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Crisi del papato tra cattività avignonese, scisma e conciliarismo

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Crisi del papato tra cattività avignonese, scisma e conciliarismo



Un senso altissimo della dignità pontificia e della necessità di affermare l'autorità anche temporale della chiesa caratterizza il pontificato di Bonifacio VIII, eletto papa nel 1294.


Nel 1300 proclama il giubileo, l'indulgenza plenaria per chi visiti le tombe degli apostoli, che diviene una celebrazione della chiesa romana.


Le dottrine teocratiche di Bonifacio prendono forma nello scontro con Filippo IV, re di Francia.


All'origine del conflitto stanno questioni di natura economica e fiscale: il diritto del re di tassare gli ecclesiastici del suo regno, ovvero il diritto del papato di imporre tasse sui beni della chiesa francese.


Più in generale in discussione sono i rapporti tra autorità religiosa e autorità civile.


Le posizioni pontificie trovano espressione nelle bolle Ausculta fili (1301) e Unam sanctam (1302) dove si ribadisce la subordinazione del potere civile a quello religioso.

Dottrina delle due spade: due spade, quella temporale e quella spirituale, sono state stabilite da Dio per il governo dei cristiani, e sono entrambe in potere della chiesa; se la spada temporale è affidata ai laici, questi devono comunque riconoscere la superiore autorità del potere religioso, che può essere giudicato esclusivamente da Dio.




Contro le pretese del pontefice si schierano accanto al re anche gli stati generali, convocati per la prima volta nel 1301. Viene richiesta la convocazione di un concilio e Bonifacio subisce ad Anagni l'umiliazione dell'arresto da parte di un contingente inviato dal re di Francia (1303).


Liberato da una sommossa popolare il papa muore tuttavia poco dopo.


Come successore di Bonifacio VIII, il conclave elegge rapidamente Benedetto XI, il cui pontificato dura però meno di un anno.


Solo nel 1305 avviene l'elezione del nuovo papa, in virtù dell'esitazione del collegio cardinalizio sospeso tra la possibilità di nominare una personalità che prosegua l'azione intrapresa da Bonifacio VIII e l'intenzione di scegliere invece un pontefice gradito al re di Francia.


La scelta cade su un cardinale francese, che diviene papa con il nome di Clemente V. Questi non si reca a Roma e, dopo essere stato incoronato a Lione, trasferisce la sede del papato ad Avignone (città provenzale posta sotto la sovranità degli angioini, signori di Napoli e vassalli del pontefice).


Per settanta anni il papato rimane ad Avignone, periodo in cui si susseguono esclusivamente pontefici francesi.


Nel periodo della cosiddetta cattività avignonese (significando con questa espressione la "prigionia" del papa in terra di Francia) la chiesa si caratterizza per un drastico accentramento del potere nelle mani del pontefice, per una propensione al lusso e al mecenatismo in campo culturale (resi possibili da un efficace sistema amministrativo e finanziario), ma anche per una scarsa attenzione alle richieste di riforma in ambito religioso e spirituale, che emergono invece in ampi settori del modo cristiano.


A partire dal 1350, sotto la pressione di queste esigenze di riforma spirituale e religiosa, a cui si aggiunge la necessità di riprendere il controllo diretto dei territori dello Stato pontificio in cui hanno riacquisito tutte le loro prerogative le famiglie della nobiltà patrizia, si comincia a fare strada l'idea di riportare la sede del papato a Roma.


Il ritorno a Roma del papa avviene nel 1377 con Gregorio XI. Il progetto riformatore si interrompe però l'anno dopo con la morte del pontefice e l'inizio del cosiddetto scisma d'occidente.


Il conclave nel 1378 elegge Urbano VI. I cardinali francesi, denunciando le pressioni a cui sarebbero stati sottoposti per eleggere un papa italiano, dichiarano deposto Urbano VI e gli contrappongono Clemente VII, che nuovamente si trasferisce ad Avignone forte dell'appoggio del re di Francia Carlo V.


Il mondo cristiano risulta diviso su due fronti contrapposti (il papato avignonese è riconosciuto dai regni di Francia e di Napoli, dalla Castiglia e dalla Aragona).


I tentativi di rimarginare la ferita interna alla cristianità, messi in atto già a partire dai primi anni '90, risultano inefficaci.


Si fa spazio la dottrina conciliarista: il potere sulla chiesa spetta alla chiesa stessa e all'organo che la rappresenta, il concilio ecumenico, la cui convocazione spetta ai cardinali.


Dall'accordo dei due collegi di Roma e Avignone deriva la convocazione del Concilio di Pisa (1409) che depone i due papi scismatici e nomina un nuovo pontefice, Alessandro V. Nessuno dei due pontefici deposti accetta e negli ultimi anni dello scisma la chiesa si trova ad avere tre papi.


Nel 1414 viene convocato un nuovo concilio ecumenico a Costanza che si conclude nel 1417 con l'elezione di Martino V e la fine dello scisma.


Il nuovo papa si impegna a governare di comune accordo con il concilio, per il quale viene stabilito l'obbligo di convocazione a scadenze regolari. Nel caso di un nuovo scisma al concilio è garantita la possibilità di convocarsi autonomamente.  


In sostanza il concilio è dichiarato l'organo supremo e permanente di governo della chiesa.


Il prevalere delle tesi conciliariste è favorito dall'appoggio dei sovrani e dei principi europei che mal sopportano le imposizioni fiscali sul clero dei loro stati e le intromissioni dei tribunali pontifici e anzi vedono nell'indebolimento dell'autorità e dell'influenza del papa sulle chiese locali la possibilità di spazi maggiori per un controllo civile e politico sulle istituzioni ecclesiastiche.


Nel 1431 il concilio convocato a Basilea (che dura fino al 1449) segna l'apertura di una nuova fase di crisi per la cristianità.


L'intento sarebbe quello di dare il via ad un programma di riforma complessivo della chiesa sulla scorta delle tesi conciliariste.


Papa Eugenio IV una volta eletto tuttavia cerca invece di riaffermare le prerogative proprie del pontefice. Scioglie l'assemblea conciliare per riconvocarla in seguito più volte. Parte del collegio cardinalizio rimane però a Basilea, dove al culmine dello scontro provvede alla nomina dell'antipapa Felice V (1439).


Il radicalizzarsi delle tesi conciliariste porta al raffreddamento dell'appoggio a queste ultime da parte dei principi e sovrani europei.


Emerge al contrario la volontà di ridefinire i rapporti con il papato garantendogli l'appoggio necessario per contrastare il partito conciliarista e ottenendo in cambio la possibilità estendere un controllo più stretto sulle gerarchie ecclesiastiche nazionali (sia apre la fase dei concordati).


Nel 1449 la chiesa viene riunificata con il nuovo papa Niccolò V.


Vengono abbandonante le tesi conciliariste, si rafforzano la posizione del pontefice ma anche viene interrotto il percorso di riforma interna alla chiesa che si era tentato di avviare.











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