ePerTutti


Appunti, Tesina di, appunto diritto

IL PRINCIPIO DI SOGGETTIVITA' (Nullum crimen sine culpa)



ricerca 1
ricerca 2

IL PRINCIPIO DI SOGGETTIVITA' (Nullum crimen sine culpa)



Sezione I: LA COLPEVOLEZZA


La colpevolezza assume un duplice significato di elemento costitutivo del reato e principio fondante il nostro sistema penale.


L'evoluzione della responsabilità penale:




[per fatto altrui]


[oggettiva]


[colpevole]


Oltre al mero nesso di causalità è necessario, ai fini dell'imputazione soggettiva dell'evento penalmente sanzionato, che esso sia riconducibile alla sfera soggettiva di signoria dell'agente sul proprio comportamento. Gli istituti che disciplinano tale rapporto sono generalmente ricondotti al principio di colpevolezza (artt. 42-48 c.p., art.27 Cost.).


Particolare rilievo viene dato, soprattutto dal punto di vista storico, alla contrapposizione fra concezione psicologica(I) e normativa(II):

I.   Domina la seconda metà del XIX secolo, e si limita a definire la colpevolezza come il nesso psichico tra l'agente e il fatto. E' una concezione egualitaria che rappresenta la più caratteristica utopia illuministica. Il nesso psichico si contraddistingue per essere astratto, fisso ed eguale in tutti i casi, perciò non graduabile, che fonda ed esclude, ma non gradua la responsabilità.

La pena ha la funzione di retribuzione per il fatto oggettivo.

Limiti:

(i) Fallimento dello sforzo dommatico di costruire la colpevolezza come concetto di genere, astraendo gli elementi comuni del dolo e della colpa, trattandosi dal punto di vista psicologico di due realtà irriducibili: il dolo è un'entità psicologica reale (coscienza e volontà) e la colpa una entità psicologica potenziale (prevedibilità).

(ii)   Non consente una reale graduazione della colpevolezza ,imposta dalla insopprimibile esigenza di commisurare la responsabilità penale anche ai motivi dell'agire.


II.    Elaborata agli inizi del '900 considera la colpevolezza come il giudizio di rimproverabilità per l'atteggiamento antidoveroso della volontà che era possibile non assumere.

La C. è un concetto normativo che esprime il rapporto di contraddizione tra la volontà del soggetto e la norma. Rinunciando a costruire la C. come il genus, astraendo gli elementi comuni del dolo e della colpa, la presente teoria si sforza di costruire un concetto unitario di colpevolezza, incentrato sulla comune essenza, cioè sull'atteggiamento antidoveroso della volontà che qualifica sia il dolo che la colpa.

Tale concezione offre un modello graduabile di colpevolezza secondo criteri di valore che ne permettono la individualizzazione.


Funzioni politico-sostanziali assunte dalla colpevolezza:

(i) funzione fondante del potere punitivo, secondo la [concezione retributiva della pena]

(ii)   funzione politico-garantista di limite al potere punitivo, alla misura della pena [commisurazione giudiziale della pena], secondo le dominanti [concezioni utilitaristiche generalpreventive e specialpreventive].


La dimensione costituzionale del principio di colpevolezza.


La problematica della C. nel nostro ordinamento ha trovato un punto di riferimento nell'art.27/1 Cost.: "La responsabilità penale è personale". Contenuto minimale di tale disposizione è il divieto di responsabilità per fatto altrui; tale significato appare "banalizzante" e sminuisce la portata innovativa della disposizione.

Ulteriore argomento a favore della costituzionalizzazione del principio di C. è stato tratto dalla connessione fra il 1° e il 3° comma dell'art.27: "la funzione rieducativa della pena sarebbe a priori inconcepibile di fronte a fatti non psichicamente riportabili, almeno nella forma della colpa, al soggetto da rieducare.

Una svolta nella giurisprudenza costituzionale è rappresentata dalla sent.88/364 che per la prima volta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di una disposizione di legge (l'art.5 c.p.) per contrasto con l'art. 27/1 Cost. La sentenza ribadisce l'orientamento della Corte in merito al non tassativo divieto di responsabilità oggettiva dell'art.27 limitandola però ad un ambito di legittimità residuale degli elementi della fattispecie "meno significativi". In merito alla "significatività" , la resp. oggettiva è stata bandita per tutti gli elementi che attengono all'offesa quale nucleo centrale del reato, ovvero che determinano la misura della pena o una variazione significativa della misura della pena.


La risposta prevalente in dottrina è nel senso che punto di riferimento dell'imputazione soggettiva (nelle forme del dolo o della colpa) debbono essere gli elementi costitutivi intrinseci del reato, che attengono cioè alla sfera del bene protetto e accentrano in sé l'offensività del fatto.


Es. ill. Cost. dell'art.626 c.p. nella parte in cui esclude la conurabilità del reato meno grave di furto d'uso nell'ipotesi di mancata restituzione dovuta a caso fortuito o forza maggiore.

[Condizioni Obiettive di Punibilità]


Proseguendo l'analisi della colpevolezza secondo la concezione normativa, al fine dell'esigenza di dare conto alla complessità e graduabilità del giudizio di colpevolezza, vengono individuati una pluralità di presupposti:

i.   la normalità psichica dell'agente (imputabilità);

ii.  una attuale o potenziale relazione psicologica col fatto (dolo o colpa);

in.  la conoscenza o conoscibilità del precetto penale;

iv. l'assenza di cause di esclusione della colpevolezza [errore, aberratio].


·L'autonomia della questione dell'elemento soggettivo da quella dell'imputabilità -con applicazione di principio degli art. 42 e s.- è chiaramente affermata dalla giurisprudenza e della dottrina prevalente con la precisazione che nell'inimputabile si tratterebbe non di dolo o di colpa bensì di "pseudodolo" e di "pseudocolpa".

Seguendo la concezione normativa sul piano del diritto positivo vengono considerati non decisivi i disposti degli artt. 222 e 224, in quanto OVE L'IMPUTABILITA' MANCHI, POTRA' AVERSI SOLO PERICOLOSITA', NON COLPEVOLEZZA. Simile il rinvio dell'art.203 all'art.133, dove la valutazione del dolo o della colpa verrà limitata ai soli soggetti imputabili.

I risvolti della concezione psicologica sono quelli di ammettere la conurabilità di un reato nei confronti dell'agente imputabile, in quanto secondo la stessa la colpevolezza prescinde dalla imputabilità.

Essa rivela il suo punto critico nel caso dell'errore patologico(n.108) nei casi di infermità mentale o di totale sfacelo della psiche (psicosi alcoliche).


Il non imputabile è sottoponibile a misura di sicurezza secondo il codice Rocco, in quanto il suo status non fa venire meno il reato, ma costituisce semplicemente una causa personale di esenzione da pena. Infatti il codice Rocco agli artt. 86, 111, 648 qualifica come "reato" o "delitto" anche il fatto commesso dal non imputabile. Al fine dell'adozione di una misura di sicurezza è necessario che il fatto sia espressione della personalità anormale del soggetto.

in conclusione si puo' affermare che elemento soggettivo essenziale del reato non è la colpevolezza, ma la appartenenza psichica del fatto all'agente.


[Conoscenza del disvalore del fatto], [dolo], [ignorantia legis colposa], [ignoranza incolpevole]


Sezione II: LA SUITAS DELLA CONDOTTA.


