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ENTI PUBBLICI ECONOMICI

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ENTI PUBBLICI ECONOMICI

Enti di diritto pubblico hanno come loro compito istituzionale principale (e non in via accessoria) l'esercizio di un'attività d'impresa.

La maggior parte di questi enti è venuta a diminuire dal 1990 in poi perché è iniziato un processo di privatizzazione per cui c'è stata o la trasformazione in società private, in S.p.A., e questa è la privatizzazione in senso formale.

Oppure c'è stata una privatizzazione sostanziale dove cioè lo Stato ha dismesso le partecipazioni di controllo a favore dell'impresa privata.

Comunque, la differenza è che per questi enti l'attività d'impresa non è svolta in

via principale, ma è sempre svolta in via accessoria.

Altro è il caso in cui lo stato o l'ente pubblico utilizzi lo strumento societario come



qualunque altro soggetto, cioè costituendo una società o acquistando delle quote e la

partecipazione pubblica può essere

R di maggioranza

R di controllo

R di minoranza

Per questo terzo profilo l'impresa pubblica non si distingue sotto nessun profilo

dall'impresa privata e segue totalmente le regole dell'impresa privata.

Lo stato utilizza lo strumento societario privato.

Quindi, non c'è distinzione.

La distinzione è tra

R imprese organo

R enti pubblici economici

Vediamo cosa dice il Codice. L'art.2093 reca la scritta «Enti inquadrati ed enti non inquadrati nelle associazioni professionali» per distinguere gli enti pubblici economici da una parte e le imprese organo dall'altra. Questo perché nel 1942 vigeva il regime fascista che imponeva questa dicitura. Oggi usiamo la dicitura di «Enti pubblici economici» che svolgono attività d'impresa in via principale ed «Imprese organo» che svolgono attività d'impresa in via secondaria.

Gli enti pubblici economici sono sottoposti, se svolgono attività commerciale, allo statuto dell'imprenditore commerciale. La legge dice che tali enti (2201) sono soggetti all'iscrizione nel registro delle imprese. Unica eccezione (art.2221 C.c. e art.1 legge fallimentare) è che non sono soggetti né al fallimento né alle altre procedure concorsuali. Al loro posto si avranno

R liquidazione coatta

R liquidazione prevista da singole leggi speciali

E' meno agevole individuare le discipline da applicare agli altri tipi d'impresa, cioè le imprese organo, quando l'attività d'impresa non è l'oggetto principale ma è quello secondario. L'art.2093 dice che nei confronti di questi enti si applicano le disposizioni sull'impresa limitatamente alle imprese da esse esercitate.

Però, il terzo comma dice che sono salve le diverse disposizioni di legge ad esse eventualmente applicabili.

Allora se gli enti pubblici economici sono soggetti ad iscrizione, implicitamente vuol dire che coloro che non svolgono attività d'impresa in via principale non sono soggetti all'iscrizione, in quanto quest'ultima è prevista solo per gli enti che hanno come oggetto esclusivo e principale un'attività commerciale.

Art.2221 dice che sono anche esonerati dal fallimento.

Da qui si apre un discorso interpretativo secondo 2 direzioni.

Il Cottino dice che nel momento in cui queste imprese non sono soggette ad iscrizione, vuol dire che questi sono considerati imprenditori ma non imprenditori commerciali.

Posizione avallata da una parte della dottrina.

Un'altra parte sostiene che tali imprese dovrebbero essere esposte alla tenuta delle scritture contabili, tanto il legislatore non dice nulla se non dire che sono soggetti alla disciplina dell'impresa con l'esonero implicito dell'iscrizione ed espresso della disciplina del fallimento. Quindi si ritiene che sia applicabile una piccola parte dello statuto dell'impresa commerciale e cioè quella della tenuta delle scritture contabili. Anche perché non c'è disposizione di legge contraria.


Per quanto riguarda le associazioni e le fondazioni, si tratta di enti che nascono con fini altruistici e benefici. Però, non è detto che non possano svolgere attività commerciale. Posto che tale attività è sempre strumentale rispetto alle finalità altruistiche degli enti, si fa la stessa distinzione tra

R enti pubblici economici    = attività commerciale in via principale

R enti pubblici non economici = attività commerciale in via accessoria

Un'associazione che ha come scopo un fine altruistico può avere come oggetto un'attività commerciale in via esclusiva.

