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RIASSUNTI DI FINANZA I. - CONTENUTI DELLA FINANZA AZIENDALE



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RIASSUNTI DI FINANZA I.


CAPITOLO 1: FINALITA' E CONTENUTI DELLA FINANZA AZIENDALE:

Questo libro tratta di finanza aziendale.

La prospettiva adottata è quella dell'azienda industriale.

Ci occuperemo di questioni attinenti alla finanza indossando i panni di chi gestisce un'attività industriale.


1.2.: CONTENUTI DELLA FINANZA AZIENDALE:



La finanza aziendale è la disciplina che studia le dinamiche del capitale nell'ambito della gestione d'impresa.

Schema sui flussi di capitale:


investimenti/ fonti di finanziamento

disinvestimenti

in capitale fisso


AZIENDA

reinvestimenti

flussi connessi

con la gestione

corrente remunerazione e rimborso

capitali acquisiti


BUSINESS SU CUI

L'IMPRESA OPERA.    MERCATI FINANZIARI.


Una prima categoria di risorse finanziarie è costituita dal flusso di capitali in entrata generato dal reperimento di mezzi di finanziamento(azioni, obbligazioni ecc.), sul mercato dei capitali.

Grazie a questo flusso l'impresa si trova nelle condizioni di intraprendere e continuare l'attività per la quale è stata costituita.

A tale attività si associa un flusso di risorse finanziarie connesso con la gestione del capitale fisso, cioè con il complesso di investimenti e disinvestimenti.

Rientrano in questo ambito le operazioni di impiego e smobilizzo inerenti alle immobilizzazioni tecniche, alle attività intangibili, alle attività finanziarie.

Una terza categoria di flussi finanziari riguarda la gestione corrente, cioè l'insieme di operazioni ripetitive inerenti all'attività tipica dell'impresa, sia in entrata sia in uscita, identificando nel primo caso, delle risorse di capitale che affluiscono all'impresa, nel secondo caso, delle risorse impiegate dall'impresa stessa.

Esso è il risultato dei ricavi e dei costi connessi alla gestione corrente e del relativo fabbisogno di capitale circolante netto, quale deriva dalla gestione delle scorte, dei crediti, della liquidità e dei debiti di fornitura.

Il flusso netto in entrata originato dalla gestione dei business può venire reinvestito oppure destinato a remunerare e rimborsare i capitali precedentemente acquisiti, traducendosi quindi in un flusso in uscita dall'impresa.


Tutto quanto suddetto è l'ambito di analisi della finanza aziendale.

Le decisioni fondamentali riguardano:

il volume e la composizione di mezzi investiti, nonché la variazione nel tempo;

la scelta delle fonti cui attingere i mezzi finanziari necessari;

le scelte inerenti alla distribuzione e al reimpiego dei flussi prodotti dalla gestione;

il governo integrato dei flussi finanziari che scaturiscono dalle scelte di cui ai punti precedenti;


i principali campi di indagine riconducibili alla sfera della finanza aziendale sono i seguenti:

gli strumenti per l'analisi del profilo economico e finanziario della gestione;

la valutazione degli investimenti in capitale fisso;

la valutazione economica delle strategie e le valutazioni d'azienda;

la gestione del capitale circolante(crediti, scorte, debiti di fornitura);

la gestione della liquidità;

le decisioni concernenti l'acquisizione delle fonti di finanziamento nell'ambito di una data tipologia;

la scelta della struttura finanziaria ottimale, cioè del mix più conveniente tra capitale di rischio e capitale di debito;

le decisioni concernenti la distribuzione dei dividendi;

la pianificazione dei flussi finanziari a breve, medio e lungo termine;

la gestione dei flussi finanziari in valuta.


1.4: CRITERI DI VALUTAZIONE DELLE SCELTE FINANZIARIE:

Il processo di impiego e di acquisizione del capitale deve risultare coerente con gli obiettivi di fondo della gestione.

In generale possiamo affermare che gli obiettivi di fondo riguardano il mantenimento di condizioni di duratura economicità dell'impresa.

Tali condizioni di funzionalità duratura dell'azienda sono osservabili secondo diverse prospettive di valutazione nell'ambito delle quali si possono individuare alcuni parametri fondamentali rispetto ai quali valutare le decisioni concernenti le dinamiche del capitale.

Tali parametri devono consentire di apprezzare le scelte finanziarie in relazione:


1: alla loro attitudine a produrre ricchezza;

2: alla loro fattibilità finanziaria nel lungo periodo;

3: all'equilibrio finanziario di breve periodo.


L'attitudine di una determinata decisione a produrre ricchezza riguarda la capacità di garantire a tale capitale un ritorno adeguato.

Vi sono due approcci diversi: l'uno contabile, l'altro economico.

Il primo assume come espressione del capitale di rischio il capitale netto di bilancio e ne misura le variazioni in termini di reddito netto d'esercizio.

Il secondo approccio alla misurazione della ricchezza prodotta viene indicato come approccio economico o del valore.

Esso assume come perno delle decisioni d'impresa il valore economico del capitale di rischio, la cui variazione viene appunto a rappresentare la ricchezza creata dalla gestione delle risorse finanziarie.

L'approccio contabile si basa su un processo di attualizzazione dei fussi di cassa attesi.

L'approccio economico si basa non più sui flussi di reddito del modello contabile, bensì sui flussi di cassa.

Sul piano della razionalità, quest'ultimo approccio viene ritenuto superiore quale criterio per orientare scelte e valutazioni aventi per oggetto le dinamiche del capitale.

Ciò significa che le decisioni di investimento e di finanziamento si dovrebbero fondare sull'attitudine a creare valore per gli azionisti(cioè a incrementare il valore del capitale economico), più che sul contributo a soddisfare le attese di redditività del capitale netto.

Numerosi sono i fattori che concorrono a determinare questa supremazia sotto il profilo della razionalità economica, tra i quali hanno un importanza fondamentale il tempo e il rischio.


CAPITOLO 2: IL BILANCIO E L'ANALISI DELLA STRUTTURA FINANZIARIA:


2.1:IL BILANCIO E IL MODELLO CONTABILE DELLA GESTIONE: INTRODUZIONE.

Anche se il metodo economico è più consono dal punto di vista razionale, anche il metodo contabile ha delle valenze positive che sono le seguenti:

la valutazione dell'equilibrio economico e finanziario globale della gestione;

la verifica della fattibilità dei programmi strategici e d'esercizio che si attua in sede di pianificazione finanziaria;

il controllo concettuale e terminologico alla comprensione delle problematiche finanziarie anche quando analizzate in una prospettiva squisitamente economica(cioè svincolata da convenzioni contabili).

Ciò giustifica l'intenzione di dedicare una parte significativa del presente lavoro a illustrare i fondamenti dell'approccio contabile, avendo come riferimento il modello della gestione incentrato sul bilancio d'esercizio e sulle relative tecniche di analisi.

In questa sede si farà riferimento al bilancio gestionale prescindendo cioè dagli schemi imposti dal legislatore.

Lo stato patrimoniale ci fornisce una prospettiva statica, cioè ci dà informazioni sulla provenienza dei capitali e sulla loro destinazione nelle diverse tipologie di impieghi con riferimento ad un preciso istante della vita dell'azienda.

Il conto economico e il rendiconto finanziario ci forniscono una prospettiva dinamica , cioè le variabili da cui dipendono i cambiamenti della situazione patrimoniale iniziale che risulta così trasformata in una nuova situazione , riprodotta nello stato patrimoniale finale.

Uno schema di rappresentazione della situazione suddetta è il seguente:

Situazione patrimoniale

Finale(t1).

 

Situazione patrimoniale iniziale (t°)

 

Flussi economici

(t° - t1)

 












2.2.: PROSPETTIVA STATICA E STATO PATRIMONIALE:

Il documento noto come stato patrimoniale, letto in chiave finanziaria, è il prospetto nel quale sono evidenziati l'entità e la composizione dell'investimento globale nei vari business e in attività accessorie rispetto a quelle principali, nonché l'entità e la composizione dei mezzi di finanziamento attinti per coprire il fabbisogno generato da tale investimento.

Gli schemi più diffusi di presentazione dello stato patrimoniale sono basati su due criteri di riclassificazione, denominati:

criterio finanziario;

criterio della pertinenza gestionale(o funzionale).


2.2.1: LA RICLASSIFICAZIONE SECONDO IL CRITERIO FINANZIARIO:

Seguendo il criterio finanziario , l'attivo e il passivo patrimoniale sono aggregati in base al grado di liquidità - esigibilità, cioè alla velocità di trasformazione in denaro delle voci che li compongono.


Lo stato patrimoniale risclassificato secondo il criterio finanziario è il seguente:













Il totale degli impieghi misura l'investimento complessivo effettuato dall'impresa quale si rileva alla data di compilazione del bilancio; esso, coincide, per ovvi motivi, con l'entità delle fonti di finanziamento che ne hanno permesso l'esecuzione;

L'investimento complessivo risulta suddiviso in:

a)  attività immobilizzate(o capitale immobilizzato, o immobilizzazioni, o capitale fisso);

b) attività circolanti(o capitale circolante lordo, o attività a breve).

Rientrano tra le immobilizzazioni quelle componenti del capitale investito che generano un flusso di liquidità in entrata nel medio - lungo periodo, intendendo come tale quello che va oltre un anno;

rientrano tra l'attivo circolante quegli investimenti che si tradurranno in un flusso in entrata nel breve periodo, cioè entro un anno.

nell'ambito delle finti di finanziamento il criterio finanziario comporta la co - presenza di due classificazioni:

a)  secondo l'esigibilità;

b) secondo la provenienza.

Il primo criterio è l'equivalente del criterio della liquidità usato per ordinare le componenti dell'attivo, con la differenza che qui si generano flussi, rispettivamente a medio - lungo termine ed a breve termine in uscita.

Con riferimento alla provenienza il capitale finanziario si suddivide in :

a)  capitale proprio;

b) capitale di terzi.

Il primo identifica quelle fonti di finanziamento vincolate stabilmente all'impresa, senza limiti di scadenza che non siano quelli coincidenti con la vita stessa dell'azienda e che partecipano a pieno rischio ai risultati della gestione.

Il capitale di terzi è costituito dai debiti, cioè da mezzi finanziari spesso caratterizzati da tempi di rimborso predefiniti e, soprattutto, non partecipi del rischio globale della gestione.


2.2.2.: LA RICLASSIFICAZIONE SECONDO IL CRITERIO DELLA PERTINENZA GESTIONALE:

Seguendo il criterio della pertinenza gestionale(detto anche funzionale), le voci dello stato patrimoniale sono aggregate in relazione alla loro appartenenza o meno alla gestione operativa e, nell'ambito della gestione operativa, in relazione alla loro appartenenza, o meno, alla gestione corrente, cioè al complesso delle operazioni collegato al ciclo ripetitivo acquisti - trasformazioni - vendita attraverso cui l'impresa, giorno dopo giorno, realizza la sua funzione economica.


Lo schema dello stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio della pertinenza gestionale o funzionale è il seguente(1° schema):













Il totale impieghi(cioè l'investimento complessivo nella gestione) risulta suddiviso in:

attività operative;

attività non operative(o accessorie)


le attività operative sono gli investimenti al servizio della gestione tipica dell'impresa e sono ulteriormente scomponibili in:

a)  attività legate alla gestione corrente;

b) attività estranee alla gestione corrente;


le attività operative legate alla gestione corrente sono gli impieghi collegati al ciclo della gestione corrente nell'eccezione sopra ricordata; esse consistono tipicamente in scorte, crediti commerciali, liquidità immediate, ratei e risconti..


le attività operative estranee alla gestione corrente sono quella parte di investimenti vincolati al processo produttivo, che tuttavia non entrano nel ciclo della gestione corrente, quali le immobilizzazioni tecniche e immateriali(al netto dei rispettivi fondi ammortamento), ma anche i crediti finanziari a breve.


Le attività non operative sono investimenti estranei alla gestione caratteristica dell'impresa, quali, ad esempio, gli immobili civili, le partecipazioni, gli investimenti in titoli non riconducibili a un impiego temporaneo di liquidità eccedente i fabbisogni della gestione corrente;


spostando l'attenzione sulle fonti di finanziamento, queste risultano suddivise in:

capitale proprio;

debiti finanziari;

debiti operativi(o correnti);


si nota che i debiti sono suddivisi esclusivamente in base alla propria natura.


Sono debiti correnti:

a)  i debiti commerciali( a prescindere dalla loro scadenza);

b) il fondo trattamento di fine rapporto lavoro;

c) il fondo imposte;

d) i ratei e risconti inerenti a costi e ricavi riconducibili alla gestione corrente;


le passività estranee alla gestione corrente sono denominate passività finanziarie e includono tipicamente:

a)  i debiti finanziari a medio - lungo termine quali mutui e obbligazioni;

b) i debiti a breve verso banche.


Un secondo schema, sempre dello stato patrimoniale secondo il criterio funzionale , è il seguente:














Per concludere questa sintetica descrizione, si ricorda come la riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio funzionale sia meno agevole da applicare del precedente basato sulla liquidità - esigibilità.


2.3.: LA STRUTTURA FINANZIARIA:

In questo paragrafo ci proponiamo di esaminare come, attraverso lo stato patrimoniale riclassificato secondo i due criteri illustrati, sia possibile valutare le decisioni connesse alla gestione del capitale.

L'osservazione statica dello stato patrimoniale permette di trarre utili indicazioni sul rispetto di questi equilibri finanziari di carattere strutturale attraverso la costruzione di rapporti che mettono opportunamente in relazione le componenti del capitale investito e di quello acquisito.

