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1914-1918

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Sul ruolo protagonista ed eroico dell'Italia nella prima guerra mondiale s'è fatta molta retorica e molta disinformazione, s'è detto che questo conflitto (definito dallo storico Hermann Suderman 'la più gigantesca imbecillità che il genere umano abbia compiuto dal tempo delle Crociate') ha rappresentato la quarta guerra di indipendenza, logico seguito di quelle risorgimentali per l'unità nazionale, è stato la grande lotta per la liberazione del Trentino e dell'Istria, la santa battaglia per la riunificazione di Trento e Trieste al corpo della Patria. In realtà le cause di questo spaventoso incendio che ha devastato l'Europa dal 1914 a1 1918 sono ben più complesse e articolate, soprattutto, per quel che riguarda l'Italia, Paese comprimario più che protagonista, trainato più che trainante. Trainato da una situazione della quale gli alberi motore sono le grandi potenze europee tradizionali, l'impero austriaco, la Francia, la Germania, l'Inghilterra, la Russia.
Nella contesa fra queste nazioni ci sono le radici del grande scontro. Indispensabile perciò fare il punto, sia pur molto sinteticamente, di questa situazione. Negli anni precedenti il 1914 la politica del cancelliere tedesco Otto von Bismarck, dopo la vittoriosa guerra contro la Francia, aveva portato alla creazione di uno strumento teso a garantire la conservazione della pace in Europa. La 'Triplice Alleanza', firmata nel 1882, che univa Germania, Austria, Italia. Nel quadro del patto, l'alleanza fra gli imperatori russo, tedesco, austriaco e una politica di buoni rapporti con l'Inghilterra. Ma la convivenza non è facile. La tendenza degli imperi centrali all'espansione nei Balcani cozza contro le aspirazioni dello Zar su questi territori. L'Inghilterra dal canto suo vede con preoccupazione un altro interesse della Russia, quello per l'Estremo Oriente, e con altrettanta preoccupazione il veloce sviluppo della potenza economica, commerciale e militare della Germania che, con la politica di espansione mondiale ispirata dall'imperatore Guglielmo II, tende a conquistare anche i mercati mediorientali. In allarme anche la Francia, dati i precedenti. Considerata il quadro, gli inglesi si muovono per non trovarsi presi in contropiede. Bloccano l'azione della politica zarista verso l'Estremo Oriente facendo un'alleanza col Giappone (1902) e avvicinandosi alla Francia, che a sua volta aveva cominciato a seminare zizzania nella 'Triplice' facendo alcune convenzioni con l'Italia, la più interessante delle quali dava via libera al governo italiano per la conquista della Libia in cambio della nostra neutralità in caso di attacco alla Francia.
Nell'aprile del 1904 Francia e Gran Bretagna si legano con un'alleanza informale, l''Entente cordiale', l'Intesa cordiale. Nell'agosto del 1907 sensazionale voltafaccia della Russia: lo Zar stipula un'alleanza con l'Inghilterra. La spinta all'accordo viene dalla sconfitta in Estremo Oriente, dal bisogno di pace dopo i primi moti rivoluzionari del 1905, che fanno vacillare il trono dell'imperatore Nicola II, dall'abbandono inglese del dogma dell'intangibilità della Turchia, Paese che sta entrando sempre più nella sfera di influenza germanica. Dopo la modifica dei due blocchi - che vede contrapposte Italia, Germania, Austria, legate dalla Triplice Alleanza, e Inghilterra, Francia Russia, unite informalmente nell'Intesa - seguono alcuni anni di bonaccia durante i quali tuttavia non mancano momenti critici. Il più grave l'annessione, nel 1908, della BosniaErzegovina da parte dell'Austria. L'episodio provoca l'indignazione della Russia, alla quale si uniscono Londra e Parigi, e violente manifestazioni dei nazionalisti serbi. Il conflitto viene evitato soltanto a causa dell'impreparazione militare dell'esercito zarista. Il blitz del vecchio imperatore Francesco Giuseppe riesce indigesto anche all'Italia, già diffidente nei confronti dell'Austria per la sua politica balcanica: anche a Roma ci sono in lievitazione interessi sui Balcani. Una pace in equilibrio instabile, insomma. Tanto instabile da precipitare disastrosamente a causa di un attentato: il 28 giugno 1914 viene ucciso a Sarajevo, capitale della Bosnia-Erzegovina dove si trova in visita l'arciduca Francesco Ferdinando, nipote di Francesco Giuseppe ed erede al trono. L'assassino è lo studente Gavrilo Princip, membro di un'associazione patriottica serba. L'Austria, che nel delitto vede l'espressione provocatoria della politica serba scopertamente tesa alla conquista delle province slave meridionali, decide (ma, stranamente, a distanza di un mese dall'episodio) di liquidare la piccola nazione che minaccia la stabilità della parte balcanica dell'impero austriaco.
La Germania dà l'assenso all'operazione: Guglielmo II è convinto che si tratti di una guerra lampo del tutto limitata ai due contendenti. Invece è la scintilla che dà il via al grande massacro. Dal 20 al 23 luglio lo zar di Russia, avuta la garanzia dell'appoggio francese, ordina la mobilitazione delle sue truppe. Il 28 l'Austria, dopo un ultimatum, dichiara guerra alla Serbia. Il primo agosto dichiarazione di guerra della Germania alla Russia in seguito al rifiuto dello zar di smobilitare, come da richiesta fatta dall'imperatore Guglielmo II. Due giorni dopo il governo francese ordina a sua volta la mobilitazione e la Germania dichiara immediatamente guerra anche alla Francia. Fra il primo e il 4 agosto l'esercito tedesco viola la neutralità del Belgio e del Lussemburgo, Paesi legati all'Inghilterra: scatta il conflitto anglogermanico. Dopo l'inizio delle operazioni militari Inghilterra, Francia e Russia formalizzano la loro alleanza con il Patto di Londra il 4 settembre 1914. Così commenta Lenin, in uno dei suoi scritti, il precipitare degli eventi:
'Occhi molto avveduti avrebbero potuto, prima dell'agosto I 914, avvertire da molti segni che un profondo spostamento si era andato creando nell'equilibrio, sia economico che politico, fra le maggiori potenze d'Europa e del mondo.
Il Regno Unito, che fino al 1870 aveva goduto di un primato indiscusso nel commercio internazionale, e che trovava la più sicura difesa e garanzia di questo primato nel dominio incontrastato dei mari, per mezzo della sua potentissima marina militare e mercantile, vede dopo quell'anno salire con rapidità impressionante la produzione delle industrie tedesche e la loro esportazione in tutti i mercati del mondo, compreso quello inglese. Ma soprattutto i progressi della Germania furono sentiti in Inghilterra come una grave minaccia quando Guglielmo lI volle fare del suo impero una grande potenza marinara con un programma di



