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Approccio rigenerativo alla lesione spinale

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Approccio rigenerativo alla lesione spinale


Le lesioni al midollo spinale e la neurorigenerazione


Far sì che il midollo spinale lesionato possa ritornare alla sua condizione originaria, in modo che il paziente possa nuovamente controllare i movimenti e avere percezione dell'ambiente esterno, è il fine ultimo della ricerca sulla neurorigenerazione. E' stato anzi dimostrato che - in determinate circostanze - le cellule del sistema nervoso centrale possono rigenerarsi. Qui di seguito accenneremo ad alcuni esperimenti classici che hanno dato dei risultati interessanti per quanto riguarda la neurorigenerazione. Dei fattori di crescita in particolare parleremo in un modulo successivo esclusivamente a loro dedicato.




I ponti di tessuto nervoso periferico


Negli anni ottanta sono stati compiuti numerosi esperimenti ponendo un'estremità di un nervo periferico nel midollo spinale: si è visto che il midollo spinale (allo stesso modo si comportava l'encefalo) invadeva il nervo e cresceva dentro di esso, anche per distanze molto lunghe. Inoltre mediante specifici traccianti neuroanatomici è stato dimostrato che gli assoni che crescevano all'interno di questo "ponte" - circondati da cellule di Schwann (99) - erano in effetti provenienti dal sistema nervoso centrale, e non da cellule nervose che innervavano vasi sanguigni o meningi (99, 100). Se però l'altra estremità del nervo periferico che faceva da ponte era inserita anch'essa nel midollo (o nell'encefalo) e gli assoni crescente in esso la raggiungeva, allora smettevano di crescere: ci doveva essere quindi qualche fattore inibente la crescita nel sistema nervoso centrale. Questo esperimento non era in effetti una novità: già all'inizio di questo secolo Ramon y Cajal aveva fatto notare (101) che il cervello o il midollo spinale invadevano ponti costituiti da nervi periferici. Un esperimento analogo è stato eseguito riconnettendo un nervo ottico leso tramite un ponte costituito da un nervo periferico: è stato possibile riconnettere il 10% degli assoni provenienti dai gangli della retina con le aree cerebrali dedicate alla visione (102).



L'ostacolo oligodendrociti


Uno dei maggiori ostacoli alla rigenerazione nel sistema nervoso centrale pare essere rappresentato dagli oligodendrociti, che sono inibitori - in vitro - della crescita assonale e - in vivo - della rigenerazione (103, 104, 105). Per scoprire quale delle componenti degli oligodendrociti possedeva questa proprietà, sono stati sviluppati diversi anticorpi diretti contro diverse porzioni degli oligodendrociti. Si è visto che l'effetto inibitorio risiedeva in due proteine pesanti 33-35 kDa, purificate su tramite elettroforesi su  sodio-dodecil-solfato-poliacrilamide (SDS-PAGE) e chiamate NI-35 e NI-250. Sono stati quindi preparati degli anticorpi monoclonali contro queste due proteine, e sono stati aggiunti al terreno di coltura contenente gli oligodendrociti o le proteine inibitrici contenute in liposomi: in entrambi i casi gli anticorpi sono riusciti a bloccare l'attività inibente e la rigenerazione ha potuto avere luogo (106). Questa potenzialità degli anticorpi si esplica parzialmente anche in vivo, permettendo un certo grado di rigenerazione agli assoni spinali: cellule di ibridoma secernenti questi anticorpi sono state poste a contatto con i ventricoli così da permettere una somministrazione degli anticorpi medesimi tramite il liquido cefalorachidiano. In seguito ad una lesione spinale da taglio (107) si è potuto notare un robusto sprouting e inoltre si è visto che numerosi assoni avevano superato il sito di lesione e avevano raggiunto una lunghezza pari a 5-l0 mm.


Molecole di adesione come fattori di crescita


Interessante è stato anche scoprire che alcune molecole d'adesione - in particolar modo quella nota come L1, scoperta da M. Schachner - si comportano contemporaneamente da fattori di crescita e da antagonisti per gli inibitori della crescita assonale. L1 è presente sempre nel sistema nervoso periferico, ma in quello centrale la troviamo solo durante il suo sviluppo. Il blocco dell'attività biologica della molecola L1 nel sistema nervoso centrale sembra inibire il potenziale neurorigenerativo del sistema nervoso stesso. Topi transgenici con astrociti esprimenti la molecola d'adesione L1 mostrano capacità di rigenerazione del nervo ottico, per esempio. L'uso di questa molecola nelle lesioni al midollo spinale è tuttora argomento di studio.


Studi di rigenerazione su lamprede


Qualche tempo fa, presso la Yale University è stato impiegato un particolare colorante che ha permesso di tracciare e rendere visibili i percorsi delle singole cellule del sistema nervoso centrale delle lamprede. Sono stati scelti questi pesci in quanto essi possiedono cellule nervose molto grandi e sono capaci di comportamento e movimenti alquanto complessi; inoltre sono dei vertebrati e ciò li pone abbastanza vicino ai mammiferi nella scala evolutiva. Questi ricercatori hanno operato le lamprede in modo da causare una transezione completa del loro midollo spinale. Mesi dopo alcune lamprede erano capaci nuovamente di nuotare. Per essere sicuri che la neurorigenerazione (108, 109, 110, 111, 112) fosse avvenuta, essi hanno operato nuovamente le lamprede e hanno iniettato nel cervello il colorante di cui si è accennato sopra. I motoneuroni discendenti dalla corteccia - che vanno a fare sinapsi nella sostanza grigia con i motoneuroni spinali - sono tra le fibre che sono interrotte da una lesione spinale. Se il loro moncone si ricollegasse alla porzione sottolesionale, il colorante dovrebbe filtrare verso la porzione distale del midollo ed essere rivelabile: ciò, infatti, è accaduto. I motoneuroni provenienti dal cervello avevano superato la zona della lesione e - importantissimo - avevano creato sinapsi funzionali con la porzione del midollo a valle dell'interruzione indotta artificialmente.