Tra questi si segnalano:


a)  l'indice di indebitamento finanziario;

b) gli indici di posizione di liquidità;


A)    INDEBITAMENTO FINANZIARIO:

Può venire misurato in modi diversi, tutti comunque volti a mettere in luce in che rapporto stanno tra loro le fonti di finanziamento strutturali , ovverosia, il capitale proprio e i debiti finanziari.

L'indice forse più espressivo è dato dal rapporto:



Debiti finanziari

Capitale proprio



Che segnala quante lire di debiti finanziari(mutui, obbligazioni ecc.) esistono per ogni lira di capitale di rischio apportata in azienda.

Questo indice è riconducibile:

a)  all'essere una misura di garanzia nei confronti di finanziatori terzi;

b) all'essere una componente del rischio d'impresa in quanto espressione del rischio finanziario;

c) all'essere un fattore influente sulla redditività del capitale di rischio e sul valore dell'azienda;


Quanto al punto sub a, è evidente che quanto più il valore dell'indice si posiziona su livelli elevati, che , cioè, segnalano un alto indebitamento, tanto più diventa critica la solvibilità a lungo termine dell'impresa, ovvero la sua attitudine a remunerare e rimborsare i prestiti ottenuti, facendo crescere i rischi di fallimento.

L'asserzione di cui al punto b, riguarda il ruolo che l'indebitamento gioca sulla variabilità del reddito netto, amplificandone le oscillazioni già derivanti dai fattori di rischio operativo insiti nelle caratteristiche del business o dell'azienda.

Il terzo punto sta ad indicare che il grado di indebitamento si riflette, attraverso il meccanismo della leva finanziaria, sul livello della redditività del capitale proprio e sul valore economico.

I punti sub b e c , sono strettamente collegati, ma , mentre il primo si propone di evidenziare come una variazione delle condizioni operative in cui opera l'azienda si rifletta sulla redditività del capitale di rischio in presenza di un indebitamento più o meno elevato, il secondo esamina come, a parità di condizioni operative, l'indebitamento possa riflettersi in una maggiore o minore redditività del capitale proprio.


B)    POSIZIONE DI LIQUIDITA':

Dallo stato patrimoniale , risclassificato secondo il criterio finanziario, sono ricavabili alcune indicazioni sulla situazione strutturale di liquidità dell'azienda, intesa come attitudine a fronteggiare economicamente e tempestivamente i propri impegni finanziari a breve termine.

Ciò avviene ponendo in relazione fonti e impieghi di capitale omogenei sotto il profilo del grado di liquidità.

Queste sono facilmente identificabili nel circolante lordo e nei debiti a breve, da un lato, o nel capitale immobilizzato e nelle fonti di finanziamento permanenti, dall'altro.

I due indicatori principali sono:


a)  disponibilità;

b) liquidità;


Disponibilità = capitale circolante lordo

Debiti a breve


Liquidità = capitale circolante lordo - scorte

Debiti a breve


Per segnalare una situazione di liquidità equilibrata, i due rapporti in esame devono assumere un valore superiore all'unità.

Ciò è giustificato dalla considerazione che, se il denominatore rappresenta la matrice da cui derivano uscite di cassa nel prossimo futuro, e il numeratore la matrice delle future entrate, una posizione di liquidità accettabile richiede che queste ultime pareggino o superino le prime.


La proposta di non includere tra le passività a breve lo scoperto di conto corrente non trova, in genere, favorevole accoglienza, preferendo tener conto delle possibili distorsioni che ne derivano in sede di interpretazione dei dati.


In definitiva, non resta che prendere atto di come gli indici considerati segnalino, nella migliore delle ipotesi, una generica attitudine dell'azienda a essere solvibile nel breve termine, attitudine che potrà essere o meno confermata da altre valutazioni, tra cui assumono un rilievo particolare quelle concernenti la dinamica finanziaria del modello economico - finanziario della gestione, cioè il conto economico e il rendiconto finanziario.



CAPITOLO 3: IL BILANCIO E L'ANALISI DELLA DINAMICA FINANZIARIA:


3.1.: LA CORNICE DEL PROBLEMA: I FLUSSI ECONOMICI E FLUSSI FINANZIARI.


Come più volte sottolineato, lo stato patrimoniale offre una immagine statica del capitale nella gestione d'impresa, fissando gli effetti dei movimenti finanziari alla data di redazione del bilancio.

Il conto economico e il rendiconto finanziario accolgono, invece, questi stessi movimenti, anche se con angoli visuali diversi, dando risalto alle grandezze e ai meccanismi da cui dipendono le dinamiche del capitale.


flussi finanziari(o flussi di capitale), cioè i fattori da cui è dipesa la variazione subita dalle singole componenti del capitale investito e del capitale acquisito iniziale nel periodo considerato(t° - t1);

flussi economici, cioè i costi e i ricavi del periodo t° - t1 da cui è dipesa, in particolare, la variazione del capitale netto iniziale, indipendentemente da eventuali nuovi apporti dei soci e dalla distribuzione di dividendi.


Il legame che sussiste tra flussi economici e flussi finanziari è rappresentato dall'autofinanziamento.


I flussi finanziari si suddividono in :

flussi impiego;

flussi fonte;


I flussi impiego comportano per l'impresa un uscita di capitale;

I flussi fonte comportano per l'impresa un entrata di capitale.


I flussi impiego (o fabbisogni finanziari) sono:

gli aumenti di attività(investimenti);

le riduzioni di debiti;

le riduzioni di capitale proprio;


I flussi fonti(o coperture finanziarie) sono:

le riduzioni di attività(disinvestimenti);

gli aumenti di debiti;

gli aumenti di capitale proprio;

l'autofinanziamento.


Gli aumenti e le riduzioni di attività sono legate a investimenti e disinvestimenti in capitale immobilizzato e circolante , quali , ad esempio l'acquisto di un macchinario o aumento del magazzino(flussi impiego); la vendita di una partecipazione o lo smobilizzo di crediti(flussi fonte).


Esempi di riduzioni e di aumenti di debiti sono il rimborso di un mutuo o la riduzione del debito verso i fornitori(flussi impiego); l'emissione di un prestito obbligazionario o l'incremento del fondo imposte(flusso fonte).


Quanto al flusso di impiego definito come riduzione del capitale proprio esso origina tipicamente da rimborsi di quote di capitale di rischio oppure dalla distribuzione di dividendi.


Gli aumenti di capitale proprio sono, per contro, una categoria di fonti di finanziamento che accoglie gli apporti di capitale a titolo di rischio da parte dei soci, sotto forma, ad esempio di sottoscrizione di nuove azioni.


L'ultima tipologia elencata tra i flussi fonte è l'autofinanziamento.

Esso rappresenta il contributo finanziario proveniente dalla stessa gestione reddituale dell'impresa, attraverso le varie operazioni connesse alla produzione del risultato di esercizio.

Sul significato e le modalità di calcolo si tornerà nel prossimo paragrafo.


I rendiconti finanziari:

questi possono assume diverse forme in relazione agli aspetti della gestione finanziaria che si desiderano enfatizzare: potranno per tanto aversi:

rendiconti dei flussi finanziari totali;

rendiconti dei flussi di capitale circolante netto;

rendiconti dei flussi di cassa.


3.2.: I FLUSSI FINANZIARI TOTALI:


3.2.1.: STRUTTURA DEL RENDICONTO:

I flussi di risorse totali ed il relativo rendiconto costituiscono la rappresentazione forse più immediata delle dinamiche del capitale.

Essi sono calcolati assumendo come base di riferimento lo stato patrimoniale finanziario, del quale rappresentano l'espressione dinamica riferita ad un certo periodo di tempo.

La caratteristica dei flussi finanziari totali è di contrapporre tutti gli impieghi e tutte le fonti, senza porre al centro dell'analisi una componente particolare del capitale, come invece avviene nel caso del flussi di capitale circolante e di cassa.


Tabella 3.1:

il rendiconto di risorse finanziarie totali(i flussi sono raggruppati in modo da rispecchiare la classificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio finanziario[ liquidità - esisgibilità]).















3.2.2.: L'AUTOFINANZIAMENTO:

L'autofinanziamento costituisce il raccordo tra gestione economica e gestione finanziaria, misurando il contributo fornito dall'esercizio alla creazione o nell'assorbimento di risorse finanziarie.

Nel primo caso si tratterà di una fonte, per la quale il termine di autofinanziamento risulta appropriata ; nel secondo caso, meno frequente, ma non inusuale, ci troviamo di fronte a una 'fonte negativa' , cioè ad un impiego di capitale, per il quale la definizione di autofinanziamento può apparire impropria.

L'origine di questo flusso finanziario va ricercata nei flussi economici prodotti dalla gestione, vale a dire nei costi e nei ricavi accolti nel conto economico.

Non tutti i costi e i ricavi comportano un movimento di risorse finanziarie in uscita o in entrata.

Un rilievo particolare assumono gli ammortamenti, cioè quei costi cui corrisponde la misura dell'utilizzo del fattore produttivo immobilizzazioni tecniche, ma a cui non corrisponde alcun movimento monetario.


Esempio:

ricavi di vendita 100

costi     (70)

monetari (60)

non monetari(10)

es. ammortamenti

= utile netto  30







In base alle precedenti argomentazioni, il flusso finanziario della gestione reddituale sarà pari a 40, cioè alla differenza fra ricavi e costi monetari.

Quindi :


flusso finanziario della gestione reddituale = ricavi vendita - costi monetari


in definitiva l'autofinanziamento della gestione reddituale si può determinare seguendo due metodi:

diretto;

indiretto;




metodo diretto:


ricavi monetari 100


costi monetari (60)


autofinanziamento

gestione reddituale 40


metodo indiretto

risultato netto 30


costi non monetari 10


autofinanziamento

gestione reddituale 40


Dato che di solito la componente di gran lunga più significativa dei costi non monetari è costituita dagli ammortamenti si giustifica l'affermazione che identifica l'autofinanziamento nella somma di utile e ammortamenti


Tabella 3.2.:

autofinanziamento della gestione reddituale(nel rendiconto dei flussi finanziari totali):

UTILE


COSTI NON MONETARI

quota ammortamento

quota di accantonamento a fondi svalutazione di elementi patrimoniali(titoli, magazzini, crediti ecc,..)

svalutazione di elementi patrimoniali


­- RICAVI NON MONEARI

rivalutazioni di cespiti iscritti in conto economico

utilizzi di riserve rilevati in conto economico


 












3.2.3.: ESEMPIO DI CALCOLO DEI FLUSSI FINANZIARI TOTALI:



Tabella 3.3.: esempio di calcolo dei flussi finanziari totali: dati di partenza


STATO PATRIMONIALE


19X1 19X2 19X1 19X2

immobilizzazioni tecniche capitale sociale 200 300

lorde   1000 1400 riserve 250 260

(f.do ammortamento) (380) (490) utile d'esercizio 15 20

partecipazioni    80 -- capitale netto 465 580

immobilizzazioni nette 700 910 mutui 200 260 fondo T.F.R. 170 209

scorte  350 430 debiti a m/l t 370 469

crediti vs. clienti 420 500 fornitori 430 450

titoli a reddito fisso 50 20 fondo imposte 40 36

cassa e banca attive  30 5 banche passive 245 330

capitale circolante lordo 850 955 debiti a b termine 715 816


TOTALE IMPIEGHI    1550 1910 1550 1865


CONTO ECONOMICO 19X2


Ricavi operativi 2800


costi operativi  (1600)







ammortamenti   110


reddito operativo    400


oneri finanziari    (330)


proventi atipici e straordinari (30)


reddito ante imposte   40


imposte sul reddito (20)


reddito netto    20


 



Il rendiconto dei flussi finanziari totali per l'anno 19x2 risulta essere quello illustrato nella tabella 3.4 .

Esso è ottenuto determinando le variazioni in aumento o in diminuzione fatte registrare dai singoli elementi patrimoniali come differenza tra il valore dell'anno 19x2 e quello dell'anno precedente.

Fanno eccezione a questa regola:

il trattamento riservato al risultato netto dei due anni;

la variazione delle riserve

si osservi che per ottenere l'autofinanziamento, al risultato netto del periodo(20) vanno sommati gli ammortamenti(110), che solo incidentalmente coincidono, nell'esempio proposto, con la variazione del rispettivo fondo.

Per ciò che riguarda il reddito netto dell'anno 19x1(15) esso concorre alla formazione dei flussi finanziari dell'anno 19x2 solo per la parte distribuita sotto forma di dividendi, cioè 5(20-l5).

La parte rimanente (10) è stata trasferita a riserve.


Tabella 3.4.:

rendiconto dei flussi finanziari totali (19x2)











3.2.4.: L'AUTOFINANZIAMENTO DELLA GESTIONE CORRENTE

La nozione di autofinanziamento considerata nel paragrafo precedente fa riferimento al flusso finanziario generato da tutte le operazioni che concorrono alla formazione del reddito netto, per questo è stato denominato autofinanziamento della gestione reddituale.

A questa nozione se ne affiancano altre, tra le quali una ci sembra meriti un'attenzione particolare: ci riferiamo all'autofinanziamento della gestione corrente, definito come il contributo del ciclo ripetitivo connesso all'acquisto, trasformazione, vendita di fattori produttivi ad utilità semplice alla generazione o all'assorbimento di risorse finanziarie.

Questa nozione di autofinanziamento differisce dalla precedente perché non considera il contributo di tutte le operazioni produttrici di reddito , ma solo quello proveniente dalla gestione corrente.

Seguendo il metodo diretto , l'autofinanziamento della gestione corrente si ottiene sottraendo ai ricavi operativi i costi operativi di carattere monetario e le imposte, ma escludendo ancora una volta , gli ammortamenti.

Si può pervenire allo stesso risultato partendo da sotto: in questo caso, l'autofinanziamento della gestione corrente si ottiene sommando algebricamente al reddito netto sia gli ammortamenti(in quanto costo non monetario), sia i componenti di reddito non appartenenti alla gestione corrente, quali oneri finanziari, costi e ricavi atipici e straordinari, accantonamenti a fondi e svalutazione dell'attivo non corrente.


