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LA DEFORMAZIONE DEL TEMPO E LA MEMORIA COME RICORDO

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LA DEFORMAZIONE DEL TEMPO E LA MEMORIA COME RICORDO



Salvador Dalì  "La persistenza della memoria", dipinto (ARTE)



Il tempo come concetto: successione illimitata di istanti (tempo discontinuo);

misura della successione degli istanti, che può essere rapportata a diversi sistemi di riferimento.





Relatività di Einstein: dilatazione dei tempi

(FISICA)   

Sant'Agostino: il tempo (dimensione umana)

come "distensio animi": lo sentiamo come

attenzione per il presente, ricordo per il passato,  Difficoltà di misurazione del tempo anche

attesa per il futuro  (latino + FILOSOFIA) nello stesso sistema di riferimento (la

Terra): definizione di secondo non più basato

su fenomeni astronomici (moto apparente del

Sole) ma su fenomeni atomiciàorologio

atomico al cesio (SCIENZE)

Bergson: il tempo come durata; memoria,

ricordo-immagine e percezione; il tempo della

scienza e il tempo della coscienza (FILOSOFIA)




Il tempo della coscienza e annientamento del tempo nel teatro dell'assurdo,

in particolare in "Waiting for Godot" di S.Beckett; la concezione del tempo e

della sua relatività in Joyce; tempo e memoria in "Eveline";  struttura temporale

di "Ulysses"  (INGLESE)



Svevo: "La coscienza di Zeno": struttura temporale

e differenze con "Una vita"

(ITALIANO) Poesia "Non recidere forbice quel volto"

Montale (ITALIANO)


Esempio di perdita di memoria; attualità, Bisogno di ricordare: memoria della Shoah,

questione israelo-palestinese Giornata della Memoriaà P.Levi "Se questo  

è un uomo"

Rifiuto di ricordareà "La sindrome del sopravvissuto" Verri Melo

"Schindler's List" (STORIA + italiano)



La deformazione del tempo e la memoria come ricordo



Quest'opera mi ha colpito particolarmente per l'apparente stravaganza del soggetto e della sua rappresentazione (a chi mai sarebbe venuto in mente di dipingere orologi "molli") e a mio parere è emblematica nel mio percorso sulla deformazione del tempo e sulla memoria. In questo dipinto di Salvador Dalì il tempo, inteso nella razionale successione di istanti meccanicamente determinati, viene messo in crisi dalla memoria umana. La dilatazione o la contrazione del senso del tempo è una caratteristica che dipende dalla singola individualità, ma è sensazione certamente universale quella di avvertire lo scorrere del tempo secondo metri assolutamente personali.

L'opera, dal titolo originario Gli orologi molli, è stata ribattezzata La persistenza della memoria:

Dalì, infatti, per dare una forma diversa a cose reali si serve delle interpretazioni della memoria e delle deformazioni ulteriori fornitegli da un ricorso cosciente ai ricordi modificati dal tempo. Il tempo è simboleggiato in modo abbastanza esplicito dagli orologi, elementi deformabili e deformanti che indicano, in ultima analisi, l'irrealtà dell'esistenza.

Questi tre orologi sul punto di sciogliersi al sole - mentre un quarto, ancora chiuso nel suo coperchio dorato, è assaltato da un cumulo di formiche brulicanti - rappresentano l'aspetto psicologico del tempo, il cui trascorrere, nella soggettiva percezione umana, assume una velocità e una connotazione diversa, interna, che segue solo la logica dello stato d'animo e del ricordo. (ARTE)


Questa nuova concezione del tempo, visto in modo soggettivo e non più come parametro assoluto, è una diretta conseguenza della teoria della relatività elaborata da Albert Einstein nel 1905: stabilendo che il tempo e con esso anche lo spazio non sono grandezze di valore assoluto ma relative al sistema di riferimento, vengono messi in crisi i principi su cui si erano rette, fino alle soglie del '900, le scienze della natura - in particolare la fisica e la scienza dell'uomo.