Bismarck, il fondatore della
'Triplice Alleanza'

costruzioni navali che in un tempo relativamente breve avrebbe dovuto assicurare alla Germania una marina da guerra tale da contrastare agli inglesi il dominio dei mari'. Mentre l'Europa sta lacerandosi nelle prime battute dello scontro, l'Italia conserva una prudente neutralità. Sullo Stato gravano ancora le conseguenze finanziarie, notevolmente pesanti, della guerra di Libia (1911), che, pur avendo dato al nostro Paese la Libia, 'granaio' d'Italia ai tempi dell'antica Roma, era durata molto più del previsto. La situazione economica era già pesante dopo il terremoto di Messina del 1908, che aveva avuto come costo, in opere di ricostruzione, 107 milioni (cifra stratosferica a quei tempi): nel 1909-l910 il bilancio era andato in deficit e la lira aveva perso la parità con l'oro. La struttura fondamentale del sistema fiscale pesa soprattutto sui ceti meno forti colpendo i beni di largo consumo (rimasta inascoltata una proposta di Giolitti - 1909 - per un drastico aumento dell'imposta sul reddito e della tassa di successione) e perciò l'anima popolare non è sensibile ai primi fremiti bellicosi che si fanno sentire qua e là anche in ltalia. Non che la classe dirigente sia aliena da tentazioni belliche per realizzare delle contropartite territoriali o dall'uno o dall'altro dei due blocchi, ma l'anno 1914 non è certo dei più favorevoli per servire alla popolazione il piatto della guerra. Gli italiani stanno vivendo un momento drammatico della loro storia sociale, sono nel pieno della problematica scatenata dal lento passaggio della civiltà contadina alla civiltà industriale, una fase che vede esasperate contraddizioni, l'inasprirsi della legge del profitto sotto la spinta della trionfante filosofia della produttività, tipica della società industriale. Ed è proprio nel 1914 che il governo Salandra, formato in marzo, si trova davanti un test preoccupante, che rivela umori popolari decisamente anti interventisti: lo scoppio della 'settimana rossa ' (giugno). 'Sotto questo nome un po' troppo impegnativo - scrive Giuliano Procacci in 'Storia degli italiani', Laterza editore - si è soliti designare un moto di piazza che, con tutti i caratteri dell'improvvisazione e della spontaneità, sconvolse per una settimana il Paese ed ebbe per epicentro la Romagna e le Marche, una zona in cui l'opposizione anarchica, socialista e repubblicana aveva profonde radici. Fu una rivoluzione provinciale, guidata da duci provinciali - i romagnoli Benito Mussolini, Pietro Nenni e l'anarchico Errico Malatesta - animata da passioni provinciali e municipali, quasi una versione proletaria e popolaresca dei moti che nel 1830-31 si erano avuti nelle stesse regioni contro il governo pontificio.
I grossi centri industriali e operai del Paese, chiamati a scendere in sciopero generale per solidarietà con gli insorti di Ancona e delle Romagne, risposero solo in parte all'appello del partito socialista e della Confederazione generale del lavoro.
'Se la 'settimana rossa' non era una rivoluzione, e per certi episodi essa era stata addirittura una caricatura della medesima, ciò non impedì che essa apparisse un minaccioso sintomo rivoluzionario a quei conservatori che della rivoluzione avevano una visione altrettanto approssimativa quanto quella di molti rivoluzionari deI momento. Tale era Salandra, che fece inviare nelle Romagne l00.000 uomini e tale era anche il re, che rimase fortemente impressionato dai pronunciamenti repubblicani cui la 'settimana rossa' aveva dato luogo
