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I deterrenti all'entrata - Barriere all'entrata - DuPont scoraggia l'entrata nel mercato del biossido di titanio

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I deterrenti all'entrata

I comportamenti delle imprese sono influenzati non solo dalle altre imprese già presenti sullo stesso mercato ma anche dalla concorrenza potenziale, cioè dalle azioni dei potenziali entranti.

Con il diffondersi della teoria dei giochi nelle applicazioni dell'economia industriale, anche il processo di entrata di nuove imprese è stato oggetto di attenzione da parte di numerosi studi.

Vedremo quindi come la teoria è stata applicata al contesto della prevenzione dell'entrata.

In molti casi anche nell'oligopolio, nonostante la presenza di barriere, l'entrata di nuove imprese risulta possibile ed è ovviamente nell'interesse delle imprese già presenti tentare di impedirla.

Il focus dell'analisi si concentra sul processo d'interazione strategica tra le imprese potenziali entranti (outsider) e le insediate (incumbent). Le imprese insediate devono essere pronte a difendere il proprio mercato, escogitando strategie tali da impedire l'entrata di potenziali concorrenti cercando di erigere delle barriere all'entrata. Senza limiti all'entrata, almeno nel lungo periodo, le industrie tenderebbero verso una situazione di concorrenza perfetta (tanto maggiore è il numero di nuove imprese che entrano in un mercato e tanto più questo si avvierà ad essere un mercato perfettamente concorrenziale).



I diversi fattori che impediscono una completa libertà di entrata sono definiti barriere all'entrata, queste costituiscono una rilevante fonte di potere monopolistico e di profitto.

Si possono distinguere due categorie di barriere all'entrata:

istituzionali

non istituzionali

Le barriere all'entrata istituzionali sono quelle di natura regolamentativa solitamente motivate dall'esistenza di condizioni di monopolio naturale.

Le seconde possono essere dovute a condizioni strutturali (tecnologia, condizioni della domanda) o a comportamenti strategici attuati dalle imprese.

Bain (1956) è stato il primo a fornire una classificazione individuandone alcuni tipi:

  • economie di scala
  • differenziazione di prodotto
  • vantaggi assoluti di costo
  • fabbisogno iniziale di capitale per investimenti

Esistono inoltre numerosi meccanismi che l'incumbent può attuare per rendere meno favorevole l'entrata di un outsider e che a prima vista non sembrano vere e proprie barriere all'entrata:

  • vendite collegate: offrire due o più beni assieme può tagliare fuori dal mercato imprese più efficienti, ma che offrono un solo prodotto (è il caso dei grandi produttori di software in grado di offrire pacchetti diversi per rendere meno conveniente l'entrata di un outsider più efficiente nell'offerta di un pacchetto unico. È il caso Microsoft che offre la vendita congiunta del sistema operativo e del proprio browser, infatti legare sistema operativo e proprio browser limita la diffusione del browser rivale);
  • incompatibilità tecnologica con altri prodotti: in questo modo l'incumbent riduce le possibilità di penetrazione dell'outsider sul mercato, l'incompatibilità tecnologica è tipica dei network di comunicazione o dei sistemi hardware-software e dei mercati quali quello delle stampanti da computer dove la interoperabilità delle cartucce è ancora limitata ed è stata alla base di un pronunciamento dell'antitrust italiana contro le pay-per-view nei primi anni del 2000, quando fu loro imposto di aprire il loro sistema (e quindi il decoder) alla possibilità di abbonarsi anche ai servizi del concorrente (la possibilità di leggere la smart card dell'azienda rivale);
  • contratti di esclusiva: ad esempio un'impresa a monte con una consociata a valle può rifiutare di fornire lo stesso input ad una rivale della sua consociata, facendone così innalzare i costi e costringendola a

rimanere fuori dal mercato. Nel 2003 la Coca-Cola è stata giudicata colpevole di violazione delle leggi antitrust dal tribunale del Texas; in quanto aveva ottenuto dai rivenditori del Texas (supermercati, bar . ) di offrire i suoi prodotti in esclusiva.


