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AUSTRIA

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AUSTRIA

LE GUERRE DI INDIPENDENZA ITALIANA (vedi Italia)

LA DISSOLOZIUNE DELL'IMPERO ASBURGICO - NASCE L'IMPERO AUSTRO-UNGARICO

Sopravvissuto al '48 grazie all'apparato militare, lo Stato degli Asburgo tentò di riorganizzarsi sulla base del vecchio sistema assolutistico. La Costituzione concessa nel '49, mai realmente applicata, fu revocata già nel 1951. Il potere tornò a concentrarsi nelle mani dell'imperatore. Il centralismo amministrativo fu rafforzato e la burocrazia sempre più 'germanizzata': il tedesco divenne l'unica lingua ufficiale dell'Impero. Il centralismo contribuiva ad esasperare la coesistenza di diverse nazionalità. Il pilastro su cui poggiò la restaurazione assolutistica fu l'alleanza con la Chiesa cattolica nel 1855 quando fu stipulato un concordato fra l'Impero e la Santa Sede; in quella stessa sede fu anche smantellato il controllo statale sull'attività della Chiesa.

Appoggiandosi proprio su quest'ultima, la monarchia sacrificò le esigenze della borghesia produttiva, mancando così l'appuntamento con lo sviluppo economico senza peraltro riuscire a mantenere il ruolo di primissimo piano che aveva prima del '48 fra le potenze europee. Due successive sconfitte militari, nel '59 contro Piemonte e Francia, e nel '66 contro la Prussia e l'Italia, segnarono il declino della potenza asburgica.



Nel 1867, all'indomani della sconfitta con la Prussia, l'imperatore decise di venire a patti con la componente magiara; l'Impero fu diviso in due Stati, uno austriaco ed uno ungherese, uniti nella persona del sovrano, ma ciascuno con un proprio parlamento ed un proprio governo. Col compromesso del '67 l'Impero asburgico, d'ora in poi chiamato Impero austro-ungarico, riuscì a bloccare la sua crisi.

Nei decenni che precedettero la prima guerra mondiale, l'Impero austro-ungarico vide aggravarsi il declino delineatosi del 1848 dovuto ai sempre più forti contrasti fra le diverse nazionalità, ma mentre l'Impero tedesco trovava nel nazionalismo di una popolazione compattamente tedesca un potentissimo elemento di coesione, in Austria-Ungheria le tensioni fra i diversi gruppi etnici costituivano un fattore di logoramento e di disgregazione. Con la soluzione 'dualistica' varata nel '67, la monarchia asburgica aveva scelto il compromesso col gruppo nazionale più forte, quello magiaro. Fino alla fine dell'800 il potere imperiale riuscì a controllare la situazione appoggiandosi agli elementi conservatori. Tra la fine dell'800 e l'inizio del '900 si assisté però ad una crescita dei movimenti nazionali.

I più irrequieti erano i popoli slavi, i grandi sacrificati dal 'compromesso' del '67. Le limitate concessioni che i governi di Vienna erano disposti a fare alle singole nazionalità non erano sufficienti, ma servirono solo a suscitare la reazione degli altri gruppi etnici. Una parte della classe dirigente si orientò verso l'idea di trasformare la monarchia da 'dualistica' in 'trialistica': staccare gli slavi del sud dell'Ungheria e creare così un terzo polo. Questo progetto, che aveva il suo sostenitore nel nipote dell'imperatore, Francesco Ferdinando, si scontrava però con l'opposizione degli ungheresi. Da questo focolaio, e dall'assassinio proprio di Francesco Ferdinando in Serbia nel 1914, scoppiò la scintilla che portò alla Prima guerra mondiale e la dissoluzione dell'Impero austro-ungarico.

PRIMA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)

L'IMPERO AUSTRO-UNGARICO FRA LE DUE GUERRE

Simili a quelle della Germania furono le vicende attraversate dall'Austria dopo la fine della guerra e la proclamazione della Repubblica.

Furono i socialdemocratici a governare il Paese, mentre i comunisti tentarono, senza fortuna, la carta dell'insurrezione.

Nel 1920 le elezioni videro prevalere il Partito conservatore cristiano-sociale.

