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LA FASE DELLA MATURITA': EVOLUZIONE LEGISLATIVA

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LA FASE DELLA MATURITA': EVOLUZIONE LEGISLATIVA


La fase della maturità dell'istituto dei lavori socialmente utili prende avvio nel 1993 in concomitanza del protocollo firmato dal Governo e parti sociali il 23 luglio 1993 e sulla scia di un dibattito dottrinale che si concentra sull'istituto dei lavori socialmente utili come strumento di riforma del sistema di Welfare.

Nel protocollo sul costo del lavoro del 3-23 luglio 1993 i lavori socialmente utili vengono presi in considerazione come strumento di politica attiva del lavoro, in quanto si ritiene che essi consentano di allargare la base occupazionale attraverso programmi di lavoro che coinvolgano giovani disoccupati di lunga durata e lavoratori in Cassa integrazione guadagni straordinaria e/o in mobilità.

Sulla base di queste premesse, nel nostro ordinamento sono stati emanati tre decreti legge non convertiti: il decreto legge 18 novembre 1993 n.462; il decreto legge 17 gennaio 1994 n.32; il decreto legge 17 marzo 1994 n.178, per poi giungere alla emanazione della legge 16 maggio 1994 n.451, di conversione del decreto legge 16 maggio 1994 n.299.

Un ulteriore riforma è stata successivamente apportata dal decreto legge 8 febbraio 1995 n.31.

Ma ancora prima, la legge 19 luglio 1993 n.236 (di conversione del decreto legge 20 maggio 1993 n.148), concernente <<interventi urgenti a sostegno dell'occupazione>>, all'art. 1, terzo comma, prevede la possibilità di accedere al Fondo per l'occupazione, istituito dalla stessa legge all'art. 1, primo comma, da parte di imprese pubbliche o private, le quali hanno l'incarico di gestire i progetti di pubblica utilità, promossi dalle Amministrazione statali o dalle Regioni, di durata non inferiore ad un anno e in cui vengano impiegati i lavoratori sospesi in Cassa integrazione e le categorie di lavoratori previste nell'art.25, quinto comma della legge n.223/1991.



Il Fondo per l'occupazione in questione è uno strumento finalizzato al finanziamento di misure straordinarie di politica attiva del lavoro, intese a sostenere i livelli occupazionali nelle aree di cui agli obiettivi 1 e 2 del regolamento CEE e in quelle con rilevante equilibrio locale tra domanda ed offerta di lavoro, accertate dal Ministero del lavoro e della Previdenza sociale, su proposta della Commissione regionale per l'impiego.

La legge n.236/1993 prevede, inoltre, servizi di informazione e consulenza a favore dei lavoratori in Cassa integrazione guadagni straordinaria e degli iscritti nelle liste di mobilità diretti a favorire la ricollocazione in attività di lavoro autonomo e cooperativo ed il finanziamento di attività di formazione continua per i primi e di formazione professionale per i secondi.

Conferma la possibilità di svolgere i progetti socialmente utili già previsti dalle legge n.452/1987 per i lavoratori dipendenti dalla GEPI S.p.a., anche con il ricorso a lavoratori che godono dell'indennità di mobilità, con delimitazione in ordine ai settori nei quali può avvenire l'utilizzazione: ambientale e dei beni culturali. Pertanto, i progetti di lavori socialmente utili per tali lavoratori devono essere inerenti ai quei progetti approvati dal Ministero per i beni culturali e ambientali.

La manovra politica di riattivazione del marcato del lavoro prevista dal protocollo del 1993 viene avviata con l'emanazione del decreto legge 18 novembre 1993 n.462 che, per la prima volta, sembra delineare una disciplina organica dei lavori socialmente utili.

Tale decreto, dopo l'emanazione di successivi decreti di reiterazione, quali il decreto legge n.32/1994, il decreto legge 178/1994, il decreto legge n.299/1994, è stato recepito dall'art. 14 della legge n.451/1994.