In questo paragrafo ci occuperemo delle strategie che consentono alle imprese stesse di creare deterrenti all'entrata nel mercato di potenziali concorrenti (barriere strategiche).


Consideriamo il seguente esempio, che chiameremo gioco dell'entrata, in cui i giocatori sono due imprese, E e I. L'impresa E sta considerando l'ipotesi di entrare in un certo mercato in cui attualmente l'impresa I è monopolista. L'impresa E può scegliere tra due azioni: può entrare o non entrare; se decide di entrare nel mercato, l'impresa I (avendo osservato l'entrata) può decidere di produrre poco, in modo che le imprese realizzino un profitto di 20 e 100 per I, oppure produrre tanto, in questo caso l'impresa entrante avrà profitti negativi pari a -l0 e un profitto più basso per il monopolista pari a 70. Se l'impresa E non entra, l'impresa I ha sempre due azioni possibili: produrre tanto o produrre poco. In ogni caso E (rimanendo fuori dal mercato) ottiene profitti nulli, mentre I, rimanendo monopolista, ha un profitto pari a 130 se produce tanto e pari a 200 se produce poco.

L'impresa E può decidere per prima e il suo piano d'azione consiste in un'unica decisione (entrare o non entrare); l'impresa I decide dopo aver osservato l'azione dell'impresa concorrente: essa si può trovare in due distinte situazioni (a seconda che E entri o meno) e in ognuna di queste può prendere due differenti decisioni: produrre tanto o poco.

L'impresa I ha perciò 4 possibili strategie:

produrre poco sia che l'impresa E entri sia che non entri;

produrre poco solo se l'impresa E entra e tanto se non entra;

produrre tanto se l'impresa E entra e poco se non entra;

produrre tanto sia che l'impresa E entri sia che non entri.

Le vincite (i pay-off) sono date dai profitti che le imprese conseguono nei vari casi.

Riportiamo in ura 1 la rappresentazione del gioco in forma estesa.

ura 1 il gioco dell'entrata.


Questo gioco sequenziale mostra la possibilità di minacce non credibili.

Potrebbe sembrare che a E non convenga entrare, poiché I minaccia di produrre anche in questo caso tanto. Questa minaccia non può essere ritenuta credibile in quanto una volta che E è entrata, I ottiene un pay-off di 100 se produce poco e di 70 se invece produce tanto. Dunque la scelta ottimale per I dopo l'entrata di E è quella di produrre poco. Pertanto una minaccia non credibile non costituisce un'efficace deterrente all'entrata e l'esito di questo gioco (equilibrio di Nash plausibile) sarà la combinazione della seconda strategia dell'impresa I con la strategia di entrata di E (20;100).

Questa analisi è fondata sull'ipotesi che l'entrante rispondesse all'azione del monopolista nel modo per lui più conveniente, una minaccia di porre in essere un comportamento non ottimale non è credibile.

Il problema dell'impresa già presente sul mercato consiste nel fatto che essa non può impegnarsi anticipatamente a reagire nel caso che l'altra entri. Se la nuova impresa entra, il danno è fatto e l'unica cosa ragionevole che l'impresa già sul mercato può fare è "vivere e lasciar vivere". Nella misura in cui l'entrante potenziale è consapevole di questo, considererà vana qualsiasi minaccia.

Supponiamo ora che l'impresa I possa acquistare capacità produttiva addizionale, che le consenta di produrre una quantità maggiore di output allo stesso costo marginale. Naturalmente, se l'impresa resta un monopolista non si servirà mai di questa capacità, dato che produce già la quantità di output che massimizza il profitto di monopolio.

