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IL MEDIOEVO LE INVASIONI BARBARICHE - ITALIA



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IL MEDIOEVO LE INVASIONI BARBARICHE - ITALIA


Dopo la morte di Teodosio I il Grande (395), la divisione dell'Impero romano, già avvenuta altre volte per periodi più o meno brevi in passato, divenne definitiva. Dei due li di Teodosio I, Arcadio (395-408) ereditò l'Oriente, Onorio (395-423) l'Occidente, due mondi del resto già storicamente divergenti e destinati a divergere sempre più. Regnando Onorio, arbitro della politica imperiale fu un grande generale di origine vandalica, Stilicone; per suo merito l'Italia fu salva due volte da insediamenti barbarici. La prima, i federati Visigoti, guidati da Alarico, entrarono in Italia dal Friuli e invasero la pianura padana; ma Stilicone li sconfisse a Pollenzo (Bra) e presso Verona (403), e li costrinse a ripassare il confine orientale. La seconda volta, un'orda di Barbari di varie stirpi, condotta da Radagaiso, si riversò in Italia per salvarsi dall'avanzata degli Unni. Stilicone sconfisse anche costoro presso Fiesole (405). Fu in questo tempestoso inizio del   vsec. che Onorio si trasferì, con la corte imperiale, da Milano, difficile a difendersi, a Ravenna, appartata, protetta dalle paludi e beneficata dal mare, che dal 402 divenne la capitale dell'Impero d'Occidente.

Per la difesa dell'Italia, Stilicone aveva chiamato a raccolta le legioni transalpine, sguarnendo altre regioni vitali dell'Impero, come ad es. la Gallia.



Alarico intanto, lasciata l'Italia, si era stanziato coi suoi Visigoti nell'Illirico, in attesa di trasferirsi in un paese più prospero, col riconoscimento di Onorio e il consenso di Stilicone. Ma quando, alla morte di Arcadio (408), Stilicone si adoperò per assumere la reggenza del suo erede, il fanciullo Teodosio II (408-450), ci fu chi alla corte di Onorio insinuò che il generale tramasse per eliminare lui dal trono d'Occidente e suo nipote da quello d'Oriente, e farsi egli stesso imperatore. Onorio prestò fede all'accusa, trasse Stilicone in un'insidia e lo fece morire (408). Fece così il gioco di Alarico il quale, poco dopo la ssa dell'unico avversario capace di contrastarlo, rientrò in Italia coi suoi Barbari e raggiunse i dintorni di Roma. Di qui negoziò per qualche tempo con Onorio, chiedendo, in cambio della rinuncia ad assalire la città, larghe concessioni territoriali, ma i negoziati fallirono e i Visigoti irruppero in Roma e la misero a sacco (agosto 410). Lo strazio di Roma (inviolata da otto secoli, cioè dall'invasione dei Galli) suscitò sgomento e dolore in tutti quelli che avevano una coscienza civile: tra questi, san Girolamo e sant'Agostino.

Da Roma, Alarico passò coi Visigoti nel Mezzogiorno, portando con sé Galla Placidia, sorella di Onorio; aveva come meta la Sicilia, allora assai ricca, ma, giunto a Cosenza, morì, lasciando il regno al cognato, Ataulfo (410-415). Questi, venuto a patti con Onorio, risalì l'Italia e ne uscì dal confine occidentale: pochi mesi prima della sua morte sposò Galla Placidia (414). Quest'ultima, tornata a Ravenna presso il fratello, non tardò a unirsi in matrimonio con Costanzo (il futuro, imperatore @19Costanzo III#432783NN3NN@*19), succeduto a Stilicone nel predominio alla corte imperiale; da questa unione nacque Valentiniano III che succedette, non senza contrasti, a Onorio. Sotto Valentiniano III (425-455), il potere imperiale si ridusse all'Italia; l'imperatore stesso fu soggetto nella giovinezza alla madre e nella maturità ai due suoi maggiori generali, Bonifacio ed Ezio. Ezio difese con valore i resti dell'Impero, e legò il suo nome alla grande vittoria dei Campi Catalaunici sugli Unni di Attila (451). Questi furono respinti dalla Gallia, ma, rifattisi in Pannonia, attaccarono pochi mesi dopo l'Italia (452). Ridotta Aquileia a un mucchio di rovine, con una marcia lenta ma ininterrotta desolarono gran parte della valle del Po: Valentiniano III riparò a Roma; Ezio, con forze esigue, s'accampò ad attenderli sulla destra del fiume. Lo scontro tuttavia non avvenne, grazie a un colloquio intervenuto tra Attila e una legazione composta di messi del papa Leone I e dell'imperatore in territorio mantovano: si ignorano i particolari delle trattative, ma Attila ripassò le Alpi e morì appena giunto in Pannonia (453).

