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Salvatore Quasimodo - LA SUA VITA, LE OPERE PRINCIPALI, I TEMI DELLE SUE POESIE, UOMO DEL MIO TEMPo, PARAFRASI

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Salvatore Quasimodo



LA SUA VITA


Salvatore Quasimodo nasce a Modica, in Sicilia, il 20 agosto 1901. lio di un ferroviere, trascorre l'infanzia nelle piccole stazioni della camna siciliana e nel 1908 si trasferisce a Messina, da pochi giorni distrutta da un terribile terremoto. Poi studia a Palermo in un istituto tecnico.

A Roma si iscrive alla facoltà di Ingegneria del Politecnico, ma le difficili condizioni economiche della famiglia lo costringono ad abbandonare l'Università per cercarsi un lavoro.

Nell'arco di pochi anni è prima disegnatore tecnico, poi commesso di negozio e infine riesce a ottenere un posto da impiegato tecnico presso il Genio Civile. Questa occupazione lo costringe a trasferirsi frequentemente da una città all'altra. Intanto riprende a scrivere versi, come aveva cominciato a fare negli anni dell'adolescenza, ma ora con rinnovato interesse e maggiore impegno. Poi si trasferisce a Firenze



dove viene in contatto con il mondo letterario e dove pubblica le sue prime raccolte di poesie, che ne fanno uno fra i maggiori rappresentanti ed esponenti della corrente poetica e letteraria dell'ermetismo, che si affermò in Italia verso la fine degli anni Venti e che rivoluzionò profondamente il campo della poesia. L'Ermetismo, infatti, era un nuovo tipo di poesia caratterizzato da un linguaggio difficile, misterioso, oscuro e incomprensibile, e gli ermetici rifiutarono i versi tradizionali con strofe, rime e ritmi classici, preferendo una poesia libera ed essenziale, scarna, ma densa di pensiero e di significati anche nascosti, che il lettore doveva ricavare con la propria sensibilità dalle poche parole dei loro versi. In alcuni casi poi, abolirono anche la punteggiatura.

Salvatore Quasimodo si reca a Milano negli anni della seconda guerra mondiale e in questo periodo doloroso e tragico si dedica con passione alla traduzione delle opere dei più importanti poeti greci e latini.

Dal 1941 insegna letteratura italiana presso il Conservatorio Musicale di Milano, continuando la sua attività giornalistica e il suo lavoro di poeta e di traduttore, che lo rende famoso. Durante la seconda guerra mondiale egli matura uno stile poetico nuovo che si allontana dall'ermetismo e vuole esprimere l'impegno morale contro la barbarie della guerra, e nel 1959 gli viene conferito il premio Nobel per la letteratura.

La morte improvvisa, dovuta a una emorragia cerebrale, lo coglie a Napoli, il 14 giugno 1968, all'età di 67 anni.


LE OPERE PRINCIPALI


Nel corso della sua attività letteraria Quasimodo ha pubblicato molte raccolte di poesie, tra le quali spiccano: "Acque e terre" (1930), "Ed è subito sera" (1942) e "Giorno dopo giorno" (1947), prevalentemente dedicata ai temi della guerra e dell'occupazione nazista, alla quale appartengono anche le poesie: "Alle fronde dei salici", "Milano, agosto 1943" e "Uomo del mio tempo". Quasimodo ha pubblicato anche: "La vita non è sogno" (1949) e altre, che nel 1960 sono state raccolte nel volume "Tutte le poesie" che riassume la sua intera produzione lirica. È da ricordare anche il suo importante lavoro di traduttore del greco e del latino, che ha fatto di lui uno dei più profondi e sensibili interpreti della poesia classica.


I TEMI DELLE SUE POESIE


Nei suoi versi Quasimodo è riuscito a unire in modo equilibrato e armonico le esigenze del rinnovamento dello stile e del contenuto della poesia, già sostenute dall'Ermetismo, con la tradizione classica, che si rifaceva ai grandi modelli dell'antica Grecia e della letteratura italiana.

La sua poesia è quindi l'unione di innovazione e tradizione, nella quale l'autore dimostra grande attenzione verso la ricerca di una espressione semplice, chiara, ricca di profondi significati e contemporaneamente dei più alti sentimenti umani.

I temi maggiormente presenti nelle poesie di Quasimodo si possono ricondurre a tre concetti fondamentali: il ricordo (in gran parte idealizzato) della terra natale di Sicilia, l'interesse per le problematiche sociali a lui contemporanee e l'esigenza di contribuire con i suoi versi a "rifare l'uomo", ridandogli certezze e ideali nei quali poter sperare. Nella sua poesia, infatti, si avverte l'amore per la cultura classica, l'attenzione per tutti i problemi umani, una visione pessimistica del destino dell'uomo, il rimpianto per il mondo dell'infanzia, e quindi il desiderio di ricostruire i valori calpestati dall'umanità e l'urgenza di poter esprimere la propria pena di uomo, sentendola come comune a tutti gli altri uomini.


UOMO DEL MIO TEMPO


Lo spettacolo del dolore, della disperazione e della morte provocati dalla guerra hanno condotto Quasimodo, chiuso nella sua sofferenza, alla convinzione che l'uomo è come Caino nel primo giorno dell'umanità. L'uomo ha continuato a uccidere i suoi fratelli, come Caino uccise Abele, dimenticando il messaggio evangelico di amore e ciò che distingue l'uomo di oggi dal suo antenato primitivo sono gli strumenti di rovina e di morte che, grazie al progresso tecnologico, si sono fatti più rapidi ed efficaci. In fine il poeta invita i giovani di oggi a dimenticare gli errori commessi dai propri padri, per porre fine alla violenza e alla morte e per costruire un mondo nuovo, fondato sull'amore e popolato da uomini migliori.


Sei ancora quello della pietra e della fionda,

uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,

con le ali maligne, le meridiane di morte,

- t'ho visto- dentro il carro di fuoco, alle forche,

alle ruote di tortura. T'ho visto: eri tu,

con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,

senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,

come sempre, come uccisero i padri, come uccisero

gli animali che ti videro per la prima volta.

E questo sangue odora come nel giorno

Quando il fratello disse all'altro fratello:

"Andiamo ai campi". E quell'eco fredda, tenace,

è giunto fino a te, dentro la tua giornata.

Dimenticate, o li, le nuvole di sangue

Salite dalla terra, dimenticate i padri:

le loro tombe affondano nella cenere,

gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.


PARAFRASI


Il poeta si rivolge all'uomo e gli dice che nonostante tutto il progresso, è rimasto come gli uomini primitivi. Lui, uomo moderno, era in un aeroo di guerra, con strumenti di morte, il poeta lo aveva visto, e lo aveva visto anche dentro il carro armato a costruire ordigni mortali. Era l'uomo che credeva di aver fatto progressi scientifici, ma fatti con lo scopo di sterminare gli uomini, senza amore e senza pietà e ha ucciso ancora come quelli venuti prima di lui, come si sono uccisi gli animali che lo videro. L'odore del sangue è sempre lo stesso, come dello stesso odore era il sangue versato da Abele dopo che fu ucciso dal fratello Caino. E quell'odore di sangue, quella violenza si è tramandata fino ad ora ed è giunta fino all'uomo di oggi che ne ha fatto parte della sua vita di tutti i giorni. In fine il poeta dice all'uomo di dimenticare le violenze commesse nei secoli, di dimenticare quelli venuti prima di lui perché hanno ucciso, e di lasciare che le loro tombe siano dimenticate e coperte dalla cenere.






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