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CLASSIFICAZIONE DELLE NORME GIURIDICHE PRIVATISTICHE

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CLASSIFICAZIONE DELLE NORME GIURIDICHE PRIVATISTICHE


Criteri di classificazione. La classificazione secondo la fattispecie

Le norme giuridiche vengono solitamente distinte in  base a taluni criteri e distribuite in un quadro, piuttosto ricco, di categorie e di gruppi minori.

A questi disegni sistematici, possono rivolgersi due rilievi:

1) che non sempre viene rispettata la coerenza tra definizione e classificazione della norma giuridica (per cui singole categorie o specie risultano incompatibili con la definizione adottata

2) che talvolta i criteri di classificazione sono, insieme, tecnici, politici, sociologici, e mancano quindi di necessaria omogeneità. Si assiste, in particolare, all'alternarsi e confondersi di criteri materiali, riguardanti il sostrato economico e la genesi storico-politica della norma, con criteri formali, che invece ne prendono in considerazione la semplice struttura logica.



La classificazione delle norme non può che obbedire a tre criteri: l'uno relativo all'ipotesi di fatto; l'altro, all'effetto giuridico; l'ultimo, infine, alla correlazione tra ipotesi di fatto ed effetto giuridico.

Questi momenti costitutivi della norma; questi, dunque, i criteri di distinzione e di collocazione delle norme nelle varie categorie.

La classificazione delle norme secondo la fattispecie si risolve integralmente nella teoria dei fatti giuridici, che studia i contegni umani, gli eventi naturali, gli stati di cose assunti nell'ipotesi normativa. La distinzione tra:

-a) norme generali e norme singolari. Le prime prevedono, come autore dell'atto completato in ipotesi, una classe di soggetti (solitamente indicati dal <<chiunque>> o da formule simili: <<se due o più parti>>ecc.): classe, in cui rientra un numero indeterminato di membri. Le altre indicano, come autore dell'atto completato in ipotesi, un soggetto determinato: Tizio, Caio, Sempronio ecc.;

-b) norme astratte e norme concrete, a seconda che il legislatore preveda, come ipotesi, una classe di fatti o un fatto determinato: il tipo della vendita o la vendita di questa cosa. Sono naturalmente conurabili tra i due binomi, che danno luogo a norme generali - astratte, norme generali - concrete, norme singolari - astratte, e norme singolari - concrete.

In applicazione del criterio della fattispecie, è stato proposto di distinguere tra norme rigide e norme elastiche: nelle une, la fattispecie è completamente determinata dal legislatore; nelle altre, la precisa valutazione del fatto è rimessa al prudente apprezzamento del giudice.

In tali ipotesi, la fattispecie, a cui si ricollegano gli effetti giuridici, sarebbe costituita anche dalla circostanze, ossia da elementi generici valutati di volta in volta dall'organo giudiziario.

Ciascuna delle norme recate ad esempio descrive una fattispecie complessa, risultante dalla combinazione di un fatto positivo e di un fatto negativo.

Verificatesi tali fattispecie, e adito il giudice, sorge a carico di quest'ultimo l'obbligo di decidere secondo le circostanze, che perciò sono, non elementi del fatto, ma canoni di valutazione e di soluzione della lite.


La classificazione secondo l'effetto giuridico.

Classificando le norme privatistiche secondo il criterio dell'effetto giuridico, possiamo enunciare la distinzione tra:

a) norme positive e norme negative. Se il comportamento dovuto consiste in un'azione, abbiamo una norma positiva; negativa, se il comportamento dovuto consiste in un'omissione;

b) norme generali e norme singolari: le une, quando il legislatore prevede, come autore del comportamento dovuto, una classe di soggetti (venditori, locatore, appaltante ecc.); le altre, quando il legislatore prevede, come autore del comportamento dovuto, un soggetto determinato;

c) norme astratte e norme concrete, se ci troviamo di fronte a norme che prescrivono classi di comportamenti (il consegnare la cosa venduta ecc.), od a norme, che invece rendono doveroso un comportamento determinato. Le norme astratte e le norme concrete possono essere, a loro volta, generali o singolari.

Sempre con riguardo alla disciplina dettata, si incontrano nei testi le categorie delle norme di comportamento e delle norme di organizzazione. Si tratta di una classificazione condotta secondo un criterio teleologico: se esse mirino a comporre un conflitto di interessi tra consociati, o ad organizzare una funzione utile alla vita del corpo sociale. Fondate sul criterio della sanzione sono le distinzioni tra norme primarie e norme secondarie, e tra norme perfette e norme imperfette.


Norme cogenti e norme relative

Non è agevole definire il criterio della distinzione, tra norme cogenti e norme relative.