Venuto meno il pericolo degli Unni, Valentiniano III si urtò con Ezio e lo uccise di sua mano; poco dopo, egli stesso fu assassinato (455) e con lui si estinse la discendenza di Teodosio I. Appena morto l'imperatore, il re dei Vandali Genserico saccheggiò orribilmente Roma (455), e proseguì con una serie di azioni di conquista o di pirateria contro le isole e le coste italiane, che per oltre un ventennio fecero di lui il più implacabile demolitore dei resti dell'Impero d'Occidente. La vita di questo non fu, da allora in poi, che una lunga agonia: furono acclamati imperatori, l'uno dopo l'altro o contemporaneamente, una serie di personaggi notevoli solo per violenza o per ignavia, in un turbine di lotte civili. La ura più significativa fu Ricimero, un generale di origine germanica, che seppe contenere i Vandali e, senza assumere il titolo imperiale, fu sino alla morte (472) il vero sovrano e creò e depose imperatori a suo piacimento, col senso ancora vivo di servire a una grande causa. Poi, regnando Giulio Nepote, creatura dell'imperatore d'Oriente, emerse Oreste, un altro generale di origine pannonica e già al seguito di Attila, che spodestò il suo sovrano e proclamò imperatore il lio Romolo (475), detto, non senza una punta di spregio, l'Augustolo, l'imperatoruccio. Avvenne allora in Italia quanto era già avvenuto fuori: le soldatesche barbariche chiesero terre per stabilirvisi in permanenza e, avendo Oreste respinto le loro richieste, acclamarono loro capo lo sciro Odoacre, che prometteva di accontentarli. Odoacre infatti attaccò e abbatté Oreste, depose e confinò in Campania Romolo Augustolo (agosto 476) e sistemò i suoi barbari, in prevalenza Eruli (di origine scandinava), per tutta l'Italia. Accettò da costoro il titolo di re, ma non volle assumere quello d'imperatore; mandò anzi le insegne imperiali all'imperatore d'Oriente, Zenone, a riconoscimento della sua sudditanza, sollecitando da lui soltanto il governo dell'Italia, col titolo di patrizio. Zenone non rispose. Con la deposizione di Romolo Augustolo cessò di esistere l'Impero romano d'Occidente, durato mezzo millennio.



Odoacre (476-493) governò l'Italia con una certa prudenza, mantenendosi in corretti rapporti con la Chiesa cattolica (benché fosse ariano), con l'Impero d'Oriente e col regno dei Vandali, le potenze che più aveva ragione di temere, e allargò anche il suo dominio alla Dalmazia, alla Sicilia (cedutagli da Genserico) e al Norico; ai suoi Barbari riservò, come d'uso, il terzo delle terre, o dei frutti delle terre, dei Romani. Ma l'equilibrio che egli si sforzava di stabilire fu rotto bruscamente dall'invasione degli Ostrogoti. Per stornarli dall'Oriente lo stesso imperatore Zenone consentì al loro re Teodorico di condurli in Italia, ai cui confini essi apparvero nell'estate del 489. Odoacre cercò di contenere l'invasione, ma, battuto su linee sempre più arretrate (Isonzo, Adige, Adda), si rinchiuse in Ravenna, dove resistette a un lungo ed estenuante assedio, mentre gli Ostrogoti si spargevano per tutta l'Italia e vi si insediavano a forza. Si arrese infine, e Teodorico lo uccise di propria mano, e ordinò ai suoi ufficiali (duces) sparsi per l'Italia di sterminare quanti avessero opposto ancora resistenza (493).

Gli Ostrogoti misero radici nella penisola con questi mezzi; poi Teodorico provvide alla distribuzione delle terre e prese possesso della corte di Ravenna nella duplice veste di re del suo popolo e di patrizio, ossia governatore, in nome dell'imperatore d'Oriente; ciò che legittimava la sua posizione politica e militare. Disarmò i Romani ma, forse memore dell'educazione classica ricevuta a Costantinopoli, si circondò di consiglieri romani (Severino Boezio, Aurelio Cassiodoro, Ennodio), sperando di stabilire tra Barbari e Romani un regime di tollerabile convivenza in cui fossero attenuate le differenze di costume civile, di religione, di nazionalità. I disegni di Teodorico furono sconvolti da una triplice offensiva: da parte dei Franchi che, conquistata con Clodoveo gran parte della Gallia, aspiravano a quella supremazia in Occidente che era il sogno anche del re degli Ostrogoti; da parte dell'imperatore d'Oriente, Giustino, che intendeva annettere all'Impero l'Italia; da parte infine della Chiesa, interprete dei sentimenti non solo religiosi, ma anche culturali del popolo italiano, umiliato da Barbari di fede ariana e di assai rozzi costumi.

Teodorico reagì sul triplice fronte e, all'interno, abbandonò la relativa moderazione che si era imposta e, stimolato dagli elementi barbarici che non l'avevano mai approvata, infierì contro gli esponenti della cultura romana, sinora onorati (condanna di Boezio e di altri intellettuali romani); infine, in risposta a un divieto del culto ariano nell'Impero, emanato da Giustino, fece imprigionare lo stesso papa Giovanni I che morì in carcere. Tutto ciò nel giro di un triennio, l'ultimo del regno e della vita di Teodorico, che morì improvvisamente (526). Il regno passò al fanciullo Atalarico, nato dalla lia del re Amalasunta, che ne assunse la reggenza e invano si sforzò, col consiglio di Cassiodoro, di ristabilire la politica di pace tra Ostrogoti e Romani. La ssa di Atalarico e il matrimonio di Amalasunta col cugino Teodato, apparentemente mite e conciliante, in realtà inflessibile assertore di una politica gotica senza concessioni alla nazione e alla religione dell'Italia, provocarono prima l'allontanamento dalla corte, poi la morte della regina e l'intervento, contro Teodato, delle forze bizantine (535, guerra gorica).



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