La normativa precedente al decreto legge n.462/1993 risulta insufficiente per diversi motivi, tra cui la scarsa propensione dei lavoratori ad essere utilizzati in impieghi di natura temporanea, la difficoltà di individuare opere o servizi di pubblica utilità che risultino compatibili con la professionalità dei lavoratori, la scarsa conoscenza della normativa in materia da parte degli Enti pubblici[1].

Riepilogando brevemente tale normativa fino al 1993, si è già avuto modo di evidenziare che la legge n.390/1981 prevede la possibilità di utilizzare temporaneamente i lavoratori cassaintegrati delle aree del Mezzogiorno per opere o servizi di pubblica utilità; le leggi n.18/1984 e n.160/1988 estendono la normativa, rispettivamente, a tutti i lavoratori beneficiari di trattamento straordinario di integrazione salariale ed ai lavoratori ammessi al trattamento di disoccupazione speciale.

Sul finire degli anni Ottanta, con le leggi n.452/1987 e n.67/1988, l'istituto dei lavori socialmente utili viene applicato anche ai settori dell'inoccupazione e della disoccupazione giovanile e nell'ambito delle iniziative di reimpiego dei lavoratori dipendenti dalle società costituite dalla GEPI S.p.a.

Poi, le leggi n.223/1991 e n.236/1993 hanno ulteriormente dilatato l'ambito di applicazione di tale istituto e lo hanno esteso ai lavoratori iscritti nelle liste di mobilità: sia a quelli beneficiari della relativa indennità che a quelli non beneficiari.

Rispetto alla normativa sopra riepilogata, il decreto legge n.462/1993 introduce la previsione di una struttura organizzata e composta di soggetti che gestiscono i progetti socialmente utili e di soggetti pubblici con funzioni di guida e di controllo rispetto ai primi, quali il Ministero del lavoro, il Ministero della funzione pubblica, l'Agenzia per l'impiego[2].

In riferimento alle funzioni di guida, si prevede che i progetti vengano redatti secondo i criteri stabiliti dal Ministero del lavoro e della Previdenza sociale di concerto con il Ministero della funzione pubblica, con competenza a riceverne la presentazione in capo al Ministero del lavoro ovvero all'ufficio provinciale del lavoro ed all'Agenzia per l'impiego competente per territorio.

I progetti poi vengono sottoposti all'approvazione della Commissione centrale o provinciale per l'impiego a seconda dell'ambito territoriale.

La funzione di controllo è interamente affidata al Ministero del lavoro ed al Dipartimento della funzione pubblica: l'art. 1, ottavo comma, del decreto prevede che annualmente venga redatto un rapporto sull'esperienza dei progetti realizzati.

I lavoratori interessati sono sempre quelli sospesi con diritto al trattamento straordinario di integrazione salariale, nonché quelli di cui all'art. 25, quinto comma, lett.a) e b) della legge n.223/1991.

Quindi vi rientrano anche i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità, secondo quanto previsto dalla legge n.223/1991, sia che godano sia che non godano della relativa indennità.

Anche il decreto legge n.462/1993 precisa che, riguardo al rapporto tra i lavoratori e gli enti gestori, l'utilizzo di tali lavoratori non determina l'instaurazione di un rapporto di lavoro, sia autonomo che subordinato.

E' previsto che i lavoratori vengano assegnati ai soggetti gestori dei progetti, il che implica l'instaurazione di un rapporto di sevizio; il singolo lavoratore è obbligato ad accettare l'assegnazione al soggetto gestore e, in caso di ingiustificato rifiuto, è prevista l'irrogazione di una sanzione[3].

Il decreto legge 17 gennaio 1994 n.32 reitera il precedente decreto legge, il n.462/1993, e non contiene, dal punto di vista normativo, sostanziali differenze.

Le novità riguardano i nuovi beneficiari (disoccupati di lunga durata e gli altri appartenenti alle fasce deboli) che, in quanto non usufruiscono di alcun trattamento previdenziale, possono venire impegnati nell'ambito dei progetti di lavori socialmente utili per non più di 12 mesi e per un massimo di 80 ore mensili.

Per quanto riguarda il trattamento economico, la prestazione di queste ultime categorie è compensata con un'indennità di lire 7500 ad ora.

