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I fatti illeciti e la responsabilità internazionale



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I fatti illeciti e la responsabilità internazionale.



Nozione di fatto illecito internazionale. L'elemento oggettivo.

Nel diritto internazionale fatto illecito è ogni comportamento o manifestazione di volontà di un ente, che costituisca violazione di un obbligo derivante da una norma giuridica internazionale. Si tratta inoltre di un fatto soggettivo, cioè di un fatto concretamente posto in essere da individui (o gruppi di individui) organi di un soggetto di diritto internazionale che norme internazionali imputano direttamente o indirettamente a tale soggetto.

Perché si possa parlare di fatto illecito, occorrono un elemento oggettivo (quando il comportamento di un soggetto sia difforme da quello prescritto da una norma ed in contrasto con questa), ed un elemento soggettivo (se il comportamento è posto in essere da un ente, al quale una data norma impone un determinato comportamento). Quando si accerti la presenza di questi due elementi, entra in azione una data norma diretta a qualificare il fatto come illecito e il soggetto "colpevole" sarà destinatario di una serie di conseguenze giuridiche connesse alla commissione di un illecito internazionale, il cui insieme conura la responsabilità internazionale.



Va comunque precisato che affinché si conuri un fatto illecito internazionale occorra che vi sia una vera e opropria violazione di una norma posta a divieto di un dato comportamento e, a differenza di quanto avviene nel diritto interno, un comportamento  meramente emulativo non può essere considerato illecito. ( come ad esempio il passaggio delle navi ).

Un fatto illecito internazionale può essere commissivo se l'obbligo impone un non fare o omissivo, se l'obbligo violato consiste in un fare e quindi si concretizza in una omissione.

Costituisce illecito omissivo anche il mancato adeguamento ad obblighi comuni da parte degli stati aderenti.(oltraggio a Kennedy in occasione della visita per le contestazioni subite ed omissione da parte dello Stato italiano ad assumere adeguate misure di controllo e di sicurezza).

Un'ulteriore distinzione si pone tra fatti illeciti di condotta e fatti di risultato.

I primi si verificano quando la norma impone ad uno Stato di conformarsi ad un certo comportamento, ad esempio ad una risoluzione dell'ONU, mentre i secondi, invece, si riscontrano quando lo Stato è libero nella scelta dei mezzi per perseguire un determinato risultato che gli viene richiesto e tuttavia non realizza tale risultato. Il cosiddetto fatto illecito di evento è quello che si realizza nel caso di violazione di una norma diretta ad evitare il verificarsi di un evento.( violazione della persona del Capo dello Stato, occupazione di una sede diplomatica etc.).

Data l'importanza della materia riguardante i fatti illeciti, le N.U. conscie di questo rilievo, hanno posto particolare attenzione all'argomento affidando ad una commissione di diritto internazionale già a partire dal 1953 il compito di codificare la materia, ma, purtroppo, nonostante anche l'autorevole contributo fornito dal Prof. Roberto Ago, non si è ancora pervenuti ad un risultato completo, ma è stato solo redatto un progetto di articoli sulla responsabilità e pertanto, anche secondo tale progetto l'illeicità del fatto si fonda su due elementi costitutivi : un elemento soggettivo che consiste nella possibilità di attribuire un dato comportamento ad uno stato, ed un elemento oggettivo derivante dall'antigiuridicità del comportamento stesso.

Una posizione a parte, rispetto ai fatti illeciti internazionali, la occupano i crimini internazionali, quali la pirateria marittima ed aerea, alcuni atti di terrorismo, nonché i crimini indicati nel processo di Norimberga, crimini contro la pace, crimini contro l'umanità e genocidio, nonché lo stupro realizzato in guerra (caso della Bosnia) secondo la decisione del 1996 del Tribunale dell'Aia per i crimini nella ex Jugoslavia.


L'elemento soggettivo.

Allo scopo di precisare gli elementi costitutivi dell'illecito, occorre aggiungere che viene qualificata come illecita sia la condotta di un Ente posta in essere da un individuo dotato della qualità organica e della competenza, ma anche quella posta in essere da un organo che superi i limiti della competenza o di un individuo privo della qualità organica.