Esempio di calcolo dell'autofinanziamento della gestione corrente:


procedimento diretto:

ricavi di vendita 100


costi operativi monetari (55)


MOL  45


imposte (10)


autofinanziamento della gestione corrente = 35


procedimento indiretto:

reddito netto 13


proventi/oneri straordinari 2


proventi/oneri atipici (5)


oneri finanziari 10


ammortamenti 15


autofinanziamento della gestione corrente = 35


tabella 3.6: autofinanziamento della gestione corrente(metodo indiretto)

REDDITO NETTO

+ INTERESSI PASSIVI NETTI

+/- PROVENTI/ONERI ATIPICI E STRAORDINARI

= REDDITO OPERATIVO NETTO

+ AMMORTAMENTI

+ ACCANTONAMENTI A FONDI SVALUTAZIONE ATTIVO NON CORRENTE

+ ACCANTONAMENTI A FODI RISCHI E SPESE FUTURE ATTIVO NON CORRENTE

= AUTOFINANZIAMENTO DELLA GESTIONE CORRENTE

(flusso di capitale circolante netto della gestione corrente)


 












3.3.: I FLUSSI DI CASSA:


3.3.1.: AUTOFINANZIAMENTO, CASH FLOW E FLUSSO DI CASSA:

L'autofinanziamento viene spesso indicato con il termine cash flow, la cui traduzione flusso di cassa, può essere fonte di equivoci.

Il cosiddetto cash flow, infatti, e, quindi, anche l'autofinanziamento , che ne rappresenta l'equivalente nella terminologia finanziaria del nostro paese, è un flusso di cassa potenziale, o in senso lato.

In definitiva supponendo di fare riferimento a una nozione di capitale circolante netto(CCN) operativo nella quale i debiti correnti includono anche il fondo T.F.R., si può affermare che vale la seguente relazione:

AUTOFINANZIAMENTO


VARIAZIONI DI CCN IN SENSO STRETTO


FLUSSO DI CASSA DELL'ESERCIZIO.

 



Essa sta a indicare che il flusso di cassa dell'esercizio si ottiene sottraendo dall'autofinanziamento gli aumenti di CCN e sommandovi le riduzioni.

Ne deriva che gli aumenti di circolante diminuiscono il flusso di cassa rispetto all'autofinanziamento, mentre le diminuzioni di circolante lo fanno aumentare.

Il capitale circolante, in altre parole, agisce come una spugna in grado di assorbire o espellere liquidità a seconda che subisca variazioni in aumento o in diminuzione.

Pertanto se, l'autofinanziamento di un dato periodo è risultato pari a 40 e, nello stesso periodo, il circolante netto è aumentato di 15, il flusso di cassa dell'esercizio sarà pari a 25(40-l5); se viceversa, a parità di flusso finanziario, il circolante si fosse ridotto di 10, la liquidità prodotta dall'esercizio risulterebbe di 50(40+10).

Quanto illustrato dovrebbe permettere di capire in quale circostanza l'autofinanziamento identifica un vero e proprio flusso monetario; ciò avviene allorchè il circolante netto non subisce nel periodo considerato alcuna variazione, né in aumento né in diminuzione.


3.3.2: IL FLUSSO DI CASSA DELL'ESERCIZIO: APPROFONDIMENTI:

Si possono individuare due tipi di flusso di cassa: quello prodotto dalla gestione reddituale e quello prodotto dalla gestione corrente.

Il primo rappresenta il contributo alla creazione(assorbimento) di liquidità di tutte le operazioni che concorrono al reddito netto del periodo; il secondo, invece, il contributo proveniente dalla sola gestione corrente.

Sia che si tratti di flusso monetario della gestione reddituale, sia che si tratti di flusso della gestione corrente, il riferimento è a una nozione di capitale circolante netto in senso stretto; ciò significa che dal computo vanno escluse le componenti attive e passive di carattere monetario costituite, come noto, dalla cassa e dalle banche attive e dai debiti a breve verso le banche.

Le disponibilità liquide immediate , infatti, rappresentano proprio la grandezza fondo che viene fatta variare dal flusso di cassa in oggetto.


Esempio:

un agenzia presenta per l'anno 199x il seguente conto economico:



RICAVI DI VENDITA 100

-COSTO DELLE MERCI VENDUTE (70)

-AMMORTAMENTI    (10)

=UTILE NETTO 20


ALL'INIZIO DEL PERIODO IL CIRCOLANTE NETTO RISULTAVA PARI A 8 ED ERA COSI' FORMATO:


CREDITI VS.CLIENTI 20

-DEBITI VS.FORNITORI (12)

=CCN 8


A FINE PERIODO IL CIRCOLANTE AMMONTA A 15, DERIVANTI DA:


CREDITI VS.CLIENTI 25

-DEBITI VS.FORNITORI (10)

=CCN 15


IL FLUSSO DI CASSA PRODOTTO DALLE ATTIVITA' D'ESERCIZIO, DETERMINATO CON IL METODO INDIRETTO, SI OTTIENE NEL SEGUENTE MODO:


UTILE NETTO  20

+AMMORTAMENTI   10

-AUMENTO CCN (7) (15-8)

=FLUSSO DI CASSA DELL'ESERCIZIO 23


 





Volendo determinarlo con il procedimento diretto, è necessario conoscere gli incassi e i amenti del periodo che, nell'esempio, riguarderanno gli incassi provenienti dalle vendite e i amenti relativi alle merci acquistate.

Incassi di vendita = ricavi di vendita + crediti vs. clienti iniziali - crediti vs. clienti finali


Pagamento merci = costo delle merci acquistate + deb. Vs. forn. Iniz. - deb. Vs. forn. Fin.



Nel nostro caso avremo:


incassi di vendita: 100 + 20 - 25 = 95

amento merci: 70 +12 - 10 =72


la differenza 95-72 = 23 coincide esattamente con il flusso monetario ottenuto seguendo il metodo indiretto.


 
Questi possono venire calcolati tenendo presente le relazioni seguenti: 

3.3.3.: IL RENDICONTO DEI FLUSSI DI CASSA(GESTIONE REDDITUALE).

Le considerazioni sviluppate nel paragrafo precedente sulla relazione esistente tra l'autofinanziamento e flusso monetario consentono di passare da uno schema di analisi della dinamica finanziaria che contrappone genericamente gli impieghi alle fonti, come avviene nel rendiconto di risorse finanziarie totali, ad uno schema interamente fondato sui flussi di cassa, volto cioè a evidenziare le cause che hanno fatto variare le disponibilità liquide dell'azienda.

Ciò è possibile in relazione al fatto che tutti i movimenti finanziari non inclusi nel calcolo del flusso monetario d'esercizio, e prescindendo, ovviamente, dalla variazione subita dalla stessa liquidità disponibile, sono anche, in linea di massima, dei flussi monetari.


Tabella 3.7: rendiconto dei flussi di cassa(gestione reddituale):











I saldi tra i flussi di cassa in entrata e in uscita rappresenta il flusso di cassa netto del periodo e coincide con la variazione subita dalle disponibilità monetarie i cui elementi costituenti sono riportati nella parte inferiore del rendiconto.



3.3.4.: ESEMPIO DI CALCOLO DEI FLUSSI DI CASSA DELLA GESTIONE REDDITUALE:

Utilizzando i dati dell'esempio proposto nel paragrafo 3.2.3. per calcolare i flussi finanziari totali, si perviene al rendiconto dei flussi di cassa riportato in tabella 3.8.

L'elemento distintivo di tale rendiconto è, come già abbiamo avuto modo di sottolineare, il flusso di cassa prodotto dall'esercizio(nella fattispecie dalla gestione reddituale) che si ottiene sottraendo dall'autofinanziamento la variazione del CCN in senso stretto.

Quest'ultimo è stato così calcolato:















a)  variazione attività correnti:

scorte +80

crediti vs. clienti +80=

+160(a)


b) variazioni debiti correnti:

fondo T.F.R.  -39

fornitori    -20

fondo imposte +4=

-55(b)


c) variazione del CCN operativo in senso stretto:

a-b

L'incremento di 105 subito nel periodo dal circolante netto assorbe buona parte della liquidità potenziale racchiusa nell'autofinanziamento(130), riducendo a 25 il flusso di cassa prodotto dalla gestione reddituale.

Tale flusso, come si evince osservando il rendiconto, risulta ampiamente inferiore al fabbisogno monetario totale, pari a 405, imponendo il ricorso ad altre fonti di liquidità, rappresentate, nella fattispecie, da nuovi finanziamenti per 160 e da disinvestimenti per 110.

Tuttavia, poiché il complesso dei flussi in entrata(295) non è ancora sufficiente a coprire il fabbisogno totale di liquidità(405), la differenza si scarica sull'indebitamento finanziario netto a breve facendolo aumentare di 110.

110 rappresenta dunque il flusso di cassa complessivo del periodo ed ha, nel caso in esame, segno negativo.

Rielaborando con il massimo grado di sintesi i dati del nostro rendiconto, è possibile mettere in evidenza come il flusso di cassa totale sia così formato:

1) flusso di cassa della gestione reddituale  25

2) flusso di cassa extra - gestione reddituale   -l35

3) flusso di cassa netto -l10

3.3.5.: IL RENDICONTO DEI FLUSSI DI CASSA(GESTIONE CORRENTE):

Il flusso di cassa prodotto dalla gestione corrente, cui si è accennato nel paragrafo 3.3.2., costituisce il fondamento per la redazione di un rendiconto parzialmente diverso da quello appena illustrato, essendo imperniato sulla distinzione tra gestione corrente ed extra - corrente , anziché sulla distinzione tra gestione reddituale ed extra - reddituale.

In questo caso(vedi tabella 3.9), i flussi monetari vengono suddivisi a seconda della loro appartenenza o meno al ciclo della gestione corrente, distinguendo il flusso della gestione corrente dai movimenti ad essa estranei.

Coerentemente con quanto descritto al paragrafo 3.3.2. si può rilevare come la differenza sostanziale , rispetto alla presentazione incentrata sulla nozione di gestione reddituale, consista nell'evidenziare separatamente il fabbisogno di cassa legato alle componenti non operative della gestione, in particolare, al amento degli interessi passivi.

Tabella 3.9.: rendiconto dei flussi di cassa(gestione corrente)




Un rendiconto dei flussi di cassa imperniato sulla nozione di gestione corrente accoglierà pertanto:

a)  il flusso monetario della gestione corrente;

b) i flussi monetari estranei alla gestione corrente


3.3.6.: ESEMPIO DI CALCOLO DEI FLUSSI DI CASSA DELLA GESTIONE CORRENTE:

Il riferimento è sempre ai dati dell'esempio riportato al paragrafo3.2.3, dal quale si risale al rendiconto di cassa della gestione corrente illustrato in tabella 3.10.

Si noti come il flusso di cassa netto(che nel caso specifico rappresenta un aumento dell'indebitamento finanziario netto a breve termine) coincida con quello determinato nel calcolo dei flussi monetari della gestione reddituale(110).

La differenza, seguendo lo schema di analisi proposto, va ricercata nella conurazione dei singoli flussi da cui è dipesa la variazione netta di liquidità e , in particolare, nel flusso della gestione corrente.

Questo è stato così ottenuto:

REDDITO NETTO 20

+ ONERI ATIPICI E STRAORDINARI NETTI    30

+ ONERI FINANZIARI   330

+ AMMORTAMENTI 110=

=AUTOFINANZIAMENTO DELLA

GESTIONE CORRENTE    490

- AUMENTO CCN IN SENSO STRETTO    (105)=

= FLUSSO DI CASSA DELLA GESTIONE

CORRENTE 385


 




Si noti come il flusso in oggetto differisca in maniera significativa dal corrispondente flusso della gestione reddituale(385 contro 25) e come trovino separata evidenziazione i fabbisogni di liquidità determinati dal amento di interessi passivi e dalla gestione atipica.


3.3.7: L'IMPIEGO DEI FLUSSI DI CASSA NELLE ANALISI E NELLE VALUTAZIONI FINANZIARIE:

Di particolare rilievo appare soprattutto lo schema di analisi incentrato sulla gestione corrente, sia per l'efficacia operativa che gli viene riconosciuta nell'ambito della pianificazione finanziaria, sia perché costituisce il riferimento metodologico di molte valutazioni di carattere finanziario, tra cui le decisioni di investimento.




Tabella 3.10: esempio di rendiconto dei flussi di cassa(gestione corrente)






Tabella 3.11: rendiconto a scalare dei flussi di cassa:


CAPITOLO 4: BILANCIO E REDDITIVITA'


4.1.: MISURE CONTABILI DI REDDITIVITA' DEL CAPITALE

I due precedenti moduli hanno illustrato come la lettura dello stato patrimoniale consenta di valutare l'esistenza di dati equilibri strutturali nella composizione del capitale e come, attraverso i rendiconti finanziari, se ne possano conoscere le dinamiche di impiego e di copertura.

Nell'introdurre i criteri di valutazione delle scelte finanziarie/per. 1.4) si è, tuttavia, sottolineato come il parametro chiave per giudicare la validità delle decisioni connesse alla gestione del capitale vada ricercato in una qualche misura della loro attitudine a essere redditizie, attitudine che nel modello incentrato sul bilancio, viene espressa tramite indicatori contabili di redditività.

La tabella 4.1 permette di individuare l'origine delle più ricorrenti misure di redditività del capitale.

Il conto economico e lo stato patrimoniale(entrambi riclassificati) vengono riprodotti affiancati per mettere in risalto le corrispondenze che gli indici di redditività del capitale istituiscono fra dati elementi patrimoniali e date misure di reddito.