La coscienza e volontà, richiesta dall'art.42/1, non è un inutile duplicato della capacità di intendere e di volere, richiesta dall'art.85 per l'imputabilità. Mentre la capacità d'intendere e di volere è uno status personale, coscienza e volontà riguardano il rapporto specifico tra volontà del soggetto ed un determinato atto. Prova ne è il fatto che l'individuo può essere imputabile e, cionondimeno, compiere una azione senza coscienza e volontà, come nei casi di sonnambulismo, forza maggiore, ecc. Senza la prima manca la capacità alla pena, senza la seconda la capacità ad ogni conseguenza penale.

Coscienza e volontà sono attributi della condotta criminosa, esprimendo le condizioni minime richieste dall'ordinamento perché un comportamento dell'uomo, modellato su un'astratta fattispecie penale, gli possa essere "normalmente" riferito, sia cioè "proprio" di costui.

La volontà che caratterizza l'azione, secondo la formula dell'art.42 non è ristretta al semplice "impulso volontario" essendo comprensiva anche di quegli atti automatici che non si svolgono nel campo della coscienza: atti riflessi, istintivi ed abituali. Tale genus di atti non privi di valore rappresentativo per la personalità umana sono quelli fra i movimenti automatici che possano essere impediti dalla volontà col suo potere d'arresto, le omissioni inconsapevoli che possano essere impedite con uno sforzo del volere.

Il minimo richiesto per l'esistenza del reato dovrebbe meglio definirsi come dipendenza dal volere: comprendente tutti gli atti dovuti ad uno sforzo cosciente, in cui la volontà si manifesta come potere d'impulso o d'inibizione; nonché le condotte incoscienti o colpose potenzialmente evitabili con uno sforzo intellettivo inbitore.

Nella costruzione separata delle fattispecie attive e omissive, dolose e colpose la coscienza e volontà viene ricondotta alla problematica dell'imputazione delle diverse categorie di reati.

Nelle fattispecie dolose l'art.42/1 non giocherebbe alcun ruolo autonomo, mentre avrebbe rilievo (al pari degli artt. 45 e 46) nell'ambito della colpa: la formula della mancanza di coscienza e volontà sarebbe espressione riassuntiva di tutte le circostanze anormali (diverse da quelle tipizzate da altre disposizioni: costringimento fisico, caso fortuito, forza maggiore) la cui presenza possegga la riconosciuta attitudine a precludere o perlomeno a rendere più difficile, anche all'agente tipo, il potenziale intervento regolatore della coscienza e volontà.

[art.45 forza maggiore], [causalità],

[art.46 costringimento fisico], [art. 54 costringimento psichico], [scriminanti]


Sezione III: IL DOLO.


Il dolo è un elemento soggettivo del reato e costituisce la forma più grave di colpevolezza.

La funzione del dolo - di costituire il criterio fondamentale dell'imputazione soggettiva (art.42/2 c.p.)- trova nell'identità fra fatto voluto e fatto previsto dalla legge come reato il collegamento della volontà della legge con la volontà individuale, condizione indispensabile perché la legge possa imporre la sua forza inibitoria.


I casi di divergenza fra il voluto e il realizzato sono disciplinati negli artt. 59, 60, 82, 83, 116, 586.


La definizione di dolo dell'art.43/1, con riferimento all'intenzione alla causazione dell'evento, presenta alcune carenze definitorie i) essendo modellata su fattispecie causalmente orientate e non includendo la forma del dolo eventuale; ii) difetta inoltre nei reati di mera condotta, non riconducibili alla disposizione se non tramite il ricorso al concetto di evento giuridico; in) non viene neppure tracciato il confine fra dolo e colpa essendo ammissibile la coesistenza della rappresentazione dell'evento del fatto tipico con lo stato soggettivo di colpa cosciente (più corretto sarebbe un riferimento al fatto che costituisce reato).


Per una nozione più esauriente di dolo è necessario guardare al complesso di disposizioni che, in via positiva o negativa, disciplinano la rilevanza od irrilevanza della rappresentazione e volizione di dati elementi (artt. 5, 44, 47, 59).


Il dolo richiede rappresentazione e volontà del fatto materiale tipico.


Nel fatto materiale tipico convergono tutti gli elementi obiettivi della fattispecie criminosa, escludendo quelli la cui rilevanza è esclusa ai fini dell'imputazione (condizioni obiettive di punibilità, circostanze).


La rappresentazione del fatto tipico è compatibile con la colpa cosciente.



Struttura del dolo.


Sull'essenza del dolo si sono succedute diverse teorie:


La teoria della intenzione ne ravvisava l'essenza nella volontà diretta a cagionare l'evento, come fine ultimo o come mezzo necessario per il suo conseguimento.

Tale teoria peccò per difetto, non comprendendo nella definizione di dolo i casi in cui, pur mancando l'intenzione, la coscienza giuridica riteneva trattarsi di reati dolosi (dolo eventuale).


La teoria della rappresentazione ritenne che il dolo consistesse nella volontà della condotta e nella previsione dell'evento.

Tale teoria pecca per eccesso, dilatando eccessivamente l'ambito del dolo fino a ricomprendervi le attuali ipotesi di "colpa con previsione dell'evento"(art. 61, n.3).


Oggi si è approdati alla più soddisfacente teoria della volontà facente rientrare nel fuoco della volontà non solo la intenzione, ma anche l'accettazione del rischio della causazione dell'evento.



Oggetto del dolo.


Fanno parte dell'oggetto del dolo, riflettendosi secondo la loro peculiare struttura nel processo psicologico, la condotta tipica, l'evento naturalistico, le circostanze antecedenti o concomitanti tipizzate dalla legge.

· Sul piano analitico, si distinguono elementi che possono e debbono essere oggetto di volizione (la condotta materiale dell'agente) ed altri (in genere gli elementi del fatto tipico indipendenti dalla condotta dell'agente) che, isolatamente considerati, non possono che essere oggetto di rappresentazione.


· Oggetto di rappresentazione:

i)   tutti gli elementi positivi naturalistici, precedenti e concomitanti, alla condotta: i presupposti, gli strumenti e i mezzi, il luogo e il tempo della condotta, l'oggetto materiale, le qualifiche del soggetto passivo (art.47/1).

ii) gli elementi negativi del fatto (art.59/4 "scriminante putativa").

in)    [elementi normativi, qualifiche del soggetto attivo, errore sulla legge extrapenale]




· Oggetto di rappresentazione e volizione.

i)     condotta

ii)    evento naturalistico quale conseguenza della condotta.


(segue)coscienza dell'offesa agli interessi tutelati.

Limitativa la tesi secondo cui il dolo si esaurirebbe nella coscienza e volontà del solo fatto materiale; secondo un recente filone dottrinale il dolo dovrebbe richiedere la coscienza di offendere l'interesse protetto dalla norma, la coscienza di "illiceità penale" necessaria urta contro l'ostacolo insormontabile dell'art.5.

Problema che viene acuito in ambito penale dai delitti artificiali [cfr delitti naturali] di mera creazione legislativa ponendo il problema della formulazione delle fattispecie criminose in termini di offensività [beni giuridici astratti][reati di pericolo].

