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PERSONA FISICA

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V PERSONA FISICA


La nascita e l'acquisto della capacità giuridica (art. 22 cost.)


Il codice si apre con la disciplina delle persone fisiche. All.art. 1 si afferma che la capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. Tutti gli esseri umani, nati e nati vivi, acquistano automaticamente la capacità di essere soggetti del diritto. L'uomo acquista un'attitudine, un'idoneità ad essere titolare di diritti e doveri. Questi diritti e questi doveri potrà esercitarli più tardi, quando avrà raggiunto la maturità psico-fisica necessaria, ma con il solo atto della nascita ha acquistato l'idoneità ad esserne titolare.

La nozione di capacità, come quella di soggettività o di personalità, cioè a dire la rilevanza giuridica dell'uomo come essere corporeo e vivente, è nei sistemi giuridici moderni elemento caratterizzante ed indefettibile.



La nascita non solo fa acquistare la capacità giuridica del soggetto, ma anche un'attribuzione retroattiva prima del momento della nascita, e talvolta addirittura prima della data del concepimento.

La considerazione che il nostro diritto assegna al concepito è tale da attribuire rilievo diverso all'evento medesimo della nascita.

Il codice attribuisce ai genitori il potere di rappresentanza e di amministrazione dei beni del nascituro (art. 320), ed a questo la capacità di succedere per causa di morte (<< purchè concepito al tempo dell'apertura di successione>>, art 462), e la capacità di ricevere per donazione (art. 784). Il nascituro è titolare dunque di diritti patrimoniali.

Sarà necessario, tener distinte due nozioni di nascituro: il nascituro concepito, che si presume debba nascere entro una certa data, ed il nascituro non ancora concepito, che forse potrà nascere: anche a favore di quest'ultimo la legge prevede atti di disposizione.


L'assenza e la presunzione di morte

La disciplina legale della ssa, dell'assenza, della dichiarazione di morte presunta (artt. 48-68) fonda il proprio presupposto normativo su di un dato esclusivo: la mancanza di notizie del soggetto. La persona se quando <<non se ne hanno più notizie>> (art. 48). La dichiarazione di assenza, e la dichiarazione di morte presunta, possono essere richieste trascorsi due anni (ovvero dieci anni per la dichiarazione di morte presunta) dal giorno in cui risale <<l'ultima notizia>>  (artt. 49 e 58).

Fondamento, della norma che regola la ssa del soggetto (art. 48) è l'ignoranza sull'esistenza della persona: la sua irreperibilità fisica rileva solamente nella misura in cui si abbia ragione di temere per la sua vita. La persona che se fisicamente è persona che il sistema giuridico può considerare come un soggetto privo di attitudini all'esercizio della propria capacità giuridica. La ratio della norma è infatti quella di permettere che altri intervenga nell'esercizio delle attività proprie del soggetto sso. La persona che non c'è non può non solo esercitare i propri diritti, ma forse neppure esserne titolare.

La ssa dal domicilio o dalla residenza e la mancanza di notizie non determina conseguenze di carattere personale.

Il prolungarsi della ssa per un periodo di almeno due anni può determinare il ricorso alla dichiarazione di assenza (art. 49). La quale produce alcuni effetti giuridici sia di natura personale che di natura patrimoniale, anch'essi, pronunciati dal tribunale su istanza degli interessati. La disciplina dell'assenza, come quella della presunzione di morte, è dettata principalmente a risolvere il contrasto che si determina, tra gli interessi dei presunti successori e l'assente, nell'ipotesi che questo ritorni. A questo fine coloro che sarebbero gli eredi legittimi o testamentari dell'assente possono essere immessi nel possesso temporaneo dei beni di questi; così come i legatari, i donatari e tutti quelli ai quali spetterebbero diritti dipendenti dalla morte dell'assente possono essere ammessi all'esercizio temporaneo dei diritti medesimi.