Per quanto riguarda il caso degli organi che  abbiano agito superando i limiti di competenza loro attribuita, il cosiddetto eccesso di potere o sviamento di potere, è stato diversamente classificato: parte della dottrina ritiene di dover imputare tale attività allo stato per conto del quale l'organo agisce; un'altra parte ritiene di equiparare l'attività di tali organi a quella dei privati, mentre un'altra parte ancora della dottrina afferma l'esistenza della responsabilità ove apparentemente un individuo risulti essere organo.

Non costituisce illecito internazionale, a causa della mancanza dell'elemento soggettivo, la condotta di un individuo che comunque non abbia una qualità organica. Lo Stato è ritenuto responsabile solo nel caso in cui esso sia tenuto sul piano internazionale ad assumere misure preventive o repressive in correlazione ad una determinata situazione: misure finalizzate ad impedire il verificarsi di comportamenti individuali illegali sul piano interno.

Quanto ad attività di movimenti insurrezionali, il Progetto prevede che i danni a persone e cose causate dal movimento nel corso di una insurrezione non possono essere imputati allo Stato, il quale può avvalersi del principio di forza maggiore. Ove, invece, il movimento riesca a affermarsi e prenda il potere, esso sarà responsabile per le azioni sue e del governo precedente, se queste non ricadano nella categoria delle azioni per le quali vigono le disposizioni sui conflitti armati o in materia di diritto umanitario. Sempre con riferimento all'elemento soggettivo dell'illecito, tale elemento sussiste se:

uno Stato offre assistenza ad un altro nella realizzazione di un fatto illecito, si riconosce la responsabilità del primo Stato (sempre che sia effettivamente dimostrabile un rapporto di connessione tra l'attività svolta dai due Stati).



ed ancora, nel caso in cui uno Stato eserciti un potere di direzione o di controllo o una vera forma di coazione come potrebbe essere il caso di protettorato, di amministrazione fiduciaria dei territori, di occupazione bellica, molti autori (Morelli) fanno riferimento alla cosiddetta responsabilità indiretta.

Il Progetto invece non fa riferimento alla responsabilità indiretta, ma al concorso di responsabilità sia da parte dello Stato autore materiale dell'illecito sia da parte dell'altro Stato che gode di poteri di controllo o di ingerenza sul primo o chi risulta controllato.


La responsabilità e la colpa.


La responsabilità si conura come l'insieme delle conseguenze scaturenti dal fatto illecito e viene normalmente fatta discendere dall'esistenza di una norma consuetudinaria la quale ricollega le conseguenze in cui la responsabilità si concretizza, al verificarsi dell'illecito.

La responsabilità internazionale può riscontrarsi anche nei casi in cui uno Stato compia attività non vietate dal diritto internazionale, ma che, comunque, possano recare danni a terzi.

Queste attività normalmente rientrano nella categoria delle c.d. attività pericolose, le quali sono lecite perché sono in genere finalizzate non ad abusare di un proprio diritto, ma al progresso economico e scientifico dello Stato e dell'intera umanità; esse tuttavia possono arrecare danni a terzi per essere lesive della sicurezza delle persone e dell'integrità dell'ambiente. La liceità del comportamento dello Stato non esclude che questo sia responsabile nel caso in cui non adotti tutte le cautele necessarie a non arrecare danni ad altri Stati.

Allo scopo di prevedere forme di riparazione in caso di attività pericolose, sono state concluse alcune convenzioni (ad esempio per danni nucleari o per attività spaziale) nelle quali si conura la responsabilità dello stato colpevole del danno arrecato a terzi.

Si è discusso a lungo nel diritto internazionale sulla necessità o meno, ai fini del sorgere della responsabilità, della presenza di un ulteriore elemento nel fatto illecito, rappresentato dalla colpa. Va chiarito che  nel diritto internazionale la colpa, intesa come negligenza, o mancanza di diligenza, che avrebbe evitato il danno qualora fosse stata adoperata, è equivalente al dolo, ossia al comportamento nocivo volontario, diretto a causare un reato.

