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IL DIRITTO DEL LAVORO

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IL DIRITTO DEL LAVORO


ALLE ORIGINI DEL DIRITTO DEL LAVORO

Il diritto del lavoro nasce con la civiltà industriale. La bottega artigiana costituiva l'epicentro del sistema economico pre-industriale. L'artigiano-ritenuto depositario per ragioni naturali dei segreti dell'arte-era circondato da una serie di collaboratori (laborantes) che prestavano la loro opera non in funzione di un corrispettivo, ma con lo scopo di apprendere il mestiere. Nell'ambito di tale sistema economico il risultato produttivo non era destinato al mercato, così come lo intendiamo noi oggi, ma a soddisfare le esigenze (limitate) dell'economia cittadina o della corte (economia curtense): in sostanza non si aveva una produzione di massa dei beni, dal momento che l'artigiano produceva su commissione (normalmente della classe mobiliare). Sul piano giuridico tale direttiva era codificata negli statuti delle corporazioni artigiane, che-allo scopo di limitare la concorrenza- stabilivano dei massimali alla produzione da parte delle singole botteghe. Un salto di qualità x la modificazione degli equilibri socio-economici si produce con il fenomeno dell'accumulazione (primitiva) dei capitali che si realizza, alle origini, con l'avvento delle banche (i grandi banchieri senesi e fiorentini del rinascimento). È in questa fase- nella quale progressivamente il ceto artigiano va verso l'impoverimento-che, secondo alcuni autorevoli studiosi di storia del capitalismo, nasce l'archetipo del contratto di lavoro subordinato alla confluenza fra il rapporto di servitù ed il rapporto di Vergal. Quest' ultimo è uno schema contrattuale --- con cui l'artigiano ottiene un mutuo da un mercante, impegnandosi a restituire il capitale tramite cessione di una partecipazione agli utili della bottega. Il ruolo del mercante è in questa fase limitato alla sola acquisizione ed allo smercio del manufatto realizzato dall'artigiano. Successivamente il processo di concentrazione del capitale fa sì che taluni mercanti affidino a più imprese artigianali la realizzazione delle diverse fasi di produzioni di un determinato prodotto, ponendo in essere così una sorta di organizzazione produttiva frazionata sul territorio (decentramento produttivo). Non sempre la realizzazione della singola fase produttiva, poi, viene affidata a vere e proprie botteghe artigiane, laddove talora viene commessa a singoli lavoranti a domicilio (magari ex artigiani, privi di mezzi) che la eseguono con l'ausilio dei propri familiari. È su questa realtà che si innesta l'avvento del sistema di fabbrica, nel quale tutte le fasi del processo produttivo vengono accentrate in unico luogo, alle dipendenze dell'imprenditore, allo scopo di giungere ad una produzione di serie dei manufatti. Ad un certo punto dell'evoluzione, ritroviamo l'artigiano, ormai deprofessionalizzato, che offre la sua forza lavoro al capitalista che ha raggiunto tale autonomia e forza economica da essere proprietario dei mezzi x produrre (diventati ormai complessi e costosi). È questo-insieme al contadino inurbato-il prototipo della ura sociale e giuridica del lavoratore subordinato. Condizioni necessarie x il definitivo passaggio fra i due sistemi sono: a) la rivoluzione tecnologica, b) una modificazione dei rapporti socio-economici, tale da superare le limitazioni alla libertà economica indotte dal corporativismo, c) la traduzione di tali istanze liberistiche sul piano degli istituti giuridici. La prima condizione si realizza con l'avvento delle macchine, che costituiscono l'opera manuale e consentono la produzione di serie (rivoluzione industriale); la seconda si affida al volano della politica e si relizza x il tramite delle grandi rivoluzioni borghesi della fine del settecento (francese e americana); la terza-all'esito delle rivoluzioni politiche-si traduce nella realizzazione delle grandi codificazioni. Nei codici ottocenteschi domina l'idea di libertà economica. Nella prima direzione la codificazione si caratterizza- proprio x garantire il decollo dell'iniziativa privata e della libertà di commercio- x l'unificazione del soggetto di diritto (eliminazione degli statuti particolari a favore di determinati ceti sociali) e la semplificazione delle regole giuridiche (certezza del diritto), - in taluni settori, come il diritto del lavoro-coincide con un vero e proprio astensionismo del legislatore. Nella seconda l'idea di libertà produce l'appiattimento della posizione dei singoli destinatari delle norme sulla regola dell'eguaglianza formale dei soggetti, regola che traduce una fondamentale istanza della rivoluzione francese, ma che trascura di prendere in considerazione la collocazione sostanziale dei singoli nell'ambito dei rapporti economici. La codificazione ottocentesca ignora, in sostanza, che all'eguaglianza formale può corrispondere una diseguaglianza sostanziale, in ragione della diseguale distribuzione del potere economico. In tale contesto è del tutto naturale che il codice civile italiano del 1865 (ispirandosi a quello napoleonico) trascuri del tutto la materia lavoristica, limitandosi a due laconiche indicazioni normative. Sulla base della prima (art 1627) vi sono tre principali specie di locazioni di opere e d'industria: 1)quelle x cui le persone obbligano la propria opera all'altrui servizio, 2)quella de'vetturini sì x terra come x acqua, che si incaricano del trasporto delle persone e delle cose, 3)quella degli imprenditori di opere di appalto o a cottimo. Sulla base della seconda (art 1628) nessuno può obbligare la propria opera all'altrui servizio che a tempo o x una determinata xsona. Quest'ultima regola in particolare, pur mettendo al bando il lavoro "servile", colloca in buona sostanza sullo stesso piano "padrone" ed "operaio", in relazione all'acquisizione del bene-primario del lavoro, con un evidente artificio ideologico. La situazione di astensionismo legislativo non poteva durare in eterno, dal momento che, proprio la presenza di un'enorme massa di manodopera costantemente disponibile ed "a tenuissimo prezzo", non mancò di produrre ben presto forti contrasti che sfociarono nella c.d "questione sociale". Cosicchè, mentre i lavoratori, dal loro canto, so organizzavano in leghe di resistenza, allo scopo di eliminare la concorrenza al ribasso nell'offerta della forza lavoro e sperimentavano nuove forme di lotta (sciopero) e nuove forme di organizzazione (sindacati), il legislatore cominciò a por mano ad una prima serie di interventi normativi. Tali interventi andarono a costituire il primo nucleo della legislazione sociale, diretta a proteggere tutti i lavoratori con una tutela minimale ovvero fasce di questi paricolarmente svantaggiate (donne e minori). È importante ricordare fin d'ora che la descritta legislazione assume come soggetto protetto non il contraente di uno specifico rapporto obbligatorio (il rapporto di lavoro subordinato), ma direttamente l'operaio degli opifici industriali, mostrando di identificare il proprio referente in una peculiare categoria sociale (e pre-giuridica). Ovviamente la legislazione appariva del tutto insufficiente a governare l'amministrazione del rapporto di lavoro ed i conflitti giuridici che potevano insorgere tra le parti. La soluzione di tali conflitti era affidata prevalentemente ai c.d usi industriali o ai primi embrioni di contrattazione collettiva (concordati di tariffa). L'insuficienza del sistema normativo costrinse il legislatore ad intevenire con una originale soluzione: l'istituzione di una speciale magistratura arbitrale (i Collegi dei probiviri), che aveva l'incarico di dirimere sul campo le controversie individuali fra datori di lavoro e lavoratori. L'originalità dell'innovazione sta nella circostanza che i probiviri decidevano le controversie secondo equità, ma con un'equità creativa di diritto, data l'assenza di regole legali, pur se si ispiravano agli usi locali.