L'unica certezza per la fisica, prima della rivoluzione apportata da Einstein, era che, come aveva sostenuto Newton, "il tempo vero, assoluto, matematico, per proprio conto e per sua natura fluisce uniformemente senza riferimento ad alcunché di esterno". I primi problemi della meccanica classica sono cominciati a causa delle equazioni di Maxwell, per mezzo delle quali è possibile dedurre per via teorica il valore numerico di c, che risulta lo stesso in tutti i sistemi di riferimento, qualunque sia la loro velocità relativa. Per la meccanica classica tale comportamento è inaccettabile: infatti le trasformazioni di Galileo prevedono che un oggetto, la cui velocità in un sistema di riferimento S è u, abbia velocità u'=u-v in un altro sistema di riferimento S', con velocità v.  Per superare questa incongruenza almeno una delle due teorie doveva essere modificata: a essere modificata, e in modo radicale, sarà la meccanica.

Tramite l'esperimento di Michelson e Morley tramonta l'idea, radicata nella maggioranza dei fisici del secolo scorso, dell'esistenza di un fluido, chiamato etere luminifero, che, riempiendo tutto l'universo, permetteva alla luce di proarsi: non esiste quindi un sistema di riferimento privilegiato rispetto agli altri.

Albert Einstein fu il primo a individuare che, alla base di tutto il ragionamento, c'era un'ipotesi non espressa che in realtà non era così ovvia come sembrava: veniva, infatti, dato per scontato che in fisica esista un tempo assoluto, cioè un tempo che scorre immutabile  e indifferente, identico in tutti i sistemi di riferimento. Per Einstein tale tempo assoluto poteva non esistere e questa sua convinzione è espressa con grande chiarezza nel suo primo lavoro sulla relatività, pubblicato nel 1905 con il titolo "Sull'elettrodinamica dei corpi in movimento".

Volendo risolvere la contraddizione tra le previsioni della meccanica e quelle dell'elettromagnetismo riguardo la velocità della luce e convinto che il tempo assoluto non esistesse, Einstein propose di rifondare da capo la fisica partendo da due soli assiomi:


  1. Le leggi e i principi della fisica hanno la stessa forma in tutti i sistemi di riferimento inerziali.
  2. La velocità della luce è la stessa in tutti i sistemi di riferimento inerziali, in modo indipendente dal moto del sistema stesso o della sorgente da cui la luce è emessa.

Il primo assioma è una  generalizzazione a tutta la fisica del principio della relatività galileiana che vale per la meccanica. Il secondo assioma permette di spiegare nel modo più semplice il risultato negativo dell'esperimento di Michelson e Morley, anche se Einstein, quando cominciò a elaborare la propria teoria, non era a conoscenza di tale esperimento. L'assioma sulla costanza della velocità della luce permette di stabilire in modo operativo e non ambiguo quando due eventi sono simultanei o no.

Questa analisi approfondita, svolta senza preconcetti, ci porta alla conclusione che il tempo assoluto su cui è fondata la meccanica classica non ha significato fisico; lo avrebbe soltanto se la luce si proasse a velocità infinita. Einstein non lascia dubbi: la simultaneità assoluta non esiste, nonostante sia difficile provarlo nella quotidianità; di conseguenza, non è possibile definire neanche un tempo assoluto.

In seguito Einstein scoprì che anche la misura di uno stesso intervallo di tempo dipende dal sistema di riferimento in cui questo è misurato. Infatti la formula delta t'=gamma*delta t esprime la dilatazione dei tempi: la durata di qualunque fenomeno risulta minima se misurata nel sistema di riferimento S solidale con esso. La durata del fenomeno in questo caso si chiama intervallo di tempo proprio o tempo proprio e si indica con delta t. In tutti i sistemi di riferimento in moto rispetto a S la durata del tempo è maggiore e si dilata esattamente di un parametro gamma (coefficiente di dilatazione), che dipende dalla velocità del sistema di riferimento S' rispetto a S. Abbiamo quindi una nuova conferma della non esistenza, in fisica, del tempo assoluto. (FISICA)