Alcuni autori fanno dipendere il sorgere della responsabilità da un nesso stretto di causalità tra l'evento stesso e il comportamento dello Stato e la mancanza di tale connessione solleverebbe lo Stato da ogni responsabilità. Non vi è dubbio che vi è responsabilità in tutti i casi in cui si riscontri una colpa, imputabile all'organo dello stato e quindi allo stato stesso e tuttavia è estremamente limitante, affermare, come afferma una parte della dottrina che la colpa è l'elemento del fatto illecito senza il quale non sorgerebbe responsabilità.

Un esame della struttura organizzativa degli Stati induce ad affermare che non si può svolgere alcuna attività internazionale che non implichi l'intervento di almeno uno dei suoi organi che potrebbe aver agito con colpa, con la conseguenza di dover imputare il fatto allo Stato (elemento soggettivo). La responsabilità dello Stato, quindi, sussiste indipendentemente dall'esistenza di una colpa, sempre che lo Stato stesso non riesca a dimostrare che il fatto illecito internazionale si è verificato per ragioni ad esso estranee.


Circostanze escludenti l'illiceità del fatto.

Vi sono alcune circostanze, nel D.I., che privano il fatto del carattere di illecito ed escludono la responsabilità che, come si è visto, può anche conurarsi in assenza di fatto illecito.

Se uno Stato, ad esempio, non vuole adempiere ad un obbligo discendente da un trattato ed ha il consenso della controparte, il comportamento non sarà considerato illecito; uno stato che occupa il territorio di un altro stato con il consenso di quest'ultimo non commette fatto illecito perché non viola nessuna norma.

Altre circostanze che escludono l'illiceità del fatto sono:

1) la sanzione, nelle varie forme, spesso realizzata attraverso l'uso della forza;

2)l'autotutela, il cui principio comporta che ciascuno prevenga il proprio danno o un attacco ingiusto o, ancora, possa farsi giustizia da sé.



3) la legittima difesa.

La creazione dello Stato moderno, e con essa la centralizzazione del diritto, comporta che il potere di autotutela dei singoli di prevenire e reprimere il danno sia attribuito allo Stato, il quale tutela i propri cittadini centralizzando l'uso della forza.

Il diritto bellico è stato oggetto di trattati internazionali a partire dallo scorso secolo con la convenzione dell'Aia del 1899 e del 1907 sulla guerra terrestre, nonché in questo secolo con le convenzioni del 1949 di Ginevra sul miglioramento delle condizioni dei feriti e dei malati delle forze armate nella guerra terrestre, dei feriti, dei malati e dei naufraghi delle forze armate nella guerra marittima, sul trattamento dei prigionieri di guerra, sulla protezione dei civili. Alle su ricordate Convenzioni sono stati aggiunti i Protocolli addizionali firmati nel 1977. Queste convenzioni e i relativi protocolli , insieme alla convenzione di Ginevra sulla Croce Rossa, costituiscono il diritto internazionale umanitario.

Il passaggio dalla autotutela alla legittima difesa è determinato dalla Carta delle Nazioni Unite che rappresenta, dopo lo Statuto della Società delle Nazioni, il primo atto giuridico ai sensi del quale gli Stati vengono privati di questa loro importante facoltà e nonostante ciò non vi è stata applicazione del divieto dello scontro bellico nei quasi 50 anni di vità della Carta dell'ONU.

La legittima difesa è prevista dall'art.51 della Carta e la difficoltà di interpretazione è data dall'affermazione di un "diritto naturale di autotutela individuale" nell'ambito del diritto internazionale che oggi è un ordinamento formato prevalentemente da diritto positivo (contrapposizione tra diritto naturale e diritto positivo: nella società naturale vige il principio dell'autotutela individuale o collettiva - società primitive - nelle società evolute, caratterizzate da un diritto positivo, tale compito è affidato allo Stato). La difficoltà interpretativa, con l'evoluzione del diritto internazionale, si concreta nella possibilità che ad intervenire, in regime di autotutela non sia più il singolo individuo inteso come Ente o stato, ma collettivamente più Stati.

