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APPARATO DEL GUSTO

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I fattori di crescita


Introduzione


In origine il termine fattore di crescita stava ad indicare una qualunque molecola che avesse capacità di stimolare lo sviluppo di alcune cellule. Oggi invece sta ad indicare solo quelle molecole di tipo peptidico che hanno la potenzialità di intervenire positivamente sullo sviluppo cellulare negli organismi superiori. Classici fattori di crescita sono quelli presenti nel siero usato per le colture cellulari in vitro. Anche altre molecole - non peptidiche - possono agire in maniera simile ai fattori di crescita: lipopolisaccaridi batterici e lecitine vegetali sono due esempi. In questo caso non si parla di fattori di crescita ma di agenti mitogeni.




Il primo fattore di crescita scoperto fu il NGF (nerve growth factor), necessario alla sopravvivenza e al differenziamento di alcune cellule neuronali. Esso è - per esempio - completamente inattivo verso i fibroblasti. A dire la verità questo è anche uno dei pochi fattori di crescita dei quali è ben chiara l'attività ed il target. Molti altri fattori - anche perché gli organismi superiori sono estremamente complessi - agiscono in modo sconosciuto, tanto che quasi sempre il loro spettro di azione è molto più vasto del nome che gli è assegnato. Spesso poi i fattori di crescita hanno anche effetti molto diversi dalla stimolazione alla proliferazione cellulare, e talvolta addirittura opposti; per esempio lo spettro di attività delle interleuchine si sta rivelando molto più esteso di quanto non si potesse presupporre ai tempi della loro scoperta.


Caratteristiche e potenzialità


I fattori neurotrofici giocano un ruolo importante nello sviluppo e nel mantenimento del sistema nervoso dei mammiferi; sono, infatti, capaci di sostenere la crescita, la sopravvivenza e il mantenimento di specifiche popolazioni neuronali (200). Numerosi studi condotti sia in vitro sia in vivo su modelli animali hanno dimostrato che i fattori neurotrofici hanno potenzialità cliniche nel trattamento di malattie neurodegenerative o di danni neurologici (201). Vista la loro capacità di sostenere la sopravvivenza, la crescita e il mantenimento di certe popolazioni neuronali, i fattori neurotrofici potrebbero essere utili nel trattamento di diverse neuropatie, ivi comprese quelle conseguenti la lesione spinale.


Alcuni fattori neurotrofici possiedono un'attività ristretta alle cellule neuronali e per questo sono classificati come "fattori di crescita neuronale"; tra essi abbiamo i membri della famiglia delle neurotrofine: NGF, BDNF, NT3 (202). Altri fattori, come il PDGF, l'IGF e il FGF hanno attività pleiotropica e sono studiati anche in sistemi diversi dal nervoso. Un'altra famiglia di fattori neurotrofici è quella delle citochine di cui fa parte il CNTF.


Ciascun fattore neurotrofico esercita la sua attività biologica su differenti tipi di cellule neuronali e attraverso diverse classi di recettori. La specificità d'azione di ogni fattore neurotrofico è determinata dal suo legame a specifici recettori ad alta affinità, spesso identificati come membri della famiglia recettoriale delle "tirosin-chinasi (trk) di transmembrana". I recettori tirosin-chinasici per le neurotrofine sono costituiti da un dominio extracellulare e da uno citoplasmatico ognuno con un sito catalitico. I siti catalitici dei due domini di solito sono uguali (203).


Il legame dei fattori neurotrofici al dominio extracellulare del recettore tirosin-chinasico produce risposte biologiche attraverso l'attivazione del dominio tirosin-chinasico citoplasmatico (203).La tirosin-chinasi si auto-fosforila sui residui di tirosina del sito catalitico. Il risultato è un rapido aumento nella fosforilazione di substrati selettivi intracellulari come la fosfolipasi-C e il fosfatidilinositolo-3'-chinasi (203).Questi peptidi si legano ai domini specifici che contengono la tirosina fosforilata e vengono a loro volta fosforilati. Una volta attivati danno luogo a una cascata di reazioni che innescano determinati eventi più o meno complessi. La fosforilazione della fosfolipasi, ad esempio, porta alla formazione di inositolo-3-fosfato e di diacilglicerolo che agiscono a livello cellulare come potenti secondi messaggeri.L'inositolo-3-fosfato si lega al suo recettore presente sulla membrana del reticolo endoplasmatico determinando un aumento del calcio intracellulare; il diacilglicerolo attiva molti membri delle protein-chinasi C che a loro volta sono in grado di fosforilare numerosi substrati determinando svariate risposte come l'attivazione o l'inibizione di certi sistemi enzimatici a livello cellulare (203).