Il periodo corporativo

L'avvento dello stato totalitario segna un crescente interventismo in materia lavoristica. Risaltano in questo ambito segnatamente la prima regolamentazione legislativa dell'orario di lavoro (ove si afferma la rivendicazione delle otto ore lavorative) e l'interventocon il quale veniva regolato il rapporto di lavoro degli impiegati. Quanto alla legge del 1923 sull'orario di lavoro giova considerare che essa non rappresenta affatto un frammento di archeologia giuridica, ma contiene principi ancora in gran parte vigenti. Rispetto alla legge sull'impiego privato il legislatore fascista raccoglie e porta a compimento l'eredità dello stato liberale. Durante il periodo fascista vengono inoltre a compimento altre importanti tappe evolutive della legislazione lavoristica. Basti pensare alla legge che ha istituito l'Istituto nazionale x l'assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, per gestire la relativa assicurazione obbligatoria; la legge sul riposo settimanale e domenicale, la legge che ha istituito il libretto del lavoro e la legge sul perfezionamento e coordinamento legislativo della previdenza (con la creazione dell'Istituto nazionale della previdenza sociale). Significativa, poi, almeno, sul piano formale, è anche la predisposizione (nel 1927) di una Carta del lavoro, che rappresenta una summa di principi in materia lavoristica, paragonabili a quelli contenuti nella nostra carta costituzionale, anche se di incerta collocazione, secondo la dottrina dell'epoca , nel sistema delle fonti (solo con la legge del 1941 venne attribuito alle sue dichiarazioni il significato di principi generali dell'ordinamento). Il tratto distintivo più originale del regime cmq si espresse nell'ambito dei rapporti collettivi di lavoro. Il regime ritenne di risolvere la questione sociale (ed i conflitti collettivi) attraverso una forma di corporativismo autoritario. Con la legge del 1926 venne bandita la libertà sindacale (cioè la possibilità di costituire libere associazioni sindacali) ed il pluralismo sindacale venne sostituito da un sindacato fascista, che aveva il potere di rappresentare (non sulla base di un'adesione volontaria, ma) istituzionalmente tutti gli appartenenti ad una determinata categoria professionale. Siffatto sindacato poi stipula con la controparte datoriale- un contratto collettivo con validità nei confronti di tutti i lavoratori appartenenti alla categoria professionale.