'. Deciso no alla guerra, dunque. La maggioranza del Paese si rende conto che gli ardori interventisti sono espressione esclusiva degli interessi della grande borghesia imprenditoriale nazionale e internazionale. A provare questa chiarezza di idee della gente, soprattutto contadini e operai, basta ricordare lo scarsissimo successo raccolto da Cesare Battisti, irredentista di Trento (che in seguito si arruolerà nell'esercito italiano; catturato in zona d'operazioni, verrà condannato per alto tradimento, essendo suddito austriaco, e impiccato nel castello del Buon Consiglio, nella sua città) venuto in Italia per un giro di proanda antiaustriaca: gli rispondono ovunque riusciti e affollatissimi comizi socialisti che rifiutano con decisa chiarezza il suo infuocato bellicismo. D'altronde lo stesso Salandra ammetterà francamente, nel maggio del 1915, alla vigilia dell'entrata in guerra, che la grande maggioranza degli italiani è contraria all'intervento e non c'è nessuno che in questo non sia d'accordo con lui.
A livello della dirigenza politica i giudizi sulle possibili reazioni popolari in caso di guerra sono discordi. In una lettera del 9 agosto 1914 Sonnino, che di lì a qualche mese sarebbe diventato ministro degli Esteri, scrive a Salandra, presidente del Consiglio, sulla necessità di mobilitare comunque perché 'è tanta disoccupazione in meno e tanto meno pericolo di disordini e di opposizione a qualunque provvedimento d'urgenza'. Al contrario uomini come Di Sangiuliano, ministro degli Esteri in carica fino all'ottobre 1914, e Giuseppe Avarna, ambasciatore a Vienna fino al maggio del 1915, sostengono che si corre il rischio di accendere le polveri di una vera e propria 'rivoluzione sociale', Una dirigenza politica incerta, esitante, di un conservatorismo ottuso, incapace di capire la crisi socioculturale nella quale si sta dibattendo il Paese, incapace di risolvere i problemi di bilancio con una politica economica che non sia soltanto impostata sul prelievo sistematico dalla massa dei piccoli contribuenti: questa la caratteristica del gruppo che si trova nella 'stanza dei bottoni, dal quale il Paese attende di sapere il destino che lo aspetta. Fra Paese reale e classe di governo, i nazionalisti, accesi sostenitori dell'intervento. Quali siano gli interessi che muovono, con sostanziosi finanziamenti, questa massa d'urto potente anche se minoritaria, non è difficile da stabilire.'Senza dubbio alcuni, settori interessati alle fabbricazioni militari - osserva Ernesto Ragionieri ('Storia d'Italia ', Einaudi editore) - rimasero all'inizio perplessi e incerti di fronte alla prospettiva dell'intervento, e da molte parti si vide nella neutralità una condizione ottimale per incrementare gli affari . assai più combattive si dimostrarono, fin dall'inizio, le forze economiche emerse e rafforzatesi con il processo di concentrazione degli anni successivi alla crisi del 1907.
Insofferenti delle forme e delle istituzioni parlamentari, dei controlli che esse comportavano, tali forze premevano per una politica di espansione territoriale, cercando in ogni modo di conquistarsi nuovi e più ampi spazi di potere nello Stato e sullo Stato, nella prospettiva di un rafforzamento del protezionismo e di una dilatazione delle 'commesse 'pubbliche di cui si erano nutrite e ingrassate, esasperando temi e toni della lotta politica