Biochimica dei fattori di crescita e dei loro recettori


I fattori di crescita sono piccole proteine di peso molecolare compreso - approssimativamente - tra 1 e 40 chilo dalton, sono secrete dalle cellule, spesso anche in vitro. Per molti fattori di crescita è stato isolato il gene responsabile della loro produzione. Diversamente dagli ormoni - con i quali tuttavia hanno qualche caratteristica in comune - i fattori di crescita non sono presenti in ghiandole specializzate, ma solo sintetizzati da diversi tipi di cellule, e liberati in punti diversi dell'organismo (non per forza nel sangue) in minime quantità: anche per questo è piuttosto difficile creare una mappa della loro distribuzione nell'organismo. Essi sono efficaci a concentrazioni bassissime e agiscono solo su alcuni tipi di cellule.


Queste proprietà si spiegano facilmente con la presenza, sulle cellule bersaglio, di antenne molecolari specifiche per i singoli fattori, ed estremamente affini ad essi. Una certa cellula possiede recettori dedicati solo a pochi fattori di crescita, ma è anche vero che durante il suo differenziamento la cellula può mutare alcuni o tutti questi recettori, ed esprimerne di diversi. Questi recettori sono di solito delle glicoproteine a triplice struttura: possiedono un dominio glicosilato extracellulare che lega il fattore di crescita, un dominio idrofobo di transmembrana ed un dominio idrofilo intracellulare addetto alla trasmissione del segnale. In molti recettori il dominio intracellulare possiede un'attività di tirosin-chinasica, ossia aggiunge gruppi fosfato ai residui di tirosina di alcune proteine: quest'attività è stimolata dalla presenza del fattore di crescita.


Ma torniamo alla sintesi dei fattori di crescita. Dapprima viene sintetizzata una proteina più grande - o profattore - che contiene una sequenza leader necessaria alla futura secrezione, nonché altre sequenze che saranno rimosse nel citoplasma o sulla membrana cellulare per dare origine al fattore di crescita propriamente detto.


Come le altre proteine i fattori di crescita sono sintetizzarti nel reticolo endoplasmatico per poi passare attraverso l'apparato di Golgi, dove possono essere modificate (ad esempio possono essere legate a zuccheri). Successivamente sono portate all'interno di vescicole secretorie specializzate, che le porteranno alla membrana cellulare e poi all'esterno, dove potranno vagare liberamente o restare agganciate alla superficie della membrana stessa tramite una coda peptidica, che - all'occorrenza - può essere tagliata per liberare il fattore.


Se il fattore viene in contatto con il proprio recettore (dominio glicosilato di cui abbiamo già detto) si lega ad esso e dà corso alla stimolazione. Successivamente il fattore di crescita viene trasportato per endocitosi (insieme al recettore) all'interno della cellula, dove nei lisosomi sarà degradato. Questo processo - noto con il nome di down-regulation - porta ad una diminuzione del numero di recettori sulla superficie della cellula esposta ad un certo fattore, e fa sì che lo stimolo da esso portato sia transitorio. I recettori potranno essere riciclati dalla cellula o sintetizzati ex novo e nuovamente esposti alla superficie.


Meccanismo d'azione dei fattori di crescita


Il legame tra un fattore di crescita ed il suo recettore dà origine ad una serie di segnali all'interno della cellula, che causano la produzione di nuove proteine. Il risultato può essere di tipo proliferativo (mitogeno) oppure no (si può avere ad esempio differenziamento cellulare, e ciò può portare all'arresto delle mitosi). Infine, lo stesso fattore di crescita ha diversi effetti su diverse cellule bersaglio.


Gli effetti dell'interazione dei recettori con i fattori di crescita possono essere immediati (alterazione dei flussi ionici, del metabolismo lipidico e della sintesi proteica) o possono richiedere alcune ore (attivazione di geni e produzione di nuove proteine). Tuttora non si conoscono con precisione tutti i meccanismi d'azione dei diversi fattori di crescita. In linea di massima - ma probabilmente esistono eccezioni - si pensa che il segnale intracellulare (derivante dall'accoppiamento recettore-fattore di crescita) non sia rappresentato dal complesso fattore-recettore internalizzato ma che piuttosto il segnale si generi direttamente sulla membrana cellulare, e sia portato all'interno della cellula dai secondi messaggeri sfruttando l'attività proteinchinasica. Nomineremo ora alcuni tipi di fattori di crescita