Per i cassaintegrati e i lavoratori in mobilità, l'integrazione del relativo trattamento non può essere inferiore al 10% del trattamento previdenziale.

Mentre la normativa precedente prevede che, nella fase di esecuzione dei progetti, le Amministrazioni interessate eroghino ai lavoratori impiegati una somma in ogni caso pari alla differenza fra il trattamento Inps e il salario o stipendio che spetterebbe loro in costanza del rapporto di lavoro e comunque non superiore a quello percepito dai lavoratori che nella Pubblica Amministrazione svolgono pari mansioni[4].


a) Le due tipologie di lavori socialmente utili.

Le disposizioni contenute nel decreto legge n.462/1993 vengono sostanzialmente recepite, se pur con alcune modifiche, dall'art. 14 della legge 19 luglio 1994 n.451 (di conversione del decreto legge 16 maggio 1994 n.299) che contribuisce a dare ai lavori socialmente utili una prima disciplina completa ed organica, non del tutto esaustiva, ma contenente i principi regolativi fondamentali in conformità alle indicazioni contenute nell'Accordo del 23 luglio 1993.


b) Soggetti utilizzabili.

L'art. 14 della legge n.451/1994 innova la disciplina previgente poiché, accanto alla tradizionale tipologia di lavori socialmente utili avente come destinatari i lavoratori fruenti del trattamento di integrazione salariale e di mobilità, prevede una seconda tipologia indirizzata alle c.d. fasce deboli di lavoratori, a quei lavoratori disoccupati, cioè, privi di trattamenti di sostegno al reddito, ricompresi nelle categorie riservatarie di cui all'art. 25, quinto comma, lett.c) della legge n.223/1991.

Quindi, alle categorie previste dalla normativa del 1981 e successive modifiche, si aggiungono i lavoratori iscritti da più di due anni nella prima classe delle liste di collocamento, i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità non fruenti della relativa indennità, nonché le categorie di lavoratori determinate, anche per specifiche aree territoriali, mediante delibera della Commissione regionale per l'impiego, approvata dal Ministro del lavoro.

Si tratta di soggetti <<che non fruiscono di alcun trattamento previdenziale>>, riguardo ai quali è sorta la necessità di introdurre una disciplina specifica, che ricalchi quella già dettata per i giovani disoccupati meridionali dall'art. 23 della legge n.67/1988; tale disciplina viene estesa anche ai <<piani per l'inserimento professionale dei giovani privi di occupazione>>, previsti dall'art. 15, primo comma, lett.a), della stessa legge n.451/1994.

La legge in questione delinea, dunque, due tipologie di lavori socialmente utili, che testimoniano la polifunzionalità di questo strumento di politica del lavoro: da un lato, infatti, vi è la tipologia tradizionale presente nel nostro ordinamento dal 1981, che riguarda i lavoratori titolari di trattamenti di sostegno al reddito e che si risolve in un controllo indiretto dello stato di disoccupazione.

In questo caso, i lavori socialmente utili vengono utilizzati come strumento che consente di fare trasparenza sul mercato del lavoro e che consente di contrastare la pratica del c.d. lavoro nero dei titolari di trattamenti di sostegno al reddito, nonché come strumento di razionalizzazione della spesa pubblica.

Dall'altro lato, invece, vi è la seconda tipologia che costituisce una forma di intervento sulla domanda di lavoro, ha la funzione di creare occasioni di lavoro fuori mercato e garantire un reddito alle categorie di lavoratori deboli sul mercato del lavoro e non titolari di alcun trattamento di sostegno al reddito.

In questo caso, dunque, i lavori socialmente utili descrivono un modello di protezione sociale che ha la caratteristica peculiare di non operare attraverso un trasferimento del reddito bensì garantendo un temporaneo inserimento produttivo che consenta ai soggetti impiegati di beneficiare di un reddito.

La diversità di fini perseguiti attraverso le due tipologie di lavori socialmente utili, che rimangono invariati fino alla emanazione della legge n.608/1996, viene a riflettersi sul regime economico previsto in riferimento alla prestazione lavorativa prestata dai lavoratori coinvolti in tali progetti di lavori socialmente utili.