Antonio Salandra, capo del
governo italiano nel 1915

'Una volta di più appare chiaro che i nazionalisti costituirono la chiave di volta di tutto l'interventismo. Essi approdarono alla tesi dell'intervento a fianco dell'Intesa, dopo aver sostenuto in un primo tempo l'allineamento con gli Imperi centrali, palesando - come del resto altri settori dello schieramento politico - una chiara volontà di partecipare alla guerra non tanto per obbiettivi precisi, quanto per uscire dalla crisi nella quale la società italiana si dibattevaEcco perché nell'interventismo confluirono come in un crogiuolo uomini e tendenze politiche di provenienza così diversa, e perché in esso si realizzarono tante conversioni, altrimenti difficilmente spiegabili'. Protagonista di una di queste 'conversioni' è Benito Mussolini, che nel 1914 ritroviamo direttore dell'organo del partito socialista, l''Avanti!', dalle colonne del quale il rivoluzionario romagnolo si è furiosamente battuto contro la guerra. Il 20 ottobre Mussolini presenta alla direzione del suo partito un ordine del giorno nel quale si propone l'assunzione di una posizione più 'flessibile' nell'eventualità di una guerra. Documento respinto seccamente. Mussolini si dimette e il 15 novembre esce con un suo giornale, il 'Popolo d'Italia', dal quale scatenerà una camna interventista. Dietro il 'tradimento', che costa al suo protagonista l'espulsione dal partito socialista, 'un grosso rotolo di biglietti da mille' consegnato dall'ambasciatore francese a Roma (come ricorda il Borghi in 'Mezzo secolo di anarchia', Edizioni ESI, Napoli: ma questa versione, anche se accettata dai più viene contestata da altri) con la mediazione di Marie Rygier, accesissima anarchica convertita all'interventismo. Alla base dell'episodio s'identificano gli interessi dell'imprenditoria e della finanza francesi e di gruppi di industriali italiani. Sotto la poderosa spinta delle manifestazioni interventiste, che riescono a mobilitare grandi folle di studenti e di piccoli borghesi solleticando l'amor di patria, giocando sugli antichi rancori contro l'Austria e il vecchio 'tiranno' Francesco Giuseppe, che 'tiene schiavi' ancora tanti italiani a Trento e a Trieste, il tentennamento nella 'stanza dei bottoni' comincia ad avere qualche battuta d'arresto (ma va ricordato che contro 60 deputati interventisti ce ne sono 300 decisamente sfavorevoli alla guerra). Se ne rendono conto gli Inglesi, i Francesi e anche i Tedeschi: tutti intensificano il gioco diplomatico nei confronti dell'Italia per conquistarla ognuno al proprio blocco (ma il nostro Paese fa già parte della 'Triplice', alleanza che ha rinnovato nel 1912). A questo perverso gioco partecipa, lavorando sotto traccia, anche la massoneria. La Gran Bretagna si limita all'attività diplomatica, ma la Germania e la Francia, che in Italia dispongono di numerosi agganci tanto nell'economia quanto nella politica e nella cultura, non vanno tanto per il sottile e scatenano pressioni e ricatti di ogni genere, camne diffamatorie l'una contro l'altra allo scopo di orientare l'opinione pubblica in questa o in quella direzione.
Nella gran 'bagarre', che vede massicciamente alla prova d'esame i giornali nella veste di strumenti-pilota dell'opinione pubblica, ha la meglio il 'partito' dell'Intesa, che denuncia lo strapotere tedesco in Italia, il quale, ancora una volta, con l''oro di Berlino', tenta di invadere e conquistare il nostro Paese. Di fronte alla vecchia paura dell'invadenza del 'secolare nemico tedesco' e al richiamo al prestigio nazionale, le masse interventiste si agitano sempre più violentemente e premono sul governo con slogan minacciosi: 'Rivoluzione se non ci sarà la guerra!' urlano nelle piazze i nazionalisti, rivolgendosi al potere ufficiale. 'La neutralità è per i castrati' irridono, apostrofando gli anti interventisti. A questo punto il governo Salandra, attraverso il ministro degli Esteri Sonnino, presenta il conto sia alla 'Triplice' che alla'Intesa. Le richieste: restituzione del territorio a nord fino al Brennero e a est fino alle vette delle Alpi Giulie, Istria compresa; tre quarti delle province austriache della Dalmazia e la baia di Valona (Albania) con il suo immediato entroterra. L'acquisizione di questi territori assicura all'Italia una frontiera difendibile facilmente e il controllo dell'Adriatico. D'accordo, salvo qualche eccezione sollevata dalla Russia per le pretese italiane sulla Dalmazia ('una sfida alla coscienza slava'), i membri della'Intesa'. L'Austria e la Germania offrono soltanto il Trentino. Il 26 aprile Sonnino firma il patto di Londra, il 4 maggio viene denunciata la Triplice'. Il 24 maggio 1915 l'Italia entra nel gioco del 'grande massacro', che costerà agli Italiani circa 700.000 morti e quasi un milione di feri le origini della prima guerra mondiale vanno ricercate nei profondi contrasti di interessi determinatisi tra le potenze europee nei quarant'anni precedenti il 1914, durante i quali si ruppe l'equilibrio instaurato dal cancelliere tedesco Bismarck dopo la vittoria del 1870 sulla Francia.

