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Dalla Guerra Austro-Prussiana alla Destra Storica



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Dalla Guerra Austro-Prussiana alla Destra Storica


Prussia-Italia contro Austria : la terza guerra di Indipendenza per il Veneto

A causa della questione dei ducati danesi, nel 1866 vengono a conflitto Austria e Prussia. L'Italia, che per motivi geografici gioca un ruolo strategico nel conflitto, avrebbe potuto acquistare il Veneto soltanto rimanendo neutrale, come proposto dall'Austria. L'allora Presidente del Consiglio Lamarmora e il suo governo pensano invece che uno sforzo bellico possa essere un buon banco di prova per il nuovo Stato italiano e si alleano con la Prussia. La speranza è quella di ottenere, oltre al Veneto, anche il Trentino italiano.

All'inizio delle operazioni belliche, però, le cose non vanno come previsto. L'esercito italiano, anche se numericamente superiore a quello che l'Austria poteva opporre (gli austriaci si trovarono a combattere su due fronti, come avevano cercato di evitare) ottenne risultati piuttosto deludenti. Le truppe guidate da Lamarmora in persona e dal generale Cialdini (opposti da antiche rivalità) subirono una grave sconfitta a Custoza (24 giugno 1866). Anche la flotta dell'ammiraglio Persano fu sconfitta nelle acque di Lissa il 20 luglio 1866. L'unico a ottenere vittorie fu Garibaldi, che con i sui cacciatori penetrò in Trentino e inflisse agli austriaci una dura sconfitta a Bezzecca (21 luglio).



Sul fronte prussiano invece, le cose andarono peggio per l'Austria che fu ben presto costretta alla modulazione da una serie di folgoranti vittorie dell'esercito di Bismarck. Con la pace di Vienna dello stesso 1866 gli Austriaci si dichiararono battuti sul fronte prussiano, ma si rifiutarono di considerarsi sconfitti su quello italiano. Fu così che pretesero di conservare il Trentino, mentre cedettero alla Francia il Veneto perché fosse poi concesso all'Italia, in una formula diplomatica non meno che umiliante.


Conseguenze della guerra

I risultati deludenti della prima impresa militare dello Stato Italiano suscitarono polemiche e una generale sensazione di cattiva organizzazione dello Stato. Iniziò un profondo esame di coscienza nella classe politica e personaggi della stessa maggioranza liberale, come Jacini, cominciarono a dire che dopo la conquista del Veneto andava ripensata tutta l'organizzazione dello Stato.


Ripensare lo Stato

Cominciò a farsi strada l'idea che, dopo i primi anni dall'Unità, in cui erano stato necessario condurre lo Stato come in una situazione d'emergenza, ora era il momento di cambiare rotta. Jacini poneva in particolare l'accento sulla ristrettissima base elettorale e sulla ancor più ristretta vita politica e civile del paese. Era singolare che in quegli stessi territori unificati tramite plebisciti a suffragio universale maschile, partecipasse effettivamente alle elezioni poco più dell'1% della popolazione (Jacini parlava di una immensa Italia reale contrapposta a una minuscola Italia legale). Inoltre, il notevole accentramento del potere di governo, che era servito nei primi anni a evitare la disgregazione del nuovo Stato, doveva essere ora progressivamente sostituito da un decentramento politico e amministrativo, lasciando al governo centrale solo in grandi temi dell'economia e della politica estera.


Prendere Roma : i tentativi di Garibaldi

Queste aspirazioni (allargamento del suffragio, decentramento amministrativo) erano condivise dalla Sinistra al parlamento. Nel 1867 Rattazzi tornò al potere, sembrando riaprire spazi d'azione per le forze democratiche.

Una delle rivendicazioni dei democratici era la soluzione decisa della questione romana. In questo clima, Garibaldi organizza una spedizione contro lo Stato Pontificio per la liberazione di Roma, progettando un'azione che avrebbe dovuto realizzarsi contemporaneamente dall'esterno e dall'interno di Roma. Garibaldi fu messo sotto sorveglianza a Caprera, ancor prima di partire, e i Garibaldini subirono una sconfitta a Villa Gori con l'arresto dei patrioti romani. A queste notizie Garibaldi si allontanò da Caprera e con 3.000 volontari si diresse alla volta di Roma. L'esercito francese però, prontamente sbarcato a Civitavecchia e armato di fucili a retrocarica fermò Garibaldi a Mentana (il 3 novembre 1867).


Più vicini alla Prussia, più lontani dalla Francia

Questo episodio non fece che accentuare la generale tendenza nell'opinione pubblica italiana, a considerare con sempre meno simpatia la Francia di Napoleone III e a guardare con ammirazione la Prussia di Bismarck. Dopo l'alleanza del 1866, la Prussia diventò per l'Italia il simbolo della buona organizzazione statale, dell'efficienza militare, del progresso scientifico ed economico. La potenza tedesca riceveva la stima di uomini della Sinistra come Crispi, ma anche della destra come Sella.

Questo nuovo orientamento internazionale si inserisce nel più ampio mutamento del clima culturale italiano ed europeo. La crisi delle correnti romantiche, alle quali si erano ispirati liberismo e mazzinianesimo, lasciava ora il posto a nuove tendenze di pensiero come il neoeghelismo (che in Italia era forte a Napoli) e il positivismo.

Queste due correnti erano caratterizzate da un anticlericalismo ancor più accentuato di quello dei liberali, e vedeva nella presa di Roma la vittoria della scienza e della cultura moderne sulle tenebre della religione.