Nonostante possa apparire strano e addirittura paradossale vi sono difficoltà di misurazione del tempo anche all'interno dello stesso sistema di riferimento, cioè la Terra. Il secondo (s) è assunto come unità fondamentale di misura di tempo in tutti i sistemi di riferimento ma oggi per definire il secondo non ci si basa più su misure astronomiche, bensì ci si riferisce a fenomeni atomici. Negli ultimi anni infatti c'è stata una piccola rivoluzione anche nella misurazione del tempo, finalizzata a garantire un campione standard di riferimento facilmente disponibile e stabile. Fino a poco tempo fa il valore del secondo si deduceva dalla durata del periodo di rotazione, prima, e in seguito, di rivoluzione della Terra. L'unità che se ne ricavava, nonostante il pur alto grado di precisione, presentava alcuni inconvenienti: per una misurazione precisa erano richiesti almeno 3 anni e solo pochissimi laboratori in tutto il mondo erano attrezzati per calcoli così accurati. Inoltre, si è verificato che sia il moto di rotazione sia quello di rivoluzione non sono costanti, ma subiscono lievi rallentamenti, che rendono il campione di tempo così definito non sufficientemente preciso.

Per ottenere un tempo-campione ancora più preciso, e soprattutto che fosse riproducibile in laboratorio, una convenzione internazionale del 1° gennaio 1972 decise di adottare per la misura del tempo una scala atomica. In conseguenza di ciò il secondo venne definito come la durata di 9 192 631 770 periodi della radiazione prodotta dall'atomo di Cesio-l33.

La nuova unità di misura così fissata ha un grado di precisione  notevolmente superiore a quella ricavata da considerazioni esclusivamente astronomiche. Tuttavia, non è possibile abbandonare definitivamente la vecchia scala astronomica legata al movimento della Terra, perché strettamente collegata alle attività dell'uomo. Con l'orologio atomico, quindi, se lo scarto fra tempo atomico e tempo astronomico supera i valori fissati, è possibile attuare una correzione nello stesso istante, in tutto il mondo, in giorni prestabiliti, detta operazione secondo mobile. (SCIENZE)


Ritornando al discorso di Dalì sul tempo psicologico, questo problema era già stato affrontato da Agostino, un filosofo della Patristica, nel libro XI delle Confessioni.

La tematica viene affrontata e in qualche modo scaturisce da quella della creazione: perché Dio ha creato il mondo? Agostino trova una soluzione affermando che "Dio non ha creato il mondo nel tempo ma col tempo".

Il tempo è una dimensione umana, non divina: Dio vive in un eterno presente, per Dio il tempo continua a non esistere. Il problema del tempo per Agostino è sempre riferito alla memoria, la durata interiore che i casi della vita acquistano nell'animo dell'uomo. E' un tempo, questo, ristretto pur esso e carico di tutte le irrequietudini personali, nonché dei turbamenti dell'epoca, un tempo umano che Agostino pone sempre in relazione con il tempo assoluto, l'eternità propria di Dio.

"Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so".

Agostino analizza una prima definizione del tempo come passato, futuro e presente, rilevando che nessuna di queste dimensioni, considerata in sé, può essere ritenuta propriamente realtà. Di realtà si può parlare solo definendo il tempo presente del passato, presente del futuro e presente del presente, ma proprio questa definizione porta a individuare la caratterizzazione psicologica del tempo, nel senso che i tre momenti sono reali in riferimento all'anima, capace di ricordare (memoria), di attendere (speranza/attesa) e di vivere (attenzione). Quindi, nonostante la fuggevolezza del tempo, noi riusciamo a misurarlo e parliamo di un tempo breve o lungo: questa misura viene effettuata  nell'anima attraverso le facoltà della memoria ("In te, anima mia, misuro il tempo").