1914: POLITICA INTERNA E INTERNAZIONALE

Il 28 giugno 1914 l'arciduca ereditario austriaco Francesco Ferdinando viene assassinato a Sarajevo dallo studente serbo Gavrilo Princip: è questa la causa occasionale del conflitto. Decisa a liquidare qualsiasi influenza politica serba nei Balcani, l'Austria rompe le relazioni diplomatiche con la Serbia (25 luglio) e tre giorni dopo l'invade. Tra il 29 e il 30 ha inizio la mobilitazione generale russa, alla quale risponde il 31 quella austriaca. La Germania dichiara guerra alla Russia (1° agosto) e alla Francia (3 agosto). La violazione della neutralità del Lussemburgo e del Belgio persuade l'Inghilterra alla dichiarazione di guerra alla Germania del 4. Il 5 dichiarano contemporaneamente guerra l'Austria alla Russia e la Serbia alla Germania. Intanto, in virtù dell'art. 7 della Triplice Alleanza, dato il carattere offensivo della guerra e la mancata consultazione da parte degli Imperi centrali, l'Italia dichiara la propria neutralità. Da parte sua, la Germania riesce a concludere un patto d'alleanza con la Turchia. Il Giappone, alleato dell'Inghilterra, dichiara guerra alla Germania il 23 agosto, ma il 19 novembre si rifiuta di partecipare al conflitto europeo.

1914: FRONTE OCCIDENTALE

Il piano di guerra tedesco elaborato da A. von Schlieffen (1905) e accettato nelle sue grandi linee da H. J. von Moltke, generalissimo all'inizio delle ostilità, prevede un'azione risolutiva contro la Francia, con l'invasione del Belgio. Inizialmente il piano tedesco si sviluppa secondo le previsioni, ma la controffensiva di Joffre sulla Marna (5-l0 settembre) segna la prima battuta d'arresto dell'avanzata tedesca e costituisce uno dei fatti decisivi del primo conflitto mondiale. Intanto Moltke viene sostituito da E. von Falkenhayn. A nord si arriva a una seconda battuta d'arresto dopo le battaglie della Somme (20-30 settembre), dell'Yser (18 ottobre-l0 novembre) e dell'Ypres (23 ottobre-l5 novembre).