Egualmente, coloro che per effetto della morte sarebbero liberati da obbligazioni nei confronti della persona assente, possono essere esonerati dall'adempimento (art. 50).

Il coniuge dell'assente può ottenere un assegno alimentare. L'immissione nel possesso temporaneo dei beni conferisce i poteri di amministrazione dei beni medesimi, di rappresentanza dell'assente e di godimento delle rendite prodotte dai beni. Il possesso temporaneo ha una funzione principalmente conservativa del patrimonio dell'assente e di attesa del ritorno di lui: gli atti di disposizione sono compiuti solo per necessità e utilità evidenti riconosciute dal tribunale (art. 54).  L'intero istituto dell'assenza dettato sul presupposto del ritorno dell'assente o comunque della prova alla sua esistenza.

Se essa fosse volontaria e non giustificata, egli perderebbe il diritto di farsi restituire le rendite che gli eredi hanno nel frattempo fatto proprie. Viceversa, se viene provata la morte, da quel momento viene aperta la successione a favore degli eredi o legatari.

Diversa prospettiva è quella che la legge prevede per la presunzione di morte. La dichiarazione di morte presunta viene emessa dal tribunale, su piazza del pubblico ministero o di chiunque vi abbia interesse, dopo dieci anni dal giorno a cui risale l'ultima notizia.

L'istituto sembra dunque fondarsi sul presupposto del non ritorno dell'assente perché deceduto. La sentenza con cui si dichiara la morte presunta del soggetto stabilisce carattere di definitività agli atti di attribuzione temporanea, in quanto produce gli effetti giuridici alla morte fisica della persona, ma non completamente: la disciplina non si riduce alla considerazione dei diritti che nascono in capo agli eredi, come nell'ipotesi della successione mortis causa. Ed infatti la posizione dei soggetti, sia gli aventi causa che l'assente, è più complessa. In questo senso si giustifica l'affermazione del principio contenuto all'art. 69, secondo il quale <<nessuno è ammesso a reclamare un diritto in nome della persona di cui si ignora l'esistenza, se non prova che la persona esisteva quando il diritto è nato>>.

Con la dichiarazione di morte presunta, oltre agli effetti patrimoniali conseguenti l'apertura alla successione, il coniuge può contrarre nuovo matrimonio (art. 65).

Rimane salva, è vero, la prova dell'esistenza della persona (art. 66); egli recupera i beni nello stato in cui si trovano  ed ha diritto che gli venga corrisposto il prezzo in caso di loro alienazione, ovvero di ottenere i beni nei quali sia stato investito. Il nuovo matrimonio è nullo. Nel caso sia accertata la morte, avvenuta anche posteriormente alla dichiarazione di morte presunta, non può procedersi alla dichiarazione di nullità del nuovo matrimonio.


La morte

La morte, cioè la cessione delle funzioni vitali della persona fisica, determina la perdita della capacità giuridica; (cessazione delle qualità giuridiche connesse alla vita della persona fisica). Come la capacità si acquista con la nascita, così si perde con la morte.

I  mezzi medico-legali a disposizione per l'accertamento della morte fisica del soggetto appaiono oggi mutati enormemente rispetto alle certezze di qualche decennio addietro. La nozione di <<morte cerebrale>> è stata accolta, al pari di altri legislazioni, in Italia con la l. 644/1975 ed ora dalla l. 578/1993:<<norme per l'accertamento e la certificazione di morte>>, n. 578/1993. L'art. 1 reca la seguente definizione di morte: <<la morte si identifica con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo>>.

La materia  del prelievo di organi ai fini di trapianto terapeutico è ora disciplinata dalla l. 91/1999 che reca il titolo <<Disposizioni in materia di prelievi e di trapianti di organi e di tessuti>>; che disciplina i casi nei quali può essere effettuato il prelievo di organi ai fini di trapianto da cadavere; disciplina il modo attraverso il quale viene rilevata la volontà alla donazione degli organi da parte del soggetto e che è sintetizzabile nell'espressione silenzio-assenso. Tutti i cittadini sono tenuti a dichiarare la propria volontà in ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente alla morte. E la mancata dichiarazione di volontà è considerata quale assenso alla donazione.