I soggetti titolari di trattamenti di sostegno al reddito ricevono il trattamento previdenziale in godimento e, per le giornate di effettiva esecuzione lavorativa, ricevono un importo integrativo a carico dell'ente utilizzatore; importo che, comunque, può non essere corrisposto nell'ipotesi di utilizzazione ridotta del lavoratore.

I soggetti privi di trattamenti di sostegno al reddito, invece, ricevono un'indennità assistenziale che, secondo la disposizione definitiva contenuta nell'art. 1, terzo comma, della legge 608/1996, è di lire 800.000 mensili per un utilizzo massimo di 12 mesi; mentre è facoltativa la corresponsione, da parte dell'Amministrazione pubblica, di un importo integrativo del trattamento assistenziale.


c) Soggetti promotori e gestori dei progetti di lavori socialmente utili.

L'art. 14 della legge n.451/1994 ridefinisce, rispetto alla disciplina contenuta nell'art. 1 bis della legge n.390/1981, anche i profili procedurali e sostanziali di tale istituto.

In particolare introduce modifiche in riferimento ai soggetti gestori dei progetti sulla base delle indicazioni contenute nel protocollo tra Governo e parti sociali del 23 luglio 1993, il quale prevede l'affidamento dei programmi di lavori socialmente utili, appunto <<a soggetti qualificati>> che ne garantiscano l'efficacia.

I soggetti legittimati a proporre i progetti di lavori socialmente utili vengono individuati nelle Amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1 del decreto legislativo n.29/1993, nelle società a prevalente partecipazione pubblica, nonché negli altri soggetti individuati con decreto del Ministero del lavoro.

Si tratta, in linea di massima, di soggetti pubblici, ad esempio, di Amministrazioni statali, di Enti pubblici non economici, di Enti locali, di società in mano pubblica. Ad essi di recente si sono affiancate le cooperative sociali, previste dalla legge 8 novembre 1991 n.381, ammesse alla presentazione di progetti di lavori socialmente utili nell'ambito della loro ordinaria attività.

L'ammissione di tutte le Amministrazioni pubbliche alla promozione di lavori socialmente utili presuppone l'esistenza di due requisiti di legge: il primo riguarda gli Enti locali in stato di dissesto, per i quali tale promozione è subordinata al possesso delle risorse necessarie a finanziare il 20% della spesa prevista; il secondo requisito prevede che le Amministrazioni pubbliche non abbiano personale eccedente rispetto ai programmi di lavori socialmente utili.

Successivamente, l'intesa tra Governo ed Organizzazioni Sindacali ha espressamente previsto la possibilità di affidare la gestione di progetti di lavori socialmente utili ad imprese, anche se, in realtà, già la legge n.451/1994 ne fa menzione.

Tuttavia, l'art. 14 della legge 451/1994, prevede una limitazione all'utilizzazione di lavoratori da parte delle Amministrazioni pubbliche interessate, poiché essa può avvenire solo per il perseguimento di <<obiettivi di carattere straordinario>>, quindi esclude che gli Enti pubblici possano farvi ricorso per fronteggiare carenze di organico, ed esclusivamente per <<settori innovativi, quali la manutenzione ambientale, il recupero urbano, i beni culturali, i servizi alla persona, la ricerca, la formazione e la riqualificazione professionale, il sostegno della piccola e media impresa in tema di erogazione di servizi e di sostegno alla commercializzazione ed all'esportazione>>.

La legge n.451/1994 introduce anche una compiuta regolamentazione relativa alla procedura di redazione, presentazione ed approvazione dei progetti socialmente utili, eliminata, tra l'altro, dalla decretazione successiva.

Per il resto essa ribadisce le disposizioni fondamentali dell'istituto già previste nell'art. 1 bis della legge n.390/1981: prevede la sanzione della decadenza dal trattamento di sostegno al reddito nel caso di ingiustificato rifiuto di partecipazione ai lavori socialmente utili.

A tal proposito, la legge n.451/1994 contiene un'innovazione perché considera giustificato il rifiuto di partecipazione a quei progetti che si svolgono in un luogo distante più di 50 chilometri da quello di residenza del lavoratore.

