“ECONOMIA NEGLI ANNI ’30”
Questo periodo
prese avvio con il “Giovedì
nero” di Wall
Street, il 24 Ottobre 1929: fu un crollo improvviso dopo un periodo di
espansione abbastanza lungo. Il grande aumento di produttività negli
Stati Uniti creò una sovrapproduzione,
si cercò quindi di stimolare la vendita di merci a rate. La
povertà era però ancora diffusa: c’era una sproporzione tra la capacità
di acquisto e la grande capacità espansiva delle aziende favorite dai
finanziamenti in azioni e che quindi cercarono di esportare capitale
all’estero, finanziando la ripresa economica europea. Tutti però
iniziarono a vendere, poiché il valore delle azioni aveva raggiunto un prezzo
tanto elevato che molti volevano intascare il guadagno, anche perché si era
iniziato a manifestare qualche timore sulla crescita del settore industriale.
Ci fu un’ondata di panico nella popolazione e quindi gli istituti bancari, che
avevano investito molto in borsa, fallirono.
La crisi
statunitense ebbe ripercussioni anche sul commercio internazionale: negli anni
tra il ’29 e il ’32 diminuì del 30 e
il numero dei disoccupati arrivò a quota 14 milioni negli Stati Uniti e
15 milioni in Europa: iniziò così la grande depressione.
Questa ebbe effetti
soprattutto in Germania, dove la ripresa economica era alimentata dai due piani
statunitensi e che quindi si interruppe; ne conseguirono fallimenti, chiusure
di fabbriche, disoccupazione elevata . determinando una forte crisi economica.
Sotto la guida di Roosevelt, governatore
dello Stato americano e grande statista (il quale attuò un intervento sanitario), lo
Stato non aveva il controllo sul sistema bancario, c’era cioè
un’anarchia speculativa. Ci fu una svalutazione del dollaro, che ebbe effetti
negativi per l’inflazione e le importazioni e positivi per le esportazioni.
Sempre con Roosevelt fu aumentata l’indennità, ovvero i sussidi di
disoccupazione e inoltre fu deciso di aumentare la spesa pubblica per favorire
piani di lavoro pubblici e incrementare l’occupazione della manodopera
disoccupata. Ci fu così un aumento del deficit. Roosevelt seguì
cioè la teoria dell’economista inglese Johnn Keynes,
espressa nell’“Occupazione, interesse e moneta”, secondo cui il benessere
economico non deve essere raggiunto affidandosi al gioco spontaneo della
domanda e dell’offerta, perché le forze operanti nel sistema non erano a quel
tempo in condizioni di assicurare una crescita continua della domanda. Di
conseguenza è importante l’intervento dello Stato, che dovrebbe farsi
portatore di politiche espansive della domanda, soprattutto con un maggiore
impegno della spesa pubblica (mettendo da parte i problemi derivanti dal
deficit).
Negli anni ’30 si
verificò la tendenza a statalizzare le industrie (soprattutto
nell’età fascista in Italia); in questa rientrò più
superficialmente Roosevelt, anche se aumentò notevolmente i controlli
dello Stato sull’economia.