Procedendo all'esame della norma contenuta all'art.51, si rileva che l'attacco armato ( e non l'aggressione intesa come schieramento di truppe sul confine) deve riguardare un membro delle Nazioni Unite ed è inoltre necessario che il Consiglio di Sicurezza, nel frattempo, non abbia ancora preso le misure necessarie al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale.

Se, per ipotesi, il Consiglio di Sicurezza avesse già deciso qualche misura, il principio di legittima difesa di cui all'art.51 non dovrebbe trovare applicazione. In questo caso, infatti, si avrà una situazione analoga a quella che sussiste all'interno dello Stato: il Consiglio di Sicurezza accentrerebbe su di sé il compito di difesa degli Stati membri così come lo Stato accentra su di sé, in quanto creatore e detentore di diritto, il compito di tutelare i propri cittadini.

Analogamente le Nazioni Unite hanno privato i singoli dell'uso della forza (in base all'art.2) ma hanno restituito agli Stati, in via eccezionale, il potere di agire in legittima difesa "nel caso abbia luogo un attacco armato".

Se uno o più Stati esercitano il diritto di autodifesa, devono immediatamente informare il Consiglio di Sicurezza. Inoltre, le misure adottate non pregiudicano in alcun modo il potere del Consiglio di Sicurezza di intraprendere in qualsiasi momento l'azione di mantenimento della pace e la sicurezza internazionale(la legittima difesa è un istituto eccezionale e a carattere temporaneo). Si può agire, infatti, solo quando il Consiglio di Sicurezza non abbia adottato le sue misure e deliberato in materia.

Dal 1945 in poi, in qualunque trattato internazionale, istitutivo di una alleanza a carattere militare ( NATO, Patto di Varsavia) vi è il riferimento all'art.51, nel senso che l'alleanza stessa dovrà essere conforme a quanto prescrive tale articolo della Carta delle Nazioni Unite e quindi si tratta di una norma la cui validità è stata riconosciuta da tutte le alleanze militari. Esso è stato applicato nel caso del Kuwait attraverso la coalizione dell'ONU per il ripristino della sovranità violata.

Anche lo stato di necessità rappresenta una causa di esclusione dell'illecito in quanto lo Stato si trova in pericolo grave ed imminente per cui si vede costretto a violare una norma internazionale. Perché si possa invocare lo stato di necessità, occorre che sia lo Stato e non l'individuo organo a commettere il fatto illecito e che questo rappresenti l'unico mezzo per proteggere interessi vitali dello Stato stesso. Lo stato di necessità non può essere invocato per violare una norma di jus cogens o per ledere interessi vitali dello Stato titolare dell'obbligo rimasto inadempiuto.

Anche la sopravvenienza di una situazione che rende impossibile l'esecuzione dell'obbligo esonera dall'adempimento dell'obbligo è, ai sensi dell'art.61 della Convenzione di Vienna, una circostanza che esclude l'illecito internazionale.

Il Consiglio di Sicurezza, in un primo momento, compie accertamenti e verifiche sull'esistenza di una minaccia alla pace, di una violazione della pace o di un atto di aggressione. Successivamente emana l'atto più semplice, una raccomandazione, o decide in alternativa quali misure debbano essere adottate per mantenere e ristabilire la pace e la sicurezza internazionali.

È importante definire l'atto di aggressione cui si fa riferimento nell'art.39: per "atto di forza" si intende l'azione di uno Stato che compia un'azione militare ingiustificata ai danni di un altro Stato: in questo senso l'invasione del Kuwait è stata indubbiamente un atto di forza irachena.

Anche se Kelsen ha messo in discussione tale definizione prevedendo il caso di uno stato che aggredisce per non essere aggredito: in questo caso è ben difficile stabilire chi è l'aggressore.



L'atto di violenza ha una sua valenza anche sotto il profilo economico. Il giudizio sulla definizione di "atto di forza" è importante qualora si consideri che la Carta delle Nazioni Unite ha privato gli Stati dell'uso della forza individuale e collettiva, salva l'eccezione rappresentata dall'art.51 della Carta stessa (art.2).