A commento di quanto rafurato , si osserva ciò che segue:

lo stato patrimoniale è stato riprodotto secondo il criterio della pertinenza gestionale, per cui il capitale investito netto operativo(CINOP) e il capitale investito netto(CIN) vengono di fatto a coincidere; si osservi, inoltre che avendo adottato uno schema a scalare il capitale netto vi appare come differenza fra il capitale investito netto e i debiti finanziari;

nella rafurazione del conto economico gestionale si prescinde, per gli stessi motivi appena ricordati, da componenti di reddito atipiche e straordinarie;

tra la struttura patrimoniale e quella economica sono istituibili delle relazioni riguardanti:

a)  il reddito netto e il capitale netto;

b) il reddito operativo e il capitale investito netto;

c) gli oneri finanziari e i debiti finanziari;


a) 

VALORE CONTABILE DELLA SINGOLA AZIONE= CAPITALE NETTO

N° AZIONI



EPS= ROE * (CAPITALE NETTO/ N° AZIONI)



COSIDDETTO UTILE PER AZIONE

 
il rapporto fra reddito netto e capitale netto esprime la redditività netta contabile del capitale portato in azienda a titolo di pieno rischio e viene comunemente indicato con la sigla ROE, dalle iniziali dell'equivalente inglese Return On Equity. Il ROE viene considerato una misura della redditività globale della gestione dal punto di vista dei detentori del capitale di rischio. Esso, infatti, avendo a numeratore del rapporto il risultato netto di bilancio, risente di tutte le componenti della gestione, da quelle operative a quelle finanziarie, atipiche, straordinarie e fiscali. Moltiplicando il ROE per il valore contabile della singola azione(ottenuto come rapporto fra capitale netto di bilancio e numero azioni) si ottiene il cosiddetto utile per azione(EPS o Earning Per Share)









Al ROE viene riconosciuto un ruolo centrale nelle analisi e valutazioni che hanno per oggetto l'economicità delle scelte concernenti le dinamiche complessive del capitale nella gestione dell'impresa.

Questa centralità gli deriva dall'essere l'espressione della redditività dei mezzi apportati in azienda a titolo di rischio, cioè di quelle risorse di capitale vincolate a una remunerazione residuale, condizionata all'aver preventivamente remunerato tutti gli altri fattori produttivi(dal lavoro, ai materiali, al capitale di terzi ecc.).


b) il rapporto fra reddito operativo e capitale investito netto misura la redditività del capitale complessivamente investito nell'impresa, indipendentemente dalla sua provenienza, sia esso apportato a titolo di rischio o sotto forma di debito di prestito. Tale rapporto noto come indice di redditività del capitale investito o ROI(dall'inglese, Return On Investment), misura i risultati conseguiti nell'ambito della sola gestione operativa, prescindendo quindi dalle scelte di politica finanziaria e da eventuali componenti atipiche e straordinarie(peraltro, non evidenziate, per semplicità nella tabella 4.1.)

c) l'ultima relazione considerata riguarda il rapporto fra oneri finanziari e debiti finanziari ed esprime il costo del capitale di terzi, cioè la remunerazione riconosciuta ai mezzi finanziari acquisiti dall'impresa a titolo di prestito. Tale rapporto verrà indicato con il simbolo i. la sua rilevanza, nell'ambito delle valutazioni che hanno per oggetto la redditività del capitale, consiste nell'essere uno dei fattori condizionanti la redditività del capitale di rischio(ROE) attraverso le scelte di struttura finanziaria.


Tabella 4.1.: misure di redditività del capitale:















4.2.: REDDITIVITA' LORDA E REDDITIVITA' NETTA.

Le due misure considerate ai punti sub b. e c. del paragrafo prcedente, vale a dire la redditività del capitale investito(ROI) e il costo dei mezzi di terzi(i), sono espresse al lordo degli effetti fiscali, a differenza del ROE che ne è , invece, al netto.

Per meglio comprendere alcune considerazioni che seguiranno, può essere opportuno esprimere anche questi due rapporti al netto delle conseguenze fiscali, determinando un ROI netto e un i netto.

A tal risultato si può pervenire attraverso due vie.

La prima consiste nel calcolare sia il reddito operativo sia gli oneri finanziari al netto delle imposte e procedere quindi al calcolo dei ROI netto e di i netto, ponendo questi due valori a numeratore dei rispettivi rapporti.

Con il secondo procedimento, ROI e i (al lordo delle imposte) vengono moltiplicati per (1-t), dove t rappresenta l'aliquota fiscale, cioè l'incidenza delle imposte sul risultato prima delle imposte.

L'esempio di tabella 4.2 illustra quanto descritto ipotizzando i seguenti valori:

CIN=1000

D=400

CN=600

T=0,5


Significato delle abbreviazioni:

CIN= CAPITALE INVESTITO NETTO;

D=DEBITI FINANZIARI;

CN=CAPITALE NETTO;

RO=REDDITO OPERATIVO(AL LORDO DELLE IMPOSTE);

ROnetto=REDDITO OPERATIVO NETTO;

OF=ONERI FINANZIARI(AL LORDO DELLE IMPOSTE);

Ofnetto=ONERI FINANZIARI NETTI;

RAI=REDDITO ANTE IMPOSTE;

RN=REDDITO NETTO.

N.B.:

posto che ROI=RO/CIN, il ROI netto si otterrà come rapporto fra reddito operativo al netto delle imposte e CIN, cioè:

(RO-t RO)/CIN= RO(1-t)/CIN = (RO/CIN)*(1-t) = ROI*(1-t)





 








Tabella 4.2.: redditività operativa e costo dei debiti lordi e netti:

ROI E i LORDI   ROI E i NETTI




RO 200 ROnetto 100 (200-0,5*200)

-OF (40) OFnetto (20) (40-0,5*40)

RAI 160 RN 80

-I (80)


ROE=800/600=13,3%  ROE=80/600=13,3%


ROI=200/1000=20%    ROInetto=100/1000=10%


I=40/400=10%   i netto=20/400=5%


 













Ai medesimi risultati di ROI netto e di i netto calcolati nella parte destra del prospetto si sarebbe pervenuti seguendo il secondo procedimento cioè:


ROI netto = ROI*(1-t) = 20%*(1-0,5)=10%


I netto= i*(1-t)=10%*(1-0,5)=5%


Prima di procedere con nuovi argomenti , si precisa, per maggiore chiarezza del lettore, quanto segue:

la sigla ROE viene usata per indicare la redditività netta del capitale di rischio; volendo indicare la redditività lorda del medesimo (cioè il rapporto fra reddito ante imposte e capitale netto) si userà la sigla ROE lordo(ROE lordo = RAI/CN);

le sigle ROI e i vengono usate per indicare la redditività del capitale investito e il costo dei debiti finanziari, entrambi al lordo delle imposte. Volendo fare riferimento alle stesse misure al netto del carico fiscale si useranno le sigle ROI netto e i netto.



4.3.: LA REDDITIVITA' SODDISFACENTE:

Un parametro di riferimento è il CAPM(Capital Asset Pricing Model).

CAPM= COSTO DEL CAPITALE= RENDIMENTO IMPIEGHI + PREMIO PER IL RISCHIO

A RISCHIO NULLO

 

4.4.: LE DETERMINANTI DELLA REDDITIVITA' DEL CAPITALE PROPRIO: IL MODELLO DELLA LEVA FINANZIARIA.

Nelle ine precedenti si è più volte ribadito che il fulcro delle valutazioni inerenti alla gestione del capitale è, nel modello imperniato su dati di derivazione contabile, il ROE; si è inoltre, individuato nel costo del capitale proprio(Ke) il valore di riferimento rispetto al quale giudicare l'adeguatezza dei risultati attesi, o conseguiti, in termini di redditività del capitale di rischio, pur non avendo ancora definito modalità operative di calcolo dello stesso.

Ci accingiamo ora a chiarire da quali fattori dipenda il ROE, esplicitando i legami con le altre misure di redditività e di struttura finanziaria introdotte in precedenza.

Si riprenda in considerazione il ROI.

Trattandosi di una misura della redditività del capitale complessivamente investito nella gestione , può venire espresso come media aritmetica ponderata dei rendimenti delle componenti da cui è formato, cioè i debiti finanziari e il capitale di rischio.

Esprimendo tali rendimenti al netto delle imposte, si avrà pertanto:

ROI netto = ROE *(CN/CIN)+ i NETTO *(D/CIN)


 






Dove ROI netto, ROE e i netto hanno il significato visto sopra, mentre i rapporti CN/CIN e D/CIN rappresentano i pesi, cioè le proporzioni con cui il capitale proprio(CN) e i debiti finanziari(D) concorrono a finanziare il CIN(ovviamente CIN= CN + D)


Con riferimento all'esempio riportato nel paragrafo 4.2(tabella 4.2) è immediato verificare che, dati:

ROE = 13,3%

I netto = 5%

CN/CIN = 0,6

D/CIN = 0,4


Si avrà:

ROI netto = 13,3% * 0,6 + 5% * 0,4 = 10%

Cioè il valore ottenuto direttamente come rapporto tra reddito operativo netto e capitale investito netto.


Dunque il ROE può anche essere espresso come:

ROE = ROI netto +(ROI netto - i netto)* (D/CN)


 







L'espressione sopra identifica la formula della leva finanziaria applicata ai dati di bilancio.

Essa mette in chiaro le relazioni che legano la redditività del capitale di rischio alla redditività netta della gestione operativa(ROI netto), al costo dei debiti finanziari dedotto il risparmio fiscale sugli interessi passivi(i netto), al livello dell'indebitamento finanziario, misurato dal rapporto D netto/ CN.


Il ROE può altresì esprimersi al lordo dell'effetto imposte come segue:

ROE=[ROI+(ROI - i) (D/CN)](1-t)

 




Da questa formulazione emerge con chiarezza che la redditività netta contabile per l'azionista dipende:

dai risultati conseguiti, o attesi, nell'ambito della gestione operativa(ROI);

dallo spread fra redditività operativa e costo del capitale di credito, cioè(ROI - i);

dalla struttura finanziaria , misurata dal rapporto di indebitamento ed espressione delle politiche finanziarie dell'azienda;

dall'aliquota fiscale(t).


Tabella 4.5.: relazioni emergenti dalla formula della leva finanziaria:





4.5.: L'EFFETTO DI LEVA FINANZIARIA: AVVERTENZA E RINVIO:

Da quanto illustrato circa il meccanismo della leva finanziaria, si potrebbe essere indotti a concludere che il ricorso all'indebitamento è premiante per i detentori del capitale di rischio quando si è in presenza di uno spread positivo, cioè ROI n > i n: quanto più l'azienda è indebitata, tanto maggiore risulta infatti l'effetto moltiplicativo sul ROE.

Tale conclusione rischia, tuttavia, di essere affrettata perché non considera che un livello di indebitamento troppo spinto aumenta il rischio , magari a tempi lunghi, che l'azienda sia soffocata dai debiti e diventi insolvente, compromettendo così la sua stessa sopravvivenza.

Inoltre, anche se si prescinde da livelli di indebitamento considerati eccessivi , un giudizio definitivo non può prescindere da come le scelte inerenti alla struttura finanziaria si ripercuotono sulla redditività soddisfacente, cioè sul parametro rispetto al quale valutare le performance reddituali dell'azienda.


4.6.: LE DETERMINANTI DELLA REDDITIVITA' DEL CAPITALE INVESTITO:

Nell'ambito delle variabili da cui dipende la redditività del capitale di rischio, un ruolo cardine spetta al ROI , in quanto indice dell'abilità con cui viene governato il business attraverso le leve a disposizione del management.

Particolare attenzione è stata quindi posta nell'individuare le variabili che lo condizionano , pervenendo allo schema di analisi , noto anche come albero del ROI, riprodotto nella ura 4.1.

Ad esso dedichiamo un sintetico commento.

Come evidenziato nella ura 4.1 il ROI può venire scomposto nel modo seguente:










Il rapporto tra reddito operativo e vendite misura la redditività delle vendite.

Esso segnala il margine di utile operativo che rimane per lira di fatturato dopo aver coperto i costi operativi.

Noto anche come ROS(Return On Sales), la sua analisi può, in determinate circostanze, venire agevolata dalla preventiva scomposizione dei costi secondo variabilità, il che permette di apprezzare come il margine di contribuzione e i costi fissi concorrono a determinare l'entità e le variazioni.

La ura 4.1 riporta anche le variabili elementari che condizionano l'incidenza del margine di contribuzione e dei costi fissi sui ricavi: volumi, prezzi, efficienza, scelte organizzative e tecnologiche, politiche degli ammortamenti e delle spese discrezionali ecc.

Il secondo fattore in cui risulta scomponibile il ROI è il tasso di rotazione del capitale investito, dato dal rapporto fra vendite e capitale investito netto.

Esso è suscettibile di più chiavi di lettura , potendo venire interpretato sia come misura della produttività del capitale, sia come parametro di liquidità in quanto espressione dell'attitudine a tradurre in forma liquida il capitale investito attraverso i ricavi di vendita.

In termini generali, esso segnala che per tutelare efficacemente la redditività del capitale investito non è sufficiente governare la relazione tra vendite e costi operativi(cioè ROS), ma anche l'entità dell'investimento complessivo per unità di fatturato.

I fattori da cui dipende la rotazione del capitale investito sono innanzitutto riconducibili ai due indici parziali di rotazione denominati:

indice di rotazione delle immobilizzazioni;

indice di rotazione del capitale circolante netto.

Il primo rapporto viene spesso riferito alle sole immobilizzazioni tecniche(vendite/ immobilizzazioni tecniche nette)ed esprime , in particolare, l'esistenza di condizioni di equilibrio tra livello di attività(misurato dalle vendite) e dimensioni strutturali(misurate dall'investimento in immobilizzazioni tecniche).