1914: ALTRI FRONTI

I Russi invadono la Prussia, ma, dopo i primi successi, Hindenburg li costringe a ritirarsi (battaglia dei Laghi Masuri, 9-l4 settembre). In Galizia i Russi conducono due grandi offensive e gli Austriaci debbono abbandonare Leopoli ripiegando sui Carpazi. Dopo la prima offensiva russa i Tedeschi vengono in aiuto degli Austriaci tentando di accerchiare i Russi, che devono perciò abbandonare l'assedio di Przemyol. Nei Balcani i Serbi, dopo averla perduta (2 dicembre), riconquistano Belgrado il 16. In Estremo Oriente i Giapponesi occupano Kiaochow (7 novembre). L'Africa sudoccidentale tedesca, il Togo, il Camerun e l'Africa orientale tedesca vengono occupati da truppe francesi e inglesi. Il 22 novembre gli Inglesi occupano Bassora in Mesopotamia.

1915: POLITICA INTERNA E INTERNAZIONALE

È l'anno dell'entrata in guerra dell'Italia e della Bulgaria. Falliti i negoziati (gennaio-marzo) con l'Austria, l'Italia si orienta sempre più verso l'Intesa (patto di Londra, 26 aprile). Il 24 maggio dichiara guerra all'Austria. La Bulgaria si allea con gli Imperi centrali e il 14 ottobre entra in guerra, aggravando la situazione già precaria degli Alleati nei Balcani e provocando il crollo della Serbia.

1915: FRONTE OCCIDENTALE E ITALIANO

Sul fronte occidentale le offensive alleate nella Chamne e nell'Artois ottengono modesti risultati. Sul fronte italiano, il nostro esercito, sprovvisto di grandi mezzi offensivi, si adatta fin dall'inizio a una guerra di logoramento. Le prime 4 battaglie dell'Isonzo (23 maggio-7 luglio; 18 luglio-3 agosto; 21 ottobre-4 novembre; 10 novembre-5 dicembre) non intaccano la solidità dello schieramento difensivo austriaco.

1916: POLITICA INTERNA E INTERNAZIONALE

L'entrata in guerra della Romania (28 agosto) dopo la conclusione di un trattato di alleanza con le potenze dell'Intesa non procura a queste ultime i vantaggi che ne attendevano. Il 28 agosto anche l'Italia dichiara guerra alla Germania.

1916: FRONTE OCCIDENTALE E ITALIANO

Teatro della guerra di logoramento tra Alleati e Tedeschi è il fronte francese. Verdun, che Falkenhayn attacca il 21 febbraio, rappresenta per il comando tedesco il perno attorno al quale bisognerà attirare in una decisiva battaglia di annientamento le superstiti forze francesi. Con la caduta di Verdun l'intero schieramento francese si scardina. Il 1° luglio Joffre scatena la battaglia della Somme, che per quattro mesi impedisce ai Tedeschi il massiccio impiego di mezzi da essi previsto a Verdun. Sulla Somme il 15 settembre appare per la prima volta un nuovo mezzo d'attacco, il carro armato (tank). Nella battaglia gli Anglo-Francesi perdono 550.000 uomini ma i Tedeschi non hanno ottenuto il successo strategico che si ripromettevano a Verdun. Sul fronte italiano, dopo la 5ª battaglia dell'Isonzo (11-l9 marzo), l'offensiva austriaca (Strafexpedition, spedizione punitiva) sull'Altopiano di Asiago, iniziata il 15 maggio e proseguita con la presa di Asiago, viene arrestata al Pasubio e alla Valsugana. Seguono la 6ª battaglia dell'Isonzo (6-l7 agosto), in cui con la presa di Gorizia (il 9) gli Italiani conseguono il loro maggiore successo nel settore, la 7ª (14-l6 settembre), l'8ª (9-l2 ottobre) e la 9ª (31 ottobre-4 novembre).