Fattore di crescita nervoso (NGF, nerve growth factor)


E' il capostipite dei fattori neurotrofici e fa parte della famiglia delle neurotrofine. E' stato scoperto da Rita Levi Montalcini e da Victor Hamburger negli anni cinquanta. Essi dimostrarono che, in embrioni di pollo, in seguito all'impianto di cellule di sarcoma di topo, i gangli simpatici risultavano ipertrofici e che tale effetto era dovuto ad una sostanza secreta dal tumore, poi identificata come NGF. Questa proteina è essenziale per la sopravvivenza di tre distinte popolazioni neuronali: neuroni simpatici, sensoriali primari e colinergici. E' formata da tre diverse subunità: 2a b g. L'attività biologica è dovuta alla sola subunità b che ha un evidente effetto sui neuroni promuovendo l'accrescimento dell'assone e la sopravvivenza cellulare.


Gli effetti del NGF sono mediati da due diversi tipi di recettori presenti sulla superficie delle cellule sensibili: un sito recettoriale ad alta affinità di tipo tirosin-chinasico, noto come p140 TrkA (di 140kDa) specifico per il NGF, ed uno a bassa affinità in comune con tutte le altre neurotrofine noto come p75 (di 75kDa) (202, 203). A questi recettori sono associate funzioni diverse. La TrkA lega ad alta affinità il NGF e dopo il legame può promuoverne la sua internalizzazione, mentre il p75 ha un ruolo importante nel garantire l'alta affinità della TrkA: infatti, potrebbe legare per prima la neurotrofina e quindi aumentare la concentrazione locale del ligando oppure trasferire la neurotrofina alla tirosin-chinasi direttamente (203).


Una continua esposizione al NGF è necessario durante lo sviluppo per la sopravvivenza e la crescita dei neuroni sensoriali e simpatici e inoltre è assunto durante tutta la vita dai neuroni sensoriali sia periferici che centrali e trasportato in modo retrogrado ai corpi neuronali (204). Il NGF è normalmente sintetizzato e rilasciato dai tessuti innervati dai neuroni simpatici e sensoriali in quantità direttamente proporzionale alla densità di innervazione stessa, e ciò suggerisce che l'innervazione possa venire regolata in modo diverso da quantità diverse di NGF sintetizzato in periferia (204). Il NGF derivato dalle cellule di Schwann sembra agire primariamente in loco per promuovere la rigenerazione assonale, ma subisce anche trasporto retrogrado verso il corpo cellulare. Il NGF trasportato al soma, anche se in piccole quantità, aiuta a prevenire la morte cellulare che segue all'assotomia.


Il NGF è presente anche nel sistema nervoso centrale ma le acquisizioni riguardo questa presenza sono molto recenti. E' stato individuato in diverse aree cerebrali tra cui l'ippocampo, la neocorteccia, il bulbo olfattorio ma anche nei neuroni colinergici del diencefalo e del corpo striato. Potrebbe essere attivo nello SNC come fattore trofico per i neuroni colinergici e svolgere attività positive nel caso di patologie degenerative coinvolgenti il sistema colinergico, come la malattia di Alzheimer. Un problema da non sottovalutare, qualora si voglia considerare una eventuale terapia per patologie neurologiche centrali, è quello posto dalla difficoltà di trovare una opportuna via di somministrazione che dovrebbe anche essere selettiva per agire solo sui neuroni coinvolti nel processo patologico.


Fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF, brain derived neurotrophic factor)


Questa molecola fa parte delle neurotrofine, è una proteina basica, di piccole dimensioni che promuove la sopravvivenza e la maturazione di alcune popolazioni di neuroni sensoriali e delle cellule gangliari della retina. Il BDNF mostra attività anche su neuroni colinergici e dopaminergici in coltura (205). Nello SNC è presente in particolare modo a livello dell'ippocampo, della corteccia e del cervelletto.  Il BDNF si lega ad un recettore tirosin-chinasico ad alta affinità p145 TrkB (145kDa) e al recettore a bassa affinità per il NGF: il p75 (203). Il TrkB è espresso durante lo sviluppo sia nello SNC che nel periferico, ma nell'adulto si trova solo a livello dell'encefalo, dove è presente anche come forma tronca a cui manca il dominio con attività tirosin-chinasica (203).Il BDNF potrebbe avere impiego terapeutico in malattie quali la sclerosi laterale amiotrofica e altre malattie dei motoneuroni in quanto promuove la sopravvivenza dei motoneuroni lesi durante lo sviluppo embrionale e post natale. Esso ha anche effetti trofici sui motoneuroni e ne previene la morte dopo assotomia (206). Il BDNF passa la barriera ematoencefalica solo nei primi giorni dopo la nascita e raggiunge una biodisponibilità sufficiente a promuovere la sopravvivenza dei motoneuroni; tale permeabilità non è però più presente negli animali adulti. Anche la barriera del nervo periferico risulta impermeabile alle proteine e il punto di più facile accesso del BDNF nei motoneuroni è la terminazione nervosa, dalla quale il BDNF, una volta captato, è trasportato in modo retrogrado fino al midollo (206).