L'indice di rotazione del circolante netto segnala sia l'efficacia nella gestione dello stesso, sia le politiche attraverso cui l'azienda dà attuazione ai propri orientamenti strategici, specie per ciò che riguarda il servizio alla clientela.

Data la rilevanza che esso riveste, essendo il riflesso di scelte che interessano le principali funzioni operative dell'impresa, è a sua volta oggetto di analisi mediante il calcolo di indici parziali di rotazione del circolante, esprimibili anche come indici di giacenza media degli elementi costituenti: scorte, crediti vs. clienti, debiti vs. fornitori.

Gli indici in questione si ottengono nel modo seguente:













Essi esprimono, in termini di giorni, la durata del ciclo produttivo, la durata del credito concesso alla clientela e di quello ottenuto dai fornitori.

La somma algebrica dei tre indici su riportati misura il cosiddetto ciclo monetario , cioè il periodo di tempo che mediamente intercorre tra l'uscita monetaria collegata all'acquisto di fattori produttivi ad utilità semplice e l'entrata monetaria derivante dalle vendite.

La crescente attenzione di cui è oggetto questo parametro, e le misure di lead time ad esso riconducibili, deriva dall'essere l'espressione di processi gestionali nei quali si sono per lungo tempo annidati ritardi e sacche di inefficienza non più compatibili con le esigenza di competitività sui costi che caratterizzano gli attuali scenari concorrenziali.


ura 4.1: le determinanti della redditività operativa:

ROI


REDDITIVITA' DELLE VENDITE(ROS)



MARGINE DI CONTRIBUZIONE COSTI FISSI

SULLE VENDITE(MC/V) SULLE VENDITE

(CF/V)

MIX   

PREZZI VENDITA STRUTTURA ORGANIZZATIVA

PREZZI D'ACQUISTO  SCELTE TECNOLOGICHE

EFFICIENZA SAGGI RETRIBUTIVI

VOLUMI

CRITERI DI AMMORTAMENTO

POLITICHE COSTI DISCREZIONALI



ROTAZIONE DEL CAPITALE INVESTITO(V/CIN)


ROTAZIONE IMMOBILIZZAZIONI(V/IMMOB.)  ROTAZIONE CIRCOLANTE(V/CCN)




GIACENZA MEDIA SCORTE


GIACENZA MEDIA CLIENTI


GIACENZA MEDIA FORNITORI


CICLO MONETARIO

 

4.7: REDDITIVITA', SVILUPPO E POLITICHE FINANZIARIE:


4.7.1: LA FORMULA DELLO SVILUPPO INTERNAMENTE SOSTENIBILE

Il modello dello sviluppo internamente sostenibile afferma che un impresa può crescere, senza ricorrere ad apporti esterni di capitale di rischio e senza modificare la struttura finanziaria, nei limiti della capacità di autofinanziarsi.

Esprimendo il tasso di sviluppo internamente sostenibile in termini di variazione percentuale del capitale investito netto e il saggio di autofinanziamento come percentuale di utili non distribuiti sul capitale netto, il tasso di crescita sostenibile con mezzi autogenerati risulta pari a:

G = A/CN


 





Dove

G = tasso di sviluppo internamente sostenibile(inteso come variazione % del capitale investito netto iniziale);

A = utile non distribuito(cioè, autofinanziamento in senso stretto);

CN = capitale netto iniziale;


A/CN = saggio % di autofinanziamento.


Considerando inoltre che:


A = UN - UD

 



Cioè, l'utile non distribuito(A) è uguale all'utile(UN) meno i dividendi distribuiti(UD), si può , con alcuni semplici passaggi, risalire alla seguente espressione del saggio % di sviluppo internamente sostenibile:

G = ROE*(1-d)

 






Dove:

ROE = tasso % di redditività del capitale netto;

d = tasso di dividendo( o tasso di distribuzione dell'utile) ottenuto come rapporto tra dividendi distribuiti e utile netto ( UD / UN).


Cioè , se un imprese prevede di conseguire un ROE del 20% e di distribuire il 50% dell'utile come dividendo(D=0,5) potrà crescere autonomamente ad un tasso del 10%, in altri termini 20% *(1- 0,5).


Sostituendo al ROE le sue determinanti allora la formula del saggio % di sviluppo internamente sostenibile diviene la seguente:


G =[ ROI + (ROI - i ) * D/CN ] * (1-t)*(1-d)


 





CAPITOLO 5: PORTATA E LIMITI DEL MODELLO CONTABILE.


5.1.: PRINCIPALI AMBITI APPLICATIVI DEL MODELLO CONTABILE:

Nei precedenti paragrafi sono stati esaminati gli strumenti per le decisioni relative al governo del capitale ispirati al modello contabile della gestione d'impresa, quello che si rifà ai principi del bilancio d'esercizio.

L'approccio in oggetto può fornire un apporto insostituibile alla valutazione degli equilibri economico - finanziari complessivi della gestione d'impresa, equilibri riconducibili:

a)  alle esigenze di sviluppo;

b) alla redditività del capitale;

c) alla struttura delle fonti di finanziamento;

d) alla posizione strutturale di liquidità;

e) alle dinamiche del capitale e, in particolare, a quelle attinenti ai flussi di liquidità.


L'importanza di tale contributo risulta evidente se si fa riferimento al modello della leva finanziaria e dello sviluppo sostenibile illustrati nel precedente modulo e alle metodologie della pianificazione finanziaria di cui si parlerà nel modulo 13.

Gli ambiti applicativi più significativi del modello di derivazione contabile sono i seguenti:

A. a livello di business:

consente di esprimere in forma sintetica i risultati attesi dalle strategie;

consente di individuare e misurare le variabili critiche per il conseguimento di tali risultati;

B. a livello di azienda:

consente di verificare ex - ante le condizioni per il bilanciamento ottimale tra redditività, sviluppo e politiche finanziarie;

rappresenta il quadro di riferimento per il controllo ex - post del rispetto degli equilibri economico - finanziari desiderati;


Per ciò che concerne le valutazioni a livello di singola area strategica d'affari(ASA), la valutazione di sintesi di cui al punto A.1 è resa possibile dal calcolo della redditività attesa dalla strategia, espressa in termini di ROI, e dal suo confronto con un parametro di accettazione predefinito che, alla luce delle considerazioni sviluppate nel paragrafo 4.3, può essere rappresentato dal costo medio del capitale investito nel business, espressione della redditività minima soddisfacente.

Quanto al punto A.2, cioè alla possibilità di individuare e misurare le variabili critiche da cui dipende la redditività operativa del business, essa dipende dalla disponibilità del modello di analisi delle principali determinanti del ROI, cioè l'albero del ROI sul quale ci siamo brevemente soffermati nel paragrafo 4.6.

Spostando l'attenzione a livello di azienda, il modello rende possibili valutazioni analogiche a quelle esaminate per il singolo business, anche se con un'angolazione più ampia , che abbraccia tutte le macro - aree della gestione rilevanti.


5.2.: I LIMITI DEL MODELLO CONTABILE NELLE VALUTAZIONI A CONSUNTIVO:

Valutazioni a consuntivo, cioè quelle che hanno per oggetto la verifica ex - post del rispetto di dati equilibri economico - finanziari complessivi.

Per ciò che attiene ai limiti nelle analisi a consuntivo, si segnalano:

la valutazione a costo storico delle componenti del capitale investito;

i criteri adottati per ripartire su singoli periodi amministrativi componenti di reddito che riguardano più esercizi;

le influenze esercitate dalla normativa fiscale;

il trattamento contabile riservato ad alcune operazioni di impiego e provvista del capitale.


I limiti degli strumenti di derivazione contabile nelle analisi a consuntivo non sono tali da annullare il valore segnaletico , sempre che l'azienda sappia attenersi, almeno nelle valutazioni gestionali, ai fondamenti del ragionamento economico - aziendale e l'analista sappia essere consapevole dei rischi insiti in un utilizzo acritico e meccanicistico degli strumenti contabili di cui dispone.


5.3.: LIMITI DEL MODELLO CONTABILE NELLE VALUTAZIONI A PREVENTIVO(EX - ANTE):

Ad alcuni dei limiti riscontrabili nelle analisi ex- post( in particolare quello connesso alle convenzioni contabili che governano la ripartizione su diversi periodi di componenti di reddito che interessano più anni) si affiancano altre, a nostro avviso, ben più gravi limitazioni riconducibili:

a)  al fatto di trascurare i probabili accadimenti che si collocano oltre l'orizzonte temporale di riferimento nella formulazione dei piani pluriennali;

b) al fato di non considerare il valore finanziario nel tempo.


Al modello contabile viene spesso mossa anche un'altra critica, riguardante il suo utilizzo sia nelle valutazioni ex - ante che ex - post: l'inadeguata considerazione del rischio.

Due aziende con un ROE del 20% sarebbero giudicate ugualmente profittevoli anche se l'una opera in un business molto stabile, l'altra in un settore altamente instabile e competitivo.

Questa obiezione, condivisibile se rivolta all'impostazione più tradizionale del modello contabile, perde di validità se si richiamano le considerazioni sviluppate nel paragrafo 4.3. in tema di redditività minima soddisfacente.

Questa, infatti, identificandosi in un costo del capitale definito in modo da tener conto della componente di rischio insita nell'attività dell'azienda, viene a costituire un parametro di riferimento che consente di giudicare la redditività del capitale anche in relazione al grado di rischiosità dell'investimento.

Nel caso delle nostre due ipotetiche aziende con un ROE del 20%, se per la prima il costo del capitale fosse del 15% e per la seconda, operante in un settore più rischioso, fosse del 25%, si potrebbe ben concludere che nell'un caso ci si trova di fronte a una performance soddisfacente, nell'altro no.



CAPITOLO 6: ELEMENTI METODOLOGICI PER LA MISURAZIONE DEL VALORE ECONOMICO DEL CAPITALE:


6.1.: SCELTE FINANZIARIE, MISURE CONTABILI E VALORE DEL CAPITALE:

Poiché siamo arrivati a un punto delicato, vediamo di puntualizzare gli aspetti essenziali della questione:

il primo punto riguarda la centralità della nozione di valore per apprezzare la bontà delle decisioni inerenti al governo del capitale, siano esse decisioni di investimento, di finanziamento o di distribuzione dei dividendi. Queste decisioni saranno favorevolmente giudicate se contribuiranno ad aumentare il valore del capitale(o perlomeno non lo distruggeranno);

l'ottica assunta, nel giudicare la fondatezza di tali scelte, è sempre quella dei conferenti di capitale proprio(schakeholders);

il valore economico del capitale proprio(ROE) viene quindi a rappresentare il parametro più significativo per la misurazione della bontà della gestione e la sua variazione, cioè l'espressione dell'incremento o decremento di ricchezza prodotto dalle varie decisioni di investimento o finanziamento.

4,5) La variazione fatta segnare dal valore economico del capitale proprio in un arco temporale dato rappresenta, in assenza di distribuzione di dividendi, il reddito economico del periodo:

Reddito economico del periodo in assenza di distribuzione di dividendi(corrisponde al gia' visto reddito netto contabile).

REDDITO ECONOMICO DEL PERIODO(NO DIVIDENDI)= Ren=Wn-Wn-l


REDDITO NETTO DEL PERIODO(NO DIVIDENDI)= RNn= CNn-CNn-l


REDDITO ECONOMICO DEL PERIODO CON DISTRIBUZIONE DI DIVIDENDI=


REn=(Wn-Wn-l)+DIVn

 


6)il valore di qualunque capitale coincide con i frutti che tale capitale è atteso dare nel futuro: tali frutti, collocandosi in epoche più o meno remote rispetto al momento della valutazione, dovranno venire opportunamente trasformate nel loro valore attuale, non potendosi infatti attribuire ugual valore a un reddito di 10 atteso fra un anno, rispetto a un reddito di pari ammontare generato fra cinque anni: salvo casi particolari, il valore economico e il valore contabile del capitale proprio non coincidono e, di conseguenza, quest'ultimo non può costituire il termine generale di riferimento per misurare il valore reale connesso alle decisioni di gestione del capitale.


Riassumendo le considerazioni sin qui esposte, possiamo dunque affermare quanto segue:

il modo più corretto per apprezzare le decisioni connesse alla gestione del capitale è di verificare se esse contribuiscono a far diventare più ricchi i detentori del capitale di rischio , incrementando il valore economico dei mezzi finanziari da essi investiti ;

ciò implica, da un lato, la presa in esame dei principi e delle tecniche di misurazione di tale valore; dall'altro, la descrizione dei principali ambiti applicativi. Al primo aspetto verrà dedicato il presente modulo. Quanto alle problematiche finanziarie in cui le logiche del valore trovano ampia e documentata applicazione, si rinvia ai modulo dedicati:

alla valutazione degli investimenti;

alla valutazione d'azienda e delle strategie;

alle politiche di struttura finanziaria;

alle politiche dei dividendi.


6.2.: ELEMENTI PER LE MISURAZIONI FINANZIARIE:

E' arrivato il momento di chiarire i fondamenti per la misurazione del capitale economico e della sua variazione nel tempo.

A tal fine è necessario richiamare brevemente la nozione di valore temporale del denaro attraverso i concetti - base di interesse composto e valore attuale.


6.2.1.: INTERESSE COMPOSTO E CAPITALIZZAZIONE:

Il concetto di interesse composto , come è noto, sta ad indicare che l'interesse generato da un impiego di capitale si aggiunge periodicamente al capitale stesso, divenendo a sua volta fruttifero.

Un semplice esempio aiuterà a chiarire il meccanismo.

Si supponga di disporre di un capitale di 100 milioni depositato ad un tasso annuo di interesse(r ) del 10%.