Se l'altra impresa entra, il monopolista sarà in grado di produrre una quantità così elevata da poter contrastare l'entrante con molto più successo. Investendo in capacità addizionale, il monopolista abbasserà i costi che dovrebbe sostenere per contrastare l'altra impresa. Assumiamo che, se il monopolista si procura questa capacità addizionale, il suo profitto sarà 70 se reagisce e 50 se è accomodante. Questo fa sì che l'albero del gioco abbia la forma rappresentata nella ura 8.2


ura 2 deterrenza economica: la strategia del sovrainvestimento (Dixite Spence).


A causa di questa aumentata capacità ora la minaccia di scatenare una guerra di prezzo risulterà perfettamente credibile. Se la nuova impresa entra nel mercato, il pay-off del monopolista sarà 70 se la contrasta e 50 se non lo fa: quindi sceglierà razionalmente di reagire.

Il pay-off della nuova impresa sarà -l0 se entra e 0 se rimane fuori e quindi le converrà stare fuori dal mercato.    Questo significa che l'impresa già presente nell'industria rimarrà sempre un monopolista e non utilizzerà mai la sua capacità aggiuntiva, ciò nonostante, al monopolista conviene disporre di questa capacità per rendere credibile la sua minaccia. Investendo in un "eccesso" di capacità produttiva, il monopolista ha segnalato all'entrante potenziale che sarà in grado di difendere con successo il proprio mercato.

Inoltre la ripetizione nel tempo dell'interazione tra incumbents e potenziali entranti e l'ammontare di informazioni che ciascuna imprese possiede riguardo la rivale (o le rivali) giocano un ruolo rilevante nel processo di entrata e quindi nell'evoluzione della struttura di mercato.

Il biossido di titanio è uno sbiancante utilizzato nelle vernici, nella carta e in altri prodotti. All'inizio degli anni settanta DuPont e National Lead avevano ciascuna una quota di circa un terzo del mercato statunitense di questo bene; altre sette imprese si dividevano la parte rimanente.

Nel 1972 DuPont stava valutando se espandere o meno la propria capacità produttiva: il settore stava cambiando e , con la giusta strategia, questi cambiamenti avrebbero permesso a DuPont di conquistare ulteriori quote di mercato e dominare il settore. I fattori da prendere in considerazione erano i seguenti:

nonostante l'incertezza, si prevedeva che la domanda di biossido di titanio aumentasse in futuro;

il governo degli Stati Uniti aveva appena annunciato nuove leggi a tutela dell'ambiente;

i prezzi delle materie prime utilizzate per la produzione del biossido di titanio stavano aumentando.

La nuova legislazione e l'aumento del prezzo delle materie prime avrebbero avuto un effetto rilevante sul costo di produzione, conferendo a DuPont un vantaggio competitivo, sia perché la sua tecnologia di produzione era meno soggetta alle variazioni del costo delle materie prime, sia perché i suoi impianti erano situati in aree che facilitavano, rispetto ad altri produttori, lo smaltimento

di rifiuti corrosivi. Secondo DuPont, a causa di queste variazioni dei costi, National Lead e alcuni piccoli produttori avrebbero dovuto disfarsi di parte della propria capacità produttiva.

Effettivamente i concorrenti di DuPont avrebbero dovuto rientrare nel mercato costruendo nuovi impianti. DuPont era in grado di dissuaderli dal compiere questo passo?

Nel 1972 DuPont prese in considerazione la seguente strategia: investire circa 400 milioni di dollari per aumentare la capacità produttiva, puntano a conquistare una quota di mercato del 64% entro il 1985. La nuova capacità produttiva sarebbe stata di gran lunga superiore a quella necessaria per dissuadere i concorrenti attuali e potenziali dall'investire nel settore. Economie di scala e spostamenti lungo la curva di apprendimento avrebbero conferito a DuPont un vantaggio di costo; che non solo avrebbe reso difficile alle altre imprese entrare nel mercato, ma avrebbe reso credibile la minaccia implicita che, in futuro, DuPont non avrebbe tenuto un atteggiamento accomodante nei confronti dei nuovi entranti.