[reati di offesa] L'offensività va intesa in senso laico di offesa agli altrui interessi secondo il senso dell'uomo comune, la coscienza dell'offesa non dipende dall'ideologia dell'agente essendo pacifica la sussistenza del dolo nel c.d. "agente per convinzione", il quale ritenga di potere o di dovere tenere un comportamento che sa essere antigiuridico)

Rispetto ai [reati di scopo, reati ostacolo] il dolo richiede la mera coscienza del fatto materiale tipico, non essendo qui l'offesa elemento costitutivo ed identificandosi con la conoscenza del disvalore sociale, della antidoverosità del fatto, con la stessa coscienza della esistenza della norma.

E' qui che la sent. della Corte Cost. n.364/88 mostra la sua capacità innovativa richiedendo la conoscibilità del precetto penale (requisito del principio colpevolezza).



Forme del dolo


(segue) contenuto psicologico del dolo

Attiene alla commisurazione della pena (art.133/1, n.3) il tema dell'intensità del dolo. Dal punto di vista psicologico, si fa una graduazione fra il dolo di proposito al cui estremo vi è la premeditazione (art.577 n.3) ed il dolo d'impeto, in cui non vi è soluzione di continuità cronologica fra l'insorgere e l'attuazione del proposito delittuoso e che evoca la problematica degli stati emotivi e passionali (art.90).

Da rilevare nell'art.62 n.2, 3 "l'aver agito in stato d'ira o per suggestione di una folla" considerate circostanze attenuanti comuni (il n.3 è precluso ai delinquenti abituali, professionali e per tendenza).

[premeditazione e Actiones liberae in causa] [incapacità procurata]


(segue) dolo eventuale.

Tipologia di dolo nella quale la realizzazione del fatto-reato, non voluta dall'agente (intenzione), è prevista e accettata come possibile (eventuale) conseguenza della propria condotta salvo che occorra un dolo specifico.

Forma riconducibile all'art.43, non come finzione giuridica ma come "realtà psicologica che assimila al dolo diretto o intenzionale l'atteggiamento di chi, essendosi rappresentato le possibili ulteriori conseguenze della propria azione criminosa, continua ad agire a costo di provocarle, accettandone il rischio, e trasferendo quindi nel raggio della volontà ciò che era solo nella previsione".

"Accettazione del rischio" significa dunque che l'agente ha agito pur essendosi rappresentato in concreto (ancorché non in termini di certezza) la realizzazione del fatto tipico quale possibile conseguenza della propria azione.

La dottrina cerca di precisare quali atteggiamenti di fronte alla previsione (indifferenza, ratifica dell'evento, etc.) possano ritenersi equivalenti alla volontà dell'evento.

Differenze ontologiche fra dolo e colpa impediscono la scelta fra le due forme di imputazione su differenze meramente quantitative nel grado di probabilità del verificarsi del risultato.

Un atteggiamento emozionale negativo rispetto all'evento è di per sé compatibile con qualsiasi forma di dolo (compreso il dolo intenzionale: persino la realizzazione dell'obiettivo avuto di mira può essere accomnata da sentimenti di disagio o dispiacere, là dove si tratti di obiettivi strumentali ad altri ritenuti più importanti).


(segue) motivi dell'agente.

Con la denominazione di dolo specifico si suole indicare una finalità dell'agente, che deve sussistere perché si abbia il reato, ma non è necessario si realizzi perché il reato sia consumato (sequestro a fini estorsivi, senza effettivo amento del riscatto richiesto dai rapitori).

Attiene alla tipizzazione e interpretazione di singole norme incriminatrici.

In merito a tali fattispecie è stata sollevata una questione di legittimità costituzionale stante l'inammissibilità del radicare la responsabilità penale su un mero atteggiamento psichico, in presenza di una condotta di per sé "neutra": la legittimità Cost. di fattispecie a dolo specifico sarebbe sostenibile solo in quanto si postuli un'idoneità lesiva del fatto rispetto a quell'interesse del quale è sintomatico il dolo specifico, ossia un obiettivo tendere all'azione, una sua oggettiva adeguatezza alla produzione dell'evento lesivo posto dall'agente nel fuoco dell'intenzione ed espressivo dell'interesse tutelato.


Si deve tenere eccezionale il fenomeno di uno scopo dell'agente che concorra a qualificare l'azione sul versante della tipicità.


Vi è compatibilità del dolo specifico col dolo eventuale solo qualora non riguardi il fine; quindi:

a) incompatibile rispetto alla strage ex art.422, è la finalità del soggetto che agisce per provocare un incendio e non per uccidere, pur accettando la prevista conseguenza che dall'incendio derivi la morte di persone; b) compatibile rispetto al furto è il caso in cui taluno si impossessi, al fine di trarne profitto, della cosa altrui, incerto se sia propria o di altri.

[Concezione psicologica della colpevolezza], [Principio di Offensività]


Esempi di delitti a dolo specifico:

art. 624 Furto. "al fine di trarre profitto".

art.605 Sequestro di persona.

art.630 Sequestro di persona a scopo di estorsione. "al fine di conseguire un ingiusto profitto come prezzo della liberazione."



Sezione IV: LA COLPA.


La responsabilità colposa, unitamente a quella preterintenzionale, nell'impianto codicistico è eccezionale (art.42/2). In virtù dell'art.43/2 è estensibile alle contravvenzioni.


Caratterizzata in negativo dalla mancanza della volontà del fatto-reato la responsabilità colposa trova, secondo la dottrina più moderna, il suo fondamento positivo unitario nella inosservanza di regole espressamente prescritte, o evocate dalle nozioni di diligenza, prudenza, perizia in funzione di tutela preventiva di determinati beni da determinati eventi dannosi: la realizzazione involontaria del fatto-reato è imputata a colpa, in quanto si sarebbe potuta evitare mediante l'osservanza, esigibile [resposabilità oggettiva "occulta"] dal soggetto, di tali norme.


La colpa è conurabile non solo quando non è voluto l'evento (art.43/1), ma anche quando il soggetto, pur avendo voluto l'evento, non si sia rappresentato un qualsiasi altro elemento positivo o negativo. Il che si verifica nei casi di c.d. colpa impropria rinvenibili negli artt. 47, 55, 59.

[errore sul fatto determinato da colpa], [eccesso colposo nella causa di giustificazione], [supposizione colposa di una causa di giustificazione inesistente].


[colpa incosciente], [colpa cosciente]

Distinzione accolta nell'art.43/1 ed aggravante comune dell'art.61 n.3.


Colpa generica.

Le qualifiche generiche di negligenza, imprudenza, imperizia si riferiscono all'inosservanza di regole non formalizzate, sulle quali fondare un criterio d'imputazione che non si esaurisca nel mero oggettivo divieto di realizzare un certo risultato.

Per negligenza si intende il mancato adeguamento del comportamento tenuto alle regole sociali che prescrivono le modalità di svolgimento di quel tipo di azione; per imprudenza la positiva antitesi con regole sociali che vietano certe azioni o certe modalità di azione; per imperizia l'insufficiente adeguamento alle regole tecniche (di competenza e di abilità) valevoli per determinate attività; trattasi di negligenza o imprudenza qualificate a seconda che tali regole tecniche violate prescrivano un facere o un non facere.