Dopo un anno, il valore del capitale iniziale( C°) si sarà incrementato di un ammontare pari all'interesse generato, ottenuto come prodotto tra r(tasso annuo d'interesse) e C° (capitale impiegato): avremo cioè:


C'=100+0,10*100=110 milioni


Dove C' è , ovviamente, il valore del capitale al termine del periodo 1.

In simboli, ciò può essere scritto nel seguente modo:

C' = C° + rC° C°*(1+r)


 






(1+r) rappresenta il fattore di capitalizzazione, cioè la grandezza per la quale si deve moltiplicare il capitale iniziale per conoscerne il valore a fine anno.

Volendo conoscere il valore del deposito al termine del secondo anno, si dovrà procedere in modo analogo, incrementando il valore dell'investimento all'inizio dell'anno 2(C') dell'interesse maturato durante l'anno, cioè r*C'.

Si avrà pertanto:


C''= 110+0,10*110=121 milioni


, che in termini generali diventa:


C''=C'+r*C' C'*(1+r)


Sostituendo a C' , l'espressione 1°) , l'equazione diventa:


C''=C°(1+r)*(1+r) C°*(1+r)^2


Procedendo in modo analogo, si può pervenire al valore del nostro deposito iniziale di 100 milioni al termine dell'ennesimo anno.

Esso risulterà dall'applicazione della seguente relazione:

LEGGE DI CAPITALIZZAZIONE COMPOSTA:


Cn=C°*(1+r)^n

 







, che rappresenta l'espressione generale del processo di capitalizzazione composta.

Dato il capitale iniziale(C°) , il tasso annuo di interesse( r) e il numero di anni di durata dell'investimento ( n), essa permette di calcolare il valore che il capitale inizialmente disponibile avrà alla fine del periodo, valore indicato con il termine di montante.

Cn è il montante di C° investito per n anni al tasso r.


6.2.2.: FATTORI DI CAPITALIZZAZIONE E TAVOLE FINANZIARIE:

A titolo di esempio:


anni  1 2 3 4 5


fattori di capitalizzazione

per r=10%(1+0,10)^n 1,100 1,120 1,331 1,464 1,611


L'uso delle tavole finanziarie permette di accelerare notevolmente i calcoli una volta impostato correttamente il problema.


6.2.3.: VALORE ATTUALE:

Calcolare il valore attuale significa compiere l'operazione inversa della capitalizzazione, cioè determinare il valore odierno di un capitale disponibile fra n anni, dato un certo valore finanziario del tempo.


Se


Cn=C°*(1+r)^n


E questa volta supponiamo, di voler determinare il capitale che è necessario depositare oggi per disporre fra 5 anni di 100 milioni.

Per risolvere il problema è sufficiente risolvere la seguente:


C°= Cn*(1 / (1+r)^n)


Che nel nostro esempio diventa:


C° = 100 (1/ (1+0,10)^5)= 1000,621 = 62,1 milioni.


Per disporre fra 5 anni di un capitale di 100 milioni , dato un tasso di interesse del 10%, è necessario depositare oggi 62,1 milioni di lire.


È possibile verificare la correttezza in quanto asserito effettuando il procedimento inverso, a noi già noto, della capitalizzazione .

Depositando 62,1 milioni oggi ad un tasso del 10% dovremmo disporre fra 5 anni di 100 milioni ed è proprio quanto si ottiene applicando la regola sul valore attuale.


Il procedimento di calcolo del valore attuale prende il nome di attualizzazione o sconto e trova la sua formalizzazione matematica nella seguente formula:

VALORE ATTUALE O SCONTO:


C° = Cn*(1/ (1+r)^n)

 



La frazione 1/(1+r)^n rappresenta il fattore di attualizzazione(o fattore di sconto) e misura il valore odierno di 1 lira disponibile fra n anni al tasso di interesse r.


6.2.4.: FATTORI DI SCONTO E TAVOLE FINANZIARIE:

Come per i fattori di capitalizzazione, anche per i coefficienti di attualizzazione i calcoli possono essere agevolati dal ricorso alle tavole finanziarie.


Esempio:



Anno   

1 2 3 4 5


Fattori di sconto

Per r=10%(1+r)^-n   0,909 0,826 0,751 0,683 0,621



6.2.5.: VALORE FINANZIARIO DEL TEMPO E RISCHIO:

La regola del valore attuale ci dice che una lira disponibile domani vale meno di una lira disponibile oggi, almeno finché questa può essere immediatamente investita , generare interessi ed avere quindi in futuro un valore maggiore dell'attuale.

Una lira oggi vale più di una lira domani; una lira sicura vale più più di una lira soggetta a rischio.


6.2.6.: VALORE ATTUALE NETTO E TASSO INTERNO DI RENDIMENTO:

Nel paragrafo 6.2.3. è stato introdotto il concetto di valore attuale di un capitale disponibile nel futuro e sono state descritte le modalità di calcolo.

Se si prevede di disporre tra un anno di un capitale di 100 milioni e se il costo opportunità del capitale(come definito nel paragrafo precedente) è del 10%, abbiamo un capitale il cui valore attuale è di 90,9 milioni.

Non dimentichiamo , tuttavia, che, salvo, i casi fortunati di eredità e vincite alla lotteria, i capitali non piovono dal cielo: i 100 milioni attesi tra un anno sono di norma il frutto di un precedente investimento.

Si supponga che per ottenere tra un anno 100 milioni sia necessario investirne oggi 85.

Di quanto aumenta la nostra ricchezza a seguito di questa iniziativa? La risposta è: di 5,9 milioni, dati dalla differenza tra il valore attuale dell'entrata futura(pari a 90,9 milioni) e l'investimento iniziale di 85 milioni.

Questa differenza prende il nome di valore attuale netto(VAN) ed esprime la variazione di ricchezza derivante dall'impiego di un certo capitale valutata come se fosse immediatamente disponibile.

In termini generali, il VAN di un investimento di durata annuale si ottiene nel modo seguente:

V.A.N. DI UN INVESTIMENTO:


V.A.N. = (C'/ 1+r) - C°


 






Nel nostro esempio avremo:


VAN = (100/ 1+0,10) - 85 = 90,9 - 85 = 5,9 milioni.


Alla regola del VAN, in base alla quale un investimento è profittevole se crea ricchezza, cioè se ha un valore attuale netto positivo, si affianca un altro criterio di valutazione, detto tasso interno di rendimento(T.I.R.).

Con tale espressione si indica quel tasso ( r *) che rende il valore attuale delle entrate future pari all'esborso iniziale.

Con riferimento a un impiego di durato annuale, il TIR si otterrà ponendo:

T.I.R O TASSO INTERNO DI RENDIMENTO:


TIR = C° = C'/(1+ r*)


Da cui:


TIR = r* = (C'-C°)/C°





 









Nel nostro esempio sarà:


r* = 100 - 85/ 85 = 17,6%


L'impiego odierno di 85 milioni per ottenerne 100 tra un anno ha una redditività interna del 17,6%; poiché il valore trovato supera il costo opportunità del capitale, cioè il tasso del 10% utilizzato in precedenza per calcolare il VAN dell'iniziativa, se ne conclude che il progetto è conveniente.

In definitiva, dunque, un impiego di capitale va giudicato positivamente se:

a)  presenta un VAN positivo;

b) ha un TIR superiore al costo opportunità del capitale.


Nel modulo dedicato alla valutazione degli investimenti verranno meglio circostanziate le condizioni di validità di questa conclusione.


6.2.7.: FLUSSI DI CASSA DISTRIBUITI SU PIU' PERIODI:

Se l'ottenimento dei flussi in entrata f' richiede di impiegare oggi un capitale pari a C°, il VAN dell'iniziativa sarà:

VAN = a (f ' *(1+r)^-t) - C°




 









Esempio: l'impiego al tempo 0 di un capitale pari a 100 milioni promette di generare i seguenti flussi in entrata per i prossimi 5 anni:


anni    1 2 3 4 5

entrate previste 15 30 30 40 50

il costo opportunità del capitale è stato stimato pari al 10%.

Il VAN dell'iniziativa risulterà dal calcolo seguente:


VAN = 15/1,10 + 30/(1,10^2)+ 30/(1,10^3)+40/(1,10^4)+50/(1,10^5) - 100 = 25,4 milioni.


Oltre al VAN è anche possibile calcolare il TIR di una iniziativa che comporta una successione di flussi di capitale su più anni.

Il TIR lo ricordiamo è quel tasso r* (incognito) che rende il valore attuale dei flussi generati dall'iniziativa pari all'esborso iniziale.


6.2.8.: CAPITALIZZAZIONE PERIODALE E VALORE ATTUALE:

Si è finora supposto che la capitalizzazione( e il collegato processo di attualizzazione) avvenga su base annua , cioè che gli interessi generati da un capitale inizino a loro volta a produrre interessi dopo un anno.

Questa assunzione è accettabile per la maggior parte delle considerazioni che verranno sviluppate in seguito; è tuttavia utile esaminare come si modificano le relazioni oggetto della capitalizzazione composta e del valore attuale o sconto in un regime di capitalizzazione infrannuale.

Iniziamo supponendo una capitalizzazione semestrale , partendo da un capitale( C°) di 100 milioni e un tasso annuo di interesse ( r) del 10%.

Dopo sei mesi il nostro capitale varrà:


C1/2 = 100*(1+ 0,10/2)= 105 milioni


Dopo un anno:


C' = 105*(1+0,10/2)= 110,25 milioni


Si noti che il montante così ottenuto(110,25) supera di 0,25 milioni quelo calcolato nell'ipotesi di capitalizzazione annuale(110).

La differenza sta nel fatto che nel secondo semestre maturano interessi anche sugli interessi di 5 milioni capitalizzati al termine del primo semestre, il cui ammontare risulta appunto pari a 5 milioni.


In caso di capitalizzazioni infranuale la formula diviene la seguente:

CAPITALIZZAZIONE COMPOSTA INFRANNUALE:


Cn = C°*(1 + r/m)^m/n


 






Dove m rappresenta il numero di volte in un anno in cui gli interessi vengono capitalizzati ed n, come sempre, il numero di anni di durata dell'iniziativa.


Se ad es. il nostro impiego iniziale di 100 milioni è previsto generare interessi all'8% per 5 anni capitalizzati trimestralmente (cioè quattro volte all'anno), il montante al termine del quinto anno sarà:


C 5= 100*( 1+ 0,08/4)^4*5= 100* 1,02^20 = 100* 1,486 = 148,6 milioni.


Nel caso di capitalizzazione annua invece avremmo avuto:


C 5= 100*(1+0,08=^5= 146,9 milioni.


6.2.9.: RENDITE TEMPORANEE E RENDITE PERPETUE:

Quando i flussi della serie sono costanti si parla allora di rendita a rata costante: un mutuo da rimborsare a rate costanti ne è un tipico esempio.

Se ad esempio si ipotizza di ricevere 1 lira al termine di ogni anno per un periodo di 5 anni e se il costo opportunità del capitale è del 10%, il valore attuale(VA) di questa serie costante di entrate sarà quello indicato dalla seguente tabella ricavabili grazie all'uso delle tavole finanziarie:



Va di 1 lira disponibile fra 1 anno: 0,909

' ' ' 2 anni: 0,826

' ' ' 3 anni: 0,751

' ' ' 4 anni: 0,683

' ' ' 5 anni: 0,621


VA della serie:   3,790


Il valore attuale della serie, 3,790, rappresenta il fattore di rendita di 1 lira ricevuta per 5 anni nell'ipotesi che il tasso di sconto sia del 10%.

Esempio:

il valore attuale di una rendita annua di 6 milioni risulterebbe pari a:


6 milioni * 3,790 = 22,74 milioni


In generale:








Che si legge a urato t al tasso r.


Un caso particolare della situazione descritta si ha quando la rendita annua è destinata a perpetuarsi all'infinito: si parla allora di rendita perpetua.


Il valore attuale di una rendita perpetua si ottiene semplicemente dividendo l'ammontare della rata costante( f) per il costo opportunità del capitale ( r), cioè:



VALORE ATTUALE DI UNA RENDITA PERPETUA:


V.A.= f/r




 



6.3.: ELEMENTI PER LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO:

Richiamando la precedente affermazione secondo cui il valore di un bene coincide con i frutti che ci si attende esso generi in futuro, è necessario stabilire quale, o quali, siano le entità idonee ad esprimere tali frutti e come siano traducibili in un valore di sintesi espressione del capitale economico.

Nei paragrafi che seguono verranno delineati i fondamenti logici che sottostanno a questo processo di valutazione.


6.3.1.: CAPITALE ECONOMICO E DIVIDENDI ATTESI:

Se si affronta il problema della stima del capitale economico dal punto di vista della totalità dei possessori di capitale di rischio(sia gli attuali, sia colore che lo diverranno in futuro), la grandezza che meglio ne esprime i frutti attesi è rappresentata dai dividendi futuri.

Questi, infatti, misurano in termini di disponibilità monetaria futura quanto i conferenti del capitale proprio si devono attendere come ritorno sull'investimento effettuato.

Su un orizzonte temporale illimitato l'attualizzazione del flusso dei dividendi attesi si calcola secondo la seguente espressione:


CALCOLO DEI FLUSSI DI DIVIDENDI ATTESI:


W= a (DIV t/ (1+r)^t)

Dove il contatore va fino a più infinito e non si ferma a n anni.


Questa formula può essere divisa in due parti e diviene pertanto la seguente:


W= a( DIVt/(1+r)^t ) + (Wn/(1+r)^n)


Dove il contatore si ferma ad n anni.


 









Dove,

W: valore economico del capitale proprio;

DIV t: ammontare dei dividendi attesi per l'anno t;

r: costo opportunità del capitale proprio;


Se l'orizzonte temporale è limitato allora la formula da utilizzare è la seguente:

CALCOLO DEI FLUSSI DI DIVIDENDI ATTESI SU UN ORIZZONTE TEMPORALE LIMITATO:



W = a DIV t/ (1+r)^t


Dove il contatore si ferma a n anni.