Si insegna che le norme cogenti si impongono in modo assoluto ed in ogni caso, e non sono derogabili dalla volontà della parti. Le norme relative vengono distinte ulteriormente in norme dispositive o cedevoli, che entrano in applicazione soltanto nell'ipotesi in cui manchi una disciplina delle parti; e norme suppletive, che provvedono a colmare le lacune lasciate dalle parti nella disciplina da loro stesse dettata.

La norma dispositiva viene conurata come norma giuridica, la cui applicazione è subordinata all'assenza di una disciplina delle parti: ossia come norma, che contempla nell'ipotesi anche il fatto (negativo) dell'assenza dell'accordo. Si deve precisare che al concetto di norma dispositiva corrispondono, in verità, due norme: la norma, che ricollega effetti giuridici all'accordo delle parti, e la norma che ricollega effetti giuridici ad una fattispecie complessa, risultante dalla combinazione di un fatto costitutivo del rapporto e del fatto negativo << assenza dell'accordo delle parti sulla disciplina del rapporto >>.

Se siamo nel vero, cade la differenza tra norme dispositive e norme suppletive, fondata sulla mancanza o sulla lacunosità dell'accordo delle parti. Nell'uno e nell'altro tipo occorre sempre un fatto che identifichi la disciplina applicabile, sia esso un accordo delle parti o una situazione.

Norme dispositive, o cedevoli, e norme suppletive non si distinguono in base ad una particolare efficacia, per cui la volontà dei privati sia autorizzata a prevalere su di esse, ma in base alla composizione della fattispecie, che prevede, tra gli  altri elementi, il fatto negativo della mancanza o dell'insufficienza dell'accordo delle parti. Più precisamente, la fattispecie della norma dispositiva risulta dalla combinazione di almeno due fatti: il fatto costitutivo del rapporto disciplinato, ed il fatto negativo dell'assenza di un accordo delle parti; mentre la fattispecie della norma suppletiva risulta dalla combinazione di almeno tre fatti: il fatto costitutivo del rapporto disciplinato, accordo delle parti (che può coincidere con il fatto costitutivo), ed il fatto negativo dell'insufficienza dell'accordo, ossia dell'assenza dell'accordo su taluni punti della disciplina.

La bipartizione di norme cogenti e di norme relative appartiene, quindi, ai gruppi ordinati secondo il criterio della fattispecie.


La classificazione secondo la correlazione tra fattispecie ed effetto giuridico.

L'attenzione della dottrina si è da tempo rivolta ad un gruppo di norme, che, pur presentando affinità con le norme relative, sembrano suscitare particolari problemi di classificazione: l'art. 1339 cod. civ.; l'art. 1932, 2° comma, cod. civ.; l'art. 1340 cod. civ.; l'art. 1374 cod. civ.; e, infine, l'art. 1375 cod. civ..

Ci limitiamo a riferire i termini elementari del problema: se tali norme (o alcune di esse) integrino il contenuto del contratto o se provvedano soltanto a determinare gli effetti giuridici.

La risposta deve inquadrarsi, in una rigorosa concezione della norma giuridica, immune da oscillazioni e da deviamenti.

Ora , se procediamo all'analisi delle norme prima elencate, ci sembra possibile distinguerle in due gruppi omogenei: il primo comprende gli artt. 1932, 2° comma. e 1340 cod. civ.; il secondo, gli art. 1374, 1375, 1339 cod. civ..

Le norme del primo gruppo hanno carattere suppletivo. L'art. 1340 cod. civ. contempla, tra gli elementi della fattispecie, il fatto (negativo) dell'assenza di un accordo delle parti, volto ad escludere l'applicabilità delle clausole d'uso. A questa fattispecie la norma ricollega effetti giuridici, determinati per rinvio alle clausole abitualmente praticate dalle parti.

La singolarità della norma - che, tuttavia, non ne pregiudica la funzione - è data da ciò: che, mentre nel tipo più comune di norma suppletiva, la fattispecie prevede l'assenza di una disciplina privata intorno a taluni punti del rapporto, nell'art. 1340 cod. civ. essa prevede l'assenza di una disciplina negativa, cioè di una decisione diretta ad escludere l'applicabilità delle clausole d'uso.

Il 2° comma dell'art. 1932 cod. civ. riproduce in altra forma il contenuto del 1° comma: <<Le disposizioni degli articoli . non possono essere derogate se non in senso più favorevole dell'assicurato>>. La fattispecie, descritta nel 1° comma, contempla il fatto (negativo) dell'assenza di clausole più favorevoli all'assicurato.

La singolarità della norma risiede nella descrizione del fatto negativo, che viene conurato attraverso un raffronto con il contenuto della disciplina legislativa (donde, appunto, le qualifiche di clausole <<più favorevoli>> e <<meno favorevoli>>.