Il problema dell'individuazione delle concrete regole cautelari è impostato dalla dottrina alla stregua dei criteri della prevedibilità (o meglio rappresentabilità) e prevenibilità dell'evento secondo la migliore scienza ed esperienza del momento storico in quello specifico settore.

La prevedibilità non è un elemento costitutivo della colpa ma un presupposto logico perché il comportamento del soggetto possa qualificarsi imprudente o negligente, insomma un elemento di giudizio in concreto da cui non si può prescindere.

Le regole di condotta vanno individualizzate in rapporto ai diversi tipi di attività. Prevedibilità e prevenibilità vanno determinate in base al parametro relativistico dell'agente-modello. Tramite tale criterio di ripartizione degli standards di conoscenze è possibile ricondurre tutti gli uomini ad una pluralità di "gruppi ideali" in base a caratteri comuni. Ne discende che è individuabile una pluralità di agenti modello in corrispondenza dei diversi tipi di attività e condizioni; che lo stesso soggetto può essere ricondotto a più agenti modello in rapporto alla specifica attività svolta.


Colpa specifica.

L'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline può fondare una responsabilità per colpa, concretamente diversa dalla responsabilità oggettiva per versari in re illicita, in quanto si tratti di inosservanza di norme precauzionali, dirette a prevenire eventi pregiudizievoli del tipo di quello in concreto verificatosi che vi collega l'esigenza di un rapporto di causalità fra l'inosservanza della norma e l'evento.

In dottrina si osserva che le regole codificate, in quanto previsioni astratte di prudenza o diligenza, non sarebbero criteri decisivi per la determinazione del comportamento dovuto nel caso concreto, e si sottolinea la distinzione fra regole rigide (divieto di sorpasso a destra) ed elastiche (velocità non superiore ai 50 km/h ed adeguata alla circostanza concreta, distanze di sicurezza fra autoveicoli), rilevando come in queste ultime lo stesso contenuto della prescrizione abbisogna di essere concretizzato mediante i consueti canoni della prevenibilità e prevedibilità.

Ulteriore questione è quella se occorra la "prevenibilità in concreto" dell'evento, nel senso che over il comportamento fosse stato regolare il sinistro non si sarebbe verificato: la dottrina respinge la tesi secondo cui, a fondare la colpa, sarebbe sufficiente che dall'inosservanza della norma cautelare sia derivato un aggravamento del rischio: l'esigenza della prevenibilità in concreto dell'evento, come tale da accertare positivamente, costituisce il superamento dei residui della logica del versari in re illicita.

Il limite logico alla applicazione delle norme preventive a struttura rigida è individuato là dove la loro osservanza si risolverebbe in un aumento, e non diminuzione del rischio. Tale prospettiva viene valutata nella valutazione delle manovre d'emergenza.

Necessaria a escludere la colpa, l'osservanza delle norme specificamente dettate per determinate attività non è sufficiente: occorre in ogni caso il rispetto delle regole dettate dalla prudenza ecc.


Colpa comune.

Riguarda attività lecite nelle quali le regole di condotta hanno finalità di prevenzione di qualsiasi misura di rischio. Dovere di astensione dall'attività allorché diventi pericolosa.


Colpa professionale (medica, stradale, sportiva).

Un limite alla responsabilità per colpa è correntemente indicato nel "rischio consentito", con particolare riguardo allo svolgimento di attività intrinsecamente pericolose, ma autorizzate e disciplinate dall'ordinamento.

In tali casi è necessaria l'adozione di misure cautelari idonee ad evitare il superamento del rischio consentito nell'esercizio dell'attività stessa. La precaria delimitazione dei confini del rischio permesso dipende da un bilanciamento d'interessi: da un lato, l'interesse allo svolgimento d'una data attività, e dall'altro lato la misura del rischio ad essa relativo (in funzione della probabilità, del tipo, della gravità e del numero di eventi lesivi che potrebbero derivarne). L'individuazione della regola di diligenza, in relazione alle concrete situazione, è funzione d'un tale bilanciamento, i cui parametri debbono essere ricercati nell'ordinamento giuridico.

Vengono in rilievo, in questa prospettiva, eventuali autorizzazioni amministrative, le quali prevedano particolari criteri per lo svolgimento di date attività o particolari requisiti soggettivi d'idoneità, e che sono in ogni caso fonte di nuovi specifici doveri di diligenza; o l'esistenza di regole cautelari scritte, che peraltro non vanno scambiate per presunzioni assolute di composizione degli interessi in gioco.


De jure condendo la definizione dell'art.43 potrebbe essere così riformulata:

"Il delitto è colposo quando il fatto, che costituisce il reato, non è voluto, ma fu previsto od era prevedibile e poteva essere evitato con l'osservanza delle regole di condotta che il soggetto agente era tenuto a d osservare in ragione della attività svolta e della propria condizione".



Sezione V: LA PRETERINTENZIONE.



Collocata nel codice come terza forma di colpevolezza, intermedia fra dolo e colpa, la preterintenzione non appare tale alla dottrina che osserva come tra la volontà e la non volontà dell'evento tertium non datur.

I problemi specifici della ura hanno radice nella struttura oggettiva, con il riferimento a due eventi distinti: il primo abbracciato dalla volontà, ed il secondo e più grave "oltre" l'intenzione, e dal quale si discute se il criterio d'imputazione sia costituito dalla colpa o dalla responsabilità oggettiva.


In parte della dottrina (MANTOVANI) la preterintenzione è definita come "dolo misto a colpa" riferendosi il dolo al reato meno grave e la colpa all'evento più grave in concreto realizzatosi.


Secondo tale concezione l'agente risponde soltanto di quei risultati ulteriori, che sono prevedibili ed evitabili secondo il parametro dell'agente-modello (cioè in base a colpa in concreto).

· A sostegno di detta teoria:

i.   sul piano sistematico la preterintenzione è inserita topograficamente fra il dolo e la colpa, come ura intermedia nell'ordine crescente di colpevolezza dell'art.43.

ii. nell'art.42 viene prevista come ura distinta dalla responsabilità oggettiva.

in. sotto il profilo della costituzionalità la soluzione appare imposta dall'art.27 Cost, fornendo una interpretazione conforme al principio della responsabilità personale.


· Problematiche di detta teoria:

E' difficoltoso trovare una norma cautelare doverosa nell'esercizio di attività penalmente sanzionate; essa è individuata per attività lecite e viene indirettamente in rilievo per quelle illecite.





Un altro consistente filone (Antolisei) definisce la preterintenzione come misto di dolo e di responsabilità oggettiva, richiedendo per l'imputazione dell'evento più grave il solo nesso causale.


Viene argomentato che il codice non esige che l'evento più grave sia dovuto a negligenza o imprudenza, distinguendo l'ipotesi di colpa per inosservanza della legge penale dalle forme di responsabilità oggettiva, di cui la preterintenzione è un esempio.

Con riguardo alla determinazione del tipo di rapporto causale fra il reato voluto e l'evento più grave realizzato, richiede che l'evento cagionato sia conseguenza della specifica modalità lesiva voluta dall'agente.


La dottrina è andata alla ricerca di ure criminose riconducibili al paradigma della preterintenzione, al di là dell'unica definita "preterintenzionale" dalla legge (art.584), ed ha individuato come preterintenzionali alcuni reati aggravati dall'evento (Rapporto fra l'art.581 "Percosse" e l'art.582 "Lesione personale" per la conseguenza di una condotta causante lesione personale dalla quale derivi una malattia nel corpo o nella mente).


