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Approccio non rigenerativo alla lesione spinale

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Approccio non rigenerativo alla lesione spinale


Introduzione


La neurorigenerazione non è l'unica via che può portare al recupero funzionale dopo la lesione spinale (56), in quanto il midollo spinale possiede non trascurabili potenzialità di recupero funzionale spontaneo, indipendente dalla neurorigenerazione, rappresentate da numerosi circuiti che possono operare indipendentemente dalle vie efferenti superiori (57) o che possono prendere le veci di altri circuiti (58).




Già negli anni sessanta Windle et al. (59) avevano notato che alcuni gatti, i quali dopo una lesione midollare avevano mantenuto solo il 10% delle loro fibre nervose, erano riusciti a recuperare un'alta percentuale di funzionalità motoria. A. Blight et al. (60) hanno ottenuto risultati simili, e anzi hanno dimostrato che i gatti riuscivano a recuperare, anche se avevano conservato, dopo la lesione, non più del 5% degli assoni. Inoltre tra gli assoni sopravvissuti, molti apparivano demielinizzati. Recuperi meno estesi ma comunque importanti (i gatti riuscivano a muoversi pur mantenendo un certo deficit motorio) erano possibili a partire dal 2% di assoni sopravvissuti (61).


Il midollo spinale umano si comporta analogamente: anche dopo lesioni che compromettono fino al 90% degli assoni presenti nel sito di lesione, è possibile assistere ad un certo recupero funzionale (62). Un altro aspetto che conferma questa situazione deriva dall'analisi dei tumori midollari: è cosa risaputa che un tumore al midollo può essere privo di grossi sintomi fin quando la sua dimensione rimanga sotto il 90% dell'area totale della sezione del midollo. Inoltre è interessante notare come, a parità di neuroni perduti, il deficit funzionale conseguente sia tanto maggiore quanto maggiore sia stata la velocità di degenerazione assonale: una lesione improvvisa che distrugga il 90% degli assoni causa più deficit di una lesione lenta e progressiva che alla fine distrugga la stessa percentuale di cellule.



Queste considerazioni sono particolarmente interessanti alla luce del fatto che raramente, in caso di incidente, tutti gli assoni vengono troncati: spesso una piccola percentuale di neuroni risulta non danneggiata. Molti di essi però risultano demielinizzati e probabilmente i pazienti che hanno subito questo tipo di incidente non sono lontani dalla soglia oltre alla quale sarebbe possibile ottenere un recupero funzionale almeno parziale. E' lecito pensare che - in determinate situazioni - l'aggiunta di pochi assoni, o anche solo l'incremento della conduzione in quelli sopravvissuti, sarebbe sufficiente per raggiungere e superare la soglia di cui sopra.


La capacità del midollo spinale di recuperare la sua funzionalità anche dopo lesioni alquanto gravi porta a sollevare alcune domande importanti: come può essere capace, il 10% delle fibre, di sostenere un comportamento motorio complesso? è logico pensare che il 90% delle fibre del midollo spinale sia "superfluo"? Quali vie spinali sono necessarie e sufficienti affinché un recupero possa avvenire?


Studi compiuti da Alstermark et al. (63) hanno per esempio sottolineato come, nel gatto, il tratto propriospinale - che modula l'attività interneuronale spinale (64) - sia molto importante affinché possa avvenire il processo di "sostituzione" di alcuni fasci danneggiati ad opera di altri rimasti integri. Ossia si è notato che, in presenza del tratto propriospinale, alcuni altri tratti integri potevano fare le veci di altri tratti distrutti, cosicché alla fine il deficit funzionale era ridotto al minimo. Il tratto propriospinale è situato vicino alla sostanza grigia (65) e perciò è particolarmente sensibile a lesioni di tipo meccanico o ischemico (66).


Eidelberg et al. (67) hanno confermato che una piccola percentuale delle fibre spinali sono sufficienti per mantenere una funzionalità piuttosto elevata, a patto che tra le fibre risparmiate si trovino particolari tratti spinali: è risultato fondamentale, per il recupero motorio, che rimangano operativi i fasci discendenti ventrali responsabili dell'attivazione e del mantenimento dei riflessi deputati alla locomozione e alla postura.