Il domicilio, la residenza, la dimora

La legge disciplina due tipologie di luoghi ove la persona fisica si trova per svolgere la propria attività giuridica. Il domicilio e la residenza. Domicilio è il luogo ove la persona <<ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi>> (art. 43). Residenza è il luogo nel quale la persona abitualmente dimora. Il diritto penale conosce, ad esempio, una nozione diversa di domicilio (art. 570 c.p.). La persona può avere più di un domicilio, allorché svolga la propria attività o i propri affari in un domicilio generale e in un domicilio speciale. Talvolta il domicilio può essere elettivo, quando il soggetto lo dichiari per iscritto per la conclusione di un determinato affare o la tutela di un particolare interesse (si pensi all'elezione di domicilio presso lo studio del proprio difensore in una controversia giudiziaria).

La residenza, come abituale dimora, è nozione che si basa principalmente sull'elemento di fatto della presenza fisica della persona. Particolare e significativa specificazione è la residenza familiare (art. 144), sede della famiglia. I coniugi scelgono in comune la fissazione della residenza della famiglia, anteponendo gli interessi di questa agli interessi di ambedue.

La nozione di dimora non è disciplinata dal codice, ma si ricava dalla lettura del capoverso dell'art. 43. si tratta di dimora il luogo di vacanza estiva, ma non la permanenza di due giorni in albergo.


L'acquisto e la perdita della capacità di agire

Con la maggiore età, la capacità della persona, che il codice chiama capacità di agire (art. 2), diviene completa. Nel senso che <<si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un'età diversa>>. Alla titolarità si aggiunge il potere dell'effettivo esercizio.

L'acquisto della capacità di agire con la maggiore età suppone la maturità psichica e fisica che la legge reputa acquisita al compimento del diciottesimo anno.

Un riferimento a questa attitudine materiale è data dall'art. 414 che parla di capacità di <<provvedere ai propri interessi>>, oppure dall'art 1389 che parla di <<capacità di intendere e di volere>>.

Un'età inferiore, cioè il sedicesimo anno è prevista per gli atti relativi alle opere dell'ingegno, per il riconoscimento di li naturali (art. 250), per contrarre matrimonio con l'assenso del tribunale (art. 84).

Un discorso parzialmente diverso va fatto a proposito della capacità a stipulare contratti di lavoro.

La disciplina attuale (l. 39/1975) conferma la maggiore età come età necessaria alla valida stipulazione del contratto di lavoro subordinato. Tuttavia vengono fatte salve le leggi speciali che stabiliscono un'età diversa <<in materia di capacità a prestare il proprio lavoro>> e che abilitano il minore a stare in giudizio per la tutela dei diritti relativi al rapporto di lavoro (art. 2). Colui che ha compiuto i quindici anni può prestare lavoro subordinato, anche se il contratto dovrà essere stipulato dal legale rappresentante: ma egli potrà esercitare direttamente i diritti e le azioni che derivano dal rapporto.

La capacità di agire può essere limitata ovvero soppressa, contrariamente a quanto avviene per la capacità giuridica: alla quale la Costituzione repubblicana dedica, con finalità di ordine politico generale, una norma apposita, l'art. 22: <<Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome>>.

L'ipotesi di perdita totale o parziale della capacità di agire sono elencati sotto l'espressione di incapacità legale.




La minore età. L'interdizione e l'inabilitazione


La posizione del soggetto che non ha compiuto la maggiore età è genericamente indicata come quella del soggetto incapace. Il minore, al pari dell'interdetto e dell'inabilitato, è considerato dal sistema come soggetto non idoneo ad esercitare i diritti ed i doveri di cui è pur titolare.