2. Reati aggravati dall'evento.


Rispetto ai delitti qualificati dall'evento, o si ritiene il suddetto articolo ne ribadisca la natura autonoma, sia per la sua altrimenti non corretta formulazione, perché l'evento aggravante, dovendo seguire la condotta, può essere "rappresentato" o "rappresentabile" più che "conosciuto" o "conoscibile"; sia perché, sottoponendo tale evento alla integrale nuova disciplina delle circostanze, si perverrebbe all'assurdo di punire, ad es., omicidi dolosi come maltrattamenti in famiglia.

Oppure si afferma la natura circostanziale dell'evento aggravante, sotto lo stimolo di sottrarlo alla responsabilità oggettiva, ma col grave inconveniente di renderlo bilanciabile, ed allora esso - nei casi in cui costituisca, altresì, elemento tipico di altro reato (es.: lesioni personali o morte, di cui agli artt. 572, 572, 588, 591, 592)- dovrà essere imputato come circostanza solo quando è dovuto a colpa, per evitare il suddetto assurdo.

Ora che tutte le circostanze sono soggette a bilanciamento, ricondurre quei reati in cui l'evento ulteriore non è voluto dall'agente (maltrattamenti in famiglia, abuso di mezzi di correzione, abbandono di persone minori o incapaci) nello schema preterintenzionale, evita che l'evento ulteriore quale anzitutto la morte o le lesioni, possa degradare a mera circostanza bilanciabile con altre attenuanti del tutto eterogenee.

Così come va ribadito che sono reati autonomi le lesioni gravi e gravissime.

La verità è che il bilanciamento vanifica la funzione individualizzatrice, svolta dalle circostanze, del trattamento sanzionatorio, amputando la considerazione di una gamma di elementi significativi sulla base del raffronto, di non facile orientamento, sui dati più eterogenei e spesso incommensurabili. Viene auspicato un ritorno al sistema della applicazione di tutte le circostanze eterogenee.

[Circostanze del reato]



Approfondimenti:


I reati aggravati dall'evento. Studium Juris, n.5, .554, 1996





Sezione VII - CAUSE DI ESCLUSIONE DELLA COLPEVOLEZZA


Le cause di esclusione della colpevolezza o scusanti sono cause che escludono la punibilità, in quanto escludono la colpevolezza, per mancanza di rimproverabilità, rispetto ad un fatto, che oggettivamente resta illecito (perché non scriminabile in base al bilanciamento degli interessi).


A seconda del momento dell'iter criminis su cui l'errore incide, occorre distinguere tra: errore motivo ed errore inabilità.


L'errore-motivo, cade nel momento ideativo del fatto, sul processo formativo della volontà, la quale nasce perciò viziata da una falsa rappresentazione del reale.


L'errore è falsa conoscenza della realtà naturalistica o normativa.


Quanto diremo sulla rilevanza dei diversi tipi di errore vale per gli imputabili. Per l'errore dei non imputabili bisogna distinguere tra: 1) errore patologico 2) errore normale.

Il problema della rilevanza dell'errore-motivo abbraccia non solo lo scontro tra il dogma autoritario della incondizionata obbligatorietà della legge e il principio della responsabilità penale personale, ma anche, e innanzitutto, impostazioni dogmatiche non sempre corrette.

Non può essere correttamente impostato e risolto sulla base della natura dell'errore: cioè attraverso la contrapposizione tra error juris, inescusabile ed error facti scusabile. Su tale base non si è mai riusciti a dare una adeguata risposta al vero problema dell'errore: l'errore su legge extrapenale richiamata dalla norma penale. Mentre in certi paesi viene assorbito nell'errore sulla legge penale, e non scusa, in altri viene equiparato all'errore di fatto e scusa. Entrambe le soluzioni peccano per eccesso poiché non consentono di distinguere a seconda che l'errore sulla legge extrapenale equivalga negli effetti psicologici ultimi, all'errore sulla legge penale oppure all'errore di fatto.

Né risultati del tutto soddisfacenti ha dato la distinzione tra errore sul precetto ed errore sul fatto, già introdotta dal codice italiano del 1930. E ciò in quanto la dottrina italiana, attardatasi sugli aridi lidi dell'error facti e dell'error juris non seppe cogliere in tutta la sua razionale forza risolutiva, la nitida distinzione legislativa, non pervenendo ad una adeguata elaborazione dei criteri per distinguere tra errore sulla legge extrapenale, che si traduce in un errore sul fatto, e l'errore sulla legge extrapenale che si esaurisce in un errore sul precetto.


Il criterio razionale di distinzione va ricercato non tanto nella natura, facti o juris, dell'errore, bensì tenendo conto degli effetti psicologici ultimi e, quindi dell'oggetto finale dell'errore, considerati alla luce del principio della responsabilità colpevole.


Per tale principio il dolo non è soltanto coscienza e volontà del fatto oggettivo tipico, ma altresì, per i reati di offesa, coscienza della offensività o antisocialità dello stesso e per tutti i reati, conoscibilità della legge penale, cioè della illiceità (Corte Cost., n.364/1988). Presupposto necessario perché l'agente possa rendersi conto di agire in modo offensivo, antisociale, è che egli abbia la coscienza e volontà di porre in essere un fatto identico a quello tipico e non un fatto diverso. Poiché ciò basta per ritenersi escluso il dolo, può concludersi che l'errore esclude il dolo a seconda che precluda o meno la coscienza e volontà del fatto previsto dalla norma penale.


Il criterio razionale di distinzione, recepito dagli artt.5 e 47, è quello della summa divisio tra:

Errore sul precetto penale.

Si ha quando il soggetto si rappresenta e vuole un fatto che è perfettamente identico a quello previsto dalla norma penale, ma che egli, per errore su questa, crede che non sia illecito, non costituisca reato. Si tratta di errore che si arresta alla sola antigiuridicità: che investe soltanto il divieto-comando del fatto, ma non anche il fatto oggetto di esso. Può derivare da errore su legge penale o da errore su legge extrapenale da questa richiamata.


Errore sul fatto.

Si ha quando il soggetto, che ben può avere una esatta conoscenza della norma penale, crede di realizzare un fatto diverso da quello da essa previsto, l'errore deve essere essenziale, cioè avere per oggetto uno o più degli elementi oggettivi richiesti per l'esistenza del reato. Si tratta pertanto di un errore o che neppure investe il precetto (errore di fatto) o che comunque non si ferma ad esso soltanto (certi errori su legge extrapenale), ma che riguarda il fatto voluto: la sua corrispondenza al fatto tipico. Può derivare da errore di fatto o da errore su legge extrapenale o penale o su norma extragiuridica (sociale-culturale), richiamata.


Nel primo caso il soggetto erra sulla sola fattispecie legale, sulla qualificazione penale del fatto commesso; nel secondo sulla fattispecie concreta, sulla corrispondenza del fatto commesso alla fattispecie legale.