Es. associazione sportiva che vende biglietti per far partecipare più gente ai fenomeni sportivi. Quindi diventa un'attività commerciale in via principale.

Oppure un sindacato che pubblica dei periodici.

In questi casi, si svolge attività commerciale, con tutte le conseguenze che ne derivano tra cui l'assoggettamento al fallimento.

Più frequente è che l'attività commerciale sia svolta a latere.

Es. istituto di suore che apre un asilo.

In questo caso sorge di nuovo il dibattito, ma con la differenza che le associazioni che svolgono attività commerciale in via accessoria sono la maggior parte.

Le tesi sono 2. Posto che per i primi la parificazione all'impresa commerciale è totale, il problema sorge per le associazioni che svolgono attività commerciale in via accessoria.

Qualcuno ha proposto di fare applicazione analogica delle norme 2221 e 2201, cioè parificare queste associazioni agli enti pubblici non economici. L'opinione è che tali soggetti non diventassero imprenditori commerciali, ma solo imprenditori.

Il Cottino quando distingue tra enti pubblici economici e non economici, dove i primi sono soggetti allo statuto dell'imprenditore commerciale e i secondi solo allo statuto generale dell'imprenditore, fa tale distinzione solo per gli enti pubblici. Per le associazioni e le fondazioni che svolgono attività commerciale in via accessoria non fa tale distinzione, cioè non si può fare applicazione analogica in quanto le norme per gli enti pubblici hanno carattere eccezionale.

Una norma eccezionale serve per regolare un caso specifico non è suscettibile di applicazione analogica, perché applicazione analogica vuol dire che in base allo stesso ragionamento applico al caso non regolato la disciplina del caso regolato: Il Cottino e la maggior parte della dottrina ritiene che le norme riferite agli enti pubblici non possono essere trasferite nel campo dell'attività commerciale esercitata in via secondaria anche dall'associazione. Da qui il passo è breve nel dire che non ci sono più differenze tra l'associazione che svolge in via principale l'attività commerciale e quindi non attribuire pienezza di effetti di attività anche a coloro che la svolgono in via secondaria.

Invece, tutta la giurisprudenza tende a non far fallire tutte le associazioni che svolgono attività commerciale in via secondaria.

La disciplina degli enti pubblici l'ha chiarita il legislatore. L'unico problema è per le imprese organo cioè imprese che svolgono attività commerciale in via accessoria. In tal caso la legge dice che non è applicabile l'iscrizione nel registro delle imprese. Da ciò ne consegue, secondo Cottino, che non è applicabile anche la rimanente disciplina dell'impresa commerciale. Questa distinzione fatta per gli enti pubblici, qualcuno ha cercato di riprodurla tale e quale per le associazioni e fondazioni, facendo la distinzione tra quelle che svolgono l'attività commerciale in via principale e quelle che la svolgono in via accessoria. Si è arrivati a sostenere che il 2° tipo di associazioni non sono imprenditori commerciali, ma solo imprenditori.

Il Cottino che ha adottato questa tesi per gli enti pubblici, non la applica alle associazioni e fondazioni, perché dice che le norme che s'invocano per fare questo passo sono norme eccezionali e come tali non sono suscettibili d'applicazione analogica.

Al di là di questo, la giurisprudenza sostiene che le norme dettate sull'imprenditore commerciale non possano essere applicate ad associazioni e fondazioni che svolgano attività commerciale in via accessoria.

Questi passaggi sulle imprese pubbliche sono importanti perché il legislatore quando ha dato la definizione d'impresa, comprendeva anche quella pubblica, la quale ha regole in parte differenti da quelle private.

Imprese private ed alcune imprese pubbliche sono soggette a fallimento se insolventi.

Cosa vuol dire insolvente in senso fallimentare? L'imprenditore commerciale non riesce a far fronte a tempo debito e con mezzi normali al amento dei propri creditori. A questo punto un creditore chiede un'istanza di fallimento. Questa è la conseguenza a cui si va incontro quando non si a a tempo debito e con mezzi normali. Infatti, si può are in ritardo e con mezzi anormali che denotano già che l'impresa è in uno stato prezzi fallimentare.





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