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Plato (Platone)

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Plato (Platone)


Platone nasce ad Atene nel 428 a. C., periodo che coincide con la crisi dell'età d'oro della Grecia periclea, da una famiglia aristocratica. Nell'adolescenza deve assistere alla rovina di Atene, travolta nella guerra del Peloponneso. Nella sua giovinezza diventa discepolo di Cratilo, seguace di Eraclito, e da lui riceve la prima formazione filosofica.

A venti anni inizia a frequen­tare Socrate, di cui è discepolo fedelissimo per quasi un decennio, e partecipa al processo che lo condanna come corruttore. Più che il pensiero socratico, è però l'"uomo Socrate" a impressionare potentemente Platone, tanto che, anche a molti anni di distanza, in quasi tutti i Dialoghi la ura del maestro giganteggia sovrana, e del maestro assimila l'a­bito dialettico e la problematica. Ferito dalla sorte del suo precettore, Platone si convince che la politica sia una scienza da riservare ai soli filosofi, per evitare errori e nefandezze.

Vorrebbe dedicarsi pienamente alla vita politica; questo emerge dalle sue stesse parole: 'Io vidi che il genere umano non sarebbe mai stato liberato dal male, se prima non fossero giunti al potere i veri filosofi o se i reggitori di Stato non fos­sero, per divina sorte, diventati veramente filosofi'.



Alla morte di Socrate, condivide la sorte di tutti i discepoli. Lasciata Atene dopo la morte di Socrate,. Platone si recò nel 399 da Euclide a Megara. Dopo un breve ritorno ad Atene, viaggia nell'Italia meridionale, stringendo relazioni con i pitagorici, specialmente a Taranto. Nel 390 viene accolto a Siracusa alla corte del tiranno Dionigi, dove rimane per circa tre anni con la speranza di realizzare i suoi ideali politici, anche perché appoggiato dal pitago­rico Dione, capo del partito aristocratico e cognato di Dionigi. Il tiranno, insospettito, conse­gna Platone a un ambasciatore spartano come prigioniero di guerra, per farlo vendere come schiavo. Viene riscattato da Anniceride e si serve di questo denaro per fondare la celebre 'Accademia' ad Atene nel 387 a.C. Nel 388 a.C. si reca in Sicilia, a Siracusa, per cono­scere la filosofia pitagorica (ne abbiamo testimonianza nella Lettera VII). Nello stesso anno, torna in Atene e vi fonda l'Accademia, dove per circa quarant'anni dispiega la sua attività di maestro e di scrittore.

Quando nel 368 muore Dionigi il Vecchio e gli succede Dionigi il Giovane, Dione invita di nuovo Platone a Siracusa. Anche questo secondo tentativo politico fallisce e il filosofo torna deluso nella sua patria. Anche un terzo viaggio (361) per conciliare Dione e Dionigi è sfor­tunato e Platone addirittura si trova in una situazione di grave pericolo, alla quale riesce a sfuggire solo grazie all'intervento del governo di Taranto. Da questo momento Platone ab­bandona per sempre tutti i suoi idealismi politici; concentra tutta l'attività nel governo della sua scuola. Anche la sua morte è contornata di leggenda: probabilmente la morte lo coglie durante uno dei suoi placidi discorsi di filosofia.

Le opere

Platone è l'unico filosofo di cui ci siano rimaste tutte le opere. Esse possono essere catalo­gate in:

Nove tetralogie ordinate da Trasillio, appartenenti al periodo dell'imperatore Tiberio:

  1. Eutifrone, Apologia, Critone, Fedone.
  2. Cratilo, Teeteto, Sofista, Politico.
  3. Parmenide, Flebo, Convito, Fedro.
  4. Alcibiade II, Ipparco, Amanti.
  5. Tergete, Carmide, Lachete, Liside.
  6. Tergete, Carmide, La chete, Liside.
  7. Eutidemo, Protagora, Gorgia, Menone.
  8. Ippia maggiore, Ippia minore, Ione, Menesseno.
  9. Clitofane, Repubblica, Timeo, Crizia.
  10. Minasse, Leggi, Epinomide, Lettere.

Primo periodo

Appartengono a questo periodo gli scritti giovanili che trattano della polemica sulla condanna inflitta a Socrate, suo illustre maestro, dell'e­saltazione della vita di que­st'ultimo che si era consacrato alla ricerca filosofica e della critica contro i Sofisti. Tra questi troviamo: Apologia, Critone, Ione, Lachete, Liside, Carmide, Eutifrone, Eutidemo, Ippia mi­nore, Cratilo, Ippia maggiore, Menesseno, Gorgia, Repubblica I, Prota­gora.

Secondo periodo

Scritti della maturità, chiamati così perché in questo periodo Platone va al di là delle teorie socratiche ed elabora un proprio pensiero: la dot­trina delle idee, la dottrina dell'amore e dell'anima, la teoria sullo Stato ideale e il compito del filo­sofo. Testimonianza di questa evoluzione sono: Menone, Fedone, Convito, Repub­blica II-X, Fedro.

Terzo periodo

Gli scritti della vecchiaia rappresentano un approfondimento e una rivi­sitazione di alcune opere. Tra questi troviamo: Parmenide, Teeteto, Sofista, Politico, Flebo, Timeo, Crizia, Leggi, Lettera VII e Lettera VIII.