Breve e drammatica fu invece la vita della Repubblica democratica in Ungheria; i socialisti, anziché far blocco con le forze liberali, si unirono ai comunisti per instaurare, nel 1919, una Repubblica sovietica che attuò una politica di dura repressione nei confronti della borghesia. Il regime comunista cadde sotto l'urto convergente delle forze conservatrici; l'Ungheria cadde così sotto un regime autoritario sorretto dalla Chiesa e dai conservatori.

L'ANSCHLUSS - SE L'IMPERO AUSTRO-UNGARICO (vedi Germania)

SECONDA GUERRA MONDIALE (vedi eventi chiave)

CINA

LE GUERRE DELL'OPPIO

Intorno alla metà dell'800 anche la Cina subì la pressione delle potenze occidentali, che, in questo caso, non miravano alla conquista territoriale, ma ad imporre la loro penetrazione commerciale attraverso l'intervento armato.

Lo Stato cinese si fondava su un forte potere centrale incarnato dall'imperatore e rappresentato nel territorio dai mandarini.

L'impero cinese era rimasto pressoché inaccessibile ai commercianti occidentali; inoltre non aveva relazioni diplomatiche con l'estero. Agli stranieri era consentito di operare solo nel porto di Canton, ma questo voluto isolamento mascherava una profonda debolezza interna. A prova di ciò fu il risultato subito dall'Impero al primo scontro con l'Occidente. Occasione dello scontro fu il contrasto fra il governo imperiale e la Gran Bretagna a proposito del commercio dell'oppio. La droga veniva clandestinamente esportata dalla Cina, ma quando nel 1939 un funzionario imperiale fece sequestrare il carico di tutte le navi straniere nel porto di Canton, il Governo inglese decise di intervenire militarmente. Dopo una guerra durata due anni, gli Inglesi ebbero partita vinta. Col trattato di Nanchino del 1842 la Cina dovette cedere all'Inghilterra Hong Kong ed aprire al commercio straniero altri quattro porti, fra cui Shangai.

Nel decennio '50 - '60, la Cina si trovò ad affrontare contemporaneamente una gravissima crisi interna culminata nella ribellione contadina nota come rivolta dei Taiping, e un nuovo sfortunato incontro-scontro con Inghilterra, ora aiutata dai Francesi. Il conflitto, chiamato impropriamente 'seconda guerra dell'oppio', cominciò nel '56 in seguito all'attacco ad una nave inglese nel porto di Canton, e si concluse nel '60 con una nuova sconfitta della Cina, costretta ad aprire al commercio straniero anche le vie fluviali interne ed a stabilire normali rapporti diplomatici con gli Stati occidentali.

LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE

La vittoria giapponese sulla Russia ebbe l'effetto di dare un poderoso impulso alle lotte nazionali dei popoli asiatici. Fu soprattutto la Cina a subire in maniera determinante l'influsso del vicino Giappone. Ormai screditata la dinastia Manciù, la strada era aperta per l'affermazione di un nuovo movimento di ispirazione democratica ed occidentalizzante. Nel 1905 Sun Yat Sen fondò un'organizzazione segreta, il Tung meng hui con un programma basato sui tre principi del popolo: indipendenza del popolo, democrazia rappresentativa e benessere del popolo.

Invano la corte imperiale cercò di mettere in atto un limitato e tardivo programma di modernizzazione. Nel 1911 la decisione del governo di affidare ad imprese straniere il controllo della rete ferroviaria ad imprese straniere provocò una serie di sommosse e l'ammutinamento di parte dell'esercito. Nel 1912 un'assemblea rivoluzionaria dichiarava decaduta la dinastia Manciù ed eleggeva Sun Yat Sen alla presidenza della Repubblica. Intanto, il generale Yuan Shi Kai, inviato dal governo di Pechino a domare la rivolta, si schierò invece dalla parte dei repubblicani. Crollava così il più antico impero de mondo, ma il fragile compromesso tra le forze democratiche del nuovo Partito nazionale, il Kuomintang ed i gruppi conservatori, con a capo proprio Yuan Shi Kai, si ruppe in pochi mesi. Nel 1913, il nuovo presidente sciolse il Parlamento appena eletto, mise fuori legge il Kuomintang, costrinse Sun Yat Sen all'esilio ed instaurò una dittatura personale. Ma il regime autoritario imposto dal generale Yuan Shi Kai nel 1913, due anni dopo la proclamazione della Repubblica, non riuscì ad assicurare unità, ma al contrario fece precipitare la Cina in una situazione semianarchica.