La posizione del minore è definita dall'art. 316, secondo il quale <<il lio è soggetto alla potestà dei genitori sino alla maggiore età o all'emancipazione>>.

L'effetto principale della norma, riguarda il potere di rappresentanza che la legge affida ai genitori, ed in virtù del quale il minore si collega e si inserisce all'interno della famiglia: i problemi di capacità del minore vengono risolti con l'attribuzione ai genitori del potere di rappresentanza.

Gli atti posti in essere dal minore, a pari degli atti posti in essere da altri soggetti incapaci di agire, sono annullabili (art. 1425).

Minore emancipato è il minore che ha contratto matrimonio (art. 390); consente al minore di compiere da solo tutti gli atti di ordinaria amministrazione (art. 394). Per gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione è necessario il consenso del curatore e l'autorizzazione del giudice tutelare. L'emancipato può essere autorizzato dal tribunale all'esercizio di un'impresa commerciale (art. 397): in questo caso egli acquista la piena capacità di agire.

Interdizione e inabilitazione sono gli istituti con i quali il giudice accerta e stabilisce la limitazione totale o parziale della capacità di agire del soggetto. L'interdizione giudiziale determina una situazione di incapacità legale, al pari di quella del minore: equiparazione tra l'incapacità del soggetto derivante dall'età ed incapacità del soggetto derivante dallo stato di salute mentale.

Quando l'idoneità del soggetto è determinata da infermità di mente, l'interdizione giudiziale è intesa come misura di protezione; proteggere il soggetto incapace dai danni che egli può produrre a se stesso e che terzi possano provocare all'incapace.

L'interdizione legale discende invece come effetto di una condanna penale

(art. 32 c.p.). essa costituisce una pena aggiuntiva a carico della persona, non già dunque una misura di protezione.

L'inabilitazione produce una diminuzione della capacità di agire del soggetto ed ha come presupposti di fatto handicap fisici (cecità, sordomutismo) non superati da un'educazione specifica; oppure condizioni di incapacità non permanente e superabili; come l'alcolismo, l'uso di droga, ecc. La condizione giuridica dell'inabilitato è assumibile a quella del minore emancipato: può compiere da solo atti di ordinaria amministrazione. Gli atti eccedenti l'ordinaria amministrazione possono essere annullati su istanza dell'inabilitato o dei suoi eredi o aventi causa

(art. 427).




Gli istituti di protezione dell'incapacità legale

Limitando totalmente o parzialmente la capacità di agire di taluni soggetti, la legge intende predisporre alcune tutele a favore di essi nei confronti di tutti gli altri soggetti del diritto e del sistema giuridico in generale.

Conseguenza principale è la inefficacia giuridica degli atti posti in essere del soggetto, attraverso il conferimento di poteri ad altri soggetti, destinati a sostituirsi all'incapace nell'esercizio dei diritti. Si tratta di uno strumento giuridico, la rappresentanza, volto a permettere l'attività giuridica ai soggetti incapaci per mezzo dell'azione di sostituti.

La sostituzione può avvenire automaticamente, perché la legge già prevede ed indica quali sono i soggetti incaricati all'agire: come nella potestà dei genitori per i li minori.

In altri casi, la legge assegna al giudice il potere di indicare i soggetti chiamati a questo ufficio, e sono i casi della tutela e della curatela.

a)    La potestà dei genitori sui li minori, che non hanno compiuto il diciottesimo anno, e non emancipati.

Gli articoli del codice, 315 e ss., che disciplinano i poteri dei genitori nei confronti dei li, distinguono due fasce di potere, una di natura personale, l'altra di natura patrimoniale. Nella prima si comprendono i doveri di custodire, allevare, educare, istruire; di fissare la residenza della famiglia (che costituisce per il minore il domicilio necessario); e la rappresentanza legale <<in tutti gli atti civili>> (art. 320), sia dunque di natura personale che di natura patrimoniale.