Fattore neurotrofico ciliare (CNTF, ciliary neurotrophic factor)


Il CNTF è una citochina ed è stato inizialmente scoperto e riconosciuto come proteina che promuove la sopravvivenza dei neuroni del ganglio ciliare di pollo (sistema nervoso parasimpatico).E' una proteina presente nel citoplasma, lievemente acida e che non deriva da tessuti bersaglio periferici (207). E' sintetizzata dalle cellule non neuronali di sostegno dello SNC e periferico ma non è facilmente rilasciato in quanto non contiene alcuna sequenza-segnale atta alla secrezione, una sequenza idrofoba e ciò suggerisce che in condizioni fisiologiche non sia secreto dalla cellula nello spazio extracellulare (208). Nel sistema nervoso centrale i livelli di CNTF sono modesti ma la sua sintesi aumenta a seguito di un danno neuronale. Esso svolge attività trofica nei confronti di diversi tipi neuronali dello SNC: ha un ruolo nel mantenimento delle cellule nervose in condizioni fisiologiche, infatti, quando è abolita l'espressione del gene per il CNTF in topi adulti, questi sviluppano atrofia e morte dei motoneuroni (209).


Fattori di crescita fibroblastici (FGFs, fibroblast growth factors)


I fattori di crescita fibroblastici sono un gruppo di proteine omologhe di cui i primi a essere stati caratterizzati sono il FGF acido e il FGF basico. Inizialmente sono stati denominati "fattori di crescita leganti l'eparina" per la loro affinità a questa molecola. Sono fattori mitogeni preferenziali dei fibroblasti e mioblasti, ma inducono proliferazione anche in numerosi tipi cellulari fra cui le cellule endoteliali dove stimolano sia la differenziazione che la migrazione e partecipano così al processo di formazione vascolare. Sia il FGF acido che quello basico sono presenti nello SNC embrionale ed adulto dei mammiferi e la forma acida è la più rappresentata.


Sui neuroni sono identificabili due siti recettoriali per il FGF di cui uno a bassa affinità, strutturalmente simile all'eparan-solfato, ed uno ad alta affinità costituito da un recettore di membrana. Entrambi i tipi di FGF hanno attività neurotrofica su diversi tipi di neuroni in coltura; promuovono la loro sopravvivenza, la sintesi del neurotrasmettitore e la formazione e accrescimento dei neuriti (210). Studi in vitro hanno dimostrato che i FGF condividono i loro bersagli neuronali con altri fattori neurotrofici, sebbene non con identici meccanismi d'azione. In vivo, l'applicazione locale di FGF al moncone del nervo leso di ratto promuove la ricrescita assonale ma non si sa se per sua diretta stimolazione sulla rigenerazione assonale o per un miglioramento dell'ambiente extracellulare che favorirebbe la rigenerazione perché potrebbe essere captato dalle cellule di Schwann e agire su di esse come agente mitogeno (211).


Il FGF ha azione anche sui neuroni dello SNC e dopo una lesione il FGF basico, se applicato localmente, previene la degenerazione retrograda dei neuroni colinergici e evita la morte dei neuroni dopaminergici. La sintesi endogena di FGF è attivata da un danno cerebrale ed oltre a ciò tale molecola avrebbe le caratteristiche adatte per stimolare i meccanismi coinvolti nel ripristino delle funzioni cerebrali dopo lesione (211). E' stato dimostrato che le molecole di adesione cellulare sono capaci di stimolare la crescita assonale e la sopravvivenza di neuroni posti in coltura agendo mediante l'attivazione del recettore per il FGF, che medierebbe i loro effetti biologici sulle cellule neuronali tramite un fenomeno di fosforilazione della tirosina (212).