Condizioni necessarie e sufficienti per la neurorigenerazione


Affinché la rigenerazione nervosa possa avvenire deve verificarsi un insieme di condizioni favorevoli: innanzi tutto le cellule danneggiate devono sopravvivere o essere sostituite, ma ciò è reso difficile dal fatto che esse, nell'adulto, non si duplicano spontaneamente. Quando si riuscirà ad indurre artificialmente questa condizione, bisognerà anche far sì che gli assoni crescano in maniera appropriata, e che tra la miriade di possibili destinazioni raggiungano quelle giuste, e lì creino delle sinapsi funzionali. Inoltre sarà necessario che anche cellula - METABOLISMO, LA RESPIRAZIONE, RESPIRAZIONE AEROBICA DELLA SOSTANZA ORGANICA" class="text">la cellula bersaglio costruisca le strutture preposte alla ricezione dei neurotrasmettitori sinaptici.


Conseguenze dello sviluppo


In linea teorica nella rigenerazione nervosa si potrebbero (o dovrebbero) ritrovare gli stessi passaggi che caratterizzano lo sviluppo naturale del midollo: crescita, navigazione degli assoni nell'ambiente circostante e infine raggiungimento dei target appropriati e creazione di sinapsi. E' anche vero però che il neurone - dopo la lesione - si trova a dover affrontare una situazione molto diversa da quella in cui si trovava al momento dello sviluppo. Per esempio l'ambiente nel quale si muovono i piccoli assoni embrionali è meno fittamente percorso da altre cellule, se confrontato con il midollo adulto. Inoltre, dopo la lesione, il sito di lesione è alquanto disordinato; a ciò si aggiunga che le distanze che gli assoni devono percorrere sono estese, e questo potrebbe essere un problema anche per i mediatori chimici che hanno il compito di guidare gli assoni verso i loro target più appropriati.


Cenni d'embriologia e differenziamento spinale


(113) Il midollo spinale adulto è costituito da un intricato, ed estremamente ordinato, insieme di fibre e cellule. Tra le cellule nervose troviamo numerosi tipi di motoneuroni, di neuroni sensitivi, e di interneuroni. Essi differiscono per forma, per attività elettrica, per dinamica dei neurotrasmettitori e per altri aspetti. Esistono poi numerosi tipi di cellule di supporto con precisi compiti. Lo sviluppo del midollo spinale, che raggiunge quest'impressionante livello di perfezione, è stato oggetto di studio per più di un secolo. Ultimamente le scoperte fatte nel campo delle neuroscienze classiche, unite ai progressi compiuti in genetica, stanno forse per svelare parte di questo "segreto". I fattori che regolano il differenziamento cellulare sono i responsabili della creazione di questa varietà di cellule, le quali provengono da cellule progenitrici comuni. Ovviamente non si conoscono né tutti questi fattori né il modo con cui essi agiscono, ma le linee principali stanno venendo tracciate. Si sa per esempio che ci sono due principali sistemi biochimici di differenziamento che guidano lo sviluppo del cervello e del midollo spinale: un sistema controlla la specializzazione cellulare verticalmente, dal cervello in giù attraverso il midollo, l'altro sistema modula le cellule orizzontalmente. A quanto si sa oggi, i meccanismi generali d'azione di queste specializzazioni cellulari sono concettualmente simili.


Il controllo orizzontale (ossia lungo l'asse dorsoventrale midollare) può essere preso come esempio per spiegare come questi sistemi operino. Molto si è potuto conoscere a tal proposito utilizzando dei particolari marcatori che vengono inseriti in cellule non ancora del tutto specializzate, nel midollo embrionale. Si è visto che tre tipi di cellule si formano da un unico progenitore nella porzione ventrale del midollo embrionale: nella parte più ventrale si originano le cellule gliali, più dorsalmente troviamo motoneuroni e interneuroni. La molecola (proteina) chiave (114, 115) di questo differenziamento negli esseri umani viene chiamata sonic hedgehog (hedgehog significa porcospino), ed è stata scoperta grazie alla sua somiglianza con la già nota proteina hedgehog delle mosche della frutta. La proteina possiede questo nome alquanto bizzarro perché le mosche della frutta con una mutazione nel gene hedgehog, responsabile della sintesi della proteina in questione, hanno un aspetto fenotipico piuttosto "spinoso", che per l'appunto ricorda quello di un porcospino.


Per simulare l'ambiente presente nel midollo embrionale, i ricercatori hanno posto delle porzioni ventrali di midollo parzialmente indifferenziato in coltura e le hanno sottoposti a diverse dosi di proteina sonic hedgehog: secondo la concentrazione le cellule si differenziavano in glia, motoneuroni o interneuroni. Nell'embrione questa proteina differenziatrice è liberata dalla notocorda (o corda dorsale): le cellule più vicine alla notocorda sono esposte alle concentrazioni più alte, e divengono cellule gliali. Le cellule indifferenziate più dorsali sono esposte a concentrazioni minori e divengono motoneuroni ed interneuroni. Si ritiene opportuno precisare che la notocorda è un insieme - lungo e stretto - di cellule situate in posizione dorsale, che negli embrioni dei cordati forma una parte dello scheletro. Essa persiste anche negli animali adulti delle specie più semplici (come le lamprede) mentre negli esseri umani adulti va a formare il nucleo polposo del disco intervertebrale.


Ultimamente si sono identificati molti segnali che guidano il differenziamento cellulare nel midollo spinale embrionale, tuttavia rimangono senza risposta alcune domande importanti: come le cellule riconoscano le diverse concentrazioni, in che modo queste proteine inducano il differenziamento, e come facciano ad indurlo in maniera così precisa e perfetta. Infine le interazioni tra i vari differenti composti guida del differenziamento sono quasi tutte sconosciute.