La strategia era razionale e sembrò funzionare per alcuni anni, ma nel 1975 le cose cominciarono a peggiorare: in primo luogo, perché la domanda era cresciuta moto meno delle aspettative e l'eccesso di capacità produttiva era comune a tutte le imprese del settore; in secondo luogo, perché le norme anti-inquinamento non venivano fatte rispettare con determinazione e i concorrenti non furono costretti a rinunciare, com'era stato previsto, alla loro capacità produttiva; infine la strategia DuPont sollecitò un intervento dell'autorità antitrust e nel 1978 la Federal Trade Commission denunciò DuPont per aver tentato di monopolizzare il mercato del biossido di titanio: DuPont vinse la causa, ma il calo della domanda rese inutile la vittoria.


Questo esempio si basa su Pakaj Ghemawar, "Capacity Expansion in thr Titanium Dioxide Industry", Journal of Industrial Economics 33, dicembre 1984, e Pakaj Ghemawar, "DuPont Titanium Dioxide", Harvad Business School, Case N° 9-385-l40, giugno 1986.

In situazioni in cui il monopolista o l'oligopolista non può contare sull'esistenza di barriere all'entrata la politica di prezzo che massimizza il profitto potrebbe non essere efficace perché non tiene conto della possibile concorrenza di altre imprese potenziali entranti.

L'entrata nel mercato di potenziali concorrenti può essere scoraggiata e resa non profittevole mediante un'opportuna politica di prezzo tale da non consentire un'entrata profittevole da parte dei concorrenti, questa strategia è nota come: strategia del prezzo limite.

A tale proposito verrà presentato in questo paragrafo il modello del prezzo limite sviluppato indipendentemente negli anni cinquanta - sessanta da Bain, Sylos Labini e Modigliani.

Il modello del prezzo limite cerca di spiegare perché le imprese esistenti vendono i loro prodotti ad un prezzo maggiore di quello concorrenziale ma inferiore a quello richiesto dalla logica di massimizzazione dei profitti di breve periodo. Un'impresa monopolistica o in generale le imprese che già operano su un mercato oligopolistico possono scoraggiare l'entrata sul mercato delle imprese rivali producendo un livello di output tale per cui la quota di mercato che rimane da servire è troppo bassa perché un potenziale entrante possa conseguire un profitto (qualunque sia il prezzo che essa voglia praticare). Per attuare questa strategia l'impresa esistente è costretta a produrre una quantità di beni superiore a quella che massimizza il suo profitto.

All'inizio nel mercato opera una sola impresa che indichiamo con I ed esiste un potenziale entrante che indichiamo con E. Ipotizziamo che ai consumatori non interessi da chi acquistano il prodotto (prodotto omogeneo) e non devono sostenere alcun costo qualora decidano di rivolgersi ad un'altra impresa. Supponiamo inoltre che la domanda aggregata non subisca variazioni nel tempo.

In un primo periodo l'impresa I s'impegna a produrre una certa quantità QL che continuerà a produrre anche in tutti i periodi futuri.

La potenziale entrante E ritiene che I non modificherà la quantità prodotta indipendentemente dal fatto che essa decida o meno di entrare nel mercato ed indipendentemente dal prezzo che prevarrà, la potenziale entrante ritiene quindi che l'impegno assunto da I verrà mantenuto anche dopo che essa sarà entrata nel mercato.

Questa è un'ipotesi molto forte in quanto potrebbe non essere razionale per l'impresa esistente mantenere l'impegno preso una volta che la potenziale concorrente sia effettivamente entrata nel mercato.

