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IL POSSESSO

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IL POSSESSO


Una cosa è avere il diritto di esercitare un potere di fatto, un'altra è esercitarlo di fatto. Possono esserci delle situazioni in cui chi, pur avendo in diritto, di fatto non lo esercita.

L'esercizio di fatto dei poteri sulle cose dà luogo alle situazioni possessorie, alle quali il legislatore attribuisce rilievo indipendentemente dalla circostanza che la situazione di fatto corrisponda a quella di diritto.

Tra le situazioni possessorie occorre distinguere tra la detenzione, il possesso vero e proprio (corpore et animo) e il possesso mediato (solo animo).

La detenzione consiste nell'avere la disponibilità di una cosa, ossia avere la possibilità di utilizzarla tutte le volte che si voglia, senza bisogno di superare ostacoli seri e duraturi, pur riconoscendo che essa è di altri, cui si deve rendere conto dell'uso del bene (detentori sono ad esempio il conduttore, il comodatario).

Se colui che ha il potere di fatto sulla cosa (detenzione) ha anche l'animus possidendi, ossia ha ricevuto od acquistato il bene con l'intenzione di esercitare su di essa qualunque potere ed escludendo ogni volontà di restituirla o di riconoscere diritto alcuno di altri nel bene, si ha il possesso vero e proprio; possessore mediato è invece colui che non ha la detenzione del bene, ma al quale il detentore riconosce di dover rendere conto dell'utilizzazione della cosa.



Le ragioni per cui l'ordinamento giuridico prende in considerazione e tutela il possesso sono varie. Anzitutto, proteggendo il fatto esteriore e facilmente accertabile del possesso, la legge assicura allo stesso proprietario, che di solito è anche il possessore, una difesa rapida ed efficace del suo interesse a conservare lo status quo. Inoltre, impedendo che in via di fatto si arrechi violenza o molestia al possessore, si conserva la pace tra i consociati. Chi contro lo stato di fatto del possesso esercitato da un altro, vuole opporre il suo diritto, deve agire in giudizio e non può farsi giustizia da sé togliendo all'altro la cosa.

La protezione del possessore, comunque è provvisoria perché è destinata a cadere allorché risulti la mancanza del diritto soggettivo nel possessore.

Ma il possesso, oltre a questa difesa, assicura al possessore anche altri vantaggi (l'acquisto per usucapione, la posizione di convenuto nell'azione di revindica . ). Questi benefici si giustificano considerando che, quand'anche per caso sia sprovvisto del diritto, il possessore ha il merito di trarre dalla cosa l'utilità di cui questa è capace, e ciò è opportuno nell'interesse generale.

Ciò premesso, si può intendere la differenza fra ius possessionis e ius possidendi: il primo designa l'insieme dei vantaggi che il possesso di per sé genera al possessore, ed il diritto alla tutela possessoria, il secondo il diritto di chi abbia effettivamente il titolo a possedere la sua cosa: il ladro ha lo ius possessionis ma non lo ius possidendi, che spetta al proprietario.

L'acquisto del possesso avviene in modo originario con l'apprensione della cosa o con l'esercizio su di essa di poteri di fatto corrispondenti a quelli che spettano al titolare del diritto reale di godimento, ma questa apprensione, questo esercizio di fatto del diritto non fanno acquistare il possesso se si verificano per mera tolleranza altrui, ossia quando chi potrebbe impedire l'acquisto, se ne astiene per spirito per spirito di amicizia, gentilezza .

Il possesso si acquista in modo derivativo con la consegna o, come anche si dice, con la tradizione. ½ sono, poi, due ure di traditio ficta, nelle quali non vi è mutamento nella relazione di fatto, la cosa resta sempre nelle mani della stessa persona; ciò che muta è l'elemento psicologico, l'animus.

La prima di queste ure è la traditio brevi manu, in cui il detentore diventa anche possessore.

La seconda, il costituto possessorio, consiste nel fatto inverso, cioè chi era possessore diventa ora solo detentore.

La perdita del possesso si verifica per il venir meno di uno dei due elementi del possesso, e cioè, o della signoria sulla cosa (corpus) o della volontà di tenerlo (animus).

La differenza tra i due istituti è costituita dall'elemento psicologico. È facile capire che, se è facile dimostrare l'elemento esteriore (io occupo il fondo e lo coltivo), non è altrettanto facile fornire la prova dell'elemento spirituale.

Soccorre il legislatore stabilendo che basta fornire la prova della detenzione, cioè della disponibilità materiale del bene: spetta a chi nega il possesso dimostrare che chi detiene la cosa l'ha ricevuta per un titolo che esclude l'animus sibi possidendi (es. è stato immesso nel fondo in qualità di affittuario).

Un'ulteriore agevolazione, sempre sul terreno probatorio, è attribuita al possessore con la presunzione di possesso intermedio, per cui basta che il possessore dimostri di possedere ora e di aver posseduto in tempo più remoto a far presumere che abbia posseduto anche nel periodo intermedio. Spetta a chi sostiene il contrario dimostrare che il possesso fu interrotto.