Il primo gruppo di dialoghi (che, data l'enorme influenza della filosofia di Socrate, sono an­che chiamati "dialoghi socratici") comprende: : Απολογία Σοτrάtouς (Antologia di Socrate), dove Platone attribuisce a Socrate una dura condanna della cultura del suo tempo; il Cri­tone, in cui Platone sostiene che occorre agire secondo giustizia e verità e non secondo le opinioni della gente comune; il Protagora e il Gorgia, confutazioni del pensiero sofistico; il Menone, dove è esposto il mito della reminiscenza e dove il conoscere è identificato con il ricordare. Tra i dialoghi della prima maturità spiccano: il Fedone, sull'immortalità dell'anima; il Simposio, celebrazione dell'Eros, divinità intermedia tra la divinità e l'uomo; la Repubblica, dove è idealmente realizzata l'aspirazione platonica a una società perfetta. Tra il 367 e il 366 Platone compose dialoghi (detti "dialettici"), di particolare importanza per lo sviluppo critico del suo pensiero: il Fedro, dove Platone riprende il tema dell'anima, avvalendosi dello splendido mito della "biga alata"; il Parmenide, riesame del problema delle idee; il Teeteto, uno dei dialoghi più profondi, a proposito della conoscenza e della possibilità dell'errore. Tra i dialoghi della piena maturità, sono da ricordare: il Sofista, dove è operata una riforma radi­cale della dottrina delle idee; il Timeo, immensa cosmogonia e celebrazione del Demiurgo, che ricorda l'Eros del Simposio; Le leggi, dove nella moderazione delle tesi politiche ap­paiono chiari i segni delle delusioni subìte dal filosofo. Il pensiero platonico è l'espressione più profonda e più ricca di suggestioni del pensiero ano ed è la matrice su cui si inneste­ranno le correnti a carattere idealistico del successivo pensiero occidentale. Scrittore ecce­zionale, uno dei più grandi di ogni tempo per altezza di poesia, Platone condannò paradossal­mente, nella Repubblica, l'arte in quanto imitazione del mondo sensibile, moralmente non educativa. Ma, nel Simposio e nel Fedro, Platone riconosce il valore teoretico dell'arte e la sua intrinseca finalità educativa. Nel Fedro, anzi, riconosce che di tutti i valori ideali solo la Bellezza si manifesta luminosamente attraverso il sensibile, e definisce suggestivamente l'arte come una sorta di "divina follia", il cui momento più alto di verità è, appunto, l'evoca­zione della bellezza.


Il Platonismo e il Neoplatonismo

Con il termine Platonismo indichiamo generalmente la dottrina filosofica di Platone e i suoi svi­luppi. Nel mondo antico e tardo-antico, vennero molto apprezzati specialmente il dualismo di livelli, la dottrina delle idee, il metodo dia­lettico. Sotto la spinta di sempre nuove esigenze culturali e religiose, la corrente platonica ha dei fecondissimi sviluppi attraverso le scuole del medioplatonismo e del neoplatonismo. Anche la scuola cristiana di Alessandria e molti padri greci della Chiesa furono profondamente influenzati dal Platone Attraverso la scolastica, si giunge fino alle riprese neoplatoniche del Medioevo e del Rinascimento.

Neoplatonismo, in genere, è il termine con cui si designa quella corrente filosofica inaugurata ad Alessandria d'Egitto da Ammonio Sacca agli inizi del III sec. d.C. e che ebbe i maggiori rappresentanti in Plotino che tenne scuola a Roma, in Giamblico, fondatore della scuola siriaca, e in Proclo, che tenne scuola ad Atene. Il 529 d.C. (editto di Giustiniano che ordinava la chiusura delle scuole di Atene) segnò la fine del neoplatonismo inteso come scuola organizzata, non del neoplatonismo inteso come indirizzo di pensiero il quale sopravvisse nella riflessione teologica cristiana. Contrariamente a quanto suggerisce il termine, il neoplatonismo ha poco a che fare con la filosofia di Platone, se non per alcuni tratti molto generici; molto più cospicui sono i suoi debiti nei confronti del neopitagorismo, delle riflessioni di Numenio di Apamea, di Filone Alessandrino e dello stoicismo. ½ è stato anche chi ha individuato nel neoplatonismo elementi di derivazione orientale. I neoplatonici hanno in comune alcune tesi fondamentali. La prima sostiene l'assoluta trascendenza della divinità, concepita come inaccessibile a ogni esperienza sensibile o intellettuale e ritenuta quindi ineffabile; a essa il discorso umano può soltanto accennare in termini negativi. La seconda tesi sostiene la derivazione necessaria e spontanea di tutte le cose da Dio, la loro progressiva degradazione a mano a mano che se ne allontanano e la loro strutturazione gerarchica in un mondo intelligibile (Dio, Intelletto, Anima del mondo) e in un mondo sensibile che è il riflesso del primo. La terza tesi sostiene che l'elevazione morale e intellettuale dell'uomo consiste nel ripercorrere in senso inverso il percorso delle cose; essa consiste in una conversione con cui l'anima umana si stacca dal sensibile, si rivolge all'intelligibile e giunge all'unione mistica con Dio. A questi temi, seppur con significative varianti, si riallaccia il platonismo di Nicola Cusano, Pico della Mirandola e M. Ficino. Il termine n. ricorre infine per designare la forma di razionalismo religioso proposto a Cambridge nel Seicento da R. Cudworth, H. More, B. Whichote e H. Culverwel.






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