L'art. 1374 cod. civ., da cui muove l'analisi del secondo gruppo di norme  (artt. 1339,1374, e 1375 cod. civ.), contiene, in verità, due norme: l'una stabilisce che il contratto obbliga le parti a quanto è nel medesimo espresso (cfr. art. 1372, 1° cod. civ.); l'altra, che il contratto obbliga le parti <<anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge, o in mancanza, secondo gli usi e l'equità>>. Nella prima norma espressione un principio generale del nostro diritto privato: cioè, il principio di corrispondenza tra contenuto dell'atto, posto in essere dalle parti,e contenuto degli effetti giuridici. Questi sono determinati mediante rinvio al contenuto della decisione privata.

Nell'altra norma, il contratto è assunto come fattispecie, a cui ricollegano effetti ulteriori, non scelti né decisi dalla volontà delle parti.

Il tenore dell'art. 1374 cod. civ. fornisce la prova più sicura dell'opinione seguita. Il contratto è, come soggetto (grammaticale e logico) del periodo, separato e contrapposto a due ordini de fenomeni: gli obblighi di compiere quanto è in esso espresso, e le conseguenze stabilite dalla legge o dagli usi e dall'equità.

Al medesimo tipo logico si riconduce l'art. 1375 cod. civ. che annette alla fattispecie una serie aperta di obblighi, determinati mediante rinvio alla buona fede. La norma è destinata ad operare in ogni specie di contratto, dato che dal contratto derivano soltanto obblighi di comportamento (l'esecuzione è perciò, non del contratto, ma della prestazione dovuta).

In nulla gli articoli, ora presi in esame, si discostano dallo schema generale della norma giuridica, se non per lo specifico nesso tra contenuto della fattispecie e contenuto degli effetti.

Questi vengono determinati per relationem allo stesso fatto, che la norma prevede e descrive nel momento ipotetico.

Se A, allora B; ma B è costruito secondo la decisione contenuta in A.

Il contratto (al pari della ura del negozio giuridico, elaborata dalla dottrina) non presenta alcuna intrinseca caratteristica, né alcuna peculiare energia, che lo isoli nell'ambito della fattispecie. La singolarità non è nel contratto, ma nella norma, che adotta il principio di corrispondenza sopra indicato, e così rinvia al contenuto del fatto per determinare il contenuto degli effetti.


Norme regolari e norme eccezionali

L'art. 14 delle << disposizioni sulla legge generale >> ( << Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o  ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in essi considerati >> ) pone la distinzione tra la categoria delle norme regolari, suscettibili di applicazione analogica, e la categoria delle norme eccezionali, che invece ne sono escluse.

Questa distinzione non riposa su un elemento strutturale della norma giuridica, ma sul rapporto che intercede tra una norma e le altre norme del sistema.

Il compito di definire le norme eccezionali si risolve nel decidere a che cosa esse segnino eccezione. L'art. 14 cit. indica l'oggetto dell'eccezione nelle << regole generali >> e nelle << altre leggi >>: cioè, nei principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato (cfr. art. 12, 2° comma, disp. sulla legge in gen.), e nelle leggi che disciplinano organicamente date materie.

Le << regole generali >> dell'art. 14 cit. consistono in un nucleo di principi, ossia di scelte ideologiche che dettano al legislatore le soluzioni dei singoli conflitti di interessi, e tengono insieme le norme come parti di un sistema. È vecchia disputa se tali principi siano ricavati dall'insieme delle norme mediante successive generalizzazioni; o se invece le norme derivino da essi per graduale specificazione.


La conclusione va temperata con un duplice rilievo:

a) che i principi sono storicamente relativi, e mutevoli anche in un breve giro di anni. Basta modificare al disciplina di un singolo istituto (si pensi al matrimonio od al contratto di lavoro) perché un principio generale sia sostituito da un altro;

b)    che la norma è eccezionale, e in suscettibile di applicazione analogica, non già per intrinseco carattere, ma in base all'art. 14 cit. Anche la norma eccezionale rinvia ad un criterio o principio ispiratore che potrebbe dettare la soluzione di casi simili; ma l'art. 14 impedisce tale applicazione, e quindi - escluso il passaggio intermedio dell'analogia legis - impone di risalire ai principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato (art. 12, 2° comma, cit.). Proprio questo spiega come il principio della norma eccezionale possa espandersi nel sistema, e improntare di sé la disciplina di uno o di più istituti: come, cioè, l'eccezione possa elevarsi a regola, e la regola degradare ad eccezione.

Accanto alle << regole generali >> l'art. 14 cit. menziona le << altre leggi >>, in cui vedremo la disciplina organica di date materie. Si tratta di norme, e non di principi; ma di norme, che disciplinano un settore pur limitato ed esiguo, della vita sociale. Esse non sono in grado di esprimere un principio generale dell'ordinamento; tuttavia costituiscono un corpo omogeneo ed unitario, rispetto al quale sono concepibili deviazioni ed eccezioni.









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