Prevede, altresì, l'espressa esclusione dell'instaurazione di un rapporto di lavoro tra i lavoratori impiegati in lavori socialmente utili e le Amministrazioni pubbliche (nonché gli altri soggetti) utilizzatrici; la corresponsione ai soggetti titolari di trattamenti di sostegno al reddito di un importo economico integrativo a carico delle Amministrazioni utilizzatrici, ma solo per le giornate di effettiva esecuzione della prestazione lavorativa.

Il criterio utilizzato per individuare i lavoratori da assegnare ai progetti di lavori socialmente utili prevede la <<corrispondenza tra la capacità dei lavoratori e i requisiti professionali richiesti per l'attuazione del progetto>>.

Si prevede anche la possibilità di coinvolgere in progetti di lavori socialmente utili gruppi di lavoratori predeterminati nel contesto di crisi aziendali, di settore e/o di area e, in tale prospettiva, è previsto che l'assegnazione avvenga limitatamente a gruppi di lavoratori espressamente individuati nel progetto stesso; tuttavia, questa disposizione viene ripresa ed espressa in maniera definitiva dall'art. 1, secondo comma, della legge 608/1996.

Comunque, la disciplina dell'istituto dei lavori socialmente utili contenuta nell'art. 14 della legge 451/1994 non ha trovato completa applicazione a causa della mancata predisposizione degli strumenti necessari alla sua applicazione; inoltre tale disciplina va incontro a notevoli modificazioni in seguito all'emanazione del decreto legge  8 febbraio 1995 n.31.

Il decreto legge afferma, innanzitutto, che le disposizioni da applicare in materia sono quelle previste dall'art. 14 della legge 451/1994 al fine di riattivare i progetti concernenti i lavori socialmente utili considerando la scadenza dei trattamenti di sostegno al reddito per un numero elevato di lavoratori, soprattutto nelle zone meridionali, che continuano a godere di tali trattamenti in virtù di proroghe concesse per legge. Per questi lavoratori l'accordo stipulato fra il Governo e le Organizzazioni Sindacali il 18 novembre 1994, quindi prima dell'emanazione del decreto legge n.31/1995, prevede il superamento della prassi delle proroghe assistenziali e prevede che, a partire dal 1995, per essi diviene indispensabile partecipare ai progetti di lavori socialmente utili per avere diritto ad un intervento di sostegno al reddito consistente in un trattamento economico pari al 64% della Cassa integrazione guadagni straordinaria per un periodo massimo di 12 mesi. Il decreto legge n.31/1995 nasce dall'esigenza di semplificare la disciplina relativa all'istituto dei lavori socialmente utili contenuta nella legge 451/1995, che ne ha notevolmente limitato la potenzialità di strumento di politica del lavoro di fronte al grave problema dell'emergenza occupazionale e sociale[5].

Tale decreto legge sostituisce il concetto di straordinarietà con quello di temporaneità, dando in questo modo alle Amministrazioni pubbliche utilizzatrici la possibilità di promuovere lavori socialmente utili in quei settori in cui le attività, pur risultando ordinarie, tendono a migliorare la qualità dei servizi.

Si prevede, inoltre, la possibilità di un'utilizzazione ad orario ridotto rispetto a quello osservato nell'ambito dell'Ente, che comunque deve essere proporzionato alla misura del trattamento di sostegno al reddito spettante al lavoratore, con il relativo esonero dall'integrazione economica a carico dello stesso Ente.

Per quanto riguarda le procedure di approvazione dei progetti, viene accelerato l'intero iter attraverso il ripristino delle procedure previste dalla normativa anteriore alla legge n.451/1994; si fa ricorso al decentramento, in ambito locale, delle operazioni di approvazione, di finanziamento dei progetti e di verifica dei risultati. Viene introdotta la regola del silenzio-assenso, alla quale rimane vincolata l'approvazione del progetto da parte della Commissione regionale per l'impiego.