La codificazione

Quasi allo spirale del ventennio fascista produsse il massimo sforzo sul piano della produzione di nome con l'emanazione del codice civile del 1942. Con esso la disciplina lavoristica- o meglio i suoi principi fondamentali- entrano nel diritto dei privati. Il codice costituisce dunque il punto di approdo nella sitemazione della materia, ma anche il punto di partenza di un latente conflitto fra disciplina codificata e disciplina contenuta nella legislazione speciale. Ne derivano invece nel regolamento nel Libro V (intitolato Del lavoro), che contiene le regole giuridiche e del diritto commerciale (imprenditore e società) e del diritto del lavoro. Il legislatore definisce i sogetti del rapporto, cosicchè la definizione del contratto deve essere dedotta da qll di prestatore di lavoro. X la regolamentazione del rapporto, il codice nn considera indifferente la natura del datore di lavoro; infatti appronta- come la regola- la disciplina del lavoro nell'impresa e dispone che ai "rapporti di lavoro subordinato che nn sn inerenti all'esercizio di un' impresa" si applichino qll dettate x il lavoro delle imprese "in qnt compatibili con la specialità del rapporto"(art.2239 cod.cv.) le descritte apparenti stranezze possono essere agevolmente spiegate come sovrastrutture tipica espressione dell'ideologia autoritaria e centralistica, espressa dallo stato corporativo.


4. La costituzione

La costituzione repubblicana costituisce una svolta anche (e soprattutto) x il diritto del lavoro. I padri costitenti attribuirono al "lavoro" un'importanza così preminente, nella nuova società a base democratica da farne addirittura fondamento della repubblicana (art.1) e, indicarono nel lavoratore "subordinato" un protagonista nel nuovo assetto sociale. Con maggior chiarezza di intenti poi la medesima idea di fondo è riaffermata dall'art.3. Si tratta della norma che contiene il ben noto principio di eguaglianza, che viene xaltro scandito su 2 piani distinti: da una parte (primo comma) viene riaffermato il principio, di matrice liberale, di eguaglianza formale ("tt i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opnioni politiche, di condizioni xsonali e sociali"), dall'altra viene sancito il ben più incisivo principio di eguaglianze sostanziale. E' il capoverso dell'art.3 che assegna ai lavoratori dipendenti il ruolo e la funzione di propolsuri della partecipazione effettiva al progresso morale e materiale della società, inevidente contrapposizione al ruolo assegnato, nella stessa norma, alla "persona umana". La speciale considerazione del lavoro subordinato nella Costituzione è poi ribadita dall'art.4 che lo assume cm oggetto di un vero e proprio diritto (e dovere): diritto, rispetto al quale la Repubblica si impegna a promuovere le condizioni x renderlo effettivo. É quest'ultima indicazione che chiarisce che- nella logica dei costituenti- si tratta di un diritto sociale e nn di un diritto di libertà; in sostanza la norma intende porre l'accento sull'impegno dello Stato a garantire tendenzialmente la piena occupazione attraverso adeguati strumenti di politica economica più che sulla protezione del diritto di scegliere, fra più occupazioni, qll maggiormente confacente alle proprie attitudini.Slla medesima lunghezza d'onda si collocano poi le norme specifiche elencate nel Titolo III, dedicato ai Rapporti economici. L'art.35 anzitutto, se pure con una formula ambigua- fra l'altra riecheggiante qll di cui l'art.2060 cod.cv. - riconferma l'impegno della Repubblica a tutelare "il lavoro in tt le sue forme ed applicazioni", ricomprendendo certamente nella locuzione anche il lavoro autonomo, ma presumibilmente, escludendo il lavoro imprenditoriale in qnt tale, garantito in termini di libertà, dall'art.41. Seguono le norme k statuiscono minimi inalienabili di protezione (art.36 : giusta retribuzione e diritto ai riposi; art.37: tutela e parità x donne e minori; art.38: garanzia previdenziale in relazione ai bisogni di carattere primario, quali l'invalidità, la vekkiaia, gl infortuni, le malattie professionali, ecc.) e pongono i presupposti strumentali x la realizzazione dell'autotutela da parte dei lavoratori stessi art.39: libertà di organizzazione sindacale; art.40: diritto di sciopero). Nel "cuore" della nostra disciplina si colloca l'art.41: l'iniziativa economica privata è libera" che significa libertà di iniziare ridurre o cessare l'attività ed essa "nn può svolgersi in contrasto cn l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,alla libertà alla dignità umana"). In qlc modo il diritto del lavoro può essere eletto in kiave di svolgimento del principio espresso dall'art.41. L'intervento del legislatore in materia lavoristica rappresenta infatti la materializzazione degli interessi k si contrappongono, limindola all'iniziativa economica privata. Nel gioco fra le 2 posizioni e la norma lavoristica k indica la possibile via di mediazione del conflitto di interesse.