Un altro aspetto importante è che il midollo spinale è capace di operare in maniera relativamente indipendente dal cervello: per esempio alcuni riflessi nei cani e nelle rane sono quasi esclusivamente intraspinali. Inoltre è possibile insegnare a camminare a cani e gatti con il midollo spinale danneggiato (68). Si è visto che il midollo spinale, anche se isolato dal cervello, è capace di originare segnali elettrici complessi, del tipo di quelli necessari all'attività motoria (69). Questi segnali possono essere stimolati e modulati tramite la somministrazione di farmaci capaci di modificare l'eccitabilità cellulare. Ovviamente non è possibile raggiungere i livelli di coordinamento fisiologici, poiché manca un centro superiore di integrazione dei movimenti e delle sensazioni (70).


Disfunzione assonale dopo la lesione


Spesso il deficit motorio e sensoriale derivante da una lesione spinale viene considerato come conseguenza della morte dei neuroni interessati dal trauma. Ma buona parte del deficit può essere invece ricondotto alla presenza di assoni ancora vitali ma funzionalmente inibiti, che passano attraverso la zona della lesione. Gli assoni danneggiati non sono capaci di trasportare, nell'unità di tempo, un numero fisiologicamente sufficiente di potenziali d'azione. Ciò è consistente con il fatto che tali assoni possiedono spesso una guaina mielinica danneggiata o assente (71). Per molti pazienti mielolesi ciò - piuttosto che il numero di assoni sopravvissuti in assoluto - può essere il fattore limitante il loro recupero.


La conduzione, negli assoni con guaina mielinica danneggiata, può essere migliorata tramite l'uso di alcuni farmaci, tra i quali il più noto è la 4-amino-piridina (72). Si tratta di un agente bloccante i canali veloci voltaggio-dipendenti del potassio, localizzati sulla membrana cellulare sottostante la mielina (73). La 4-amino-piridina permette la conduzione nervosa negli assoni parzialmente demielinizzati che hanno i canali esposti ed attivi (74). Inoltre la demielinizzazione parziale porta ad una riduzione della corrente del sodio perché i canali sono esposti su una superficie molto più ampia: in queste situazioni le correnti del potassio diventano più importanti. Questo farmaco si è rivelato utile in pazienti sofferenti di sclerosi multipla (75) e in animali demielinizzati (76); tuttavia questa molecola modifica anche la normale attività dei neuroni (77) e l'attività nervosa simpatica (78). In modo analogo agiscono anche molecole bloccanti i recettori dell'acido gamma-amino-butirrico (79). La 4-amino-piridina è stata testata per 5 anni su 33 pazienti, dimostrandosi utile nel 30% dei casi circa.; ora si stanno iniziando test clinici a più ampio raggio.


Rimielinizzazione degli assoni spinali danneggiati


Le cellule dell'oligodendroglia possono contribuire alla rimielinizzazione degli assoni (80), ma numerosi fattori in pratica si oppongono a quest'attività. Sebbene sia vero che è possibile indurre gli oligodendrociti a proliferare dopo la lesione (81), la loro abilità nel dividersi è alquanto scarsa (82).Inoltre la rimielinizzazione è limitata dalla distanza alla quale queste cellule possono migrare. Molto spesso infine gli assoni spinali rimielinizzati presentano una copertura alquanto sottile e distanze internodali abnormi (83).


Anche le cellule di Schwann possono essere sfruttate per la rimielinizzazione degli assoni centrali (84). Questa potenziale terapia è interessante sia perché - a differenza della sclerosi multipla (85) - la lesione spinale crea una zona demielinizzata costante e limitata, sia perché le cellule di Schwann mancano di fattori inibenti la crescita assonale (86), e quindi potrebbero rappresentare per gli assoni un ambiente di crescita favorevole. Anche l'uso di nervi periferici rappresenta una fonte pronta di cellule di Schwann (e se il nervo proviene dallo stesso paziente, non ci sono nemmeno le complicazioni del rigetto immunitario) (87). E' possibile coltivare le cellule di Schwann (88), inoltre esse sono sensibili agli stimoli dei fattori di crescita (89). Questi ragionamenti si applicano non solo agli assoni danneggiati (demielinizzati), ma anche a quelli rigenerati, in quanto anch'essi sono privi di mielina.