Da questo momento l'istituto dei lavori socialmente utili risulta disciplinato dalla combinazione della normativa contenuta in parte nell'art. 1 bis della legge n.390/1981, in parte nell'art. 14 della legge n.451/1994, in parte nei decreti legge che si sono susseguiti a partire dall'emanazione del decreto legge n.31/1995 fino alla legge n.608/1996.


d) Fase transitoria.

Questi decreti legge segnano una fase transitoria della disciplina relativa all'istituto dei lavori socialmente utili e, attraverso di essi, si è cercato di garantire una forma di protezione sociale nelle zone più disagiate del Paese a favore di quei lavoratori per i quali è cessato il godimento del trattamento previdenziale nel corso del 1994/1995.

A favore di questi lavoratori viene stabilita un'assegnazione prioritaria nei progetti di lavori socialmente utili; viene attivato il Fondo per l'occupazione previsto dall'art. 1, settimo comma, della legge 236/1993; viene ulteriormente accelerato l'iter procedurale.

Viene a conurarsi, in questo modo, una nuova categoria di lavoratori a favore dei quali vengono riservati progetti di lavori socialmente utili e per i quali è previsto un trattamento assistenziale consistente nella corresponsione di un sussidio, subordinata allo svolgimento di lavori socialmente utili.

Si tratta, in realtà, della seconda tipologia di lavori socialmente utili destinata a lavoratori non destinatari di trattamenti di sostegno al reddito e che, provvisoriamente, viene indirizzata a soggetti diversi (pur rientranti tra i lavoratori iscritti nelle liste di mobilità) rispetto a quelli rientranti nelle categorie riservatarie previste nell'art. 25, quinto comma, della legge n.223/1991.

L'assegnazione prioritaria ai lavori socialmente utili avviene attraverso la predisposizione di progetti finanziati dal Fondo per l'occupazione che siano approvati entro la data del 31 luglio 1995, in quanto le occasioni di lavoro sono riservate ai lavoratori cessati dai trattamenti di sostegno al reddito nel periodo 1 dicembre 1994 - 31 maggio 1995; mentre i lavoratori i cui trattamenti siano cessati nel corso del 1995 sono assegnati a quei progetti di lavori socialmente utili approvati successivamente al 1 agosto e fino al 31 dicembre 1995.

Per quanto riguarda il trattamento economico, è previsto che per i progetti approvati entro il 31 luglio 1995 sia riservato un trattamento pari al 64% del massimale di Cassa integrazione guadagni straordinaria; mentre per i progetti approvati successivamente a tale data, dapprima si è stabilito un importo orario di lire 8000 per 100 ore mensili e per un massimo di 12 mesi, per passare, dopo un periodo transitorio che va da agosto 1995 a gennaio 1996, ad una cifra fissa di lire 800.000 mensili per un massimo di 12 mesi. Regime economico, quest'ultimo, che poi è previsto, a partire dal decreto legge 4 dicembre 1995 n.515, in via generale per la tipologia di lavori socialmente utili destinata alle categorie riservatarie previste dall'art. 25 della legge n.223/1991.

Con il decreto legge 14 giugno 1995 n.232 si stabilisce che negli Enti locali le deliberazioni relative ai progetti di lavori socialmente utili devono essere adottate dalla giunta che, per questo fine, può fare ricorso anche a procedure straordinarie per <<l'approvvigionamento di quanto strettamente necessario per l'immediata operatività dei progetti>>, a condizione che vi sia la previa autorizzazione del Commissario di Governo (mentre nella legge n.608/1996 tale autorizzazione è rimessa al Prefetto).

Inoltre, se ne ricorrono i presupposti, l'Amministrazione pubblica che propone i progetti, anziché fare ricorso alle normali procedure amministrative, può ricorrere alle <<conferenze dei servizi>> ed agli <<accordi di programma>> previsti, rispettivamente, dall'art. 14 della legge n.241/1990 sul procedimento amministrativo e dall'art. 27 della legge n.142/1990 sull'ordinamento delle autonomie locali.

In riferimento al momento successivo all'approvazione dei progetti di lavori socialmente utili la regola del silenzio-assenso di 20 giorni prevista a partire da decreto legge n.31/1995 in relazione all'approvazione da parte della Commissione regionale per l'impiego, viene estesa alla Commissione centrale per l'impiego per i progetti interregionali.