La decisione di far intervenire la Cina nel conflitto mondiale nel '17 non servì a mutare la situazione, ma anzi, la Cina fu umiliata dall'invasione giapponese. Questa ennesima umiliazione ebbe l'effetto di risvegliare l'agitazione nazionalista attorno al Kuomintang ed al suo leader Sun Yat Sen, ormai tornato dall'esilio. La lotta intrapresa contro il governo da Sun Yat Sen, che nel '21 formò un proprio governo a Canton, ebbe così l'appoggio del Partito comunista cinese, fondato sempre nel '21 da Mao Tse-tung. Anche l'Unione Sovietica sostenne attivamente la causa di Sun Yat-sen ed inviò aiuti economici e militari al governo di Canton ed indusse addirittura il Partito comunista ad aderire in blocco al Kuomintang.

L'alleanza fra nazionalisti (Kuomintang) e comunisti non sopravvisse però alla morte, nel 1925, di Sun Yat Sen, leader appunto dei nazionalisti. Il suo successore, Chang Kai-shek, era molto più diffidente nei riguardi dei comunisti, I contrasti cominciarono nel '26 quando Chang Kai-shek iniziò la camna per scacciare il governo di Pechino riconosciuto dalle potenze occidentali. Nel 1927 le milizie operaie furono sconfitte dalle truppe di Chang Kai-shek: insurrezioni operaie furono represse nel sangue ed il Partito comunista fu messo fuori legge.

Dopo aver stroncato l'opposizione operaia ed aver condotto a termine vittoriosamente la lotta contro il Governo di Pechino, Chang Kai-shek cercò di riorganizzare l'apparato statale secondo modelli occidentali. Nel 1931 i Giapponesi invasero la Manciuria; l'inerzia manifestata dal governo di Chang Kai-shek diede nuovo spazio all'azione dei comunisti. Decisiva si rivelò la strategia contadina impostata da Mao Tse-tung. Costretto a combattere su due fronti, Chang Kai-shek decise di dare priorità alla lotta contro i comunisti e lanciò, fra il '31 ed il '34. una serie di camne militari contro le zone da loro controllate. Scarsamente appoggiati dall'Urss, che tendeva invece a mantenere rapporti con la Repubblica 'borghese' di Chang Kai-shek, i comunisti dovettero evacuare la zona occupata e trasferirsi nella regione dello Shantxi dopo una marcia durata circa un anno, la cosiddetta 'lunga marcia'. Quando, nel '36, Chang Kai-shek decise di lanciare una nuova camna contro i comunisti, dovette scontrarsi con l'aperta dissidenza dell'esercito, il quale chiedeva la fine della guerra civile e l'unione di tutte le forze nazionali contro l'aggressione giapponese. Si giunse così, nel '37, ad un accordo fra comunisti e nazionalisti contro l'imperialismo straniero.

La precaria alleanza fra comunisti di Mao e nazionalisti di Chang Kai-shek stretta nel '37 entrò in crisi con lo scoppio della guerra nel Pacifico. A partire dal '41 il governo di Chang Kai-shek cominciò a trascurare la lotta contro gli occupanti stranieri per prepararsi invece alla resa dei conti coi comunisti, i quali, nei territori da loro controllati, non solo combatterono un'efficace guerriglia contro i Giapponesi, ma seppero anche rafforzare i loro legami con le masse contadine e con i ceti medi, attuando ampie riforme agrarie. A guerra terminata gli Stati Uniti cercarono di promuovere un nuovo accordo fra comunisti e Kuomintang, ma Chang Kai-shek, che sapeva di contare comunque sull'appoggio degli Americani, rifiutò ogni compromesso e lanciò contro i comunisti una camna militare che, in un primo tempo portò risultati positivi; ma i comunisti riuscirono a riorganizzarsi ed a contrattaccare, contando sull'appoggio della popolazione contadina. Nel '48 le sorti della guerra si rovesciarono; le forze di Chang Kai-shek cominciarono a disertare, mentre l'esercito di Mao si rafforzava anche sul piano militare. Nel '49 i comunisti entrarono a Pechino; Chang Kai-shek fu costretto all'esilio, sotto protezione americana, nell'isola di Taiwan.

Il 1 ottobre 1949 fu proclamata a Pechino la nascita della Repubblica popolare cinese, subito riconosciuta dall'Urss ma non dagli Stati Uniti, che invece continuarono a considerare come legittimo il governo cinese di Taiwan di Chang Kai-shek. Nel 1950 la Cina di Mao stipulò con l'Unione Sovietica un trattato di amicizia e di mutua assistenza.