Intendendo impedire l'entrata di E, l'impresa I può scegliere una coppia prezzo-quantità tale da impedire all'impresa E di conseguire profitti positivi se questa decidesse di entrare. Questa strategia è illustrata nella ura 8.4 in cui la scelta della quantità da produrre è effettuata in modo da spostare la domanda di mercato residua per l'impresa E verso il basso, in misura tale da renderla tangente alla curva di costo medio. In questa condizione non esiste alcuna combinazione di prezzo e quantità in corrispondenza della quale l'impresa E possa ottenere profitti positivi, di conseguenza non entrerà e l'incumbent resterà monopolista. Il prezzo PL è detto prezzo limite e la corrispondente quantità QL è la quantità limite.

Fissando il prezzo limite (minore del prezzo di monopolio), l'impresa I vende la quantità limite (maggiore della quantità di monopolio) che va sottratta dalla domanda di mercato iniziale. La domanda di mercato residua a disposizione di E è la retta più bassa che è tangente nel punto A alla curva di costo medio. Lungo la domanda residua i profitti dell'entrante sono non-positivi. Si osservi che l'entrata nel mercato può essere scoraggiata anche producendo livelli di output maggiori di QL; QL rappresenta solo il più basso livello di output che consente di raggiungere l'obiettivo di impedire l'entrata all'impresa concorrente, corrispondentemente il prezzo limite PL rappresenta il più alto prezzo possibile che consente di impedirne l'entrata.

Apparentemente la scelta della combinazione (PL,QL) costituisce una barriera all'entrata che assicura all'incumbent un profitto.

QM

 

Q

 

q'O

 

q''O

 


ura 3 per P=PM, l'incumbent massimizza il profitto, ma lascia una domanda residuale all'outsider tale da consentirgli di entrare sul mercato ottenendo un profitto positivo.


Q

 

ura 4 per P=PL, l'incumbent non massimizza il profitto, ma lascia una domanda residuale all'outsider tale da non consentirgli di realizzare un profitto positivo.

Riformuliamo quindi la situazione in termini di un gioco non-cooperativo sequenziale come indicato nella ura 8.5



I

 

(1025; -l50)

 

PL

 

ura 5 il modello del prezzo limite in forma estesa.


L'impresa I seleziona il prezzo limite PL in corrispondenza del quale l'impresa concorrente decide di non entrare sul mercato (si assume che l'entrante creda all'annuncio di I di mantenere il prezzo limite).

Analizzando la ura appare evidente che la strategia di prezzo limite non rappresenta un equilibrio di Nash in ogni sottogioco. Ad esempio se al secondo stadio l'impresa E decidesse di entrare la migliore decisione per I è quella di alzare il prezzo e produrre meno anziché mantenere la strategia deterrente. Infatti, continuando ad applicare il prezzo limite l'impresa I riesce ad

evitare l'entrata nel mercato di E ma ottiene un profitto di 400 minore di quello che otterrebbe in regime di competizione applicando il prezzo PC.

Il modello è stato ampliamente criticato all'interno della teoria dell'organizzazione industriale basata sulla teoria dei giochi, soprattutto in quanto l'annuncio del prezzo limite non è credibile il che dipende dal fatto che tale strategia non è perfetta nei sottogiochi in quanto dominata dalla strategia alternativa "PC", sapendo tutto questo l'impresa E entrerà nel mercato, perciò la scelta migliore che l'impresa I può fare è mantenere inalterato il proprio output rispetto alla fase in cui era monopolista (questo è il solo equilibrio perfetto nei sottogiochi). Inoltre il modello del prezzo limite implica la conoscenza da parte dell'incumbent della curva di costo del rivale.

Tuttavia la decisione del monopolista di tenere sotto controllo il prezzo in modo da impedire l'ingresso di nuovi operatori è perfettamente razionale ed è compatibile con l'idea che le imprese effettuino la massimizzazione del profitto di lungo periodo, occorre osservare che se l'incumbent ha enormi capacità di profitto allora potrà anche resistere per anni al potenziale entrante e rimanere in condizioni di profitti più bassi o addirittura nulli fino a quando il potenziale entrante non abbandonerà il campo.