Le risposte a queste domande - e alle altre sulla genesi ed il differenziamento del sistema nervoso centrale - potrebbero portare ad importanti passi avanti anche per quanto riguarda le problematiche della neurorigenerazione spinale. Non è passato tanto tempo da quando si è scoperto che anche nel sistema nervoso centrale adulto esistono delle cellule indifferenziate, che potrebbero originare nuovi neuroni o cellule gliali. Queste cellule indifferenziate si trovano, nel topo, in un singolo strato posto intorno al canale ependimale. E' da queste cellule che durante lo sviluppo si origina, espandendosi radialmente dal canale ependimale, il midollo. Questo strato - circa 48 ore dopo la lesione - si riproduce e forma numerosi strati di cellule, che si dirigono verso il midollo con movimento centrifugo, simile presumibilmente a quello con il quale il midollo si formò. Non è azzardato interpretare quest'evento come un tentativo delle cellule progenitrici di porre un argine alla lesione spinale.


Durante lo sviluppo del cervello e del midollo spinale gli assoni crescono e percorrono lunghe distanze, seguendo strade per nulla casuali e puntando ad obiettivi estremamente precisi. L'estremità crescente dell'assone forma una struttura molto specializzata, detta cono di crescita, capace di ricevere, valutare ed elaborare tutte le informazioni e "decidere" quale strada seguire per raggiungere la propria destinazione. Sono state riconosciute numerose sostanze chemiotattiche attraenti e repellenti l'assone. Esistono molecole fisse e molecole che invece diffondono molto lontano. Complesse interazioni tra questi segnali - e molto probabilmente altri fattori che non conosciamo ancora - guidano lo sviluppo neuronale. La prima famiglia di agenti chemiotattici è stata scoperta recentemente nel midollo spinale di pollo, ed è chiamata la famiglia dei "netrini". Essa è la prima prova pratica che Ramòn y Cajal aveva ragione. Circa un secolo fa questo celebre studioso snolo di anatomia, pensò che molecole libere di diffondere nel sistema nervoso potessero guidare la crescita degli assoni. E' anche interessante notare come un agente chemiotattico che attragga un tipo di neuroni agisca invece da repellente per altri, in modo che la sua interazione con le altre molecole renda possibile il perfetto sviluppo armonico dell'architettura midollare. Sapere se questi agenti esistono ancora nel midollo adulto, e se sì, come gli assoni possano interagire con essi, sarà probabilmente di grande importanza per aprire nuove vie alla neurorigenerazione.


Affinché la neurorigenerazione sia completa - anche dal punto di vista funzionale - gli assoni dovranno sviluppare delle sinapsi, al momento e al posto giusto, e analogamente anche come anche i neuroni o gli organi bersaglio dovranno sviluppare dei recettori appositi, in condizioni (midollo già sviluppato) e in luoghi (nuove connessioni) dove normalmente questi fenomeni non dovrebbero né esserci né accadere. Sebbene si sappia poco sulla neoformazione di sinapsi nel sistema nervoso centrale dei mammiferi adulti, si sta almeno iniziando a conoscere come si evolvano le sinapsi (giunzioni neuromuscolari) con le quali i motoneuroni attivano le cellule muscolari. Queste sinapsi sono molto più accessibili di quelle spinali. Inoltre, particolare non secondario, esse hanno la capacità di rigenerarsi. Sia muscoli che i motoneuroni siano capaci di sintetizzare tutte le sostanze necessarie alla formazione delle giunzioni neuromuscolari, tuttavia la creazione di tali molecole abbisogna anche di un continuo scambio di informazioni dal neurone alla cellula nervosa e viceversa.


Ciò è stato verificato - in un certo senso - già all'inizio del secolo, quando si dimostrò che i motoneuroni che si stanno rigenerando (per esempio dopo una lesione) creano nuove giunzioni neuromuscolari nel punto esatto dove si trovavano le giunzioni "originali", e questo non può essere un caso, se non altro perché le giunzioni coprono una frazione piccolissima di tutta la superficie disponibile sulla cellula nervosa: ciò significa che le cellule muscolari devono possedere un "segnale di stop" che gli assoni riconoscono. I muscoli inoltre regolano la loro disponibilità a ricevere (altre) sinapsi in funzione dell'eventuale presenza di sinapsi già esistenti: un neurone non formerà una nuova giunzione se quella cellula muscolare è già innervata, ma se essa viene denervata allora la formazione di una nuova giunzione è possibile, anzi forse la stessa cellula muscolare invia dei segnali chimici atti a creare una nuova connessione col sistema nervoso.


Ora è possibile studiare l'importanza di singole proteine neurotrasmettitrici nella fisiologia delle sinapsi avendo a disposizione dei topi transgenici che mancano di un certo gene responsabile della produzione della proteina corrispondente. Si sa ora per esempio che la proteina chiamata agrina (trattasi di un proteoglicano) è responsabile della "raccolta" dei recettori dell'acetilcolina - nella cellula muscolare - in prossimità della sinapsi. I topi mancanti di questa proteina muoiono prima o durante la nascita, per via della mancanza di giunzioni neuromuscolari. Non solo le cellule muscolari - com'era ovvio - erano state influenzate negativamente dalla mancanza di tale proteina, ma anche i neuroni mostravano segni di questa mancanza. Sono ora in fase di studio diversi tipi di topi transgenici, e si spera che in questo modo sia possibile valutare e conoscere meglio la fisiologia della generazione delle giunzioni neuromuscolari, necessaria per passare poi a quella delle sinapsi spinali.


Giunzioni neuromuscolari e sinapsi spinali sono, infatti, alquanto diverse: non tutte le molecole che controllano lo sviluppo delle giunzioni neuromuscolari, infatti, sono presenti anche nel sistema nervoso centrale. Un'altra differenza è che mentre una cellula muscolare riceve una o più sinapsi da un singolo neurone, una cellula nervosa riceve migliaia di sinapsi da numerosi tipi di neuroni (motori, sensitivi, interneuroni) e risponde a molti neurotrasmettitori diversi.