Agostino riporta la struttura del tempo alla coscienza, definendolo distensio o extensio animi.  Il tempo trova nell'anima la sua realtà, nel distendersi della vita interiore dell'uomo che in ultima analisi si espande oltre i confini del tempo stesso. Partito alla ricerca della realtà oggettiva del tempo, Agostino giunge invece a chiarirne la soggettività à il tempo può avere valore diverso a seconda delle persone e delle circostanze. (FILOSOFIA)


Dopo Agostino la problematica del tempo è stata trattata da altri filosofi, fra cui anche Kant, che nella Dissertazione e nella Critica della Ragion Pura parla del tempo come una delle forme della sensibilità e da Nietzsche, per il quale il tempo non è lineare, bensì è un circolo.

Il discorso sul tempo viene poi affrontato, anche se traslato sul piano della memoria e del ricordo, da Bergson, un filosofo francese che si pone a cavallo fra '800 e '900 e che può essere definito uno spiritualista. Egli, cercando di stabilire il rapporto fra spirito e corpo, fra coscienza e cervello, individua nella coscienza tre elementi: il primo è la memoria, che è tutto ciò che accade che registriamo, anche cose di cui spesso non siamo consapevoli o eventi a cui non abbiamo prestato attenzione; riportando un frammento la memoria "è il nostro passato che ci segue tutto intero".

Il ricordo invece è l'attenzione che noi poniamo a parte della nostra memoria: siamo portati a fare attenzione al presente e utilizzare del passato quello che ci serve per la circostanza presente; il ricordo, per la sua forma mentale, viene anche chiamato "immagine". Questa operazione viene compiuta da tutti noi in modo continuo e automatico; la maggior parte del nostro passato, quello che non ci è utile nella circostanza presente, si mantiene nell'inconscio, ma è pronto ad emergere ogniqualvolta fosse richiesto.

Il terzo elemento è la percezione, che per Bergson è lo strumento per far riemergere dalla memoria il dato, l'esperienza o l'immagine che può risultare utile in un determinato contesto.

Grazie a questi tre elementi, che scaturiscono da un'analisi più approfondita della coscienza umana, si stabilisce un legame fra spirito e corpo: la memoria è spirito, il ricordo è una funzione del cervello, mentre la percezione richiama dalla memoria ciò che serve in seguito agli stimoli forniti dal corpo.

Lo stesso Bergson, in "Saggio sui dati immediati della coscienza", fa anche un'analisi del concetto di tempo in sé e pone in contrasto due tempi opposti: il "tempo della scienza" e il "tempo della coscienza", il tempo, quindi, inteso scientificamente e, invece, il tempo "vissuto". Il tempo della coscienza, individuale, viene inteso come "durata", continuo fluire. (FILOSOFIA)


Speaking about the panorama of English literature, for Absurdists, differently from Bergson, time has not a real dimension but has only an interior dimension and, if there is nothing inside men, time does not even exist. Between birth and death there is only emptiness and, because of this fact, the action of being born can concide with death. In "Waiting for Godot" by Samuel Beckett Estragon and Vladimir try to pass their chronological time, from morning to evening, when Godot should arrive, filling it with their discussions, which correspond to nothing because they are only words said to pass the time. So we can say that, if chronological time exists in the sense that everyday they must wait for Godot from morning to evening, time for them does not really exist because it has not an interior dimension. Time is not important for Beckett beacause the existential condition of men is always the same at any moment; as the life of man is nothing, is mere void, time does not exist because there is nothing which can fill up the void and emptyness which characterize life.

An element which clearly shows the particular conception that Beckett has of time is the tree: in the first act it is completely bare and dead, while in the second act it has a few leaves. In his stage directions Beckett writes that the second act takes place in the same place the next day; however, it is impossible that a tree which one day is dead has some leaves the day after. The fact is that for Beckett it is impossible to distinguish one day from another because, as they are all essentially equal in their meaninglessness and emptiness, they can get confused in man's mind.

Also the ure of Pozzo, one of the five characters of Waiting for Godot, shows that chronological time is relative and even unimportant because the only type of time which counts is the time of man's consciousness, in which an hour can be reduced to a moment or can be expanded into several hours or even more. In fact in the first act Pozzo is a man full of vigour who owns many properties. In the second act, the next day, he has become old, blind and poor, which is logically impossible.