 









La formula dei flussi infiniti dei dividenti(spezzata in due parti) è spezzata in due parti: il flusso attualizzato dei dividendi attesi fino a un orizzonte finito, più il valore che il capitale è atteso avere al tempo n, cioè all'anno fino a cui si proietta la successione analitica dei dividendi futuri.

Anche tale valore , indicato con W n, deve ovviamente essere riportato al tempo zero.

Se si considera che questo secondo addendo(noto come valore residuo) altro non è che l'espressione dei dividendi attesi dal periodo n+1 all'infinito , si comprende la divisione in due parti della formula sui flussi di dividendi attesi in un arco temporale illimitato.


6.3.2.: IL TASSO DI ATTUALIZZAZIONE: CENNI E RINVIO:

Non meno complessa è la questione inerente alla definizione del tasso r con il quale procedere all'attualizzazione.

Il tasso in oggetto rappresenta un costo opportunità del capitale, cioè il rendimento atteso da investimenti confrontabili sul piano del rischio.

Dovendo, inoltre, servire per scontare un flusso di dividendi, cioè la remunerazione dei mezzi finanziari a pieno rischio, se ne deduce che dovrà trattarsi di un costo del capitale proprio( Ke) sulle cui modalità di calcolo si rinvia al prossimo modulo.


6.3.3.: PERCORSI ALTERNATIVI ALLA STIMA DEL CAPITALE ECONOMICO:

a)  attualizzazione dei redditi futuri:

La valutazione del capitale economico basata sull'attualizzazione di flussi di reddito può conurarsi in più modi in relazione alla caratterizzazione temporale del flusso di reddito da attualizzare.

Il caso più frequente fa riferimento a una serie illimitata di flussi di reddito, ma esprime tali redditi futuri non già come successione di singoli dati di reddito attesi  per i vari anni a venire, bensì come reddito medio annuo normalizzato ( R ) secondo la nota formula:






b) attualizzazione dei flussi di cassa disponibili:

Il flusso di cassa disponibile(o free cash flow) , per un'azienda che si finanzia interamente con capitale proprio, è dato da:

FLUSSO DI CASSA DISPONIBILE:


REDDITO NETTO +/- COSTI(RICAVI) SENZA ESBORSO - INVESTIMENTI NETTI IN CAPITALE FISSO E CIRCOLANTE.


 







Esso rappresenta, se positivo, quanto può essere prelevato sotto forma di dividendo senza intaccare le esigenze di tutela della redditività futura; se negativo, rappresenta invece di quanto l'investitore a titolo di rischio si deve privare per far fronte alle richieste della gestione.


Il flusso di cassa disponibile sembra meglio cogliere le alterne dinamiche del capitale nei singoli periodi futuri.

Il free cash flow appare come un riferimento più generalizzabile rispetto alla stima diretta dei dividendi futuri e sarà pertanto ad esso che, di preferenza, si farà riferimento.


6.4.: REDDITIVITA' CONTABILE E VALORE:





CAPITOLO 7: IL COSTO DEL CAPITALE:


7.1.: GENERALITA':

Nel precedente modulo, introducendo i fondamenti metodologici per la stima del valore economico di un bene, abbiamo sottolineato come questo dipenda sostanzialmente da tre fattori:

i benefici che è atteso generare nel futuro;

il valore finanziario del tempo;

il rischio;


I benefici sono misurati dai futuri flussi di cassa la cui natura varia a seconda del tipo di bene di cui si intende stimare il valore.

In prima approssimazione si può dire che, se oggetto di calcolo è il prezzo di un titolo azionario o il valore complessivo del capitale proprio, il flusso in questione dovrà essere un flusso di dividendi; se invece la valutazione ha per oggetto il capitale complessivamente investito in una data iniziativa , allora di dovrà fare riferimento ai flussi di cassa operativi che l'iniziativa in questione è attesa generare.

I prossimi moduli chiariranno meglio per quali problematiche sia opportuno ricorrere all'una o all'altra conurazione di flusso monetario.

Si considerino ora gli altri due fattori sopra menzionati. Cioè il valore finanziario del tempo ed il rischio.

Essi, nel processo di calcolo che porta a stimare il valore di un bebe, trovano espressione nel tasso di attualizzazione , parametro tanto importante, quanto refrattario a una quantificazione oggettiva, nonostante i tentativi in tal senso delle moderne teorie finanziarie.


7.2.: RENDIMENTI E COSTI: UNO SGUARDO D'INSIEME:

Si osservi la ura 7.1.

Essa rappresenta visivamente la relazione che sussiste tra i diversi tassi di sconto sin qui menzionati.

Si noti, in particolare, come il tasso di attualizzazione mediante il quale determinare il valore del capitale investito in una data attività possa derivare sia da un ragionamento condotto sul lato dell'attivo, come il rendimento di impieghi alternativi che presentano lo stesso rischio operativo, sia ragionando sul lato del passivo, come costo delle fonti di finanziamento utilizzate.

In questa seconda prospettiva il costo del capitale deve intendersi come media ponderata, del costo delle singole fonti di finanziamento(capitale proprio e debiti finanziari) e viene, in quanto tale, indicato come costo medio ponderato del capitale.


7.3.: IL COSTO MEDIO PONDERATO DEL CAPITALE:

Come l'espressione lascia intendere, il costo medio ponderato del capitale(d'ora in poi indicato con K) non è altro che una media dei costi delle varie fonti di finanziamento, pesati in base all'incidenza di ciascuna fonte sul totale.

Sarà cioè:


COSTO MEDIO PONDERATO DEL CAPITALE(K):


K= Ke*(W/V)+in*(D/V)



 

Dove

K: costo medio del capitale( o costo del capitale investito);

Ke: costo del capitale proprio;

in: costo dei debiti finanziari al netto del risparmio d'imposta;

W: valore economico del capitale proprio;

D: valore economico dei debiti finanziamento;

V: valore economico del capitale investito(V=W+D);

W/V e D/V : incidenza del capitale proprio e dei debiti finanziari sul totale delle fonti.


Esempio:

si supponga:

i = 12%

t= 0,5%

Ke=14%

D/V=0,4

W/V=0,6


Ricordando che in = i*(1-t) e applicando la formula si ottiene:


K=14%*0,6 + 12%*(1-0,5)*0,4 = 10,8%


Alla luce delle considerazioni svolte nel primo paragrafo, il saggio cui si è pervenuti(K=10,8%) identifica il tasso mediante il quale attualizzare dei flussi di cassa operativi, comprensivi, cioè, sia della parte destinata a remunerare il capitale di rischi, sia della parte destinata a remunerare il capitale di debito.

Vedremo come un saggio di attualizzazione così conurato trovi applicazione nelle decisioni d'investimento e nelle valutazioni d'azienda condotte secondo la metodologia dell' unlevered cash flow.

Non sarebbe, invece, corretto impiegarlo per attualizzare un flusso di dividendi perché, trattandosi di un flusso monetario destinato a remunerare il capitale a pieno rischio, deve, per coerenza, venire scontato con il costo del solo capitale proprio(Ke).


7.4.: IL COSTO DEL CAPITALE PROPRIO SECONDO LE MODERNE TEORIE FINANZIARIE:

Poiché il costo del capitale proprio si identifica nella redditività minima soddisfacente che l'azienda deve garantire a chi investe in essa con il vincolo del pieno rischio, diventa nodale istituire una qualche relazione fra il rischio di un investimento e il rendimento atteso.

L'argomento, sia pure nei limiti consentiti dalle finalità di questo libro, verrà affrontato seguendo gli sviluppi della moderna teoria finanziaria che trova nel Capital Asset Pricing Model(CAPM) lo schema metodologico più consolidato.


7.4.1.: IL PREMIO PER IL RISCHIO:

In un precedente paragrafo, dedicato a individuare dei parametri di confronto per gli indici contabili di redditività, si era definito il rendimento atteso da un impiego rischioso ( r) come formato da due componenti: il rendimento di investimenti privi di rischio( r°) e una maggiorazione ( P) da apportare a tale rendimento base per tenere conto del rischio.

Si avrebbe pertanto:

RENDIMENTO ATTESO DI UN INVESTIMENTO RISCHIOSO:


r = r° + P


 






Questa semplice relazione costituisce il punto di partenza di tutte le moderne teorie per la misura del rendimento atteso da impieghi rischiosi, intendendo come tali tipicamente gli investimenti in titoli azionari.

Il problema maggiore è ovviamente rappresentato dalla quantificazione di P.

Se , infatti, il rendimento di impieghi a rischio nullo ( r° ) può essere stimato con relativa facilità con riferimento, ad esempio, agli impieghi in titoli di stato a breve termine, assai più complessa si presenta la stima del premio per il rischio : rischio che, trattandosi di valutare il costo del capitale proprio, risente sia degli aspetti operativi della gestione(rischio operativo) sia delle politiche finanziarie(rischio finanziario).

L'analisi della relazione rischio - rendimento è stata sviluppata, sulla base di alcuni assunti fondamentali, nell'ambito della determinazione del prezzo dei titoli azionari.

Gli assunti in questione, qui brevemente richiamati, riguardano:

a)  l'ipotesi di un mercato finanziario efficiente, cioè di un mercato nel quale tutti gli operatori dispongono delle medesime informazioni e tutte le informazioni rilevanti si riflettono sulle quotazioni dei titoli;

b) un atteggiamento di avversione al rischio da parte degli investitori


Alla luce di questa premessa, vediamo dunque come la teoria finanziaria abbia affrontato il problema della misura del rischio di un investimento azionario.


7.4.2.: IL RISCHIO DI UN TITOLO AZIONARIO:

Si consideri dapprima un singolo investimento.

Il rischio ad esso associato viene definito come la possibilità che il rendimento effettivo diverga dal rendimento previsto, sia in senso positivo che negativo.

L'entità di tale rischio dipenderà pertanto dallo scarto fra rendimento previsto e rendimento effettivo e dalla probabilità che l'evento si verifichi.

Conoscendo la distribuzione di probabilità dei rendimenti previsti di un titolo è possibile misurarne il rischio.

Le tipiche misure che la statistica mette a disposizione al riguardo sono la varianza( ò^2)e lo scarto quadratico medio( ò) che esprimono la dispersione dei risultati attesi dall'investimento rispetto al valore medio atteso.


Per varianza (ò^2) di una distribuzione si intende la media ponderata del quadrato degli scostamenti dalla media: sarà , cioè:







Dove,:

xi: è il valore iesimo della variabile considerata(nel nostro caso il rendimento previsto di un titolo);

pi: è la probabilità che xi ha di manifestarsi;

x: è il valore medio atteso ed è così ottenuto: x=somme con i da 1 a n di xi*pi


Lo scarto quadratico medio(ò) è la radice quadrata della varianza, cioè:

SCARTO QUADRATICO MEDIO :



 



Quest'ultimo è di solito preferito come misura di variabilità essendo espresso nella stessa unità di misura della variabile oggetto di misurazione.



7.4.3.:RENDIMENTO E RISCHIO DI UN PORTAFOGLIO TITOLI:

La diversificazione agisce sul rendimento e sul rischio di un portafoglio di investimenti.


a)  rendimento di un portafoglio:

il rendimento del portafoglio è semplicemente la media ponderata dei rendimenti attesi dai titoli che lo compongono, essendo i pesi rappresentati dalle quote con cui ciascun titolo è presente nel portafoglio stesso.


b) rischio di un portafoglio:

analogamente a quanto visto per il singolo titolo, il rischio di un portafoglio viene misurato in termini di scarto quadratico medio8 e di varianza).



La diversificazione riduce il rischio migliorando per l'investitore il rapporto fra rischio e rendimento.


7.4.4.: COME LA DIVERSIFICAZIONE RIDUCE IL RISCHIO DI UN PORTAFOGLIO:


7.4.5.: RISCHIO DIVERSIFICABILE E NON DIVERSIFICABILE:

Si osservi la ura 7.3. .

Essa illustra graficamente come si riduce il rischio di un portafoglio al crescere del numero di titoli che ne fanno parte.


Rischio del

Portafoglio    rischio diversificabile o specifico.

( òp)



-------- ----- ------ -------- ----- ------ -------------

rischio non diversificabile o sistematico



10 20 n°. di titoli in portafoglio


La riduzione, dapprima molto accentuata, si attenua fortemente al crescere del numero di titoli in portafoglio fino ad annullarsi quando il portafoglio raggiunge certe dimensioni superate le quali lo scarto quadratico medio si attesta su livelli non ulteriormente comprimibili.

Ciò significa che la diversificazione riduce, ma non annulla il rischio di un portafoglio.

Questo perché i casi di titoli con andamenti simili a quelli delle due aziende viste sopra(omissin) caratterizzati cioè da una perfetta correlazione negativa, rappresentano delle situazioni limite.

Questo componente di rischio non eliminabile prende il nome di rischio sistematico(o rischio di mercato, o rischio non diversificabile).

Esso si contrappone al rischio specifico(o rischio non sistematico, o rischio diversificabile) che rappresenta, invece, quella componente del rischio globale di un titolo( e, più in generale, di un investimento) che può essere eliminata mediante una accorta diversificazione.

Mentre il rischio sistematico riflette la sensibilità di un titolo alla situazione economica generale, il rischio specifico riflette invece le peculiarità dell'azienda considerata e del sistema competitivo in cui opera.

Partendo dal presupposto che gli investitori sono avversi al rischio e che la componente di rischio specifico può essere eliminata mediante un accorta diversificazione dei propri investimenti, la moderna teoria finanziaria giunge alla conclusione che ciò che interessa, nel valutare il rendimento di un titolo è il solo rischio sistematico ad esso associato, perché solo questo contribuisce al rischio del portafoglio detenuto dall'investitore.