LA CINA DI MAO - CONTRASTI CON L'URSS E 'RIVOLUZIONE CULTURALE'

Tra gli anni '50 e gli anni '60, parallelamente allo stabilirsi di una coesistenza fra U.S. ed Urss, si venne delineando un contrasto sempre più grave fra le due maggiori potenze comuniste: Urss e Cina. All'origine della rottura c'era un intreccio di divergenze politico-ideologiche. Mentre l'Urss si proponeva come unico leader in campo socialista, la Cina rivendicava maggior peso politico in peso internazionale. Nel corso degli anni '50 la Cina comunista aveva progressivamente nazionalizzato i settori industriale e commerciale ed allo stesso tempo si era impegnata attivamente nella collettivizzazione dell'agricoltura. Il regime comunista aveva dapprima, con la riforma agraria del 1950, ridistribuito le terre fra i contadini, creando così una miriade di piccole aziende agricole, quindi le aveva obbligate a riunirsi in cooperative controllate dalle autorità statali.

;Mentre nel settore industriale si era ottenuta una crescita molto rapida, molto meno soddisfacenti erano stati i risultati nel settore agricolo. Per promuovere in tempi brevi un rilancio della produzione agricola, la dirigenza comunista varò nel 1958 una nuova strategia che fu definita 'grande balzo in avanti': le cooperative furono forzatamente riunite in unità più grandi, le comuni popolari, ciascuna delle quali doveva tendere all'autosufficienza economica. L'esperimento si risolse però in un colossale fallimento: la produzione agricola crollò. Un'altra conseguenza gravissima fu l'inasprirsi della situazione con l'Urss. I Sovietici nel '59 richiamarono i loro tecnici e rifiutarono qualsiasi assistenza alla Cina accusando i cinesi di deviazionismo cercando di ottenere una solenne condanna del maoismo da parte dell'intero movimento comunista internazionale. I Cinesi replicarono con accuse di imperialismo. Nel 1969 la tensione sarebbe sfociata addirittura in episodici scontri armati lungo il fiume Ussuri. Il fallimento del 'grande balzo in avanti' ebbe contraccolpi anche sul piano interno; Mao ricorse ad una forma di lotta inedita in un regime comunista: avvalendosi dell'esercito mobilitò contro i suoi avversari le generazioni più giovani, esortandole a ribellarsi contro i dirigenti 'deviazionisti'. La mobilitazione culminò nel '68 nella cosiddetta 'rivoluzione culturale'. Nelle scuole e nei luoghi di lavoro , gruppi di giovani guardie rosse misero sotto accusa insegnanti e dirigenti politici. L'intento era quello di provocare un radicale mutamento nella cultura e nella mentalità collettiva e di superare tutti gli ostacoli che si frapponevano alla realizzazione del comunismo. Ma la rivoluzione culturale si esaurì nel giro di due anni, quanti erano necessari per eliminare i dirigenti contrari alla linea maoista. A partire dal '68 lo stesso Mao cominciò a porre un freno al movimento. Un ruolo importante in questa fase fu svolto da Chou En-lai, il più autorevole dopo Mao fra i capi comunisti cinesi, che ricoprì ininterrottamente dal 1949 la carica di primo ministro. Fu proprio Chuou En-lai ad avviare all'inizio degli anni '70 una linea di normalizzazione anche in campo internazionale, resa necessaria dall'isolamento economico e diplomatico in cui il Paese si trovava. La nuova linea si tradusse in una clamorosa apertura agli Stati Uniti nel '72 e dall'ammissione all'Onu della Cina comunista.

LA CINA DOPO MAO

La fine degli anni '70 vide compiersi un processo di radicale revisione interna, simile a quello avviato in Urss dopo la morte di Stalin. Artefice della demaoizzazione fu Deng Xiaoping. Nel giro di pochi anni, Deng, capovolse la linea collettivista ed egualitaria di Mao e promosse una serie di profonde modifiche nella gestione dell'economia: furono introdotte differenze salariali ed aumentati gli incentivi per i lavoratori; fu incoraggiata l'importazione di tecnologia dai Paesi più sviluppati ed i contadini ebbero la possibilità di vendere i prodotti sul mercato libero; erano stati introdotti in Cina i primi elementi di economia di mercato occidentale.





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