L'errore sul precetto può essere dovuto:

a) ad errore su legge penale, direttamente, dalla ignoranza od erronea interpretazione o sensopercezione della stessa legge penale (Tizio vuole un fatto identico a quello incriminato dall'art.575, ma malinterpreta la norma sull'omicidio, uccidendo un infante non vitale o un moribondo, credendo che essi non rientrino nel concetto di uomo);


b) ad errore su legge extrapenale, indirettamente, dalla ignoranza o dalla erronea interpretazione o sensopercezione della legge extrapenale (civile, amministrativa, processuale, ecc.), richiamata dalla norma penale, nelle sole e non frequenti ipotesi in cui tale errore di diritto extrapenale non si traduca anche in un errore sul fatto (Il debitore che compia le azioni previste dall'art.216 legge fall., ignorando di essere imprenditore per errore sulla legge civile).


Disciplina

L'errore sul precetto cade sotto il disposto dell'art.5, che - dopo la sent.364/88 della Corte Cost. - sancisce il principio dell'error vel ignorantia legis non excusat non più in termini assoluti, ma solo se trattasi di ignoranza o di errore evitabili; sia esso determinato da errore sulla legge penale o extrapenale, trattandosi di errori identici negli effetti e, perciò, da sottoporre alla stessa disciplina. Ciò si desume anche dall'art.47/3, che limitando la scusabilità al solo errore sulla legge extrapenale che si traduca in un errore sul fatto, implicitamente rimette all'art.5 l'errore extrapenale che comporti soltanto un errore sul precetto.


2. L'errore sul fatto può essere dovuto:

a)  ad errore di fatto b) ad errore su legge extrapenale o extragiuridica.


Nel caso di errore di fatto di cui al punto a), ne possono costituire l'oggetto:

sia gli elementi positivi del fatto materiale di reato, cioè la condotta, gli elementi ad essa preesistenti o concomitanti (qualifica del soggetto passivo, presupposti, oggetto materiale, strumento o mezzo, tempo e luogo della condotta), il nesso causale, l'evento;

sia gli elementi negativi del fatto (assenza di scriminanti), come si ha nella erronea supposizione della esistenza di una scriminante (scriminante putativa);

sia rispetto agli elementi normativi.


Disciplina

In conformità al principio della responsabilità personale l'art.47/1 dispone, in via generale, che "L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell'agente. Nondimeno(tuttavia), se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo". Tale disciplina è specificatamente ribadita per l'errore sugli elementi negativi dall'art.59/4.

[colpa impropria]

Dagli artt.47/1 e 59/4 si desume che l'errore sul fatto derivante da errore di fatto, esclude sempre e necessariamente il dolo, in quanto l'agente si è rappresentato ed ha voluto un fatto diverso da quello previsto dalla norma penale. Esclude anche la colpa quando sia incolpevole o scusabile, allorché nessun rimprovero possa muoversi all'agente.

La colpa non viene meno quando l'errore sia colpevole o inescusabile, cioè dovuto ad imprudenza, negligenza, imperizia e perciò evitabile osservando le dovute regole di attenzione e precauzione. In tal caso il soggetto risponderà per colpa, nei casi in cui la legge preveda il fatto come delitto colposo.


Nel caso di errore sul fatto dovuto ad un errore su legge extrapenale.


L'art.47/3 dispone che "L'errore su una legge diversa dalla legge penale esclude la punibilità, quando ha cagionato un errore sul fatto che costituisce reato".

E così distingue tra: 1) un errore sulla legge extrapenale che si risolve in un errore sul fatto e, che, pertanto scusa; 2) un errore sulla legge extrapenale che non si risolve in un errore sul fatto e che, perciò non scusa: trattasi di errore sul precetto, sulla legge penale.

Non distinguendosi chiaramente tra errore di fatto ed errore sul fatto, non si è capito che l'errore sulla legge extrapenale è irriducibile all'errore di fatto, ma ben può dare luogo, come questo, ad un errore sul fatto.

Ma quand'è che un errore di diritto extrapenale può tradursi o meno in un errore sul fatto? Ciò avviene, sempre, quando la legge extrapenale è richiamata dalla stessa norma penale per il tramite degli elementi normativi.



Si discute se altrettanto sia possibile quando non esistano nella fattispecie elementi normativi richiamanti la legge extrapenale.(es.: il genitore che errando sulle norme fiscali presenta una dichiarazione non veritiera sul reddito familiare per ottenere il presalario per il lio studente universitario, tale soggetto non ha avuto la consapevolezza di porre in essere un raggiro truffaldino).

In siffatti casi , esiste un elemento normativo implicito o compreso in un'espressione linguistica più vasta (es.: artifici e raggiri, nella truffa); ciò che importa è che si tratti di errore essenziale, che si riflette su un elemento costitutivo del reato. Irrilevante è, ad es., che il ladro creda, per errore sulla legge civile, che la cosa rubata sia di A anziché di B.

Anche il problema dell'errore sulla legge extrapenale va risolto sulla base degli effetti psicologici ultimi, dell'oggetto finale di esso: a seconda cioè che esso si limiti soltanto ad un errore sul precetto oppure si traduca in un errore sul fatto.


I.    Quando l'errore extrapenale non si esaurisce in un errore sul precetto, ma comporta un errore sul fatto, esso è ontologicamente identico, negli effetti psicologici ultimi, all'errore sul fatto determinato da un errore di fatto.

In entrambi i casi l'agente vuole un fatto concreto diverso da quello vietato dalla norma penale, quindi agisce senza la coscienza della offensività - illiceità del fatto, e non gli è neppure rimproverabile, perché irrilevante, la eventuale ignoranza, evitabile, della legge. (es.: Tizio non vuole compiere alcun atto di appropriazione della cosa altrui disponendo di una cosa che crede gli appartenga per erronea interpretazione della legge extrapenale "usucapione"; tale ipotesi di errore extrapenale in nulla si differenzia per essenza psicologica, da quelle simmetriche di chi, per errore di fatto, crede che l'animale cacciato sia res nullius o che il precedente matrimonio sia stato contratto ioci causa o del medico che sezioni l'essere vivente avendolo scambiato per un cadavere).

L'art.47/3 non costituisce alcuna deroga all'art.5, bensì è espressione del principio generale sul dolo e della responsabilità personale: punire per dolo chi ha voluto un fatto diverso da quello vietato dalla legge penale, sarebbe ammettere una ipotesi di [responsabilità oggettiva] fuori dei casi espressamente previsti dalla legge.

Con lo specifico disposto dell'art.47/3, il legislatore ha inteso soltanto evitare possibili equivoci, collocando espressamente l'errore in questione nell'ambito della disciplina dell'errore sul fatto, già completamente fissata nei primi due commi dell'art.47.

Si traduce in un errore sul fatto anche l'errore sulla legge extrapenale richiamata dagli elementi normativi delle scriminanti (es.: così nel caso di chi crede di agire per legittima difesa o col consenso dell'avente diritto perché per errore sulla legge extrapenale ritenga ingiusta l'offesa minacciata al proprio bene o che il consenso sia prestato da chi può validamente consentire). In entrambi gli errori il fatto voluto è diverso da quello previsto dalla fattispecie legale, quale risulta dall'insieme degli elementi positivi e negativi.

Dà luogo ad errore sul fatto anche l'errore su legge extrapenale nelle ipotesi c.d. di antigiuridicità o illiceità speciale (n.42), rif. art.348 "esercizio abusivo della professione..", art. 619 "abuso di qualità", art. 606.