In attesa delle adozioni di misure definitive, il Consiglio di Sicurezza può prendere misure provvisorie.

Tali misure, assunte al fine di prevenire un aggravarsi della situazione, precedono cronologicamente l'adozione di raccomandazioni da parte del Consiglio. Si tratta, quindi, di misure preventive o preliminari aventi lo scopo di bloccare lo svolgersi degli avvenimenti in atto ed evitare che la situazione si aggravi. Qualora una delle parti in conflitto non si attenesse alle disposizioni provvisorie dettate, il Consiglio può infliggere al colpevole sanzioni economiche o di altro tipo previste all'art.41.

Infine, se il Consiglio di Sicurezza ritiene che le misure previste dall'art.41 siano inadeguate o si siano dimostrate inadeguate, esso può intraprendere, con le forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace o la sicurezza internazionale. Tale azione può comprendere dimostrazioni, blocchi ed altre operazioni mediante forze aeree, navali o terrestri di Stati membri delle Nazioni Unite.

Deve, peraltro, notarsi che le misure ora accennate trovano il loro fondamento nel diritto internazionale particolare quale è quello contenuto nella Carta.

Un'altra misura che trova il suo fondamento nel diritto internazionale generale e che per di più rappresenta una delle conseguenze del fatto illecito, è la rappresaglia che consiste in una condotta di uno Stato che sarebbe in sé illecita, ma perde tale carattere perché costituisce reazione ad un fatto illecito commesso da un altro Stato. La rappresaglia che, dunque, si sostanzia in una semplice condotta, non è un atto giuridico: presuppone, dunque, la violazione da parte di un altro soggetto di un diritto soggettivo ed implica, a sua volta, che la condotta del soggetto leso, in cui essa si concreta, comporti ugualmente la violazione di un diritto soggettivo dell'autore dell'illecito. In ciò la rappresaglia si differenzia dalla ritorsione in quanto in questa tanto il primo comportamento quanto quello che costituisce reazione al primo non comportano violazione di un diritto soggettivo, bensì di un interesse privo di tutela giuridica.

Tipico della rappresaglia e delle misure e contromisure è il carattere di sanzione che l'autore dell'illecito è tenuto a subire senza reagire, essendo le une e le altre lecite, con la conseguenza che la controrappresaglia o altre misure reattive avrebbero il carattere dell'illiceità.

La rappresaglia e le altre misure devono essere proporzionate all'entità della violazione prodotta dall'autore del fatto illecito e incontrano un limite nel rispetto del diritto cogente, in particolare del diritto umanitario considerato appunto come diritto cogente.

Tuttavia, mentre nel diritto interno la pena (sanzione) è erogata da un ente superiore, nel caso della rappresaglia la condotta è tenuta dallo stesso soggetto leso.


Conseguenze del fatto illecito.


Da un fatto illecito internazionale possono scaturire danni subiti dallo Stato o dagli Stati vittime dell'illecito. Il danno può essere morale, ossia non suscettibile di valutazione economica ed ha, come conseguenza, la cosiddetta soddisfazione, che si può concretare nell'obbligo del amento di una somma simbolica di denaro, nella presentazione di scuse in forma solenne allo Stato leso, nello schieramento di navi o nel saluto solenne alla bandiera in segno di rispetto verso lo Stato leso e i suoi organi supremi, o materiale, cui corrisponde l'obbligo di riparazione, comprensivo della restituzione e del risarcimento in denaro. La restituzione non ha luogo evidentemente nel caso di illeciti omissivi (in questo caso l'obbligo di non fare resta in vita nonostante la violazione).

L'obbligo del risarcimento in denaro si pone tra soggetti di diritto internazionale e in particolare tra lo Stato responsabile e lo Stato leso; non si pone, invece, tra soggetti di diritto interno o tra uno Stato da una parte, e i cittadini, persone fisiche o giuridiche, di un altro Stato, dall'altra.

In diritto internazionale viene risarcito il danno emergente ed il lucro cessante ove si dimostri che dal mancato, tempestivo amento di una somma di denaro, sia scaturito un danno ulteriore determinato dal ritardo.








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