Guerra Franco-prussiana e breccia di Porta Pia

Questo mutato orientamento internazionale divenne evidente quando scoppiò il conflitto fra Prussia e Francia. Il governo italiano di Lanza e Sella (1869-l873) rifiutò qualsiasi aiuto alla Francia contro le armi di Bismarck, mentre Vittorio Emanuele II non prendeva una posizione definita. Solo Garibaldi partì volontariamente a portare un generoso quanto vano soccorso alla nuova Repubblica Francese. Nel frattempo, l'esercito francese impegnato altrove, il generale Cadorna aprì una breccia nelle mura di Roma, a Porta Pia, ed occupò la città (20 settembre 1970).




Roma capitale : successi e problemi

Nel luglio 1971 il governo e la capitale si trasferirono da Firenze a Roma, mentre il Papa si rinchiudeva nei Palazzi Vaticani dichiarandosi prigioniero dello Stato Italiano. Era il coronamento di una grande aspirazione risorgimentale, ma anche l'inizio di una discreta serie di problemi. Innanzitutto voci come quelle di Jacini e D'Azeglio si levarono per mettere in guardia l'Italia dalla tentazione della megalomania, dal pericolo di considerarsi, cioè, ormai una grande potenza con Roma capitale. Inoltre c'era il problema dei rapporti col papato, perché il Papa denunciava al mondo l'usurpazione dei suoi diritti e le sorti del capo della cattolicità avevano una grande rilevanza internazionale. Senza contare che la stragrande maggioranza degli italiani era cattolica.


I rapporti col papato : tentativi di soluzione

Nel 1871 il parlamento votò una legge con la quale i cavouriani tentavano di portare a termine l'aspirazione alla separazione tra Stato e Chiesa. Si trattava della legge delle Guarentigie (garanzie) che offriva al pontefice tutta una serie di concessioni e immunità affinché potesse considerarsi dignitosamente integrato e riconosciuto all'interno dello stato italiano. Il Papa aveva l'uso perpetuo dei palazzi vaticani e della villa di Castelgandolfo, la libertà di comunicare con i cattolici di tutto il mondo, l'immunità diplomatica per gli ambasciatori stranieri presso la Santa Sede e un appannaggio annuo di 3 milioni.

Né Pio IX però, né i suoi successori vollero riconoscere la legge delle Guarentigie, considerandola un atto unilaterale e arbitrario dello Stato Italiano. Questo provocò gravi problemi allo Stato perché rimaneva per ora impossibile conciliare i nuovi ordinamenti nazionali e liberali con le masse cattoliche e con il clero più devoto a Roma, che aveva una grande influenza sul popolo e sarebbe stato di grande aiuto in quei territori sconvolti da tumulti e ribellioni. Inoltre, nel 1874 la Santa Sede pubblicò il famoso documento intitolato «Non expedit» in cui si proibiva esplicitamente ai cattolici di partecipare alla vita politica italiana.


Risanamento finanziario e declino della destra storica

Lo scoppiare di molte rivolte era dovuto alla politica finanziaria e fiscale del governo, che si trovava a dover risanare in conti pubblici da un forte deficit che le spese belliche avevano aggravato. Quello del risanamento finanziario fu il problema più assillante che si trovò ad affrontare il più espero ministro delle finanze della destra storica, Quintino Sella.

Due furono sostanzialmente le vie della Destra al risanamento : vendita dei beni ecclesiastici e demaniali, e tassa sul macinato. Quest'ultima colpiva pesantemente la produzione di farine ricavate dai cereali, che veniva controllata tramite l'installazione di un contatore su ogni mulino. Le popolazioni povere, grandi consumatrici di pane e pasta, furono costrette a are un prezzo altissimo. Scoppiarono violenti tumulti e rivolte in seno alle popolazioni affamate e disperate, al grido di «Viva il Papa e gli Austriaci». La repressione delle insurrezioni fu affidata ancora una volta alle armi. La linea dura del governo ottenne i risultati che si era prefissa : la tassa fornì un forte gettito.

La vendita dei beni ecclesiastici e demaniali non fu condotta con altrettanta efficienza e non dette i risultati sperati. I terreni da mettere in vendita erano quelli di proprietà di conventi e ordini religiosi, in gran parte sciolti dallo Stato in questo periodo, o erano costituiti da terre comunali. Queste terre, sebbene pressoché incolte, fornivano un certo sostentamento alle popolazioni rurali che, secondo un uso che si protraeva dal medioevo, le sfruttavano come pascoli o aree per il legname. Nella fretta di vendere i terreni e trarne i profitti, lo Stato tralasciò di fornire ai contadini i crediti necessari ad acquistarli, impedendo così l'auspicabile formazione di una diffusa proprietà contadina. Il risultato fu che i cospicui patrimoni di cui lo Stato disponeva furono facile preda dei latifondisti e di accorti speculatori, che con aste truccate, false vendite e minacce ai piccoli compratori si assicurarono a prezzi stracciati gran parte della terra in palio.

Una volta diventate proprietà privata, inoltre, le popolazioni rurali si videro private ulteriormente delle loro già esigue risorse.

Con il fallimento dell'operazione finanziaria, che fruttò molto meno del previsto, la mancata riforma agraria ed il problema contadino aggravato piuttosto che risolto, la Destra storica si avviò alle elezioni sotto cattivi auspici. Le elezioni del '74 andarono molto male per la destra, e proprio nel 1876, anno in cui si ebbe l'auspicato pareggio del bilancio, uno scontro interno fece cascare il governo ed aprì la strada per l'avvento al potere della Sinistra storica.






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