Fattore di crescita derivato dalle Piastrine - PDGF (platelets derived growth factor)


E' mitogeno per le cellule del mesenchima (fibroblasti, cellule muscolari e gliali) in vitro. La sua presenza rende i fibroblasti competenti a rispondere ad altri fattori di crescita, come IGF, presenti nel siero.


Fattore di crescita epidermico - EGF (epidermic growth factor)


Il suo ruolo in vivo non è ben chiaro. In vitro è un mitogeno per le cellule di origine mesodermica ed endodermica; la sua azione è potenziata dal PDGF.


Fattore di Crescita trasformante - TGF (transforming growth factor)


Alcune cellule tumorali producono questi fattori, in grado di indurre le cellule sane a trasformarsi in cellule tumorali. In vitro necessitano della presenza di PDGF per funzionare. Anche alcune cellule normali producono TGF, per esempio i macrofagi, i monociti e le cellule della microglia ,attivati dopo lesione al midollo, spinale producono TGF-beta, che sembra avere effetti positivi sul recupero del midollo dopo la lesione.


Fattori di Stimolazione di Colonie - CSF (colony stimulating factor)


Controllano i vari stadi di maturazione delle cellule emopoietiche.


Fattori di Necrosi Tumorale - TNF (tumor necrosis factor)


Questa molecola è capace di attaccare alcuni tipi di tumori. Il TNF è prodotto dai macrofagi, ed è identico all'ormone cachessina, che inibisce gli enzimi dell'utilizzazione dei grassi. Il TNF, testato come farmaco antitumorale, comunque non ha dato risultati soddisfacenti. La variante TNF-alfa, presente nel midollo spinale lesionato, sembra non apportare effetti benefici alla situazione post traumatica.

Altri fattori neurotrofici


NT3 e NT4-5, scoperti più di recente, sono proteine neurotrofiche e neuroprotettive appartenenti alla famiglia delle neurotrofine.  I motoneuroni risultano sensibili agli effetti di questi due fattori.


NT3 si lega ad alta affinità al recettore TrkC e a bassa affinità anche ai recettori TrkA e TrkB, mentre NT4-5 riconosce come suo recettore specifico ad alta affinità il recettore TrkB (203). Entrambi questi due fattori sembrano essere molecole di produzione dei tessuti bersaglio periferici. Queste due ultime neurotrofine sono comunque ancora poco conosciute sia per le loro caratteristiche sia per il meccanismo d'azione e di influenza sui processi nervosi.


Fattori di crescita insulinosimili (IGF, insulin-like growth factors)


Questi fattori costituiscono una famiglia di peptidi, simili tra loro. In vitro provocano una serie di complessi fenomeni metabolici che in vivo - su vari tessuti - si tramutano in una stimolazione alla crescita. Sono chiamati insulinosimili per la loro somiglianza con l'insulina (la somiglianza con la proinsulina è ancora più forte) o somatomedine in quanto sono degli intermediari dell'ormone della crescita (ormone somatotropo), il quale controlla le dimensioni corporee in maniera indiretta, favorendo la sa nel sangue delle somatomedine. Per un certo tempo i termini fattori di crescita insulino simili e somatomedine erano usati in maniera distinta, tuttavia già ormai da diversi anni gli studi effettuati hanno reso possibile affermare che questi due termini si riferivano alla stessa molecola.


I fattori di crescita insulinosimile sono sintetizzati principalmente dal fegato; successivamente sono immessi nel circolo sanguigno dove si legano a delle proteine vettrici specifiche, che conferiscono loro un'emivita plasmatica piuttosto lunga in confronto agli altri ormoni proteici (4 ore nel ratto, 16 nell'uomo). Le proteine vettrici sono anch'esse prodotte dal fegato e - a quanto sembra - la loro biosintesi dipende anche dai livelli di GH.


Scoperta e struttura degli IGF


La scoperta di questi fattori di crescita può essere fissata nel 1957, quando Salmon e Daughaday osservarono che la cartilagine di ratto incubata in vitro è in grado di incorporare ioni solfato, e tale fenomeno è considerato come l'indicatore di crescita delle ossa. Il fatto interessante era che l'ormone della crescita aggiunto in vitro come tale non era in grado di stimolare questa captazione, mentre l'aggiunta di siero proveniente da ratto ipofisectomizzato e trattato con GH, portava alla captazione degli ioni solfato. Questi risultati hanno fatto ipotizzare, alla fine degli anni 50, l'esistenza di fattori GH-dipendenti che fossero i reali agenti che promuovevano la crescita dell'organismo. Essi furono chiamati all'inizio sulfation factor, e furono poi identificati nelle somatomedine.