Probabilmente quindi sia le giunzioni neuromuscolari sia le sinapsi spinali condividono gli stessi principi base, ma probabilmente i neuroni centrali possiedono in più dei meccanismi dedicati a formare le sinapsi più complesse. Le fibre nervose centrali che sono state fatte ricrescere durante alcuni esperimenti, hanno sviluppato poche sinapsi, e questo può essere uno dei motivi per cui il recupero funzionale è stato limitato. Non è ancora chiaro - ed è in fase di studio - se il fattore limitante risieda nei neuroni che si stanno rigenerando oppure nelle cellule a valle della lesione, che potrebbero essere "poco ricettive", oppure in entrambe le strutture. (Nel momento in cui va in stampa la fonte di queste notizie, questi esperimenti sono in corso).

Studi di rigenerazione di base


Come già accennato nel corso di questi moduli, si è iniziato a comprendere (dai primi anni '80) che le cellule del sistema nervoso possono rigenerarsi se ad esse è consentito accedere ad un 'tessuto permissivo', quale potrebbe essere il tessuto nervoso fetale o porzioni di nervi periferici opportunamente adattati. Alcuni di questi studi sono stati effettuati direttamente sul midollo spinale, ma la sua complessità può portare a delle difficoltà nell'interpretazione dei risultati. Così numerosi ricercatori, per studiare le lesioni al midollo spinale, studiano invece le lesioni al nervo ottico. Le cellule del nervo ottico normalmente non si rigenerano dopo che il nervo ottico è stato sezionato completamente. Nei primi esperimenti di questo genere sono state poste delle connessioni artificiali, costituite da nervi periferici (116, 117, 118), tra il sito della lesione, solitamente posto nelle vicinanze della retina, e le zone target nel cervello. Ciò eliminava tutte le problematiche relative al 'pathfinding' guidando gli assoni del nervo ottico direttamente a destinazione. Alcuni assoni si svilupparono in lunghezza fino a due volte la loro dimensione originaria, ma questo avveniva di raro: la maggior parte dei neuroni, infatti, moriva a causa della transezione dell'assone. Alcuni assoni raggiunsero il cervello e crearono delle sinapsi funzionali, rigenerando il riflesso di miosi e midriasi in conseguenza delle variazioni luminose esterne. Ma gli assoni non riuscirono a ricreare una sofisticata immagine del mondo esterno.


Questi esperimenti sollevarono un gran numero di domande: cos'è che rende il tessuto nervoso periferico così utile alla neurorigenerazione? Ci sono in esso dei fattori di crescita non presenti nello SNC? Mancano in esso dei fattori inibenti la crescita presenti nello SNC? Perché un numero così elevato di cellule muore in seguito alla lesione? Quanto la genetica influisce su questi comportamenti di necrosi o apoptosi? Quanto la rigenerazione differisce dallo sviluppo?  Gli esperimenti che si stanno compiendo in questi anni stanno iniziando a fornire le prime risposte, alcune delle quali sono trattate qui di seguito.



Potenzialità intrinseca della crescita assonale


L'intrinseca capacità dei neuroni di rigenerarsi - entro certi limiti - è uno dei fattori che potrebbero contribuire alle neurorigenerazione. Questa capacità intrinseca è inversamente proporzionale all'età dell'individuo, e ciò vale sia in vivo sia in vitro, e (nel caso dal sistema visivo) riguarda principalmente i neuroni del nervo ottico ma, anche se in misura minore, le cellule 'target' del tetto. Opportuni fattori di crescita hanno aumentato parzialmente sia la sopravvivenza sia la rigenerazione, ma nulla hanno potuto contro l'invecchiamento, che si è rivelato un fattore determinante nella modulazione della potenzialità di ricrescita. Si ritiene che i mutamenti delle potenzialità di crescita riflettano delle modifiche che avvengono nel genoma cellulare (119). Numerosi geni si rivelano inattivati nel periodo nel quale la neurorigenerazione diviene man mano più difficile; ed il gene bcl-2 (120) in particolare (che è noto poiché produce una proteina regolatrice dell'apoptosi) risulta puntualmente inattivato quando la neurorigenerazione cessa totalmente: esso quindi sembrerebbe essere il principale responsabile della capacità - totale o parziale - della cellula nervosa centrale di rigenerarsi (121)


Le cellule della retina di topi transgenici (con due geni bcl-2) sono meno età-dipendenti per quanto riguarda le capacità di rigenerarsi. In questo caso anche le cellule di topi adulti erano capaci di rigenerarsi se come target veniva dato loro del tessuto embrionale. Inoltre esperimenti condotti facendo uso di sostanze chimiche agenti sugli enzimi dell'apoptosi indotti da bcl-2 dimostrarono che le vie metaboliche indotte da bcl-2 per quanto riguarda la neurorigenerazione sono distinte e indipendenti da quelle indotte per l'apoptosi. Questo gene sembrerebbe agire come un 'interruttore' che comanda la crescita degli assoni nel sistema nervoso centrale. Trovare il modo di 'comandare' questo 'interruttore' sarebbe un passo importante sulla via della neurorigenerazione.


Barriere molecolari contro la rigenerazione


Al giorno d'oggi sono state identificate molte molecole che inattivano la neurorigenerazione nel sistema nervoso centrale. Tra queste possiamo citare il fattore inibente sintetizzato dagli oligodendrociti, fattore associato alla mielina o IN-l. Uno dei modi con i quali questi fattori agiscono è far collassare i coni di crescita degli assoni, oppure modificare la matrice extracellulare rendendola per esempio 'scivolosa' ed impedendo così agli assoni di ancorarsi ad essa, cosa che è necessaria per la ricrescita e il loro avvicinamento al target.


Probabilmente, e questo potrebbe essere un punto debole degli inibitori; essi sono molto numerosi ma agiscono tramite meccanismi comuni (si tratta di secondi messaggeri intracellulari), ed è contro queste vie biologiche che si potrebbe agire. Ciò è stato confermato, in prima istanza, da esperimenti che hanno fatto uso della tossina della pertosse. Essa blocca le vie dei secondi messaggeri e ha portato al risultato di bloccare il collasso dei coni di crescita causato da tre diversi fattori inibenti: la collassina-l, la trombina e il fattore IN-l. In questo modo è stato ottenuto, in molte cellule, la ricrescita dell'assone e il ricongiungimento con le cellule target.