II.   Quando l'errore sulla legge extrapenale non comporti un errore sul fatto, ma si limiti ad un errore sul precetto, sulla sola norma penale, esso è ontologicamente identico, negli effetti psicologici, all'errore che cade direttamente sulla stessa norma incriminatrice.

In entrambi i casi l'agente vuole un fatto identico a quello previsto dalla legge penale come reato, ma che egli crede, per errore su questa, che non sia vietato, quindi non è preclusa la coscienza della offensività del fatto, né viene meno la rimproverabilità per l'ignoranza evitabile della illiceità.

Derivi direttamente dall'errore sulla norma penale o indirettamente dall'errore sulla legge extrapenale, l'errore sul precetto non può non sottostare alla identica disciplina dell'art.5.

Sulla base della distinzione tra errore sul precetto ed errore sul fatto, trova coerente soluzione l'errore sulle qualifiche del soggetto attivo nei reati propri, sia esso dovuto ad errore di fatto o sulla legge extrapenale (rif. .375).

Trova altresì risposta il problema dell'errore sulla norma extrapenale integratrice della norma penale in bianco. Esso si limita ad un errore sul precetto, dato che il fatto ivi incriminato è costituito dal fatto materiale vietato dalla norma extrapenale e l'ignoranza di essa non preclude la coscienza della offensività del fatto.


III.  In caso di errore sulle norme penali richiamate nella fattispecie criminosa, cioè sulle norme di origine penale ma diverse dalla norma penale violata nella specie?

Il presente problema va risolto sulla base dei principi generali in materia di dolo, dovendosi distinguere se tale errore si esaurisce al precetto o si traduce in errore sul fatto. Nel primo caso si applicherà l'art.5, mentre nel secondo vale l'art.47/1 e 2, riferendosi questo genericamente all'errore sul fatto, e non soltanto all'errore di fatto, che dell'errore sul fatto costituisce solo una ipotesi. (es.: esclude il dolo della calunnia la convinzione che i fatti falsamente attribuiti ad altri non siano penalmente rilevanti. La rilevanza penale del fatto attribuito, cioè la sua idoneità a mettere in moto la giustizia penale, è infatti l'elemento specializzante che distingue la calunnia dalla diffamazione e fa parte del fatto tipico dell'art.368. Pertanto chi pur conoscendo perfettamente il divieto di calunniare ignora che il fatto denunciato sia perseguibile penalmente, vuole un fatto diverso, nel tipo e disvalore, dalla calunnia).


IV.  Il problema dell'errore sulla norma extragiuridica (sociale, morale, culturale, ecc.), richiamata da un elemento normativo extragiuridico della fattispecie criminosa, va risolto anch'esso sulla base dei principi generali in materia di dolo.

Premesso che non si tratta di errore di fatto, sensopercettivo, sulla realtà naturalistica, bensì di errore valutativo, sulla realtà normativa, pur se su norma non giuridica, anche questo tipo di errore cadrà sotto l'art.47/1 e 2 se si traduce in un errore sul fatto, mentre non scuserà ex art.5 se si esaurisce in un errore sul divieto. (Si prendano ad es. i reati degli artt. 527-529 e 594-595, il cui fatto tipico è costituito dal fatto offensivo del comune sentimento del pudore, dell'onore, della reputazione. Erra sul precetto lo scrittore o il regista che erra sul significato penalistico di tali elementi normativi, in quanto, pur rendendosi conto che la sua opera offende il comune sentire, supponga che tali articoli facciano riferimento alla sensibilità personale dell'autore dell'opera o delle frange più spregiudicate: il fatto voluto è identico a quello tipico, pur se ritenuto non vietato. Erra sul fatto lo scrittore o il regista che, pur sapendo che il criterio valutativo è quello del comune sentimento, ma errando sulla norma sociale o morale che qualifica ciò che è offensivo di tale bene, ritenga di comportarsi in conformità di esso: egli vuole un fatto non offensivo del comune sentimento e, perciò, diverso da quello incriminato).


V.   Il problema dell'errore sugli elementi specializzanti della fattispecie legale determinanti il passaggio da un reato ad altro, più grave o meno grave.

Rispetto a tale errore (che può essere, oltre che di fatto, sulla legge extrapenale, se l'elemento specializzante è normativo) occorre distinguere tra:

l'errore sugli elementi elevanti a reato più grave un reato meno grave (oltraggio/ingiuria);

l'errore sugli elementi degradanti a reato meno grave un reato più grave (art.575 e omicidio del consenziente);

entrambi sono ulteriormente suddivisibili in: a) l'errore di credere inesistente detto elemento, in realtà esistente; b) l'errore di credere esistente detto elemento, in realtà inesistente.

De jure condito la soluzione corretta, anche se rigorosa, appare quella della sussistenza del reato più grave in entrambi i suddetti tipi di errore sull'elemento degradante, dovendo ambedue i problemi essere risolti sulla base del rapporto tra fattispecie generale e fattispecie speciale. Ciò nel senso:

che per il principio di specialità, la norma speciale trova applicazione in luogo di quella generale, solo rispetto ai fatti aventi tutti i requisiti della fattispecie speciale, perché soltanto rispetto a tali fatti si ha il concorso apparente di norme, con prevalenza di quella speciale;

che in entrambi i suddetti tipi di errore il fatto non presenta tutti i requisiti della fattispecie speciale;

che, non potendo pertanto trovare applicazione la norma speciale, resta applicabile la norma generale, ricorrendone tutti gli elementi costitutivi.

Le contrarie tesi si fondano su una non consentita applicazione analogica dell'art.49/1 e 3: o perché manca lo stesso presupposto della lacuna legislativa, essendo il fatto riconducibile alla norma generale, oppure perché ammessa siffatta lacuna, si tratterebbe di analogia in malam partem, applicandosi la norma sul reato meno grave ad un fatto che non sarebbe previsto dalla legge come reato.

De jure condendo, si rende opportuna una disposizione che preveda la applicazione della norma sul reato meno grave.(rif..378 lett. E).





VI.  Circa i reati omissivi, l'errore sul fatto può derivare:

nei reati omissivi propri a) da errore di fatto; b) da errore su legge penale o extrapenale richiamata;

nei reati omissivi impropri a) da errore di fatto; b) da errore su legge extrapenale.(rif. Pag.379 lett. F).


Disciplina.

La disciplina dell'errore su legge extrapenale è identica a quella dell'errore di fatto, allorché entrambi si traducano in un errore sul fatto.


L'errore sul fatto, derivi da errore di fatto o su norma extrapenale o extragiuridica, esclude la responsabilità per dolo, ma non quella colposa se inescusabile ed il fatto è previsto dalla legge come reato colposo.


L'errore sul fatto non esclude la punibilità per un reato diverso (art.47/2), sempre che di questo ne esistano gli estremi oggettivi e soggettivi.

L'errore sul fatto può derivare anche da inganno in cui l'agente sia indotto per opera di altra persona che ne è il vero autore (il c.d. autore mediato) ex art. 48.


Quanto alle contravvenzioni, l'errore sul fatto ha una efficacia scusante minore che rispetto ai delitti. Poiché per la loro punibilità basta la colpa l'errore su un elemento essenziale, positivo o negativo, esclude la responsabilità solo quando è incolpevole: non quando è colposo.