La legislazione post -costituzionale

La produzione normativa post-costituzionale è distinguibile per grandi linee in tre grandi periodi.


a) Nel primo quindicennio (fino alla metà degli anni Sessanta)-nel periodo quindi del definitivo passaggio da una società basata prevalentemente sull'agricoltura ad una società industriale moderna-l'intervento normativo si caratterizza x una marcata attenzione verso la protezione di fasce marginali e/o particolarmente deboli della forza-lavoro o per l'approntamento di uno standard minimo ed invalicabile di protezione o, ancora, in senso antifraudolento. Appartengono al primo gruppo le leggi sull'apprendistato, sulla tutela delle lavoratrici madri, sul divieto di licenziamento delle lavoratrici x causa di matrimonio, sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro, contenente le norme generali x l'igiene del lavoro. Appartengono al secondo gruppo la regolamentazione giuridica del collocamento della manodopera (c.d legge Vigorelli). Quest'ultima fu particolarmente significativa avendo rappresentato un tentativo di realizzare l'obiettivo dell'estensione erga omnes dei contratti collettivi di lavoro, al di fuori del meccanismo preurato dall'art. 39 cost. (registrazione del sindacato, costituzione di rappresentanze unitarie, ecc.). Infine appartengono al terzo gruppo le discipline con le quali il legislatore intese reprimere o forme illecite e fraudolente di impegno dei lavoratori (per es divieto di interposizione) o tecniche elusive di diritti inderogabili, sul rapporto di lavoro a tempo determinato, considerato strumento di elusione del diritto all'indennità di anzianità.


b) Il segno dell'intervento legislativo muta radicalmente nel decennio a cavallo fra gli anni 60' e 70' (19651975). Sono gli anni della grande espansione del garantismo normativo. Il decennio si apre con un importante intervento della Corte costituzionale che dichiara l'illeggittimità dell'art.2948, n.4 del codice civile, nella parte in cui consente la decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto di lavoro. La Corte in pratica, prendendo atto della posizioni di sudditanza psicolgica nella quale si trova il lavoratore nel corso del rapporto, in ragione della libertà di licenziamento (all'epoca vigente) sposta la decorrenza dei termini di prescrizione al momento in cui il rapporto è ormai cessato ed il lavoratore è tornato nella piena libertà dispositiva. Fa seguito la fondamentale legge 15 luglio 1966, n.604 con la quale si avvia il processo di superamento del principio di libera recedibilità dal contratto di lavoro. X la prima vlt si stabilisce il principio secondo cui (almeno nelle imprese di certe dimensioni) il licenziamento deve essere giustificato. L' epicentro del sistema di garanzie e cmq costituito dallo statuto dei diritti dei lavoratori (legge 20 maggio 1970 n.300). In primo luogo esso si pone l'obiettivo di rendere effettivi nei luoghi di lavoro, i diritti sanciti in astratto nella sectiune costituzionali (libertà e dignità dei lavoratori). Si è detto che, in tal modo, la Costituzione ha varcato i "cancelli della fabbrica", potendo il lavoratore mantenere i propri diritti di cittadino anche nell'ambito del rapporto di lavoro e prospettandosi, sul piano teorico, l'incidenza dei diritti fondamentali anche nei rapporti privatistici. Una prima strategia di tutela si attua qnd ampliando e rafforzando i diritti individuali del lavoratore. Una seconda strategia di tutela (e quindi di effettività) si attua attraverso l'istutozionalizzazione della presenza del sindacato nei luoghi di lavoro, mediante la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali (è questa quella che si definisce anima promozionale e/o di sostegno dello statuto). Ovviamente al rafforzamento della presenza sindacale sono collegati tutta una serie di divieti diretti a tutelare sia il singolo che il militante sindacale (divieto di discriminazione x ragioni sindacali, tutela dei rappresentanti sindacali contro i trasferimenti ed i licenziamenti, ecc.) nonché la preurazione di uno speciale ed efficiente procedimento d'urgenza diretto alla repressione dell'attività antisindacale del datore di lavoro (art 28). Un ulteriore fondamentale passaggio del sistema di garanzie è costituito dalla legge 11 agosto 1973, n.533 che introduce una nuova disciplina x le controversie individuali di lavoro (processo di lavoro). Il modello di processo proposto dalla legge 1973 è un processo rapido, concentrato e tendenzialmente orale. Ed è un processo in cui il tempo non corre ai danni della parte economicamente più debole: si prevede infatti che il giudice, qnd liquida crediti di lavoro, debba contestualmente condannare il datore al amento degli interessi e del maggior danno da svalutazione monetaria sulle somme riconosciute al lavoratore.