Vengono attribuiti poteri straordinari e surrogatori al Ministero del lavoro, quali l'individuazione di modalità straordinarie per l'assegnazione dei lavoratori ai lavori socialmente utili, in considerazione dell'emergenza occupazionale, e la nomina di Commissari predisposti all'esecuzione di progetti qualora questi non vengano attivati nei termini di legge.

La norma introdotta, invece, dal decreto legge 4 agosto 1995 n.326 consente l'utilizzazione immediata, da parte dei Sindaci dei Comuni di residenza, dei lavoratori titolari della c.d. indennità di mobilità lunga che, a norma dell'art. 7, sesto e settimo comma, della legge n.223/1991, viene corrisposta per tutto il periodo che occorre a maturare il diritto alla pensione.

L'applicazione di questa norma è stata particolarmente sollecitata nelle Regioni meridionali poiché essa svolge la principale funzione di arginare il problema del lavoro nero prestato dai soggetti titolari di trattamenti di disoccupazione di lunga durata, fenomeno intollerabile in quelle aree a causa della scarsità delle occasioni di lavoro. Tale norma costituisce, altresì, attivazione della tipologia di lavori socialmente utili destinata ai soggetti titolari di trattamenti di sostegno al reddito.

Ad una simile finalità risponde la disposizione contenuta nella legge finanziaria n.549/1995, la quale prevede, a carico delle imprese, l'obbligo di comunicare ai Sindaci dei Comuni i nominativi dei lavoratori residenti che godono del trattamento di integrazione salariale, ai fini di una loro utilizzazione in attività socialmente utili e di tutela dell'ambiente da parte dei Comuni, degli Enti locali e loro Consorzi, nonché da parte di quei soggetti legittimati a promuovere progetti di lavori socialmente utili a norma dell'art. 14 della legge n.451/1994.

Tale legge disciplina anche il regime sanzionatorio nell'ipotesi di rifiuto di occupazione in lavori socialmente utili e stabilisce che la decadenza dal trattamento di Cassa integrazione guadagni è limitata per un periodo pari a quello dell'attività socialmente utile che ad essi viene offerta; mentre l'art. 14 della legge n.451/1994 prevede una tale limitazione solo per i rifiuti pervenuti entro il 31 luglio 1994 e stabilisce, in via generale, la decadenza definitiva dal trattamento previdenziale.


e) Il decreto legge n.515/1995

Nell'ambito della normativa relativa ai lavori socialmente utili, il decreto legge n.515/1995 segna un momento fondamentale e di svolta poiché, con l'applicazione di questo provvedimento si assiste ad un incremento del Fondo per l'occupazione, predisposto al finanziamento dei progetti di lavori socialmente utili, in conseguenza della restituzione alla Commissione regionale per l'impiego della competenza a decidere riguardo all'utilizzazione delle risorse ed alle priorità riservate a determinate categorie di lavoratori, pur continuando a sussistere dei vincoli normativi.

Infatti, l'art. 1, ventesimo comma, del decreto legge n.515/1995 prevede che, a partire dall' 1 gennaio 1996, il Fondo per l'occupazione viene ripartito per il 70% a livello regionale in riferimento al numero dei disoccupati di lunga durata che risultino iscritti nelle liste di collocamento e nelle liste di mobilità in quelle aree individuate dall'art. 1, primo comma, della legge 236/1993. Si tratta, più specificamente, delle aree individuate a norma degli obiettivi 1 e 2 del regolamento CEE n.2052/1988, cioè di quelle aree in cui sussiste un forte squilibrio tra domanda ed offerta di lavoro.

Tutte queste disposizioni vengono successivamente modificate dal decreto legge 2 aprile 1996 n.180 che, per la ripartizione del Fondo per l'occupazione prevede il criterio della quantità dei progetti approvati nel corso del 1995; in riferimento ai criteri di assegnazione ai progetti di lavori socialmente utili prevede che la Commissione regionale per l'impiego tenga conto della professionalità acquisita nel corso dell'attuazione del progetto.