De jure condendo, l'art.47 - mutata l'attuale rubrica erronea e fuorviante, in "Errore sul fatto" e soppresso l'ultimo comma - può essere così riformulato: " L'errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità, sia esso dovuto ad errore di fatto, ad errore sulla legge non penale o ad errore su norma non giuridica".



ABERRATIO.


L'errore-inabilità cade nella fase esecutiva del reato, cioè nella fase in cui la volontà si traduce in atto.

Nell'aberratio si ha una divergenza tra il voluto e il realizzato, dovuta ad un errore inabilità (nell'uso dei mezzi esecutivi del reato) o ad altri fattori.


Le tipologie di aberratio sono:


aberratio causae.

Si ha quando il processo causale si è svolto in modo diverso da come l'aveva previsto e voluto l'agente, pur avendo egualmente prodotto l'evento. (es.: Tizio getta nel fiume, perché muoia annegato, Caio che muore invece battendo su una roccia).

L'aberrazione causale è irrilevante per i reati a condotta libera, rispetto ai quali è essenziale solo la causazione dell'evento, non i modi attraverso cui viene causato (sempre che l'evento, verificatosi in altro modo non sia conseguenza eccezionale rispetto alla condotta tenuta, venendo quindi meno il nesso causale).

E' invece rilevante rispetto ai reati a condotta vincolata ove il tipo e le modalità della condotta causale sono elementi "essenziali" (nel furto l'impossessamento della cosa deve avvenire attraverso la "sottrazione"; nella truffa l'induzione in errore deve avvenire tramite "artifici" o "raggiri").


aberratio ictus.


All'art.82/1 viene disciplinato il fenomeno della aberratio ictus monolesiva, che si verifica allorché l'evento voluto viene realizzato nella sua obiettività, ma incide su una persona che non è quella contro cui l'azione era diretta (es.: A spara a B ma uccide invece C che passa nelle vicinanze).

La divergenza fra voluto e realizzato può essere dovuta oltre che a un errore dei mezzi di esecuzione del reato, anche ad altre cause accidentali ed indipendenti dal fatto dell'agente, quali uno scivolamento, una spinta, un urlo. [caso fortuito]

MANTOVANI. La norma dell'art. 82 esprime un principio generale del nostro sistema penale, quello dell'irrilevanza del soggetto passivo ai fini dell'imputazione dolosa dell'evento offensivo realizzato.

ROMANO. Per una più recente opinione tale disposizione ha una funzione innovativa, in quanto secondo i principi sul dolo (inteso come volontà di quell'evento storico, e non di un evento equivalente, del tipo di quello previsto dalla norma) l'agente dovrebbe rispondere -sempre che ne esistano gli estremi- di tentativo rispetto alla vittima designata e di reato colposo nei confronti della persona offesa.


Tale articolo invece disciplinerebbe come dolosa un'ipotesi di [responsabilità oggettiva].


[Circostanze] Art.60/3


In caso di aberratio ictus in presenza di una scriminante (reale o putativa) versiamo fuori dell'ipotesi dell'art.82, mancandone l'elemento negativo o il dolo (l'agente che interviene ed uccide il passante anziché colpire il ladro risponderà di reato colposo, se è ravvisabile nel suo agire una [colpa speciale]).

Nell'ipotesi disciplinata dall'art.82/2, di offesa sia a persona diversa sia a quella ideata, è problematica l'individuazione del titolo di imputazione dell'ulteriore risultato.

La dottrina dominante ritiene l'evento più grave addebitato a titolo di dolo e quello meno grave a titolo di responsabilità oggettiva; MANTOVANI parla di "un coefficiente di responsabilità anomala".

Controverso è se l'aberratio ictus con due o più offese dia luogo a una pluralità di reati o ad un unico reato. La soluzione del concorso formale è preferibile in quanto evita che si possa applicare all'ipotesi di cui all'art.82/2 una disciplina più severa di quella che si avrebbe se entrambe le offese fossero dolose (art.81/3).

Vi sono ipotesi particolari nelle quali una condotta generi una offesa plurima alla vittima e a più persone diverse, ovvero rimasta illesa la vittima si offendano altre persone.

La disciplina di tali casi dovrebbe evitare di innestarsi sul disposto dell'art.82/2, che costituisce un'irriducibile deviazione dai principi razionali del nostro diritto, amplificandone le anomalie.

Evitando una applicazione analogica in malam partem della norma ci si dovrebbe riferire alla più mite disciplina del concorso formale del reato doloso con eventuali delitti colposi, se le offese non volute siano attribuibili a colpa dell'agente (e, in particolare, applicandosi l'art.589/3 se trattasi di omicidio o lesioni colpose). Oltre a rispettarsi il principio costituzionale della responsabilità personale, tanto più in base al nuovo testo dell'art.81 col limite dell'ultimo comma.


De jure condendo l'art.82/2 dovrebbe essere così formulato: "Qualora, oltre alla persona diversa, sia offesa anche quella alla quale l'offesa era diretta, si applicano le regole del concorso di reati".



aberratio delicti.


Ai fini della sussunzione di una fattispecie concreta sotto la disciplina dell'art.83, per evento diverso, secondo prevalente dottrina, deve intendersi la lesione (sia sotto forma del pericolo che del danno effettivo) di un bene o interesse giuridico diverso da quello cui era diretta l'intenzione lesiva dell'agente.

(Risponderà di lesione colpose il dimostrante che, volendo danneggiare la vetrina colpisce il passante; mentre non risponderà di alcun reato chi, volendo colpire il passante, danneggi la vetrina. Il danneggiamento non è previsto come reato colposo).

Si discute se per la responsabilità per l'evento non voluto occorra o meno la colpa. La formula "a titolo di colpa" deve essere interpretata, nel dubbio, in conformità al principio della responsabilità personale. L'agente risponderà dell'evento non voluto, solo se attribuibile a sua accertata colpa.

L'art.586 viene considerato, dalla dottrina e dalla giurisprudenza prevalente, un'applicazione specifica dell'art.83, rispetto al quale si limiterebbe ad aumentare le pene per il reato diverso da quello voluto (morte o lesioni), in considerazione della particolare importanza del bene giuridico offeso.

In giurisp. viene, altresì, sottolineata la differenza fra gli artt. 586 e 83 da un lato e art.584 dall'altro; si afferma, infatti, che il delitto di omicidio preterintenzionale non è assimilabile all'omicidio di cui all'art.586, da aberratio delicti, ma ai delitti aggravati dall'evento, in quanto nel primo l'evento è più grave di quello voluto ed è conseguente a rati della stessa specie, nel secondo l'evento è eterogeneo rispetto a quello voluto derivando da un delitto doloso diverso dalle percosse o dalle lesioni.


Sezione VIII: LA RESPONSABILITA' OGGETTIVA


Rilievi codicistici:


Art.47/3 "errore sul fatto determinato da errore su legge extrapenale";


Colpa specifica e responsabilità occulta, prevedibilità dell'evento;


Condizioni Obiettive di Punibilità ex art.44 c.p.;


Preterintenzione se intesa come dolo misto a resp. Oggettiva;


Reati aggravati dall'evento;


Aberratio ictus bioffensiva e aberratio delicti monoffensiva;


Art.116 c.p


Art.117 c.p.







Privacy

© ePerTutti.com : tutti i diritti riservati
:::::
Condizioni Generali - Invia - Contatta