L'IGF-I e II sono due polipeptidi di peso molecolare 7,8 e 7,5 kDa rispettivamente e sono strutturalmente legati all'insulina (213).I precursori di questi due fattori sono simili all'insulina in quanto contengono i domini B ed A che sono omologhi alle catene B ed A dell'insulina. Al contrario, il dominio C, presente nell'insulina, a livello dell'IGF è rimosso durante il fenomeno di processazione e così i peptidi IGF maturi sono singole catene polipeptidiche.


La sequenza di queste molecole è preceduta da un piccolo peptide segnale. L'IGF-I e l'IGF-II maturi sono quindi formati da una catena B, una C e un dominio A, in più è presente una regione D carbossi-terminale che non si trova nell'insulina (213). Gli effetti biologici dell'IGF richiedono l'attivazione di specifici recettori presenti sulla superficie cellulare di molti tessuti (214, 215). L'IGF-I e l'IGF-II interagiscono primariamente con i loro recettori e il recettore mostra affinità simili per l'IGF-I e per l'IGF-II (216) anche se i due recettori sono strutturalmente diversi.


Il recettore per l'IGF-I, simile a quello per l'insulina (217), è formato da due subunità a e due subunità b legate da ponti disolfuro, formando così la struttura matura del recettore che attraversa la membrana. La subunità a si trova al di fuori della cellula ed è responsabile del legame con il ligando, mentre la subunità b è un polipeptide transmembrana che contiene un dominio tirosin-chinasico nella sua porzione intracellulare.  Il legame del ligando al dominio extracellulare attiva la tirosin-chinasi della subunità b che si auto-fosforila. Una volta avvenuta la fosforilazione segue una cascata di eventi che portano alla specifica attività biologica di quel recettore (218).


Il recettore per l'IGF-II differisce invece da quelli per l'IGF-I e per l'insulina, in quanto consiste di un lungo dominio extracellulare e di un corto dominio intracellulare che non ha attività tirosin-chinasica (218). Dal momento che il recettore per l'insulina e quello per l'IGF-I sono così simili, ci si è chiesti come il recettore per l'insulina potesse mediare le attività metaboliche dell'ormone, mentre quello per l'IGF-I mediava i processi di crescita e differenziazione stimolati dal legame ligando-recettore. Si è notato che sebbene ogni ligando sia capace di interagire con i vari recettori, ogni recettore lega il suo specifico ligando con alta affinità e gli altri con bassa affinità evitando legami indesiderati (219).


Le proteine leganti gli IGF (IGF binding proteins)


L'azione dell'IGF può essere influenzata, sia positivamente che negativamente, da una famiglia di proteine che lo legano specificatamente: le IGFBPs (insulin-like growth factor binding proteins). Si trovano in circolo nel sangue e nei fluidi extracellulari (220) e ne sono state identificate sei. Queste proteine legano l'IGF con alta affinità ma non legano l'insulina. L'IGF circola legato alle IGFBPs, la cui funzione è quella di prolungare l'emivita del ligando e distribuirlo alla superficie cellulare dove può interagire con i suoi specifici recettori.


L'insulina, che circola non legata, è libera di interagire con i suoi recettori nei tessuti bersaglio come il sangue, i muscoli e il tessuto adiposo, mentre l'IGF, che è impedito di reagire con i recettori per l'insulina grazie al legame con le IGFBP, è diretto ai suoi recettori (220). L'IGF-I, che è stato proposto come fattore circolante che mediava l'effetto dell'ormone della crescita (GH, growth hormone), è responsabile della crescita e della differenziazione. L'IGF circolante è sintetizzato principalmente dal fegato e agisce in maniera endocrina; molti tessuti sono anche in grado di sintetizzare l'IGF e in questo caso esso può agire localmente in modo autocrino o paracrino. Recentemente è stato postulato un ruolo per l'insulin-like growth factor nella rigenerazione dei nervi periferici (220).


La matrice extracellulare contiene l'IGFBP-5 legata al collagene, alla laminina e alla fibronectina. Quando l'IGFBP-5 è legata alla matrice cellulare stessa ha una diminuita affinità per l'IGF-I, che è così libero di potersi legare ai suoi recettori e di svolgere le sue azioni (221).E' una regola che le IGFBP inibiscano le azioni dell'IGF-I in stati di alta affinità (Ka 10-l0 M) mentre ne potenziano l'effetto quando la loro affinità è più bassa e approssimativamente vicina a quella dei suoi recettori (Ka 10-9 M).Il meccanismo con il quale l'IGFBP-5 potenzia gli effetti dell'IGF-I è sconosciuto, così come anche i ruoli delle IGFBP sono complessi e non ancora del tutto chiari. Questi risultati indicano che le IGFBP possono essere utilizzate come agenti farmacologici per modulare l'attività dell'IGF-I in vitro e in vivo (222).