c)Come lo statuto dei lavoratori rappresenta il suggello normativo sul piano dei rapporti di lavoro della grande espansione economica italiana degli anni sessanta, così le difficoltà del sistema economico dei primi anni settanta (dovute anche a contingenze internazionali: ad es. la crisi petrolifera) segnano una decisa inversione di tendenza nel diritto del lavoratore. Quella che prende corpo a partire, all'ingrosso, dal 1975 è stata definita legislazione della crisi o dell'emergenza, diretta com'era ad attutire le conseguenze delle avverse fortune economiche.

Gli interventi sul salario:

A)Un primo gruppo di interventi si occupa del salario e segnatamente dei meccanismi automatici di rivalutazione della retribuzione (c.d scale mobili). Si imputava infatti a tali meccanismi di alimentare fenomeni inflattivi, in un circolo vizioso in cui ad ogni aumento salariale corrispondeva un aumento dei prezzi di beni di consumo ed ogni aumento dei prezzi corrispondeva un ulteriore aumento salariale e così via. Gli interventi di carattere strumentale si occupano di diboscare le scale mobili anomale, unificando i sistemi di indicizzazione del salario; quelli di carattere congiunturale giungono fino al punto di "espropriare" una parte della retribuzione, congelata in buoni del tesoro riscuotibili a scadenze prefissate nel tempo.

B) Un secondo gruppo di leggi cerca di dare una risposta ai problemi posti dalle grandi ristrutturazioni industriali, rivitalizzando gli ammortizzatori sociali (segnatamente la cassa integrazione guadagni) e piegandoli talvolta ad un uso "mirato" a risolvere la crisi di uno specifico gruppo imprenditoriale

C)Un terzo gruppo di interventi si preoccupa di incentivare e sostenere l'occupazioone giovanile, fortemente penalizzata e dalla caduta delle occasioni di lavoro e dalla protezione dell'area forte della forza-lavoro (i lavoratori espulsi dal circuito delle grandi imprese).


L'insieme di tali interventi è poi accumulato non solo dalla necessità di fronteggiare le conseguenze della crisi economica ma anche: a) da un mutamento nel metodo della formazione della legge, b) da una diversificazione dei luoghi di mediazione del conflitto, c) e dall'inversione di taluni tratti strutturali della norma lavoristica. Si segnala, anzitutto, sul piano della tecnica di formazione della legge, il ricorso al metodo della c.d concertazione sociale. In buona sostanza il governo concorda con le parti sociali (i rappresentanti delle grandi confederazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro) i contenuti dei provvedimenti legislativi da emanare ed il raggiungimento del consenso fra le parti è covalidato in "protocolli d'intesa". Altra caratteristica della legislazione d'emergenza è il decisivo ruolo affidato all'intervento (autorizzativo o concessivo) della pubblica amministrazione (è il ministro del lavoro che decreta l'intervento della cassa integrazione guadagni; è il ministro dell'industria che, sentito il CIPI, autorizza i piani di risanamento delle grandi imprese in amministrazione straordinaria; è l'ispettorato del lavoro che autorizza le assunzionia termine nel caso di "punte stagionali" di attività, etc). L'amplificazione del ruolo dei pubblici poteri si giustifica, in tali circostanze, x il fatto che la protezione del lavoratore tende a collocarsi, più che sul piano del singolo rapporto, direttamente sul mercato. Infine degna di rilievo è la considerazione secondo cui viene meno il principio di assoluta inderogabilità in pejus della legge, che costituisce un dato strutturale nel rapporto tra le fonti del diritto del lavoro (art 2077 cod. civ. e l'art 40 dello statuto dei lavoratori). La legge invece comincia a presentarsi in talune situazioni (ad es gli interventi calmieratori sul salario) come tetto massimo, invalicabile in melius anche ad opera dell'autonomia (individuale o collettiva). In sostanza il legislatore vieta all'autonomia collettiva di stabilire trattamenti più favorevoli.