Si noti che non esiste un unico prezzo limite in grado di proteggere l'impresa esistente dalla potenziale concorrente, ma tutto è legato: alla presenza ed ai livelli delle barriere all'entrata (vedi il modello di Bain) che contraddistinguono il mercato considerato, alle caratteristiche strutturali del mercato in cui si opera anche in termini di composizione dimensionale delle imprese che vi operano e di quelle che si vogliono contrastare. In altri termini ciascuna impresa può praticare prezzi diversi in funzione della tipologia del mercato e della struttura dimensionale del concorrente che si vuole ostacolare o di cui si vuole impedire l'ingresso.

Per di più nel modello le imprese esistenti hanno informazioni sulla struttura della domanda, sulla propria struttura dei costi e su quella dei concorrenti potenziali, ma queste sono tutte informazioni che si ottengono attraverso il processo di apprendimento per esperienza e nella realtà eventuali errori nella fissazione del livello del prezzo limite possono avere conseguenze significative: se troppo alto la concorrenza potenziale diventerà concorrenza effettiva; se troppo basso l'impresa rinuncerà a profitti altrimenti conseguibili e potenzialmente utilizzabili anche per creare e/o rafforzare le barriere all'entrata. Inoltre la politica del prezzo limite potrebbe rivelarsi inefficace se le imprese potenziali decidono di entrare nel mercato differenziando il prodotto e/o anche se non conseguono extraprofitti o addirittura se registrano perdite correnti.

In conclusione le dinamiche di deterrenza e, una volta avvenuta l'entrata, di guerra tra imprese sono molto più complesse di quanto intuito da Bain, Sylos Labini e Modigliani e non riguardano solo la quantità e i prezzi, infatti altre possibili strategie utilizzate a tale scopo possono essere: investimento in capacità produttiva, introduzione di nuove varietà di prodotto sul mercato, spese in pubblicità e in R&S.

Inoltre la strategia del prezzo limite può rivelarsi di difficile applicazione nelle fasi di espansione della domanda e nel caso di innovazioni tecnologiche importanti: una rapida espansione della domanda ed innovazioni di processo possono attrarre l'attenzione dei potenziali concorrenti in maniera tale da rendere poco importante la politica di prezzo delle imprese.

In tempi più recenti questo modello è stato riscoperto e recuperato come base di una serie di modelli che utilizzano la teoria dei giochi per spiegare le strategie predatorie di prezzo. Per politica predatoria s'intende la fissazione di un prezzo artificialmente basso da parte di un'impresa per far incorrere i rivali in perdite e quindi a farli uscire dal mercato.

L'aspetto fondamentale della teoria delle pratiche predatorie è l'esistenza di informazione incompleta: l'incumbent trae vantaggio dalla minore informazione a disposizione dell'outsider (o di chi deve finanziarlo) per impedirne l'entrata sul mercato o per costringerlo ad uscire.

Vi sono tre classi di modelli predatori basati sulla teoria dei giochi: i modelli reputazionali, i modelli di segnalazione ed i modelli finanziari "deep pocket". Questi modelli mostrano che in presenza di asimmetria informativa un comportamento predatorio può essere razionale e che un prezzo inferiore al costo marginale non è condizione necessaria perché si abbia predazione.

Riprendiamo la guerra dei pannolini monouso negli Stati Uniti illustrata nel modulo 6 in cui le due imprese che detengono la maggioranza di quote nel mercato dei pannolini monouso: Kimberly-Clark e Procter & Gamble sono intrappolate in un dilemma del prigioniero (investire in R&S è la strategia dominante per entrambe).

Gli investimenti in R&S costituiscono, per entrambe le imprese, un deterrente all'entrata di nuovi concorrenti nel mercato. Oltre che nella riconoscibilità del marchio, le due imprese hanno investito così massicciamente nel know-how tecnologico e nell'efficienza produttiva da avere un considerevole vantaggio di costo su qualsiasi impresa che si affacci sul mercato per la prima volta; il nuovo entrato oltre a costruire nuovi impianti produttivi, dovrebbe investire massicciamente in R&S in modo da ridurre progressivamente il costo. L'entrata sarebbe redditizia solo se P&G e Kimberly-Clark smettessero di investire a loro volta in modo da consentire all'outsider di ridurre le distanze e conquistare un vantaggio di costo.