1917: POLITICA INTERNA E INTERNAZIONALE

Il 1917 è caratterizzato da due eventi fondamentali nella storia della guerra: l'intervento americano e il ritiro della Russia. La guerra sottomarina a oltranza da parte dei Tedeschi porta gli USA a rompere le relazioni diplomatiche con la Germania e a dichiarare guerra il 2 aprile. Quanto alla Russia, la crisi politica di gennaio precipita l'8 marzo con le sommosse di Pietrogrado e con l'abdicazione dello zar Nicola II (15 marzo). Il 16 Lenin giunge in Russia. Il 7 novembre (o 25 ottobre, secondo il calendario giuliano allora vigente in Russia) l'insurrezione scatenata dal Soviet trionfa a Pietrogrado. Il 26 i Soviet chiedono alla Germania l'armistizio, che viene stipulato il 15 dicembre. Il 20 si iniziano a Brest-Litovsk i negoziati di pace.

1917: FRONTE OCCIDENTALE E ITALIANO

Il comando tedesco, contando di piegare gli Alleati con la guerra sottomarina a oltranza, opera un ripiegamento (24 febbraio-l3 marzo) sulla linea Hindenburg (Saint Quentin-La Fère). In aprile, dopo un attacco inglese nell'Artois, fallita la grande offensiva di Nivelle, Pétain prende il comando. Sul fronte italiano, dopo l'11ª battaglia dell'Isonzo (17 agosto-l5 settembre), che riesce a realizzare una penetrazione di 10 km nel dispositivo nemico, lo Stato Maggiore austro-tedesco decide l'offensiva nel settore dell'Isonzo. L'attacco austro-germanico, iniziato il 24 ottobre, travolge rapidamente le difese e nella stessa giornata raggiunge Caporetto. Il 27 il generale Cadorna ordina la ritirata. Gli Austro-Tedeschi occupano Udine (28 ottobre) e passano il Tagliamento (2 novembre), attestandosi sulla sponda destra del Piave. Cadorna viene sostituito da Diaz.

1918: POLITICA INTERNA E INTERNAZIONALE

L'8 gennaio Wilson fissa in '14 punti' le premesse per la futura pace. L'Austria il 14 settembre chiede l'armistizio, la Bulgaria lo firma il 28, la Turchia il 30. Il 14 ottobre proclamano la loro indipendenza i Cechi, poi gli Ungheresi, i Croati e Sloveni, mentre l'indipendenza della Polonia verrà proclamata il 7 novembre. L'armistizio italo-austriaco di Villa Giusti viene sottoscritto il 3. Il 9 scoppia la rivoluzione a Berlino: seguono l'abdicazione di Guglielmo II e la proclamazione della Repubblica. Il nuovo governo tedesco firma l'armistizio a Rethondes (11). Nello stesso giorno Carlo I abbandona il potere, il 12 viene proclamata la Repubblica in Austria, il 16 in Ungheria.

1918: FRONTE OCCIDENTALE E ITALIANO

Dopo il trattato di Brest-Litovsk il comando tedesco concentra 200 divisioni sul fronte occidentale e sferra successivamente quattro offensive nella speranza di sfondare il fronte alleato prima che affluiscano maggiori aiuti dagli USA. Le prime due offensive, sulla Somme e nelle Fiandre, vengono arrestate. Nemmeno la terza, dallo Chemin des Dames a Chateau-Thierry, ottiene risultati decisivi. Il quarto e ultimo attacco tedesco, sulla Marna (15 luglio), si conclude col più completo insuccesso. L'iniziativa passa agli Alleati, che il 21 luglio costringono Ludendorff ad abbandonare la linea della Marna. Segue una serie di offensive inglesi, francesi e americane che porteranno, nel novembre, alla liberazione della Francia e del Belgio. Sul fronte italiano, all'attacco austriaco del giugno risponde la resistenza italiana sul Piave (dal 19 al 29), che segna l'inizio del crollo dell'esercito austro-ungarico. Il comando supremo italiano passa all'offensiva finale il 24 ottobre. Il 30, con la battaglia e la presa di Vittorio Veneto, cessa ogni resistenza organizzata da parte nemica. Il 3 novembre, giorno della resa austriaca, le truppe italiane entrano a Trento e a Trieste.

I TRATTATI DI PACE

La conferenza di pace, riunitasi a Parigi, portò, tra il 1919 e il 1920, al trattato di pace di Versailles con la Germania, di Saint-Germain-en-Laye con l'Austria, di Neuilly con la Bulgaria, del Trianon con l'Ungheria, di Sèvres con la Turchia.

ti.




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