Un'altra idea sulla quale si basa la lotta agli inibitori è che essi (o meglio i loro effetti intracellulari) alla fine entrano in diretta competizione con gli effetti stimolanti dei fattori di crescita, e ciò farebbe supporre che un'adeguata stimolazione alla neurorigenerazione dovrebbe - di fatto - risolvere il problema degli inibitori.

I fattori di crescita


I fattori di crescita promuovono la sopravvivenza delle cellule nervose lesionate e la loro ricrescita. Gli studi classici sui fattori di crescita hanno dimostrato che i neuroni divengono dipendenti da queste sostanze nel periodo del differenziamento cellulare e delle connessioni con le cellule target. Il sistema nervoso in fase di sviluppo produce molte più cellule di quante non saranno poi utilizzate: esse competono per 'conquistarsi' i fattori di crescita forniti dalle cellule target, le cellule che non raggiungono per prime le cellule target muoiono per apoptosi. Nel modulo dedicato ai fattori di crescita verranno analizzate le potenzialità rigeneranti di queste molecole.


Studi applicati alla rigenerazione nervosa


I ricercatori e i medici stanno iniziando ad applicare le conoscenze sulla neurorigenerazione su modelli animali, per valutarne l'efficacia. E' quasi certo che - a meno di scoperte rivoluzionarie - la neurorigenerazione non sarà il frutto di un'unica terapia ma sarà piuttosto il risultato di un insieme, probabilmente non semplice, di diversi e complementari agenti terapeutici.


Un possibile approccio per riparare il midollo spinale lesionato è quello di trapiantare cellule o tessuti del sistema nervoso periferico, che sembra produrre quelle sostanze che rendono possibile la sua neurorigenerazione. Quest'idea non è una novità: già Ramòn y Cajal - un secolo fa - pensò che trapiantare cellule dal sistema nervoso periferico a quello centrale, nella zona della lesione, avrebbe potuto servire allo scopo di ridare almeno in parte funzionalità al midollo. In effetti, esperimenti di questo tipo su animali hanno portato ad una ricrescita degli assoni e a delle modifiche nel corpo cellulare, inoltre è apparsa diminuita la presenza di tessuto 'cicatriziale'. Una variante di questi esperimenti consiste nel trapiantare selettivamente solo le cellule di Schwann: anche questo procedimento ha dato risultati incoraggianti, ed è ora in corso uno studio per verificare l'applicabilità di questo metodo negli esseri umani.


Un'altra possibilità è di inserire nel midollo una certa quantità di tessuto nervoso centrale di origine fetale, contenente cellule staminali indifferenziate: fornendo gli stimoli chimici adatti sarebbe teoricamente possibile indurne il differenziamento in modo da ottenere così le cellule desiderate (neuroni, interneuroni e cellule gliali). In effetti, anche tali esperimenti hanno dimostrato che questa strada è percorribile, sebbene risultati migliori siano stati ottenuti in animali giovani piuttosto che adulti. Purtroppo non si conoscono ancora con precisione i meccanismi con i quali il tessuto fetale stimola la ricrescita, né si sa quali fattori inibenti siano presenti nel sistema nervoso centrale e non in quello in via di sviluppo. In seguito sono elencati alcuni esperimenti di trapianti eseguiti.


Tecniche di ri-mielinizzazione cellulare tramite trapianti di cellule di Schwann


Alcuni ricercatori stanno studiando come proteggere e rivestire gli assoni danneggiati con mielina, in modo da favorirne la sopravvivenza, la funzionalità ed eventualmente l'avvicinamento alle cellule target. Le cellule di Schwann che ricoprono le cellule dei nervi periferici, sono le responsabili della loro mielinizzazione, e probabilmente hanno un ruolo chiave nella potenzialità rigenerativa di tale sistema. Trapiantando cellule di Schwann nel sistema nervoso centrale per 'sostituire' gli oligodendrociti danneggiati diversi studiosi alla Yale e alla Miami University hanno raggiunto degli ottimi risultati nella ri-mielinizzazione di assoni centrali di cavie geneticamente deficienti di mielina. Un passo importante compiuto in queste ricerche è stato quello di confermare che cellule del sistema nervoso periferico possono sopravvivere bene quando siano trapiantate nel sistema nervoso centrale. Si sta ora studiando un trattamento concettualmente simile non sugli assoni privi di mielina per motivi genetici ma sugli assoni normali danneggiati da una lesione meccanica.


Tecniche di trapianto di tessuto nervoso fetale (neuroblasti)


Un'altra strada aperta è quella del trapianto di neuroblasti in quelle zone del sistema nervoso centrale danneggiate dalla lesione. Anche in questo caso, come nel precedente, si è dimostrato che cellule fetali trapiantate potevano sopravvivere per lungo tempo nel midollo spinale lesionato degli animali da esperimento. Questi trapianti sembrano poter prevenire o ridurre la formazione di tessuto cicatriziale, che da tempo è ritenuto uno degli impedimenti alla neurorigenerazione. Questi trapianti si stanno eseguendo nelle Università' di Little Rock, Arkansas (sotto la guida del Dr. J. Houle) e Gainesville, e (126, 127) presso l'Università della Florida (sotto la guida del Dr. P. Reier).


All'Università di Washington D.C. (Georgetown University) la dottoressa Barbara S. Bregman è riuscita a promuovere la sopravvivenza di neuroni centrali danneggiati, tramite trapianto di tessuto nervoso fetale (128), sia in ratti appena nati sia in ratti adulti. Si ritiene quindi che la zona dell'innesto di tali cellule si comporti come un ambiente favorevole attraverso il quale i neuroni danneggiati potrebbero "proiettarsi". Oppure potrebbe darsi che lo stesso tessuto fetale crei delle connessioni funzionali come accade nel normale midollo spinale durante il suo sviluppo. Analizzeremo ora più approfonditamente questi aspetti.