La legislazione più recente

Gli anni che stiamo vivendo si caratterizzano, sul piano economico, x quella che è stata definita, con una certa enfasi, "quarta rivoluzione industriale", conseguente all'avvento delle tecnologie informatiche ed altresì per la c.d "globalizzazione", cioè x la formazione di un unico mercato economico a livello etario. Il diritto del lavoro deve quindi confrontarsi con una nuova modificazione dell'assetto dell'impresa che sta producendo-e continuerà a produrre in futuro-mutamenti che non riusciamo ancora ad intravvedere in maniera chiara. Si pensi anche solo al c.d "telelavoro", alla possibilità cioè che il prestatore di lavoro sia liberato dal rapporto "fisico" con lo stabilimento, eseguendo la prestazione lavorativa a casa propria. X il momento dobbiamo constatare che (anche) la rivoluzione informativa ha già prodotto talune modificazioni significative. In primo luogo a quella che si definisce "terziarizzazione"dell'economia, cioè la crescita esponenziale delle imprese (e degli occupati) nel settore terziario (commercio, servizi, etc.), a discapito del settore industriale che, come si è visto, costituisce l'originario e tradizionale referente della nostra disciplina. Inoltre-così come avvenne x la prima rivoluzione industriale-l'aumento dell'automazione ha prodotto una riduzione dei posti di lavoro. Di fronte a tali fenomeni la risposta dei governi (non solo di quello italiano) si è orientata anzitutto nella direzione di una accentuazione del coinvolgimento delle parti sociali nelle scelte, spesso dolorose, di politica economica (concertazione). Sul piano normativo il diritto del lavoro si è sviluppato alla luce della parola d'ordine della flessibilità, con l'intento di stimolare il decollo delle imprese e garantire nuova occupazione. La flessibilità è stata richiesta dalle imprese inoltre x far fronte alla spietatata concorrenza internazionale ed alla mutevolezza dell'andamento dei mercati. Inutile dire che ciò ha comportato (non uno smantellamento, ma) un ridimensionamento del sistema di garanzie approntato nei decenni precedenti ed in varie direzioni. Sono state anzitutto introdotte forme flessibili di impiego della manodopera attraverso la creazione di "sottotipi", rispetto al tipo contrattuale del rapporto di lavoro ovvero riducendo gli ostacoli all'utilizzo temporaneo o parziale dei lavoratori. Rientrano in questa categoria il contratto di formazione-lavoro, il contratto di lavoro a tempo parziale, il contratto di lavoro temporaneo, il contratto di lavoro a termine. Più di recente con il d.lgs.10 Settembre 2003- i sottotipi flessibili sn stati ulteriormente ampliati con l'introduzione del lavoro intermittente, del lavoro ripartito, del lavoro accessorio, nn kè cn la previsione del contratto di somministrazione di lavoro anke a tempo indeterminato. Una seconda variante della flessibilizzazione è consistita in interventi di deregolazione pura nei confronti di obblighi incombenti sulle imprese. Basti pensare anche sl alla disciplina del collocamento della mano d'opera, pressocchè integralmente liberalizzata ed aperta alla mediazione privata,all'esito della riforma della seconda metà degli anni 90'. una terza variante di flessibilizzazione si avvale della tecnica della deregolazione contrattata. Nel caso la legge, anziché procedere ad eliminare il vincolo o la limitazione alla libertà di impresa rinvia tale compito alla contrattazione continua. Si pensi agli spazi aperti alla contrattazione collettiva in materia di lavoro a tempo parziale, lavoro a termine, lavoro temporaneo, contratti di solidarietà o alla riduzione dei costi del finanziamento della mobilità, ove l'impresa abbia concordato con il sindacato le condizioni relative al licenziamento collettivo x riduzione di xsonale e così via. In questo ambito si collocava il c.d "Pacchetto Treu" che conteneva un insieme di misure dirette ad introdurre maggiore flessibilità, attraverso la riforma della disciplina dell'orario di lavoro, dell'apprendistato, del lavoro a termine e l'introduzione nel nostro ordinamento del lavoro temporaneo. A tale metodologia si contrappone ora quella accolta dal d.lgs. n. 276 del 2003, che ha allargato ulteriormente gli orizzonti della flessibilità ed ha fortemente attenuato il ruolo della contrattazione collettiva, concedendo maggiori spazi all'autonomia individuale o rafforzando i poteri unilaterali del datore di lavoro. X smentire l'assolutezza delle categorizzazioni è peraltro sufficiente constatare che convivono con gli interventi del tipo appena descritto discipline che si riannodano al tradizionale filone garantista. Si pensi alla legge 10aprile 1991, n. 125, che introduce le c.d azioni positive, x la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro, o alla legge 11 maggio 1990 n. 108, che xfeziona la disciplina relativa ai licenziamenti individuali, ampliando lo spettro della tutela . E si pensi altresì alle incisive previsioni in materia di sicurezza degli ambienti di lavoro di cui alla l. n. 626 del 1994 o alla normativa di tutela (anche) del lavoratore rispetto al trattamento dei dati personali o, ancora, alla l. n. 68 del 1999, contenente una nuova disciplina x il lavoro dei disabili o alla revisione della tradizionale regolamentazione sui congedi x maternità, sostituita da una normativa che regola i congedi parentali e familiari. Nel medesimo filone si collocano, infine, i d.lgs.n.215 e 216 del 2003 di recepimento delle direttive Ce in materia di parità d trattamento indipendetemente dalla razza e dall'origine etnica e di parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. Infine un costante stimolo alla produzione normativa viene dall'adempimento degli obblighi dello stato italiano nei confronti della comunità europea. Nell'originario Trattato di Roma del 25marzo 1957 (istitutivo della Comunità economica europea), infatti, l'ottica era quella di consentire la libera circolazione die lavortori fra un Paese e l'altro ed evitare k regolamentazioni diversificate in materia lavoristica creassero situazione di squilibrio nella concorrenza fra le imprese. Nei decenni successivi, peraltro, ed in misura crescente, la comunità europea si è dotata di strumenti più specificamente diretti a promuovere, in positivo, l'occupazione ed il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (v. in particolare il Trattato di Amsterdam del 1997 che ha introdotto numerose modifiche al Trattato ist del 1957).