Se quanto sopra è condivisibile, il problema della stima del rischio si traduce nella necessità di misurare il solo rischio sistematico, cioè il contributo che il singolo titolo dà al rischio sistematico di un portafoglio ben diversificato.


7.4.6.: COME MISURARE IL RISCHIO SISTEMATICO DI UN TITOLO:

Il rischio sistematico di un titolo azionario riflette la sensibilità che i rendimenti del titolo hanno rispetto alla situazione economica generale.

Quello che genericamente è stato indicato come portafoglio ben diversificato si identifica, secondo il CAPM, nel cosiddetto portafoglio di mercato.

In teoria, questo dovrebbe rappresentare l'insieme di tutti gli investimenti in attività rischiose; nella pratica corrisponde a un paniere di titoli rispetto al quale vengono misurate le performance del mercato azionario.

Il rischio sistematico di un titolo viene pertanto quantificato ponendo in relazione le variazioni nel rendimento del titolo con le variazioni nel rendimento del portafoglio di mercato espresse attraverso un indice che ne misura il rendimento medio ponderato.

La misura di questa relazione si chiama Beta(B).

Il B di un titolo altro non è che il coefficiente angolare della retta (detta retta caratteristica del titolo) che pone in relazione le variazioni nel rendimento del portafoglio di mercato con le corrispondenti variazioni nel rendimento del titolo.

INDICE BETA:


B= COVARIANZA


VARIANZA

 


7.4.7.: RELAZIONE FRA RISCHIO E RENDIMENTO SECONDO IL CAPM:

Le argomentazioni sin qui sviluppate ci hanno portato ad affermare che:

il rischio di un investimento in capitale azionario è formato da due componenti denominate rischio specifico e rischio sistematico;

il rischio specifico può venire eliminato da una accorta politica di diversificazione del portafoglio investimenti;

il rischio sistematico non è invece eliminabile tramite diversificazioni perché riflette la tendenza di tutti i titoli a muoversi con la situazione economica generale;

un investitore con un portafoglio titoli ben diversificato avrà quindi interesse solo alla remunerazione del rischio sistematico;

il portafoglio più efficiente, cioè quello con il più alto rapporto rendimento - rischio, è il portafoglio di mercato;

il rischio sistematico di un titolo viene misurato dal suo coefficiente B che segnala come si muovono i rendimenti del titolo rispetto ai movimenti del portafoglio di mercato.


Secondo il CAPM, gli investitori hanno dunque a disposizione due portafogli - base:

il portafoglio di mercato, con rendimento rm e B pari a 1;

il portafoglio degli investimenti a rischio nullo, con rendimento r° e B pari a zero.


La relazione tra rendimento atteso e rischio sistematico per una qualunque combinazione di investimenti nei due portafogli suddetti, è la seguente:


R= r° +( rm - r°) * B


 





Essa mette in evidenza come il rendimento atteso da uno specifico investimento sia in funzione di due parametri, il rendimento atteso dagli impieghi a rischio nullo( r°) e il premio per il rischio( rm - r°) e vari in proporzione diretta con il rischio sistematico dell'investimento stesso, cioè con il sue B.


7.4.8.: STRATEGIE D'INVESTIMENTO:

Partendo dall'assunto che ogni investitore ha la possibilità di investire e di indebitarsi al tasso r°, le alternative a sua disposizione saranno le seguenti:

a)  impiegare tutti i fondi a sua disposizione nel portafoglio senza rischio, conseguendo il rendimento r°;

b) impiegare tutti i fondi nel portafoglio di mercato, con l'attesa di un rendimento pari a rm, cioè di un premio per il rischio pari al premio medio rm - r°;

c) impiegare i fondi disponibili in parte nel portafoglio di mercato e in parte nel portafoglio a rischio nullo;

d) indebitarsi al tasso r° e investire nel portafoglio di mercato un ammontare superiore alle proprie disponibilità iniziali;


Veniamo ora al punto nodale della nostra trattazione.

Poiché l'investitore, attraverso un opportuno mix dei propri investimenti nei due portafogli base, può raggiungere una qualunque combinazione redditività - rischio sulla linea del mercato dei capitali, questa viene a rappresentare uno standard di riferimento per definire il rendimento atteso da qualunque altro investimento o portafoglio di investimenti.

In base a questa conclusione, che è l'essenza del CAPM,la formula ultima scritta, può essere usata per stimare il rendimento atteso da un qualsivoglia impiego in attività rischiose, sia di tipo finanziario, sia di tipo reale.


7.4.9.: LA STIMA DEI RENDIMENTI ATTESI:


7.4.10.: LA STIMA DEI RENDIMENTI ATTESI: ULTERIORI CONSIDERAZIONI:

Per quanto concerne il primo punto ci limitiamo a segnalare alcuni dei principali problemi legati all'uso del CAPM .

Essi riguardano:

l'attitudine di parametri quantificati elaborando dati storici pr approssimare i rendimenti futuri;

la concreta utilità che i coefficienti B, ricavati dal mercato borsistico ed espressione, quindi, del rischio dell'azienda nel suo complesso, possono avere per calcolare il rendimento atteso di parti di azienda, quali un progetto di investimento o un alternativa strategica, la cui rischiosità può essere significativamente diversa da quella media aziendale espressione del B;

l'esigenza di tener conto, quando si utilizzano dei coefficienti B di derivazione statistica, di come sugli stessi si riflettono le politiche d'indebitamento e il collegato rischio finanziario.


In conclusione del modulo, desideriamo ancora sottolineare come la stima del costo del capitale non debba comunque mai ridursi a un fatto meccanicistico, rappresentando uno dei compiti più qualificanti del manager finanziario.



CAPITOLO 8: LE DECISIONI DI INVESTIMENTO:



8.3.: METODI DI VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI: I CRITERI FINANZIARI.

Se un investimento rappresenta un modo per spostare risorse finanziarie nel tempo, le modalità di valutazione più corrette dovranno fondarsi sull'impianto metodologico dell'attualizzazione - capitalizzazione, in grado di operare razionalmente il necessario trasferimento di valori su differenti piani temporali.

Il ricorso a metodi basati sui flussi di cassa scontati(DCF) appare dunque più idoneo, sotto il profilo della razionalità economica, per affrontare il problema.

Tre sono i criteri base che si fondano su tale procedura e sui quali ci soffermeremo :

il metodo del valore attuale netto, d'ora in avanti indicato con la sigla VAN;

il metodo del tasso interno di rendimento, indicato con la sigla TIR;

il metodo del tasso di rendimento attualizzato, d'ora in avanti TRA.


8.3.1.: IL CRITERIO DEL VALORE ATTUALE NETTO. SIGNIFICATO E MODALITA' DI CALCOLO:

Valutare un progetto di investimento con il metodo del VAN significa calcolare il beneficio atteso dall'iniziativa come fosse disponibile nel momento in cui la decisione di investimento viene assunta.

L'applicazione di tale logica agli investimenti rispecchia fedelmente quanto illustrato nel paragrafo 6.2.6.

Il VAN di un progetto di investimento deriva , infatti, dal calcolo seguente:

CALCOLO DEL V.A.N.:


VAN = ∑ f t*(1+K)^-t - C°


Con contatore che va da t= 1 fino a n.

 








Dove,

ft: sono i flussi di cassa di gestione per gli anni da 1 a n, inclusa l'entrata per il disinvestimento finale;

c°: è l'investimento iniziale;

K: è il costo del capitale investito;



Esempio:

si consideri un progetto di investimento la cui durata prevista è di 5 anni(n=5).

L'esborso iniziale(C°) è pari a 20.000;

i flussi di cassa di gestione sono i seguenti:


anni


1 6.000

2 8.000

3 10.000

4 10.000



a cui si deve aggiungere, al quinto anno , una ulteriore entrata di 5.000 per il disinvestimento finale.

Il costo del capitale è del 20%.

Il VAN si ottiene sottraendo dal valore attuale lordo(VAL) l'esborso iniziale.


VAL= somme ft*(1+0,20)^-t= 26.386


Sottraendo dal VAL l'esborso iniziale si ottiene il VAN dell'investimento , cioè:




il flusso di cassa dell'anno 5( 13.000) è la somma del flusso monetario di gestione(8.000) e dell'entrata per il disinvestimento finale(5.000).


criterio di accettazione:

L'analisi dei progetti di investimento in base al metodo del VAN implica la seguente logica di valutazione:

sono accettabili tutti i progetti che presentano un VAN positivo;

nel caso di progetti che si escludono a vicenda, sarà da preferire quello con il VAN positivo più elevato.


caratteristiche:


Il maggior pregio del metodo del VAN consiste nel quantificare il contributo di un investimento all'incremento di valore del capitale proprio.

Affermare che un progetto di investimento presenta un VAN di 100 milioni significa dire che, dalla sua esecuzione, i detentori di capitale proprio attendono un aumento di pari importo nel valore economico della loro ricchezza.

Se dunque , una volta attualizzato il flusso monetario complessivo di un investimento si ottiene un VAN positivo, ciò significa che non solo le attese minime di redditività sono state soddisfatte, ma che avanza ancora qualcosa.

Questo qualcosa è di pertinenza del soggetto economico la cui remunerazione ha carattere di residuità, vale a dire, il detentore del capitale a pieno rischio del quale viene appunto a rappresentare un incremento di valore.

Ragionando specularmente si può fare nel caso di VAN negativo.

In simile circostanza, non solo l'investimento non è atteso soddisfare le attese minime di remunerazione dell'investitore a pieno rischio, ma addirittura ne distruggerebbe, in tutto o in parte, il capitale investito.

Superfluo, infine sottolineare, che nel caso di VAN uguale a zero ci si troverebbe di fronte a iniziative in grado di garantire agli investitori esattamente il ritorno minimo soddisfacente, non una lira di più, né una lira di meno.

Il VAN gode della proprietà additiva, cioè:


VAN(progetto a + b) = VAN(progetto a) + VAN(progetto B).


Tale proprietà si dimostra particolarmente utile quando si tratta di analizzare investimenti di una certa complessità che, per loro natura, possono richiedere revisioni successive.


Ai pregi suesposti, si affiancano anche taluni limiti, non tutti, a nostro avviso, ugualmente condivisibili.

Un primo limite riguarderebbe le difficoltà connesse alla scelta del tasso di attualizzazione che includono alcuni studiosi ad accusare il metodo di eccessiva soggettività e molti manager a preferirgli altri criteri di valutazione, in particolare il metodo del TIR.

Un secondo limite riguarderebbe l'inadeguatezza del metodo a giudicare investimenti aventi rilevanza strategica.

In questo caso, le difficoltà di stima non riguarderebbero solo il tasso di attualizzazione, ma anche, e soprattutto, il profilo di cassa delle iniziative.

Ciò per più motivi, così sintetizzabili:

le iniziative strategiche sono spesso caratterizzate da ritorni lontani nel tempo, per ciò stesso più difficili da stimare;

gli investimenti che interessano un business possono avere delle ricadute(positive, ma anche negative) su aree d'affari diverse da quella nella quale viene proposto l'investimento, ricadute delle quali non sempre si tiene conto, sia per oggettive difficoltà di stima, sia per impedimenti di tipo organizzativo che possono frapporsi a una visione integrata del portafoglio di attività su cui l'azienda opera;

i progetti di rilievo strategico sono spesso caratterizzati dal fatto di dischiudere all'azienda delle opportunità future la cui valutazione non rientra solitamente nella proiezione dei flussi monetari direttamente riconducibili all'investimento considerato.


Le difficoltà elencate non possono venire disconosciute, anche se , a nostro avviso, esse non intaccano la superiorità intrinseca del metodo , ma rappresentano piuttosto un incentivo ad individuare, nell'ambito delle logiche che gli sono proprie, apporti teorici e percorsi applicativi che ne consentano il superamento.

Vogliamo inoltre ricordare come ostacoli simili caratterizzano anche altri criteri di valutazione, sia quelli finanziari, sia , a maggior ragione , quelli contabili, ad eccezione del metodo del periodo di recupero, il quale però presenta altri e ben più gravi limiti.



8.3.2.: IL CRITERIO DEL TASSO INTERNO DI RENDIMENTO:

significato e modalità di calcolo:

Valutare un investimento con il metodo del TIR significa ricercare quel tasso che rende i flussi di cassa attualizzati generati dal progetto pari all'esborso iniziale, cioè:

CALCOLO DEL T.I.R.:


C° = ∑ f t*(1+ r*)^-t


Con contatore da t= 1 a n

 







criteri di accettazione:

Richiamando quanto già menzionato nel paragrafo 6.2.6., si ricorda che il criterio di accettazione di un investimento valutato con il metodo in esame consiste nel are il tasso trovato con il costo del capitale investito( K).

Prescindendo da situazioni caratterizzate da scarsità di capitale, saranno accettabili quei progetti per i quali: TIR>K.

Nel caso di investimenti che si escludono a vicenda, sarà da preferire quello con il TIR più alto, ovviamente purchè superi il costo del capitale.


caratteristiche:

Il metodo considerato gode di notevole favore presso le imprese che usano procedure di capital budgeting imperniate sui flussi di cassa scontati.

La motivazione principale di tale preferenza sembra riconducibile al fatto di non richiedere la preventiva determinazione del tasso di attualizzazione, come invece avviene quando si ricorre al VAN.

Il TIR , si afferma, è un valore oggettivo una volta che sia stato ricostruito il profilo di cassa del progetto.


Si possono fin da ora alcuni inconvenienti tecnici che rendono l'uso del TIR meno agevole del VAN, pur in presenza di ambiti applicativi che ne sconsigliano a priori l'utilizzo.

Ci riferiamo:

alla possibilità che l'equazione con la quale si calcola il TIR presenti più soluzioni;

alla non additività del metodo.



8.3.3.: IL CRITERIO DEL TASSO DI RENDIMENTO ATTUALIZZATO:











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