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"Non c'è Costituzione senza guerra civile": il caso francese del 1791

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"Non c'è Costituzione senza guerra civile": il caso francese del 1791


Le rivoluzione francese segna l'inizio del moderno costituzionalismo.

A partire dal  1789, la Francia rompe senza compromessi con la propria storia precedente e la via maestra del costituzionalismo passa per la dichiarazione dei diritti e la costituzione scritta. Sono proprio questi due elementi a segnare la svolta tra l'antico e il moderno, tra quello che i francesi chiameranno l'ancien régime e il tempo nel quale ancora oggi viviamo. Il manifesto della nuova era è riassunto dall'articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, adottata dall'Assemblea costituente francese nel 1789: 'Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione'.

Anche il caso della Costituzione francese del 1791, il modello di tutte le Costituzioni borghesi del XIX secolo, conferma la tesi del Professor Bin, secondo la quale non può venire alla luce una Costituzione senza essere preceduta da una guerra civile; di fatto essa non può nascere se non in seguito a un versamento di sangue, e mette generalmente la parola finale di un episodio di guerra.




Alla vigilia della rivoluzione, la situazione interna alla Francia, nonostante l'immagine trionfante della monarchia assoluta, non era molto diversa da quella di altri paesi; malgrado l'accentramento, infatti, l'amministrazione era tutt'altro che omogenea e forti differenze giuridiche e amministrative sussistevano tra le varie province.

Inoltre la venalità delle cariche giudiziarie centrali e periferiche e le differenze territoriali rendevano incerta l'amministrazione della giustizia; mentre i detentori delle cariche, in particolare i membri dei parlamenti, costituivano un fermo baluardo contro l'assolutismo.

Nelle camne l'attività dei coltivatori era gravata da prelievi feudali, dalla decima ecclesiastica, dalle imposte dirette e indirette del fisco regio. Ma le consistenti spese militari provocate dalla politica di potenza gravavano per più della metà sul bilancio dello Stato, sempre alla ricerca di nuove risorse.

Con il ritorno di Necker la mediazione viene trovata sull'idea di convocare gli Stati generali che, in quanto assemblea dei tre ordini del regno, avrebbe dovuto sciogliere il nodo del debito pubblico.

Voluta dalla nobiltà per ribadire la preminenza dei corpi politici tradizionali, la convocazione degli Stati generali non tarda a diventare l'occasione che il terzo stato cerca per far valere esigenze di rinnovamento.

La rivolta nobiliare genera la 'rivoluzione giuridica' condotta dal terzo stato nel nome dell'eguaglianza civile e fiscale. Primo strumento di questa battaglia sono i cahiers de doléances, redatti nel corso delle assemblee elettorali preparatorie. In essi non si esprimono solo generiche rivendicazioni di libertà contro l'assolutismo regio, ma si chiede apertamente un'equa ripartizione del carico tributario, l'abolizione dei privilegi feudali e dei diritti di nascita e una diversa rappresentanza politica. Irrisolto rimane invece l'ancora più decisivo problema del voto per ordini, che avrebbe conservato il dominio dei ceti privilegiati, o per testa che al contrario avrebbe sancito la superiorità del terzo stato.


La questione condiziona i lavori degli Stati generali sin dalla loro apertura il 5 maggio 1789, tanto più che Luigi XVI appare orientato a circoscrivere la discussione ai soli problemi finanziari, senza affrontare i temi civili e politici emersi nel dibattito dei mesi precedenti. Contro la resistenza degli ordini privilegiati e del sovrano i rappresentanti del terzo stato, con gesto ormai esplicitamente rivoluzionario l'assemblea assunse il nome di Assemblea nazionale e si impegnò a dare una Costituzione alla Francia.


Ma il diffuso malcontento generale comincia a manifestarsi pubblicamente con la forza a partire dal 12 luglio, quando si formano grandi assembramenti che manifestano la loro protesta e si scontrano con le truppe di stanza nella capitale. I disordini proseguono durante la notte seguente e culminano nell'assalto ai caselli in prossimità delle mura di Parigi, luoghi in cui le merci avano i dazi di entrata in città.

Il 13 luglio i ceti borghesi prendono in mano la situazione caotica, e viene istituita la prima vera e propria milizia  borghese armata, non più quindi soldati mercenari ma il vero e proprio popolo in arme .

Il 14 luglio l'insurrezione di Parigi, simboleggiata dalla presa della Bastiglia, imprime però agli eventi una velocità e un senso del tutto nuovi. In tutte le principali città della Francia la borghesia si impadronisce degli organismi municipali, d'altro canto invece nelle camne i contadini si rifiutano di are le decime ecclesiastiche e i vari canoni dovuti ai nobili.