E' stato dimostrato che il trapianto di cellule fetali spinali riesce ad impedire che i neuroni muoiano per degenerazione retrograda (129). Inoltre i neuroni così salvati riescono a rigenerare i propri assoni all'interno del tessuto fetale trapiantato, dopo che il midollo spinale è stato leso (130). La plasticità indotta dal trapianto di cellule porta ad un parziale recupero funzionale sia in gatti sia in ratti appena nati (da 131), sebbene rimangano dei deficit funzionali permanenti. Tali esperimenti sono stati condotti anche su animali adulti; una delle principali differenze nella risposta allo stesso trattamento, è stata che gli assoni degli animali adulti ricrescevano di meno in confronto a quelli degli animali in fase di crescita. Ciò è probabilmente dovuto a diversi motivi, tra i quali l'esistenza di molecole inibenti presenti sulle cellule gliali (132), la mancanza di un supporto biochimico trofico ai neuroni danneggiati (133). La lesione cui sono stati sottoposti gli animali per questi esperimenti è una sezione di oltre metà del midollo spinale presso C3, eseguita 72 ore dopo la nascita.


Vedremo ora in quale misura la tecnica del trapianto di cellule fetali di midollo spinale possa stimolare la rigenerazione assonale nel caso di ratti lesionati sia in fase di crescita sia adulti. Questa rigenerazione è stata valutata tramite dei test comportamentali, eseguiti per 6 mesi dopo la lesione. Questi test hanno permesso di giudicare sia il semplice movimento alternato degli arti durante la locomozione sia il più complesso meccanismo del movimento degli arti anteriori diretto a raggiungere un qualche obiettivo particolare. Una doppia valutazione è utile in quanto il meccanismo della deambulazione è in parte intrinseco al midollo spinale (134), mentre l'altro è più strettamente dipendente dalle strutture superiori. Esse agiscono direttamente e indirettamente, tramite il tratto propriospinale, (135) sui motoneuroni degli arti anteriori, posteriori e del tronco, indipendentemente dai central pattern generators spinali.


Per quanto riguarda la locomozione (appoggio sulle zampe anteriori, attivazione del riflesso di locomozione, movimento delle zampe) essa si è rivelata presente in tutti i ratti lesionati, ma negli animali trattati - sia neonati che adulti - era di "qualità" migliore (136).


Per quanto riguarda invece la valutazione dei movimenti deputati al raggiungimento di un preciso scopo, il discorso è un po' più complesso. Bisogna ricordare che tali movimenti sono il risultato di meccanismi di integrazione e di feedback non ancora formati alla nascita. Si è studiato se e come tali meccanismi possano formarsi, in animali appena nati, dopo una lesione midollare cervicale. Il gruppo di animali lesionati non sottoposti a trapianto manifestava dei ritardi nella formazione dei riflessi posturali e dei deficit motori permanenti (137). Il gruppo di animali trapiantati (138) con cellule fetali - di tipo E14 - ha dato invece risultati comportamentali incoraggianti (139). Infatti, essi si appoggiavano agli arti anteriori meglio degli animali dell'altro gruppo, e manifestavano meno ritardi nell'attivazione dei riflessi. Anche messi di fronte a situazioni più complesse (ostacoli posti sul loro cammino) i ratti trapiantati hanno dato risultati migliori di quelli non trattati, i quali avevano perso la capacità di spostare o scavalcare gli ostacoli. Non immediatamente, ma col tempo, i ratti trapiantati hanno invece imparato ad "anticipare" gli ostacoli, adottando un comportamento simile a quelli dei ratti sani, anche se ovviamente non uguale.


Per determinare in quale misura il trapianto influenzi lo sviluppo e il recupero dei movimenti richiedenti un certo grado di coordinazione e controllo, è stato osservato se e come gli animali lesionati potevano provvedere alla pulizia e alla cura del corpo (grooming) e potevano raggiungere degli oggetti o compiere delle azioni specifiche (goal-directed target reaching). Queste osservazioni sono state eseguite durante l'accrescimento e durante l'età adulta.


Uno di questi esperimenti (nell'ambito del grooming) prevedeva che fosse avvicinato al naso dei ratti appena nati un oggetto freddo, adatto a stimolare dei riflessi di allontanamento dell'oggetto: i ratti sani, infatti, imparavano - nella prima settimana di vita - ad allontanare l'oggetto con corretti movimenti di entrambi gli arti anteriori, mentre quelli che avevano subìto la lesione spinale (subito dopo la nascita) tenevano - nelle prime tre settimane - un comportamento "immaturo", tentando semplicemente di sottrarsi allo stimolo, e solo durante la quarta settimana miglioravano parzialmente usando una singola zampa per difendersi dallo stimolo freddo, senza però mai arrivare ad un uso più o meno coordinato dei due arti. Per quanto riguarda infine i ratti sottoposti a lesione e poi a trapianto, essi mantenevano un comportamento "immaturo" per due settimane, ma poi imparavano ad allontanare lo stimolo come i ratti non lesionati. Questa capacità permaneva anche quando i ratti divenivano adulti.


Nei ratti adulti è stata valutata (sempre nell'ambito del grooming) la loro capacità di togliersi un frammento adesivo che era stato loro attaccato sul muso. Mentre i ratti adulti sani sono capaci di afferrarlo con le zampe anteriori e toglierlo, i ratti adulti - lesi alla nascita - sono capaci solo di alzare una delle due zampe (la lesione, si ricordi, non è totale ma interessa oltre la metà del midollo) ma non riescono né ad afferrare né a rimuovere il frammento, e anche la postura del tronco durante tale operazione non è simmetrica, come invece avviene negli animali sani. Il comportamento dei ratti lesi e trapiantati invece si avvicina alquanto a quello dei ratti sani (riescono ad afferrare ed a togliersi il frammento adesivo, e mantengono una posizione simmetrica e stabile del tronco), anche se permangono delle limitazioni nell'accuratezza e nella velocità dell'operazione, che spesso dev'essere ripetuta per andare a buon fine.