Esempio tratto da: "Microeconomia di Robert S. Pindyck e Daniel L.Rubinfeld".

L'American Sugar Refining Company (originariamente Sugar Trust) dominò il mercato americano della raffinazione dello zucchero dal 1890 al 1914.

Al primo tentativo di entrata su larga scala da parte di Claus Spreckels, ASRC reagì con un politica di prezzi estremamente aggressiva: la differenza tra il prezzo dello zucchero raffinato e il prezzo dello zucchero grezzo, che era di 70 cents ogni 100 pounds prima dell'entrata di Spreckels, scese tra i 19-31 cents.

Considerando il costo degli altri input, questi prezzi erano inferiori ai costi marginali.

Le associazioni di categoria stimarono perdite di 10 cents ogni 100 pounds di zucchero che comportava perdite totali rilevanti.

La guerra di prezzo finì quando Spreckels decise di vendere i suoi impianti a ASRC.


Tratto da: "American sugar kingdom: the tation economy of the Spanish Caribbean Di César J. Ayala".

Nel 1999 il Dipartimento di Giustizia americano ha condannato l'American Airlines per predatory pricing.

Essa aveva attuato una strategia tariffaria sulle rotte da e per l'aeroporto internazionale di Dallas/Fort Worth a danno di ben tre piccole comnie: la Sunje International, la Western Pacific e la Vanguard Airlines.

In particolare l'American Airlines (di fronte al pericolo di ingresso di nuove imprese su una rotta profittevole) aveva abbassato le tariffe in misura così consistente e per così lungo tempo da rendere di fatto impossibile la sopravvivenza su quel mercato.

Una volta libera dai potenziali entrante, l'American Airlines non solo aveva rialzato le tariffe, ma le aveva anche rincarate rispetto a quelle in vigore all'inizio delle ostilità per recuperare le perdite accumulate.


Fonte: Affari e Finanza 1999.


Riferimenti bibliografici


Immagine: www.freeimages.co.uk


Libri

  Ken Binmore (2008), Teoria dei giochi, Codice edizioni, Torino.

  Alberto Quadrio Curzio e Roberto Scazzieri (1977), Protagonisti del pensiero economico II. Tradizione e rivoluzione in economia politica (1890- 1936), il Mulino, Bologna.

  Avinash Dixit e Barry Nalebuff (2004), Io vinco tu perdi. Strategie di successo nel business e nella vita, Il Sole 24 ORE S.p.A., Milano.

  Giulio Ecchia e Giancarlo Gozzi(2002), Mercati, strategie e istituzioni. Elementi di microeconomia, il Mulino, Bologna.

  Luca Ferrucci (2001) Strategie competitive e processi di crescita dell'impresa, Franco Angeli, Milano.

  Paolo G. Garella e Luca Lambertini (2002), Organizzazione industriale, Carocci editore, Roma.

  David M. Kreps (1992), Teoria dei giochi e modelli economici, il Mulino, Bologna.

  Oskar Morgestern (1969), Teoria dei giochi, scientifica Boringhieri, Torino.

  Massimo Motta e Michele Polo (2005), Antitrust Economia e politica della concorrenza, il Mulino, Bologna.

  Fabio Pammolli (2004), Modelli e strategie di marketing, Franco Angeli S.r.l., Milano.

  Robert S. Pindyck e Daniel L. Rubinfeld (2006), Microeconomia, Zanichelli, Bologna, quarta edizione italiana.

  Andrew Shotter (2009), Microeconomia, G. Giappichelli editore, Torino.

  Salvatore Vinci (1993), Introduzione alla microeconomia, Liguori editore, Napoli.






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