L'Assemblea costituente trova adesso nella mobilitazione popolare - soprattutto della capitale - un appoggio determinante, ma ne riceve anche un problematico allargamento di orizzonti, nella misura in cui il processo rivoluzionario dovrà tener conto delle attese - spesso impazienti - di strati diversificati della società francese.

Nella notte del 4 agosto viene così decretata l'abolizione della servitù e dei privilegi fiscali.

Il 26 agosto è approvata dalla Costituente la Dichiarazione dei diritti dell'uomo, carta fondamentale per le garanzie di libertà individuale e di eguaglianza formale, come recita il suo celebre inizio: 'Gli uomini nascono e restano liberi e uguali nei diritti.Le distinzioni sociali non possono essere fondate che sulla comune utilità'.

La resistenza del re a sanzionare queste decisioni è vinta da un nuovo episodio di agitazione popolare: la marcia della guardia nazionale del 6 ottobre che obbliga il sovrano ad abbandonare Versailles e tornare a Parigi. Si apre quindi una nuova fase, caratterizzata dall'apparente adesione di Luigi XVI agli indirizzi costituzionali dell'Assemblea. Una vivace vita politica anima la capitale e le province, via via che alla Costituente vengono in discussione i principali punti della Carta: poteri del re e dell'esecutivo, limiti del suffragio elettorale, organizzazione amministrativa dello Stato.

Il giuramento di fedeltà alla Costituzione prestato da Luigi XVI durante la festa della Federazione il 14 luglio 1790 pare suggellare la fine della Rivoluzione.

In realtà, la corte mantiene da tempo legami con l'aristocrazia emigrata nella speranza di un intervento delle potenze europee in grado di restituire la Francia e il suo re all'antico ordine di cose.

La sorda opposizione del pontefice e il rifiuto di larga parte del clero al giuramento voluto dalla Costituzione civile accrescono nel sovrano scrupoli religiosi e desiderio di porre fine al sistema sorto dalla Rivoluzione.

La crisi sociale ed economica dovuta all'inflazione esaspera inoltre la precarietà di un'autorità il cui principio è ormai visibilmente sospeso tra vecchio e nuovo. In questo clima, nonostante i consigli alla prudenza che vengono da chi vede nella monarchia costituzionale il felice esito della Rivoluzione, matura la decisione di Luigi XVI di fuggire all'estero. Compiuto nella notte tra il 20 e il 21 giugno 1791 il tentativo è bloccato a Varennes, non lontano dalla frontiera orientale.

Vecchi, donne e bambini, gli uni armati di spiedi, di falci, gli altri di bastoni, di sciabole, di cattivi fucili assistono ostili al ritorno nella capitale di un re che ha perso la fiducia del suo popolo.

In agosto, a Pillnitz, Austria e Prussia minacciano di intervenire militarmente se non verrà garantita la stabilità dell'ordine monarchico, avvalorando così i sospetti di complici relazioni tra la corte e lo straniero. A poco vale, quindi, il giuramento di Luigi XVI alla nuova Costituzione (13 settembre 1791) che disegna i contorni di una monarchia costituzionale con base elettorale fortemente censitaria e rigida divisione tra i poteri. Dopo Varennes e dopo Pillnitz comincia a farsi strada l'idea di repubblica, circoscritta fino ad allora a pochi intellettuali illuministi.


La meta che insegue il costituzionalismo francese è molto ambiziosa: la Dichiarazione dei diritti e la Costituzione non servono solo a limitare il potere, ma sono infatti il veicolo di una rivoluzione sociale. La Francia è una realtà conflittuale divisa tra possidenti e nullatenenti, stratificata in ceti e corporazioni. I costituenti francesi devono abbattere la società tradizionale con tutte le sue strutture giuridiche, per crearne una nuova, fondata sul principio dei diritti individuali: non accettano l'uomo così come è, vogliono rigenerarlo; non vi è compromesso possibile con il passato.

Le dichiarazioni dei diritti che si succedono nel 1789-l791, 1793 e 1795 passano in rassegna tutti i diritti individuali: civili e politici, ma anche sociali, come quello all'istruzione e all'assistenza. Trascinato dall'impeto del suo radicalismo, il costituzionalismo francese non riesce a trovare un punto di equilibrio, e rimane prigioniero di contraddizioni insolubili. Dichiara i diritti dell'uomo ma poi, per realizzare la sua missione di rigenerazione, conferisce troppo potere al legislatore. Definisce la proprietà come diritto naturale, ma poi vuole limitarla in funzione sociale. Cerca di addomesticare il potere statale, ma finisce poi per giustificare le violazioni più brutali dei diritti individuali in nome della volontà generale.




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