In Beckett, as in the other Absurdists, the relativity of time has a negative connotation because it is linked to the absurdity of life and to the existential anguish of men. In Joyce, instead, the relativity of time has not a negative connotation, but derives from his giving importance to individual consciousness which is obviously different from one another: in this way the same event which covers five minutes of chronological time can be reduced to the duration of a flashlight for one and can be expanded into a very long time for another. What counts is not external reality but the individual perception of this reality.

For example in Eveline, a story of Dubliners, there is a great difference between the time covered by the events (a few hours) and the time covered by Eveline's thoughts (many years, from when she was a child to the future). The beginning is in medias res, there is no introduction: the introduction is replaced by Eveline's memories, which emerge through two flashbacks: practically all the story is covered by Eveline's thoughts.

But in particular in Ulysses Joyce's conception of the relativity of time is clearly shown: all the ten years and more during which Ulysses tries to come back home are reduced to the eighteen hours of the life of Leopold Bloom, a completely ordinary man: this is one of the Einsteinian miracles of the relativity of time. (INGLESE)


Anche in Svevo, che spesso viene, se non paragonato, affiancato a Joyce, vi è un vero e proprio scardinamento del tempo. La sua tecnica e struttura narrativa, decisamente innovativa, non viene però adottata già nel suo primo romanzo, "Una vita"(1892), nel quale, invece, è presente soprattutto una tecnica narrativa che fa ricorso alla più normale scansione temporale, fondata sul tempo cronologico.

Ne "La coscienza di Zeno", invece, l'autore riduce il tempo cronologico a tempo interiore, rinuncia del tutto alla trama a vantaggio di una registrazione "causale" di eventi minori e minimi, la cui scelta è relativa non all'importanza in sé ma al grado di incidenza psichica. Narrando i fatti di ieri, Zeno scardina le categorie temporali, in quanto il fatto, l'accaduto o l'atteggiamento psicologico non si presentano univoci, ma poliedrici, sfaccettati, con una molteplicità di prospettive e di valutazioni che si intersecano e sono dovute alle progressive modificazioni che quel ricordo ha assunto alla luce dei ripensamenti e delle esperienze posteriori.

Con Svevo non solo vediamo la realtà nel suo fluire, ma essa non assume una sua forma definitiva in quanto l'accumulo dei ricordi e delle luci a posteriori proiettate su di essa non ne permettono la cristallizzazione.  

Attraverso flashback che infrangono ogni concatenazione temporale Svevo narra la vita del suo protagonista: le sue esperienze e avventure si ricostruiscono in una discesa dentro sé stessi dell'io scrivente che rievoca i vari ricordi senza tuttavia il benché minimo rimpianto. Zeno scrivendo per se stesso ricorda la sua vita, o meglio ricorda sé nella vita. Uno stesso particolare può tornare alla luce in diversi punti del romanzo, visto da angolazioni diverse, a seconda dell'evoluzione psicologica di Zeno. Al centro del romanzo sta, dunque, la memoria (lo dimostra già la tecnica scelta: una sorta di diario, di autobiografia), così come al centro del romanzo di Proust "Alla ricerca del tempo perduto"(1921). La concezione del tempo come "tempo della coscienza", come memoria, (sull'influenza del filosofo francese Bergson) ha profondamente influenzato questa letteratura memoriale. C'è però una profonda differenza tra i due scrittori: per Proust il passato recuperato dalla memoria è un mito luminoso e intangibile, mentre per Svevo il recupero del passato attraverso la memoria appare problematico. (ITALIANO)


Per quanto riguarda la poesia, in Montale il ricordo appare, addirittura, costantemente minacciato: nel ricordo viene cercato il senso delle cose e dell'esperienza, è il ricordo che trasura le umili cose, fino a farle diventare segni di una realtà "oltre" le cose, ma è difficilissimo riattingere il tempo passato: vi è solo l'angosciosa constatazione che è impossibile difendere i ricordi da un fatale sfaldarsi. La memoria inesorabilmente "si sfolla", una nebbia travolge volti ed eventi del passato e non vi è nessuna difesa contro la precarietà della condizione umana. Montale è, secondo una formula del critico Contini, una specie di "Proust alla rovescia": se il grande romanziere francese narra il riemergere del passato, attraverso improvvise folgorazioni, invece Montale canta l'improbabilità, o l'estrema difficoltà, di tale riemersione.