Poiché la somministrazione cronica della 4-amino-piridina o degli agenti bloccanti i recettori del GABA potrebbe avere troppi effetti collaterali, questi farmaci potrebbero servire piuttosto come utili agenti diagnostici per scoprire quali dei pazienti sofferenti per una lesione midollare potrebbero trovare giovamento da un'eventuale rimielinizzazione biochimica (tramite cellule di Schwann, per esempio). Proprio perché questo tipo di rimielinizzazione richiederà probabilmente l'introduzione di cellule nel sito di lesione, e  quindi una procedura di tipo chirurgico, sarà utile sapere a chi potrebbe essere utile questo intervento: chi risponderà positivamente al trattamento con farmaci che aumentano la conduzione nervosa potrà, ragionevolmente, essere sottoposto a intervento chirurgico.



Meccanismi di recupero di tipo non rigenerativo


Il fatto che il recupero funzionale sia negli animali sia negli esseri umani sia comunque importante (se escludiamo le transezioni veramente totali del midollo, molto rare), suggerisce che il midollo spinale possieda degli efficaci meccanismi per limitare i danni della lesione. Probabilmente almeno tre meccanismi prendono parte a questo processo: la "ridondanza" di alcune fibre midollari, la riorganizzazione del midollo spinale presso la zona di lesione e anche lontano da essa, e il processo di rimielinizzazione.


Durante l'evoluzione del sistema nervoso dei vertebrati, i tratti spinali ascendenti o discendenti più "recenti" sono stati aggiunti sopra strutture già esistenti, ma senza che queste venissero eliminate: è così possibile che alcune funzioni appaiano "mascherate" in condizioni normali, ma dopo una lesione vie alternative e più antiche possono nuovamente rendersi "visibili".


Per quanto riguarda le possibilità di recupero funzionale legate alla neurorigenerazione (che verrà trattata nel prossimo modulo), qui basti ricordare che il sistema nervoso centrale sicuramente possiede una forte potenzialità rigenerante: si consideri che gli assoni dei vertebrati superiori, incluso l'uomo, dopo una lesione mostrano un tentativo spontaneo di ricrescita, che però poi fallisce (90). E' anche chiaro però che questa potenzialità in pratica non si esprime, anche se non sempre è così: rigenerazione spontanea è stata vista nei tratti dorsali del midollo spinale (91) e nel cervello (92), ed è nota da sempre la capacità di rigenerazione degli assoni spinali di molti vertebrati primitivi (93).


Inoltre, come vedremo nel modulo dedicato alla neurorigenerazione, gli assoni centrali crescono facilmente all'interno dei nervi periferici (94) e si riconnettono con i loro obiettivi (95). Il problema non è tanto quindi l'impossibilità del sistema nervoso di rigenerarsi, ma piuttosto il fatto che i mammiferi hanno elaborato, durante l'evoluzione, degli specifici meccanismi che si oppongono alla rigenerazione degli assoni nel sistema nervoso centrale (96). La rigenerazione però, dal punto di vista dell'evoluzione, è tutt'altro che una cosa utile: essa infatti non offre vantaggi (per la specie, evidentemente) perché sarebbe troppo lenta ed inefficiente. Nei mammiferi più grandi la distanza che un assone dovrebbe compiere potrebbe anche essere superiore ad un metro. Alla velocità di un millimetro al giorno (ossia alla velocità con la quale cresce un capello, per esempio) un assone avrebbe bisogno di diversi anni per raggiungere il suo obiettivo.


Un animale con il midollo spinale lesionato non può permettersi il lusso di aspettare mesi o anni che la funzionalità spinale riprenda. La "ridondanza" delle strutture spinali è un metodo più veloce e semplice, sebbene purtroppo non sempre sufficiente, per recuperare la funzionalità. Inoltre la rigenerazione potrebbe portare a connessioni sbagliate con la conseguenza di aumentare il dolore o la spasticità. Alla luce di tutto ciò non c'è quindi da sorprendersi che la rigenerazione non sia stata premiata dall'evoluzione, e in pratica, la sua potenziale presenza viene fortemente inibita per prevenire possibili interferenze con i validi meccanismi di recupero già esistenti.





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