Si supponga che io abbia dato in prestito un bene; non potrebbe chi lo ha ricevuto dire che lo ha sì ricevuto in prestito, ma poi ha cambiato intenzione ed ha voluto fare da vero e proprio padrone, ed invocare contro di me i commoda possessionis?

Questo mutamento di intenzione non può avere valore se resta nella sfera di valore del detentore, ma, per assumere rilievo deve essere manifestato in modo che non sussista nessun dubbio ed eventualmente il titolare possa correre ai ripari avvalendosi dei rimedi che la legge appresta.

Il mutamento da detenzione a possesso, quindi, può avvenire solo per effetto di una delle seguenti ragioni:

causa proveniente da un terzo, il quali affermi di essere il proprietario della cosa o titolare di un diritto reale e trasferisca il diritto di proprietà o il diritto reale al detentore.

Opposizione al detentore, che consiste nel rendere nota al proprietario in qualunque modo l'intenzione di continuare a tenere la cosa non più come detentore, ma per conto ad in nome proprio.

Lo stesso discorso si applica al mutamento di possesso a titolo di usufrutto, enfiteusi . a possesso a titolo di proprietà (interversione del possesso).

L'ordinamento giuridico non può trattare allo stesso modo il ladro e chi si è immesso nel possesso della cosa credendo di essere proprietario per averla acquistata con un negozio che poi si scopre essere nullo o si è impossessato della cosa senza violenza o clandestinità in modo da dare al proprietario la possibilità di recuperarla.

Si hanno, pertanto, accanto alla ura generale del possesso del non proprietario, due tipi particolari: il possesso di buona fede ed il possesso non vizioso, non viziato cioè da violenza o clandestinità.

Si ritiene "in buona fede" in senso soggettivo (la buona fede in senso oggettivo richiama invece regole di comportamento) chi ritiene di comportarsi correttamente, di possedere in base ad un diritto che gli spetta. Il titolare è sempre possessore di buona fede; chi invece possiede una cosa senza avere un corrispondente diritto, è possessore di buona fede solo se ignora il difetto del suo diritto d'acquisto, purché la suo ignoranza non derivi da colpa grave.

Pertanto, in caso di errore inescusabile, il possessore non può essere considerato di buona fede.

In definitiva, la qualifica di possessore di buona fede dipende dalle circostanze in cui avviene il possesso. La buona fede, in materia di possesso, si presume: grava su chi la contesta l'onere di provare la malafede del possessore.

Non occorre che la buona fede perduri per tutta la durata del possesso, è sufficiente che vi sia al momento dell'acquisto.

Il possesso fa parte del patrimonio del possessore: perciò, alla sua morte, esso continua ipso iure nel suo successore a titolo universale (erede), con quei precisi medesimi caratteri (buona o mala fede, viziosità o meno) che aveva rispetto al defunto, e ciò anche in mancanza di una materiale apprensione del bene e perfino se questi ignora l'esistenza del bene o che questo faceva parte dell'eredità.

Diversa, invece, è l'accessione del possesso, applicabile solo a chi acquista il possesso a titolo particolare (compratore, legatario . ), e purché acquisti egli stesso il possesso (laddove per l'erede, l'acquisto del possesso avviene ipso iure, e quindi pure in assenza della materiale apprensione della cosa). Il successore a titolo particolare può sommare al periodo in cui egli stesso ha posseduto il periodo durante il quale hanno posseduto i suoi aventi causa: ciò può risultare utile ogni volta che assuma rilievo la durata del possesso.

Peraltro l'acquirente a titolo particolare acquista un possesso nuovo, diverso da quello del suo dante causa, e pertanto può essere in buona fede benché il suo dante causa fosse in malafede.

Come sappiamo il proprietario può agire con l'azione di revindica per far riconoscere il suo diritto ed ottenere la restituzione della cosa.

Il possessore di buona fede non è tenuto a restituire i frutti che abbia percepito. I diritti del possessore di buona fede cessano al momento della domanda dell'azione di revindica perché gli effetti della sentenza retroagiscono al momento della domanda. La ragione è ovvia: il tempo occorrente per la svolgimento del processo e la pronunzia della sentenza non deve andare a danno di chi vince la causa. Perciò i frutti percepiti durante la lite spettano al proprietario; non solo, ma spettano al proprietario anche quei frutti che il possessore avrebbe potuto percepire usando la diligenza media.

Per quanto riguarda le spese, esse si dividono in necessarie, utili e voluttuarie: spese necessarie sono innanzitutto quelle che servono per la produzione dei frutti; se il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti, ha diritto al rimborso delle spese.

Le altre spese necessarie si dividono in ordinarie e straordinarie: le prime sono quelle che servono per le riparazioni ordinarie; esse non sono rimborsabili se non quando il possessore è tenuto alla restituzione dei frutti.

Le spese straordinarie, in quanto superano il limite della conservazione della cosa e delle sue utilità, devono essere rimborsate sia al possessore di buona fede che a quello in malafede.