Le componenti basiche del diritto del lavoro

La storia del diritto del lavoro, ci restituisce un'immagini del lavoratore come il soggetto sociale sottoprotetto (o moderno capite deminutes), la cui debolezza contrattuale deve essere riequilibrata da una forte integrazione eterenoma di origine legale. La circostanza che il corpus giuridico della nostra materia si sia formata in modo"alluvionale", sviluppandosi "con la velocità impercettibile dei ghiacciai" e, come questi ultimi, avanzando "ricoperto di detriti piovuti da chissà dove", nn ci impedisce di indviduare distintamente delle componenti basiche e strutturali. Un primo dato strutturale è costituito dall'inderogabilità della norma lavoristica cui è collegata una (parziale) indisponibilità dei diritti. Si ricorderà che l' inderogabilità è sancita dall'art 17 della l. del 1924 sull'impiego privato, è poi riaffermata, in generale dall'art.2077 cod. civ. Ed è riconfermata dall'art.40 dello statuto dei lavoratori. L' indisponibilità (parziale) invece, scaturisce dall'art 2113 cod. civ., nella parte in cui dichiara invalide le rinunce o transazioni su diritti preurati di norme inderogabili (di legge o di contratto collettivo). Una seconda componente basica del diritto del lavoro è la rigidità del tipo contrattuale. Le parti del contratto di lavoro non sono libere di dare ad esso un contenuto in contrasto con la disciplina inderogabile. Infine caratteristica essenziale del diritto del lavoro è la peculiarità delle tecniche di tutela che la norma lavoristica ha elaborato nel tempo, allo scopo di tener dietro alla direttiva di politica del diritto di proteggere la persona del lavoratore nel processo produttivo. Occorre notare che, la formazione progressiva del corpud della materia e la compresenza di spezzoni normativi concepiti in epoche tanto diverse, non hanno impedito una forse (paradossale) coesione interna, venendo le singole innovazioni metabolizzate nell'organismo complessivo. È quasi un luogo comune che i nostri tempi sono profondamente segnati da una ripresa dell' "individualismo". Il che, applicato al diritto del lavoro , può significare: A)che esistono sempre più lavoratori dotati di un certo potere negoziale (perchè evidentemente dotati di professionalità non facilmente reperibili sul mercato), per i quali il contratto individuale di lavoro può costituire garanzia sufficiente alla soddisfazione dei propri interessi ovvero, B) che un numero sempre crescente di lavoratori guarda al proprio itinerario lavorativo non come percorso lineare (un posto "fisso" x tutta la vita), ma come una strada variamente frazionata da impegni a tempo pieno e/o a tempo parziale, con una accentuata mobilità fra posto e posto, C) che un numero crescente di lavoratori risulti difficilmente collocabile entro la dicotomia e rigida alternativa fra autonomia e subordinazione ed aspiri ad una collocazione intermedia fra le due. Alle descritte esigenze come risponde il diritto del lavoro? Il diritto posto risponde evidentemente in modo rigido. Quel che è ragionevolmente acquisibile è che è ben difficile che il diritto del lavoro intenda rinnegare del tutto la propria vocazione e ragion d'essere, per non trasformarsi in un indistinto diritto "delle professioni" o "dell'impresa".