Effetti biologici classici


I fattori di crescita insulinosimili esercitano numerosi effetti biologici che, sebbene differiscano al variare del tessuto target, sono soprattutto caratterizzati dalla stimolazione alla crescita. Sul tessuto adiposo aumentano la captazione e l'ossidazione del glucosio e inibiscono la mobilitazione lipidica stimolando invece la liposintesi. Sui muscoli scheletrici (e sul cuore) potenziano il trasporto del glucosio e la sintesi di glicogeno, facendo diminuire la concentrazione di glucosio ematico. Negli osteoblasti, in vitro, stimolano la sintesi del DNA e delle proteine, aumentano la sintesi di glicogeno e stimolano la captazione di uridina nel RNA. Nella cartilagine, in vitro, aumentano la captazione di ioni solfato.

Fattori di crescita insulinosimili e neurorigenerazione


Gli IGF in questi ultimi tempi sono stati studiati per le loro potenziali attività di agenti neurorigeneranti per i neuroni del sistema nervoso centrale. Inoltre sono utili come indicatori di alcune patologie: in condizioni normali la concentrazione di questi fattori è molto bassa dalla nascita al primo anno di vita. Successivamente essa aumenta gradualmente fino alla pubertà, momento nel quale presenta un importante picco positivo, probabilmente dovuto alla maggiore produzione di GH e di testosterone caratteristica di questo periodo.


In caso di ridotto apporto calorico prolungato, la concertazione plasmatica di IGF1 scende alquanto e non è più stimolabile dal GH. Ad ogni modo, negli altri casi, il dosaggio dell'IGF1 è un buon indicatore dei valori di GH, e questa determinazione è normalmente usata a scopo diagnostico (dopo il sesto anno di età). Nei bambini con ipopituarismo grave l'IGF1 è presente, infatti, in concentrazioni molto basse in confronto alla norma. Nel soggetto ipopituitarico la somministrazione di GH porta all'aumento dell'IGF1 circolante, anche la stimolazione con hp-GRF (human pancreatic GH Releasing Factor) porta allo stesso risultato. Nell'acromegalia e nel gigantismo il tasso di IGF1 è costantemente elevato, cosicché questa determinazione è generalmente effettuata per diagnosticare queste patologie.


L'IGF1 possiede, in vitro, proprietà mitogeniche. l'IGF può contribuire in maniera significativa alla rigenerazione spontanea dei nervi periferici e ha proprietà neurotrofiche (223): numerosi studi hanno infatti dimostrato che l'IGF può indurre la crescita assonale in colture di neuroni sensoriali, simpatici (224) e nei motoneuroni (225).(226)

Altri risultati dati dai trattamenti a base di fattori di crescita


Elencheremo in seguito alcune combinazioni di fattori di crescita ed altre tecniche che hanno dato risultati incoraggianti per la neurorigenerazione. In molti di questi esperimenti è stato usato il nervo ottico come utile simulatore della lesione spinale; infatti, si è giunti ad isolare i neuroni ottici con una purezza del 99%, permettendo così di portare avanti studi quantitativi e statistici molto precisi. Si è visto innanzi tutto un fatto interessante: nessuno dei fattori di crescita - preso singolarmente - riusciva a far sopravvivere in coltura più dell'uno percento delle cellule per più di tre giorni.


Studi sui nervi periferici hanno dimostrato che l'attivazione del secondo messaggero AMPc determina un potenziamento degli effetti dei fattori di crescita. L'AMPc, com'è noto, è un importante secondo messaggero. Esso, da solo, attiva numerosi processi biochimici ed integra e regola numerosi segnali che la cellula riceve. Si è visto però che attivare singolarmente l'AMPc non dà risultati apprezzabili per quanto riguarda la sopravvivenza dei neuroni ottici in coltura; analogamente non sembravano utili i fattori di crescita presi singolarmente. Ma attivare l'AMPc e somministrare contemporaneamente diversi fattori di crescita consente di portare la percentuale di sopravvivenza delle cellule sopra il 50% per più di 30 giorni. Aggiungere a ciò un cocktail di altri fattori di crescita, a dire il vero non ancora purificati, aumenta la percentuale di sopravvivenza cellulare oltre l'ottanta percento.