Per le interazioni con obiettivi "esterni" al corpo (goal-directed target reaching), i ratti adulti sono stati addestrati a prendere il cibo da varie scansie orizzontali poste a differenti altezze, sistemate oltre una grata con un'apertura. I ratti sani oltrepassano facilmente l'apertura e con entrambe le zampe anteriori prendono il cibo, nella maniera più efficace, e mantengono un equilibrio ottimale del corpo. Queste capacità mancano invece nei ratti lesi: essi riescono ad afferrare solo poco cibo e talvolta perdono l'equilibrio, e finiscono per elaborare delle strategie completamente diverse dagli schemi dei ratti normali. I ratti trapiantati invece si comportano in maniera concettualmente simile a quelli sani, sebbene non raggiungano mai la stessa sicurezza e coordinazione dei movimenti.


La differenza tra i comportamenti dei ratti sani e quelli trapiantati sembrerebbe dovuta, a prima vista, alla morte di un certo numero di motoneuroni della muscolatura degli arti anteriori, morte indotta direttamente dalla lesione. E' noto, infatti, che la lesione spinale neonatale è accomnata da un'estesa morte cellulare causata dall'assenza dei fattori trofici usualmente forniti agli assoni dagli organi-target e/o dalle strutture nervose superiori (140). Nel caso del trapianto, unito ad un supporto neurotrofico esogeno, è possibile, invece, preservare gli assoni dalla morte indotta dalla lesione (141). Le misurazioni effettuate hanno però dimostrato che, nella zona sottolesionale, non c'è una differenza nel numero di neuroni tale da giustificare le differenze comportamentali manifestate. Ciò suggerisce che i ratti appartenenti ai diversi gruppi (solo lesionati o lesionati e trapiantati) possiedano diversi riarrangiamenti neuronali nella zona sopraspinale e propriospinale, e ciò potrebbe giustificare le differenze motorie.


In seguito sono stati portati a termine degli studi di neuroanatomia per valutare anche da un punto di vista istologico gli effetti del trapianto sul midollo spinale (142). Si è visto che solo nei ratti trapiantati si erano create numerose connessioni tra la parte sotto e sopralesionale. Colorazioni anterograde di diversi fasci discendenti (corticospinale, rafe-spinale, corticospinale.) hanno dimostrato che numerosi assoni erano cresciuti dentro la zona del trapianto, attraversandola. Analogamente colorazioni retrograde, tramite fluorogold, di fasci ascendenti hanno rivelato una connessione tra la zona sottolesionale e quella sopralesionale (corteccia e bulbo) nei ratti trapiantati, mentre in quelli solo lesionati non si è notata alcuna rilevante colorazione delle strutture sopralesionali.


Gli animali trapiantati dimostrano di aver conservato un numero di neuroni propriospinali alquanto elevato, come anche una buona attività serotoninergica verso tali neuroni. I ratti non trattati invece manifestano un numero ridotto di neuroni e un'attività serotoninergica limitata (143). In conclusione questo studio ha dimostrato per la prima volta che il trapianto di cellule nervose fetali hanno aumentato la plasticità midollare dopo una lesione spinale neonatale, e con essa le capacità di coordinamento motorio.


Sinergie tra tessuto nervoso fetale trapiantato e fattori neurotrofici esogeni


Una terza via, percorsa anche questa da Bregman (128), è quella di sfruttare la sinergia esistente tra neuroblasti trapiantati e fattori neurotrofici esogeni, per esaltare la crescita degli assoni danneggiati in seguito alla lesione spinale subita da ratti giovani e adulti.


Si è visto che, in tali condizioni, la capacità di neurorigenerazione era presente ma era inversamente proporzionale all'età dell'animale al momento della lesione (144). In effetti, se la lesione viene eseguita dopo la nascita - come descritto nell'esperimento precedente - gli assoni riescono a ricrescere e attraversare la zona del trapianto (145), mentre se gli animali al momento della lesione sono adulti, la ricrescita degli assoni si ferma poco dopo essere penetrata nel sito trapiantato (146). Questo si può spiegare, almeno parzialmente, con il fatto che lo sviluppo degli assoni del sistema nervoso centrale maturo dipende dalla presenza (147) di specifici fattori di crescita provenienti dai loro organi bersaglio, quali in NGF già visto, il brain-derived neurotrophic factor (BNDF) e il ciliary neurotrophic factor (CNTF). Tipi differenti di neuroni abbisognano di fattori di crescita differenti, e anche tra gli esperimenti in vitro e in vivo, non è sempre facile stabilire una corrispondenza. Per esempio il NGF e il BDNF non sono necessari per la sopravvivenza - in vitro - delle cellule delle radici dorsali, ma aumentano - in vivo - la velocità di crescita e la lunghezza dei loro assoni (148).Anche il solo NGF, se somministrato per via intratecale dopo una lesione della parte dorsale del midollo, aumenta la percentuale degli assoni rigenerati presso le radici dorsali, e incrementa la lunghezza attraverso la quale essi si sviluppano (149).


In questo (128) studio sui fattori di crescita è stata seguita questa via: ratti adulti hanno subìto una lesione spinale (emisezione procedendo da destra a sinistra) al livello del midollo toracico; in seguito sono stati sottoposti a trapianto di cellule fetali di midollo spinale (di tipo E14) e a somministrazione - presso il sito di lesione - di: BDNF, NT-3 e NT-4 (neurotrophin-3 e 4) e CNTF. Dopo uno e dopo due mesi si sono effettuate delle valutazioni basate su traccianti neuroanatomici e immunoistochimica per valutare la ricrescita degli assoni lesi attraverso la zona del trapianto. Sia BDNF sia NT-3 (somministrati singolarmente) hanno incrementato il numero di assoni serotoninergici e noradrenergici rigenerati, come anche la loro lunghezza. I neuroni serotoninergici però hanno risposto meglio degli altri a questi trattamenti. La somministrazione di CNTF invece non ha dato effetti su alcuno dei neuroni studiati, confermando che fattori diversi hanno attività diverse, e che lo stesso fattore influenza in modo differente famiglie diverse di neuroni.