Diritto del lavoro e diritto civile.

Il problema dei rapporti fra diritto del lavoro e diritto civile costituisce un topos della letteratura manualistica. La questione consiste nel chiedersi se il diritto del lavoro, nato da una costola del diritto civile, sia "cresciuto abbastanza x trovare la (propria) strada e svilupparsi per proprio conto". Al fine di proporre il confronto è forse maggiormente produttivo individuare i "punti caldi" dell'attrito fra le due discipline. Sono: a) la contrapposizione fra contrattualismo e acontrattualismo nell'individuazione della fonte del rapporto e nella complessiva sistemazione della materia; b) la tensione, nell'ambito del rapporto obbligatorio, fra subordinazione e organizzazione; c) la diseguale distribuzione dei poteri fra datore e lavoratore. Non si può confrontare il diritto del lavoro alle soglie del terzo millennio con il diritto civile dei pandettisti di fine ottocento. È da tempo assodato, nella dottrina civilistica, che il contratto è strumento "a plurimo impiego", che può essere piegato anche al xseguimento di interessi superindividuali, cosicchè il contratto si inserisce, a pieno titolo, entro tale categoria. Anzi si può dire che alla revisione della tradizionale concezione del contratto come terreno d'elezione della libertà dei privati abbia contribuito proprio la normativa lavoristica e le riflessioni della sua dottrina. Sennonchè la circostanza che la fattispecie fondamentale del diritto del lavoro abbia natura contrattuale, con il rifiuto di prospettive acontrattualistiche, non è certo sufficiente a giustificare una sorta di anacronistico "primato" sul diritto del lavoro. Il diritto privato (e la teoria generale) forniscono al discorso lavoristico le "infrastrutture e gli snodi" indispensabili x consentirgli di dialogare. In questa dimensione è innegabile la centralità del libro IV del codice civile, che mantiene la propria attualità, proprio perchè si tratta di concettualizzazioni piegabili ad un impiego "neutro", nel cui ambito è in qlk modo possibile prescindere da specifici "valori" nella soluzione dei conflitti fra i due contraenti. È dunque questa la miglior riprova del significativo contributo del diritto del lavoro ad un profondo rinnovamento del diritto dei contratti. Il diritto delle obbligazioni costituisce la parte più vitale del diritto dei privati, che ha resistito anche al processo di progressiva frantumazione, fino al dissolvimento, della centralità del codice. Il codice ha xso non solo la funzione di condensato di principi generali di garanzia dei diritti fondamentali dell'individuo, sostituito su questo piano dalla Carta costituzionale, ma anche di dettare regole x la soluzione di specifici conflitti. In tal modo le discipline residuali restano "nel codice come rami secchi, settori normativi superati da nuovi principi generali e ricchi di semplice prestigio o suggestione storica. Nel diritto del lavoro lo sviluppo della disciplina speciale può dirsi avvenuto non contro ma dentro la struttura del codice. In questo ambito è la stessa fattispecie fondamentale, riassunta dall'art.2094, che garantisce la mediazione fra esterno ed interno. Si può dire in sostanza che la normativa speciale abbia contribuito ad una rilettura e sistemazione della fattispecie fondamentale che è e rimane all'interno del tessuto del codice. La permanente centralità della definizione codicistica è stata garantita in questo ambito dalla rigidità del tipo contrattuale, che ha altresì impedito il processo di frantumazione e dispersione delle tutele.





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