Il decreto legge n.404/1996, poi, stabilisce che la Commissione regionale per l'impiego ha il vincolo della riserva minima del 15% delle risorse a favore dell'attivazione dei progetti che abbiano come destinatari i lavoratori previsti dall'art. 25, quinto comma, della legge n.223/1991, i quali non abbiano usufruito del trattamento di integrazione salariale o di mobilità. Tutto ciò al fine di garantire ed assicurare occasioni di lavoro e un reddito minimo a soggetti che non sono mai entrati nel sistema di protezione sociale costituito, appunto, dai trattamenti di sostegno al reddito della Cassa integrazione guadagni straordinaria e della mobilità[6].

Infine, con il decreto legge n.39/1996 la competenza della Commissione regionale per l'impiego viene estesa alla gestione delle risorse a disposizione delle Regioni e degli Enti pubblici che propongono progetti di lavori socialmente utili; i soggetti coinvolti in tali progetti che siano privi di trattamenti di sostegno al reddito, sono soggetti al trattamento assistenziale previsto dalla disciplina generale.


f) Le cooperative sociali.

Durante il periodo di emanazione della serie di decreti legge che si sono susseguiti nel corso del 1995, dopo l'emanazione della legge n.451/1994, e, a partire dallo stesso decreto legge n.515/1995, vengono creati nuovi possibili sbocchi occupazionali per i lavori socialmente utili, al fine di sfruttarli come strumento di politica attiva del lavoro.

La prima innovazione è contenuta nell'art. 1, diciottesimo comma, del decreto legge n.515/1995 che amplia le categorie di soggetti previste dall'art. 14 della legge n.451/1994 ed attribuisce la possibilità di presentare progetti di lavori socialmente utili anche alle cooperative sociali, sia quelle che gestiscono servizi socio-sanitari ed educativi (art. 1, primo comma lett.a) della legge n.381/1991), sia quelle <<finalizzate all'inserimento lavorativo di persone svantaggiate>> (art. 1, primo comma, lett.b) della legge n.381/1991).

Tali cooperative sociali, tuttavia, possono presentare progetti solo nell'ambito dello svolgimento della loro ordinaria attività ed è previsto l'accertamento della sussistenza di una serie di requisiti, quali la necessità di un'attività di un biennio da parte della cooperativa, l'avvenuto controllo ispettivo, l'assenza di riduzione di personale nei 12 mesi antecedenti la presentazione del progetto.

Si può chiaramente osservare che, la realizzazione di progetti di lavori socialmente utili attraverso le cooperative sociali, si concretizza nell'attuazione di una politica attiva del lavoro poiché viene svolta attività imprenditoriale da parte di un'impresa non profit che ha la possibilità di utilizzare personale senza sopportarne i relativi costi, in quanto ci si avvale della prestazione fornita dai lavoratori disoccupati inseriti nei progetti; tuttavia, non è da sottovalutare la norma che riconosce ad una cooperativa sociale la possibilità di ripresentare un progetto a condizione che almeno il 50% dei lavoratori impegnati nel precedente progetto venga assunto o diventi socio-lavoratore.


g) Le società miste.

Un'altra importante opportunità per creare sbocchi occupazionali è fornita dalla disposizione contenuta nel decreto legge del 2 agosto 1996 n.404 che, sulla base dell'intesa tra Governo e parti sociali dell' 1 dicembre 1994, prevede la costituzione di società miste da parte di soggetti che, in riferimento alla normativa generale contenuta nell'art. 14, primo comma, della legge n.451/1994, sono legittimati a proporre progetti di lavori socialmente utili; la costituzione di suddette società è prevista allo scopo di creare opportunità occupazionali per i lavoratori impegnati in progetti di lavori socialmente utili.

In ogni caso è stabilito che, per la creazione di questo sbocco occupazionale, il personale dipendente dalle società deve essere costituito per il 60% da lavoratori che già siano stati coinvolti in progetti di lavori socialmente utili e per il 20% da lavoratori che abbiano titolo ad esservi impiegati. Possono partecipare alla costituzione di società miste anche le cooperative di lavoratori precedentemente impegnati in progetti di lavori socialmente utili.





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