Tecniche di rigenerazione cellulare tramite blocco dei fattori inibenti la rigenerazione


Una delle condizioni che possono limitare la capacità rigenerativa del midollo spinale maturo è la presenza di proteine inibenti la neurorigenerazione associate alla mielina (150). La somministrazione di anticorpi diretti contro tali proteine ha come conseguenza un'aumentata ricrescita assonale, sia in vitro (151) che in vivo (152). Dopo che dei ratti adulti avevano subìto una lesione spinale, l'applicazione di questi anticorpi ha portato alla rigenerazione del fascio corticospinale, lungo una distanza notevole oltre il sito di lesione (153). Studi recenti hanno anche dimostrato che l'applicazione di anticorpi di tipo IN-l unita alla somministrazione del fattore di crescita NT-3 aumenta ancora - in confronto al trattamento solo anticorpale - la rigenerazione della via corticospinale danneggiata e lo sprouting (154). B. Bregman, in collaborazione con M. Schwab e L. Schnell, dell'Università di Zurigo, hanno esaminato (128) gli effetti dell'applicazione, su ratti adulti mielolesi, di anticorpi contro gli inibitori della rigenerazione associati alla mielina.


Lo scopo era quello di verificare l'utilità dell'anticorpo IN-l anche su altri tratti discendenti oltre a quello corticospinale, e di valutare quanto eventuali miglioramenti fossero permanenti nel tempo. Si è controllato se i ratti mielolesi che avevano beneficiato di tale trattamento presentassero in pratica dei miglioramenti (155).

Dei ratti adulti (circa 7 settimane di vita) di tipo Lewis sono stati sottoposti ad una sezione di oltre metà del midollo, (156). Subito dopo la lesione, nella corteccia parietale (152) sono state trapiantate delle cellule di ibridoma secernenti l'anticorpo IN-l o secernenti anticorpi contro l'HRP (horseradish peroxidase), questi ultimi per i ratti che fungevano da controllo. Altri ratti-controllo hanno subìto solo la lesione, senza alcun altro intervento, altri nemmeno quella. Sugli animali trapiantatati, in conseguenza di un trattamento immunosoppressivo specifico a base di ciclosporina A, sono si dei tumori a lento sviluppo, secernenti gli anticorpi di cui sopra. Gli anticorpi hanno raggiunto il sito di lesione tramite il flusso del liquido cefalorachidiano. La somministrazione di ciclosporina A è stata sospesa dopo due settimane, e in conseguenza di ciò i tumori sono stati riassorbiti.


Dopo circa 5 settimane sono state valutate le capacità motorie e i riflessi, mentre tre settimane dopo si è iniziata la valutazione dello stato degli assoni cortico-spinali tramite colorazione retrograda (157), mentre le vie serotoninergiche e noradrenergiche sono state valutate tramite procedimenti di immunocitochimica (158).


Il trattamento con anticorpo IN-l ha portato alla rigenerazione degli assoni cortico-spinali intorno al sito di lesione e sotto di esso, come era già stato verificato in altri studi (152). Gli assoni rigenerati hanno resistito sotto il sito di lesione per almeno 12 settimane (tanto è durato il monitoraggio). Risultati molto incoraggianti sono stati raggiunti, negli animali trattati con IN-l, anche per quanto riguarda la rigenerazione di assoni serotoninergici (fascio rafe-spinale) e noradrenergici (fascio ceruleo-spinale), mentre dopo la lesione tali neuroni erano apparsi piuttosto depauperati sia nei ratti che avevano ricevuto gli anticorpi contro l'HRP sia in quelli che non avevano ricevuto alcun trattamento (159).


Inoltre si è studiato se e in quale misura la ricrescita assonale sia ricollegabile ad un miglioramento della funzionalità motoria e sensitiva. In particolare si è preso in considerazione (160) il riflesso di contatto della zampa con un oggetto: in seguito ad un leggero contatto della zampa con un oggetto l'animale tende a sollevarla e cerca di appoggiarla contro qualcosa che offra una maggiore resistenza. La scelta è caduta su questo riflesso in quanto è noto che esso è presente solo negli animali con il tratto corticospinale intatto. Nei ratti mielolesi adulti, questo riflesso è completamente assente (161), mentre in quelli lesi alla nascita si riescono a formare dei circuiti alternativi (162). Solo nel gruppo di ratti lesi e trattati con IN-l l'ottanta percento dei ratti hanno recuperato questo riflesso, sebbene non in misura uguale a quello dei ratti sani (non sempre allo sfioramento della zampa seguiva la retrazione dell'arto). Per avere un'altra conferma che tale comportamento fosse dovuto alla rigenerazione della via corticospinale, essa fu artificialmente interrotta, ed in effetti i ratti dopo tale operazione non manifestavano più il riflesso in questione.


I ratti sono stati sottoposti anche ad altri test locomotori (163): la lesione spinale nei ratti adulti provoca dei deficit permanenti, quali un accorciamento della lunghezza del passo (delle zampe sinistre o destre, secondo il tipo di emisezione): questo deficit è sso nel gruppo di animali trattati con cellule secernenti IN-l. Da successive prove crociate pare verosimile che questo recupero non sia legato al controllo corticale, ma probabilmente al riarrangiamento dei circuiti nervosi di bulbo, ponte e midollo stesso. Ad ogni modo nei ratti trattati con IN-l sono rimaste numerose limitazioni, evidenziabili per esempio con prove di locomozione su griglie. Questi dati sono in accordo con altri studi portati a termine su animali (164) e su esseri umani (165).


Secondo l'opinione del dr. Wise Young, (166) è possibile che - entro il 2001 - inizi la sperimentazione sugli esseri umani di trattamenti a base di IN-l. In caso questa ipotesi si avverasse e portasse a risultati accettabili, questo sarebbe il secondo farmaco, dopo il metilprednisolone, ad essere usato sull'uomo in caso di lesione spinale (167).





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