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La prima metà dell'Ottocento

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La prima metà dell'Ottocento



Siamo nell'epoca del Romanticismo caratterizzato altresì dal diffondersi dell'industrializzazione che produce dinamismo della società, nuovi ceti, nuove merci nel mercato, nuove città industriali, il lavoro diventa sempre più spersonalizzato, alienato.

In questo periodo si trova ad operare l'ispiratore di tutta la crisi dell'io dal Decadentismo in poi: Giacomo Leopardi.

Alla base delle riflessioni leopardiane vi è il problema della felicità, intesa in modo materialistico dal poeta come ciò che dà piacere all'uomo, ciò che gli permette di non aver bisogno di nient'altro, un piacere illimitato nello spazio e nel tempo, assoluto. All'interno dello "Zibaldone" (il raccoglitore dei suoi pensieri) Leopardi fa un esempio: se io desidero un cavallo, il più grande piacere per me è quello di avere un cavallo, ma una volta ottenutolo non sono ugualmente apato poiché sorge in me un altro desiderio che si sostituisce al precedente. Il desiderio è quindi infinito e l'infinitezza di questo si scontra con la finitezza spaziale e temporale dell'uomo, che è limitato nel tempo perchè nasce, cresce ed infine muore ed è limitato nello spazio perché non può essere contemporaneamente in più luoghi. L'uomo quindi non può essere felice perché è la sua stessa natura ad impedirglielo.



Leopardi, non credendo in Dio, si rivolge ad un'altra entità: la Natura, che sarà la protagonista del suo pessimismo sia in bene che in male. Secondo il poeta, la Natura ha dato all'umanità la possibilità d'essere felice attraverso l'immaginazione; con questa l'uomo può superare i limiti spazio-temporali che per natura stessa possiede, essa gli permette di superare gli ostacoli che la realtà gli pone.

Dalla Natura e dall'immaginazione scaturisce il pessimismo leopardiano. Esso si articola in tre fasi corrispondenti ai suoi tentativi di risolvere la crisi che permea il suo animo tormentato:

  La prima fase è il PESSIMISMO STORICO in cui Leopardi attribuisce la colpa della condanna all'infelicità all'uomo stesso, il quale ha perso la propria capacità di immaginare nel momento in cui ha ricercato la "ragione" ed il progresso dalla sua condizione di primitività. La ragione è l'opposto dell'immaginazione. Leopardi arriva quindi alla conclusione, in questa prima fase, che gli antichi erano stati felici perché non si erano curati del progresso ed erano quindi più fantasiosi. Se dunque l'uomo non avesse voluto seguire la ragione ora sarebbe felice. Questo tipo di pessimismo è detto "storico" perché la condizione negativa del presente è vista dal poeta come effetto di un processo storico. La Natura ha un ruolo positivo, è vista come "madre amorevole" che concede ai suoi li il dono dell'immaginazione, grazie alla quale essi possono creare una realtà alternativa a quella oggettiva negativa.

  La seconda fase è una fase di transizione. Leopardi, infatti, non è del tutto convinto che l'uomo sia infelice solo per sua colpa quindi attribuisce tale responsabilità al "fato", al destino, a qualcosa d'incontrollabile per la volontà umana.

  Le sue teorie però ancora non lo soddisfano, quindi decide di riesaminare il rapporto uomo-natura arrivando così alla terza fase, vale a dire quella del PESSIMISMO COSMICO con cui Leopardi conclude che la colpa è solo e soltanto della Natura, non più vista come "madre amorevole" ma come "matrigna", che immette nell'uomo desideri che esso non è in grado di realizzare, che si basa su leggi fisiche, oggettive, che non ha quindi interesse per la vita delle proprie creature ma ha come unico obiettivo la sopravvivenza del mondo, rispetto alla quale i problemi dei singoli poco importano. Questo pessimismo è chiamato "cosmico" perché in base a tale teoria anche gli antichi dovevano esser stati infelici; l'infelicità quindi colpisce tutti e in tutte le epoche storiche. L'unica soluzione al pessimismo cosmico è l'assunzione di un ATTEGGIAMENTO STOICO, cioè d'indifferenza; il non pensare alla negatività della propria condizione permette di non soffrire, di placare il dolore.



Dal problema della felicità nasce la TEORIA DEL PIACERE, piacere che non si realizza nella realtà ma nella poesia, con la quale si crea una realtà alternativa, idealizzata. La poesia per Leopardi deve essere un prodotto creato dall'uomo attraverso l'immaginazione e non attraverso il sentimento; questo perché il sentimento è filtrato dalla ragione, è più controllato mentre l'immaginazione è qualcosa d'istintivo, diretto, che esprime la soggettività del poeta; la poesia deve quindi far vedere al lettore ciò che si cela nell'animo del poeta, il suo "cuore". La teoria del piacere produce quindi la POESIA D'IMMAGINAZIONE

Con Leopardi nasce un nuovo modo di far poesia: questa assume, infatti, un ruolo ben preciso, diventa il CANTO DELL'IO del poeta.


Una delle poesie in cui riscontriamo la convivenza degli elementi che compongono la poetica leopardiana è "A Silvia". È un grande idillio, caratterizzato quindi dal pessimismo cosmico e di conseguenza dallo stoicismo. L'oggetto della poesia è la morte delle illusioni e della speranza una volta raggiunta l'età adulta.

Leopardi nella forma ha agito per successive stratificazioni (filtri) partendo dall'elemento chiave che è il canto di Silvia (che dà vita alla teoria del suono); dal canto l'autore è spinto a spaziare verso altri elementi: si arriva così al primo filtro, la finestra, attraverso la quale entra il canto di Silvia. Rappresenta l'ostacolo visivo che dà vita alla teoria della visione. Il canto e la finestra compongono, quindi, la teoria del vago e dell'indefinito; il secondo filtro costituisce l'immaginazione, che insieme al vago e indefinito forma la teoria del piacere; il terzo filtro è la memoria, la rimembranza. Aggiunta ai precedenti elementi forma la vera e propria poesia d'immaginazione; il quarto filtro è il classicismo romantico del poeta poiché la poesia si ricollega al testo classico dell'Eneide, interpretato però da Leopardi con una sensibilità romantica, e soprattutto l'episodio caro all'autore è il canto della maga Circe; il quinto ed ultimo filtro è lo stoicismo, la delusione delle speranze, la presa di coscienza della realtà.



Leopardi è fautore di una sorta di classicismo romantico. In questo periodo era, infatti, in atto la POLEMICA CLASSICO-ROMANTICA e Leopardi assumerà un'originale posizione al riguardo:

condivide con i romantici la critica mossa al classicismo per quanto riguarda il suo attaccamento al passato, il suo modo di imitare gli antichi, il suo rispetto ossessivo delle regole e l'uso della mitologia, ma li rimprovera, come i classicisti, di essere diventati artificiosi nel proporre i sentimenti, di averli stereotipati.

Leopardi riunisce nelle sue opere le caratteristiche delle due posizioni poiché è classico nel contenuto (propone armonia e bellezza) e romantico nella forma











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