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Tacito



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Tacito Considerato comunemente il più grande fra gli storici latini, Tacito accoglie e reinterpreta in modo originale e personalissimo risultati, metodi e schemi della tradizione storiografica di Roma antica. Dopo di lui la biografia prenderà il sopravvento sulla storiografia, con uno sviluppo - legato all'accentramento del potere politico nelle mani dell' Imperatore -di cui si colgono alcune premesse negli "Annales", l'ultima opera di Tacito stesso.
-Cronologia:
Nasce fra il 55 e il 58 d.C. Nel '78 sposa la lia di Giulio Agricola, console nel '77 Nell' 88 assume la carica di Pretore e di "Quindecimvir sacris faciundis" Nel '97 viene nominato "Consul Suffectus" dopo la morte di Virginio Rufo Nel '98 scrive l' "Agricola" e la "Germania" Tra il 104 e il 109 scrive le "Historiae" Nel 112 ottiene il proconsolato della provincia d'Asia Tra il 112 e il 115 scrive gli "Annales" Muore intorno al 120 d.C.



-Opere: "Historiae" e "Annales":
Tra il 104 e il 109 Tacito attese alla stesura delle "Historiae", la prima delle sue due grandi opere ad impianto annalistico. Esse erano composte da 12 libri, dei quali oggi possediamo i primi quattro e parte del quinto. L'intera opera narrava gli eventi dal 69 al 96, cioè dal regno di Galba alla morte di Domiziano, la cui tirannide continua a rimanere al centro dell'interesse dello storico. Indagando sul periodo più recente dell'Impero Tacito si proponeva di chiarire come dall'anarchia seguita alla morte di Nerone, si fosse giunti all'età di Nerva e Traiano caratterizzata da un clima di serena libertas. Nel proemio delle "Historiae" Tacito si dichiarava intenzionato, se la vita glielo avesse concesso, ad esporre in un'altra opera gli avvenimenti concernenti i regni di Nerva e di Traiano. Egli però non mantenne la promessa e nel 112 intraprese la stesura di una nuova opera, gli "Annales". Essa era costituita da 18 libri ed era suddivisa in tre sezioni dedicate rispettivamente a Tiberio, a Claudio, a Caligola e infine a Nerone. All'interno di questo ambito il pessimismo di Tacito si fa più cupo che nelle "Historiae" e la sua indagine sulle origini del Principato diventa un viaggio amaro e doloroso in un paesaggio storico senza luce di speranza alcuna. Tanto più che l'età Giulio-Claudia gli appare come quella in cui l'aristocrazia senatoria aveva lasciato tramontare definitivamente la propria libera politica, sprofondando nella decadenza morale.
Le fonti usate da Tacito per scrivere gli "Annales" sono Cluvio Rufo, Fabio Rustico, Plinio il Vecchio (con le memorie di Corbulone) e Vespasiano.
-Lo stile:
Lo stile di Tacito è drammatico, come drammatica è la sostanza dei fatti che narra. Il modello a cui si rifà è Sallustio ed evidenti sono i frutti dell'educazione oratoria ricevuta il gioventù. La sua "brevitas" e la sua "inconcinnitas" vanno ancora molto al di là di quelle di Seneca, altro autore a lui ben presente. Egli riesce a dare forma plastica al suo pensiero: gli ablativi assoluti sono spesso di estrema arditezza, gli anacoluti, gli asindeti, le brachilogie, le continue ellissi rendono inconfondibile la novità del suo stile. La ina di Tacito diventa così uno specchio esatto di un mondo interiore, dove luci e ombre si inseguono in un gioco perenne, e del mondo esteriore, dove i fatti si accumulano e si intrecciano senza un nesso apparente.

-Tacito - Discorso di Calcago 'Ogni volta che esamino le cause della guerra e la situazione critica in cui ci trovammo, mi sento grandemente incoraggiato a sperare che oggi il vostro accordo darà inizio al recupero della libertà per la Britannia intera: giacchè vi siete raccolti tutti insieme, siete liberi da servitù, non ci sono terre alle nostre spalle, e neppure il mare offre rifugio, con la flotta romana che ci stringe da vicino. E così la battaglia e le armi, onorevoli per i valorosi, sono nel medesimo tempo la via più sicura anche per i vili. Nelle precedenti battaglie in cui con esito vario si combattè contro i romani, c'era nelle nostre braccia una speranza d'aiuto, giacchè noi, i più nobili di tutta la Britannia e per questo posti nei suoi recessi più segreti, da dove non vediamo lidi di popoli asserviti, anche gli occhi conservavamo intatti dal contagio della schiavitù. Noi, posti all'estremo confine del mondo e della libertà, fino ad oggi siamo stati protetti dal nostro isolamento stesso, che manteneva celata ogni notizia di noi: ora l'estremo lembo della Britannia è accessibile, e tutto ciò che è ignoto si immagina straordinario; ma nessun popolo c'è più al di là, niente se non flutti e scogli e, ancor più pericolosi i Romani, alla cui prepotenza è vano sperar di sfuggire con la sottomissione e il rispetto. Predatori del mondo, ora che tutto devastando hanno esaurito le terre, frugano il mare: avidi se il nemico è ricco, bramosi di dominio se è povero, non l'Oriente non l'Occidente è bastato a saziarli: riccheza e povertà in loro soltanto destano la medesima sfrenata brama. Rubare, trucidare, rapinare con falso nome chiama impero, e dove fanno il deserto la chiamano pace. La natura ha avuto che a ciascuno fossero sommamente cari i proprio li e parenti: i primi ci sono portati via dalle leve, a servire lontano; le nostre spose e sorelle, quando pure riescano a sfuggire alle voglie del nemico, sono poi violate con il pretesto dell'amicizia e dell'ospitalità. Beni e sostanze se ne vanno per il tributo, il frutto dei campi e la fatica di un anno per la contribuzione in fumento, i nostri corpi stessi e le nostre mani si consumano nel rendere praticabili foreste e paludi, tra percosse e insulti. Gli schiavi, che sono nati per servire, sono venduti una volta sola, e sono i padroni a mantenere al loro mantenimento: la Britannia ogni giorno compra la sua schiavitù, ogni giorno la nutre. E come fra gli schiavi gli ultimi arrivati sono oggetto di scherno anche per i comni di schiavitù, così in questa massa di servi a cui è stato ridotto da tempo il mondo intero, noi, ultimi e disprezzati, siamo aggrediti per essere sterminati, giacchè non abbiamo campi fertili, o miniere, o porti, per sfruttare i quali valga la pena di mantenerci in vita. Inoltre il valore e la fierezza dei sottoposti non sono graditi ai dominatori; e la lontananza e l'isolamento stessi, quanto più offrono sicurezza, tanto più destano sospetto. e così non c'è speranza di scampo: animo dunque, sia che la salvezza sia che la gloria soprattutto vi stiano a cuore. (Agricola, 30 - 31.3)









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