La sezione più famosa delle Occasioni, costituita dagli ammirati e fulminei Mottetti, è precisamente il testo della devastazione operata dal tempo e del tentativo del poeta di riappropriarsi del passato, cogliendolo in continuità con il presente.

Il poeta nella prima quartina si augura che il volto caro, quello della donna amata, il suo ultimo e più importante ricordo che solo è rimasto impresso nella memoria, non venga reciso dalle forbici implacabili del tempo che cancella i ricordi. (ITALIANO)


Il problema del ricordo, quindi, porta con sé anche la questione sul suo mantenimento e sulla sua interpretazione col passare del tempo. Attualmente una delle tematiche più dibattute riguarda la Shoah: in che modo questa tragica esperienza può essere ricordata e rappresentata?

Per assicurare alla memoria un ruolo vitale non basta la commemorazione del passato, a volte persino dannosa, ma è necessario che la memoria storica entri a far parte della coscienza individuale, per scongiurare il pericolo che tali tragedie possano ripetersi.

Abbiamo quindi bisogno di una memoria attiva, come ci ha insegnato Primo Levi: perciò rivestono un ruolo importantissimo tutte le testimonianze, articoli, libri di storia, film e conferenze di ogni genere che ci parlino della Shoah. Anche la Giornata della Memoria, da poco istituita in Italia e fissata nella data del 27 gennaio, giorno dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, deve essere soprattutto un momento di condivisione di questa tragica esperienza grazie alle testimonianze, meglio se dirette, di coloro che l'hanno vissuta in prima persona.

Ma raccontare non è stato facile per i sopravvissuti: i testimoni hanno dovuto vincere parecchi timori, primo fra tutti quello di non essere creduti o di riaprire ferite che si speravano rimarginate.

Il libro "La sindrome del sopravvissuto", scritto da Ilda Verri Melo, spiega in modo evidente le diverse reazioni degli ex-deportati al ricordo della loro tragica esperienza: alcuni tendono a conservare i ricordi dentro loro stessi, senza renderne partecipe nessuno, nemmeno i familiari; altri, invece, magari dopo alcuni anni, cercano di mantenere viva nelle nuove generazioni la memoria dei fatti avvenuti, che rappresenta l'unico modo per evitare che accadano nuovamente.

Primo Levi, per citare forse l'esempio più significativo, si fece scrittore in primo luogo per l'esigenza di testimoniare. Nella Prefazione a Se questo è un uomo dichiarò di aver scritto il suo libro per il "bisogno di raccontare agli altri", di fare gli altri partecipi principalmente allo scopo di realizzare una sorta di "liberazione interiore". Nella conclusione de "I sommersi e i salvati", viene chiarito ulteriormente il senso della sua testimonianza, vista come un "dovere", come un impegno a rendere meno scettiche le nuove generazioni affinché i testimoni non corrano più il rischio di "non essere ascoltati".

A cinquant'anni di distanza dalla Shoah, proprio come sosteneva Levi, il compito di tramandare la memoria di quanto è avvenuto non può più essere affidato soltanto ai diretti testimoni. Anche ad altri spetta il compito di ricordare nei modi e con i mezzi che ritengono più consoni ed efficaci. In quest'ottica il film Schindler's List di Spielberg ricopre un ruolo importante.

La stessa scelta di girare il film in bianco e nero rivela la volontà di fare un film senza tempo. Allo stesso intento va ricondotto anche l'uso delle didascalie, che sembrano scandire in modo inesorabile l'affermarsi del nazismo e ricordano alcune tappe fondamentali della persecuzione degli ebrei.

Ciò, tuttavia, non deve indurre a considerare Schindler's List un documentario: è un film a tutti gli effetti e, come tale, propone la personale lettura di un regista che lo ha girato in anni in cui altri orrori continuano a venire alla luce. (STORIA+ITALIANO+CINEMA)








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