Potere di natura esclusivamente patrimoniale è quello che la legge conferisce ad entrambi i genitori per l'amministrazione dei beni e per l'usufrutto legale sui beni dei li (art. 324). Sui frutti percepiti vi è un vincolo di destinazione, nel senso che i genitori hanno l'obbligo di destinarli al mantenimento della famiglia e all'educazione dei li medesimi.

Anche gli altri poteri di cui i genitori sono titolari incontrano i limiti di disposizione della preventiva autorizzazione del giudice tutelare e della <<necessità o utilità evidente>> per il lio (art. 320).

b)    Tutela dei minori e degli interdetti che tradizionalmente viene indicato come   

ufficio tutelare, obbedisce ad una funzione suppletiva dell'attività giuridica.

Allorché manchi al minore chi assuma la potestà dei genitori, ovvero venga

tolta la capacità di agire per causa di infermità mentale, l'ordinamento provvede alla sostituzione nelle attività mediante altri soggetti.

La tutela viene <<aperta>> presso il giudice tutelare il quale procede alla nomina del tutore e del protutore, seguendo le indicazioni del genitore, o dei parenti prossimi, o dal giudice medesimo. Il protutore rappresenta il minore   (o l'interdetto) nel caso di conflitto di interessi tra questi e il tutore (art. 360).

Il tutore ha la cura della persona del minore o dell'interdetto, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni (art. 357).



c) Curatela dei minori emancipati e degli inabilitati: la funzione del curatore è

invece quella di integrare una capacità di agire che la legge, o il giudice, ha semplicemente limitato ma non soppresso. Così si dice che il curatore interviene ad integrare la volontà dell'inabilitato o dell'emancipato. Essi possono tuttavia compiere da soli una serie di atti, perlopiù di carattere personale, e se di natura patrimoniale non eccedenti l'ordinaria amministrazione. Il curatore assiste nell'amministrazione dei beni. Per gli atti di straordinaria amministrazione l'attività di controllo del curatore non è sufficiente, necessitando l'autorizzazione del giudice tutelare e, per gli atti dispositivi, l'autorizzazione del tribunale. Gli atti sono elencati agli artt. 374 e 375. Il trattamento della disciplina delle incapacità, cui sono preposti gli uffici della tutela e della curatela si completa con le regole dettate per la loro inosservanza. Gli atti compiuti dall'incapace legale sono annullabili (artt. 427  e 1425).


L'incapacità naturale

A volte, colui a cui la legge attribuisce la piena capacità può non essere capace di intendere e di volere. L'ipotesi più frequente è quella dell'infermo di mente, nei confronti del quale non è stato provveduto alla dichiarazione di interdizione o di inabilitazione. La legislazione italiana in tema di protezione degli incapaci, dei soggetti deboli come anche si dice, è largamente incompleta.

Per tutte le ipotesi in cui alla capacità legale non corrisponde la capacità naturale del soggetto, soccorre una norma importante del nostro codice, l'art. 428, il quale afferma che gli atti posti in essere da persona pur capace legalmente ma al momento del compimento dell'atto incapace di intendere e di volere il significato economico e giuridico della propria attività, sono annullabili su istanza di lui, dei suoi eredi od aventi causa. Si chiama incapacità naturale, o non dichiarata, e per poter essere fatta valere necessita della prova a carico di chi ha interesse all'annullamento dell'atto. La norma trova specificazioni ed applicazioni in materia di annullabilità del contratto (art. 1425), come causa di annullamento del matrimonio (art. 120), del testamento (art. 591), della donazione (art. 775).

La norma dell'art. 428 stabilisce che ai fini dell'annullamento dell'atto posto in essere dal soggetto incapace (incapace al momento del compimento dell'atto) risulta per lui <<un grave pregiudizio>>. Essa distingue tra <<atti>>, di cui parla al comma 1, e <<contratti>> di cui al secondo: per questi ultimi, oltre al pregiudizio, è richiesta anche la malafede dell'altro contraente.