Per quanto riguarda le spese utili (che hanno aumentato il valore della cosa), il rimborso è dovuto, purché i miglioramenti sussistano al tempo della restituzione, sia al possessore in buona fede che a quello in malafede.

Tuttavia, per quanto riguarda l'importo del rimborso, bisogna distinguere se il possessore era qualificato da buona fede o malafede: al possessore di buona fede l'indennità si deve corrispondere nella misura dell'aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti; a quello di malafede, nella minor somma tra lo speso e il migliorato.

Per le addizioni si applicano le regole già applicate in tema di accessione (§178).

Come all'enfiteuta, al possessore di buona fede è riconosciuto il diritto di ritenzione, ossia la facoltà di non restituire la cosa fino a che non gli siano corrisposte le indennità dovutegli.

Altro effetto importante, ricollegabile alla tutela del possesso di buona fede, è l'acquisto della proprietà di una cosa mobile, in forza di un titolo d'acquisto proveniente a non domino, cioè da chi non sia il proprietario del bene alienato.

In base al principio nemo plus iuris potest quam ipse habet, nel caso di alienazione a non domino, l'acquirente non dovrebbe acquistare la proprietà e dovrebbe restare soggetto al rischio di restituire il bene al vero proprietario. Ma siffatte rigorose conseguenze costituirebbero un grave ostacolo alla circolazione dalla ricchezza, nell'ambito dei beni mobili; essendo impossibile per i beni mobili l'istituzione di pubblici registri, il legislatore accorda eccezionalmente tutela pure ad alienazione a non domino. Sono però necessarie talune condizioni (altrimenti risulterebbe tutelato persino il ricettatore, che acquista la refurtiva dal ladro con piena consapevolezza della provenienza del bene), e precisamente:

a)  che l'acquirente abbia stipulato, benché con chi non è proprietario del bene, un valido atto d'acquisto, cioè possa vantare "un titolo idoneo al trasferimento della proprietà"

b)  che l'acquirente non abbia soltanto stipulato l'atto d'acquisto, ma abbia pure già acquistato il possesso del bene

c)  che l'acquirente sia in buona fede al momento dell'acquisto: ossia se ignori che l'alienante non abbia diritto di disporre della cosa, ma tale ignoranza non dipenda da sua colpa, che sussisterebbe se le  circostanze in cui ha avuto luogo l'acquisto avrebbero indotto in sospetto l'uomo medio.

È chiaro che se il possesso di buona fede costituisce un titolo di acquisto della proprietà, a maggior ragione deve produrre l'effetto di porre nel nulla i diritti sulla cosa che siano ignorati. Quindi se acquisto un bene in buona fede e chi me lo vende non mi dice che su di esso è costituito un pegno, non soltanto divento proprietario del bene, ma contro di me non può neppure essere fatto valere il diritto di pegno dal creditore pignoratizio.

La buona fede è esclusa se l'acquirente conosca l'illegittima provenienza della cosa, e ciò anche quando ritenga erroneamente che colui da cui  l'ha acquistata sia diventato nel frattempo proprietario (es. supponga che si sia verificata l'usucapione, mentre ciò non risponde al vero).

Può avvenire che una persona che aliena la stessa cosa a più persone, o costituisce la stesso diritto a favore di più persone o cerca di trasferire a persone diverse diritti tra loro incompatibili (es. vendo a Primus la proprietà di un bene ed a Secundus l'usufrutto dello stesso bene).

A rigore, se A ha alienato un bene il 1º novembre a Primus ed il 15 novembre a Secundus, questa seconda alienazione non dovrebbe avere effetti, perché fatta a non domino. Ma se Secundus ignora la prima alienazione, quindi è in buona fede, non può non essere applicato il principio "possesso di buona fede vale titolo". Secundus, quindi, acquista la proprietà della cosa e Primus non può rivendicarla, ma può chiedere ad A il risarcimento dei danni.

Perciò l'art. 1155 stabilisce che, se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, tra esse quella che ne ha acquistato in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il suo titolo è di data posteriore.

Per capire questo articolo, però, bisogna tenere presente che, per il trasferimento della proprietà di un diritto reale non occorre la consegna della cosa: basta, tra le parti, che l'alienante e l'acquirente abbiano raggiunto l'accordo e si sia formato il consenso affinché il contratto sia di per se stesso sufficiente a produrre il trasferimento.

Le azioni possessorie si contrappongono alle azioni petitorie(rivendicazione, azione negatoria, azione possessoria) che possono essere fatte valere solo dal proprietario del bene, indipendentemente dal fatto che ne sia anche il possessore.

Le azioni possessorie assicurano una tutela solo di carattere provvisorio perché, chi soccombe nel giudizio possessorio può vincere nel giudizio petitorio dove, peraltro, ha l'onere di dare la prova del diritto di cui si pretende titolare.

Tuttavia è precluso il c. d. "cumulo" del giudizio petitorio col possessorio: il primo può essere intentato solo concluso il secondo, a meno che non vi sia il rischio per il proprietario, di un danno irreparabile.





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