Un secondo cocktail è stato fornito dall'unione di BDNF (brain derived neurotrophic factor, o fattore di crescita derivato dal cervello) e di NT3 (neurotrofina 3): esso è capace di mantenere in vita i neuroni i cui assoni sono stati danneggiati dalle lesione. Sebbene NT3 abbia un effetto piuttosto limitato nel tempo, BDNF riesce a mantenere in vita le cellule per circa un mese. Inoltre, se si aggiunge a NT3 e BDNF anche NT4 e tessuto nervoso fetale (122) allora la sopravvivenza delle cellule (e la crescita degli assoni) diviene 'totale' nel senso che molte cellule non solo sopravvivono alla lesione ma anche presentano una forte ricrescita degli assoni. Questa ricrescita non termina una volta uscita dalla zona dove c'è il tessuto trapiantato, ma continua anche dentro il midollo spinale 'originale' (questi aspetti verranno approfonditi successivamente in questo modulo, nei paragrafi dedicati alla tecnica dei trapianti).


La combinazione di tessuto fetale e di fattori di crescita inoltre si risolve anche in un deciso incremento dell'espressione del gene c-jun, (123) un importante gene immediato. I geni immediati sono geni che rispondono (124) molto velocemente a diversi stimoli e regolano di conseguenza diverse funzioni cellulari. E' interessante notare che - in questi esperimenti di combinazione di fattori di crescita e tessuto fetale - le cellule nervose che rispondevano meglio alla terapia erano quelle che usavano la serotonina come neurotrasmettitore.


Un altro esempio di rigenerazione riguarda il midollo spinale di topo completamente sezionato a T8, e distanziato di 5 millimetri (una lesione totale quindi, che non lasciava alcuna fibra integra). In tali condizioni la neurorigenerazione è stata ottenuta unendo le tecniche del trapianto (numerosi pezzi di nervi periferici, da uno a tre per ogni fascio spinale). Per bypassare l'azione inibente dei fattori prodotti dagli oligodendrociti, i nervi periferici - opportunamente collocati facendo un agglomerato a base di fibrina arricchito di aFGF (acidic fibroblastic growth factor) - (125) guidarono gli assoni che si stavano rigenerando dentro la sostanza grigia. Infine, per riconnettersi alla sostanza bianca sottolesionale, le fibre si disposero all'interfaccia tra la sostanza grigia e quella bianca, in una zona che corrisponde al tratto corticospinale del topo.


Dopo tre settimane gli animali sottoposti a questa terapia iniziarono a recuperare la funzionalità dei loro arti inferiori, alcuni da entrambe le parti del corpo, altri da una sola, e iniziarono ad appoggiare nuovamente parte del loro peso corporeo sulle gambe. Durante l'anno che è seguito all'esperimento essi continuarono a migliorare la deambulazione. Sebbene non riacquistarono un'andatura normale, essi comunque svilupparono di nuovo i riflessi e gli schemi neurali della deambulazione.


Gli animali nei quali gli assoni erano stati fatti ricrescere nella sostanza bianca e non nella grigia, e ai quali non era stato somministrato né aFGF né tessuto fetale, non riacquistarono alcuna funzionalità dopo la lesione. Ciò sottolinea ancora una volta che differenti terapie ad hoc saranno necessarie per ottimizzare la neurorigenerazione delle diverse classi di cellule nervose.


Si è notato inoltre come anche i secondi messaggeri siano importanti per prevedere la risposta che la cellula darà ai fattori stessi. L'attività elettrica e i segnali delle altre cellule modificano in maniera imponente la fisiologia dei secondi messaggeri, e ciò si verifica specialmente nei casi di lesione spinale, dove l'omeostasi cellulare è sconvolta dalla lesione primaria e secondaria.


E' ovvio, purtroppo, che allo stato delle conoscenze attuali è impossibile agire con queste terapie grezze e poco conosciute nei loro meccanismi, sugli esseri umani. Non si sa quindi ancora con certezza se il midollo spinale umano maturo e lesionato necessiti di questi cocktail di fattori di crescita, né è noto quali e quante siano le combinazioni adatte, su quali neuroni e come esse agiscano, e perché. Ad ogni modo un fatto non secondario è scaturito dagli studi sulla retina: sopravvivenza del neurone lesionato e ricrescita dell'assone andavano sempre di pari passo; ciò significa che ogni intervento che permette alle cellule di sopravvivere 'automaticamente' promuoverà anche la crescita assonale.





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