Anche lo strumento dell'art. 428 si rivela dunque essere un mezzo di protezione dell'incapace di intendere e di volere successivo al compimento dell'atto cui deriva un pregiudizio e riparatorio del danno sofferto.





Le condizioni della persona: gli status, la cittadinanza, gli stati familiari

L'appartenenza del soggetto ad una comunità che abbia i caratteri della durevolezza nel tempo e della necessità viene solitamente definita come status.

Le qualità o le attitudini soggettive che collegano la persona ad una collettività valgono a determinare il grado di colleganza, il legame, che intercorre tra questa e quella. L'appartenenza allo stato familiare, è illuminata dalla norma costituzionale (art. 29 Cost.) e resa effettiva con la riforma del diritto di famiglia (l. 151/1975).

La cittadinanza è regolata da una legge recente (n. 91/1992) che ridefinisce interamente la materia prima regolata da una legge del 1912. i modi di acquisto della cittadinanza italiana, sono tre. La comunicazione: per matrimonio o per filiazione. L'originario acquisto da parte della moglie e dei li della cittadinanza del paterfamilias è ora sostituito dalla volontà del soggetto che acquista o perde la cittadinanza in virtù del matrimonio o della nascita.

È cittadino per nascita il lio di padre o di madre cittadini; per nascita nel territorio della Repubblica il lio di ignoti o di genitori apolidi. Il beneficio di legge: la legge prevede l'acquisto della cittadinanza da parte dello straniero o dell'apolide lio di madre o di padre, ovvero di avo già cittadino per nascita; e così dello straniero nato in Italia. La naturalizzazione è infine il modo di acquisto della cittadinanza prevista per lo straniero che abbia prestato lavoro alle dipendenze dello Stato per almeno cinque anni, ovvero abbia risieduto nel territorio della Repubblica da almeno quattro anni (per i cittadini di paesi membri della Unione Europea) o dieci anni (per gli altri).

Il trattato di Maastricht prevede l'acquisto di una <<Cittadinanza dell'Unione>>, e un nuovo status di cittadino europeo, cui vengono collegati nuovi diritti politici a tutti i cittadini di uno Stato membro dell'Unione Europea.

Gli stati familiari. È attraverso atti dello stato civile che si acquista lo status di lio legittimo (ovvero legittimato, adottivo, naturale), ed estremamente con l'atto di nascita. Così l'atto di celebrazione del matrimonio è titolo dello stato di coniuge.

Rilevante sul piano della prova è altresì il possesso di stato, di cui il codice (artt. 236 e ss.) si occupa a proposito del possesso di stato di lio legittimo. Si tratta di <<una serie di fatti che nel loro complesso>> fanno apparire la relazione di filiazione e di parentela tra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere (art. 237). La dottrina ancora oggi ricorda questi fatti nelle espressioni risalenti del nome (quello del padre), del trattato (essere trattato come lio) e della fama (considerato tale nei rapporti sociali).


Gli atti dello stato civile

Le vicende della vita, della morte, della modificazione di status della persona fisica vengono denominati atti dello stato civile e sono registrati e conservati nei registri dello stato civile. Presso ogni Comune sono tenuti tre registri: nascita, matrimonio, morte. La loro funzione è principalmente quella di pubblicità.

Gli atti dello stato civile hanno efficacia probatoria esclusiva. L'atto di nascita e l'atto di celebrazione di matrimonio sono documenti che attribuiscono lo stato giuridico di lio e di coniuge. La funzione di questi atti, è mantenuta per fini diversi: da una funzione di controllo, talvolta anche in senso restrittivo della personale libertà dei soggetti ad altre funzioni che possono individuarsi nella esigenza di certezza e di conoscenza che lo Stato moderno pretende di avere sulle vicende delle persone fisiche,  anche al fine di attribuire loro status particolari.

La legge sull'ordinamento dello stato civile (n. 1238/1939) regola la materia, assieme alle norme del codice (artt. 449 - 455).






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