Grazie a tali accorgimenti i dipinti del neerlandese vennero ad acquistare una straordinaria brillantezza, tanto che si direbbero illuminati da una fonte luminosa interna. Pare che l'"invenzione" di questa tecnica fosse dettato anche da ragioni pratico-economiche: l'olio, infatti, permette una stesura del colore più uniforme e più ritoccabile e un'esecuzione del lavoro più veloce, poiché non bisogna verniciare più volte l'opera.


Il suo interesse era rivolto a tutte le cose del mondo indistintamente, senza gerarchie; non faceva differenza fra la ura umana e una pianta, un volto e una nuvola, ma indagava con scrupoloso amore la forma e la struttura di ogni soggetto: è quasi l'interesse di un naturalista quello da lui portato al mondo esterno. Le ure da lui rappresentate brillano di una loro vita purissima, ignara di decadimento e morte; un mondo statico e perfetto. Il misticismo medievale cessa di esistere in lui; e anche se sarebbe ingiusto affermare che il sentimento religioso sia assente nelle sue opere, queste rivelano ad un esame cronologico una sempre più pressante laicizzazione. Jan van Eyck diventa dunque il modello per l'attenzione alla realtà e la volontà di riprodurre il mondo e lo spazio che ci circondano nei toni e nei modi dell'assoluta scrupolosa verosimiglianza (sempre puntigliosi sono i particolari anche più lontani); ma la rappresentazione del vero non è lo scopo ultimo della sua pittura, che al realismo affida messaggi anche simbolici intimamente intrecciati e connessi alla cultura a lui contemporanea.


La fortuna


Jan van Eyck fu considerato molto dagli storici dell'arte contemporanei e posteriori; la sua arte fu più capita nel sud dell'Europa che nel suo stesso paese d'origine: i germi più vitali della sua arte furono fecondati in quell'Italia piena d'ammirazione per il genio neerlandese. Già Bartolomeo Facio, nel De viris illustribus (1455), lo celebra "il primo pittore del nostro tempo"; dall'opuscolo apprendiamo dell'esistenza di altre opere del neerlandese che sono andate perdute.

Nel Cinquecento si vanno cristallizzando alcune leggende che solo a fatica la critica riuscì a sfatare: il Vasari, nelle Vite, attribuisce a Jan van Eyck addirittura l'invenzione della tecnica della pittura ad olio, che gli permette la fusione dei colori mediante la sovrapposizione delle velature successive; in realtà essa esisteva almeno dall'XI secolo, ma certo Jan la porta alla perfezione e la usa in funzione espressiva. Jan van Eyck è, per il suo realismo, anticipatore della modernità.




Bibliografia


Giuseppe Faggin (a cura di), "Van Eyck", Arnoldo Mondatori editore, 1961

Giorgio T. Faggin, "Van Eyck", Fratelli Fabbri editori, 1965

Cecilia Bernardini, "Van Eyck", Armando Curcio editore, 1979

Carlenrica Spantigati, "Van Eyck", Giunti editore, 1998






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