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Svevo

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talo Svevo (Ettore Schmitz) nasce a Trieste, nel 1861. Nel 1880, a causa di dissesti economici familiari, è costretto ad impiegarsi in una banca, dove lavora per circa un ventennio. Nel 1890 fa uscire a puntate, su "L'Indipendente", la sua novella "L'assassinio di via Belpoggio". Il 1892 è l'anno in cui esordisce nel romanzo con "Una vita", che passa totalmente inosservato: sorte non migliore tocca, nel 1898, a "Senilità". Deluso dall'accoglienza riservata ai suoi scritti,  egli sceglie di chiudersi in un silenzio destinato a durare a lungo. Nel 1899, dopo il matrimonio con Livia Veneziani, entra come socio nella ditta commerciale del suocero. E' del 1905 l'inizio della sua frequentazione con James Joyce, che a Trieste vive insegnando l'inglese. Nel 1923 esce "La coscienza di Zeno", che Joyce fa conoscere all'italianista Valéry Larbaud ed è positivamente recensito nel 1925 da Montale su "L'Esame". E' il preludio al pieno riconoscimento della statura dello scrittore, suggellato da articoli del già citato Larbaud e di Benjamin Crémieux. Nel 1927 viene pubblicata la novella "Vino generoso" e nel 1928 la raccolta di racconti "Una burla riuscita": lo stesso anno, Svevo muore per un incidente d'auto.

A Svevo non è mai interessato rientrare in quelle esperienze culturali italiane volte a superare la crisi post-risorgimentale nella valorizzazione della realtà e dei problemi regionali (ad es. il Verismo). Né gli premeva di ricercare nuovi miti e modelli di comportamento per una borghesia velleitaria o delusa (ad es. Decadentismo, Futurismo, ecc.). Il suo orientamento va piuttosto in direzione di una tematica esistenziale, verso la rappresentazione della solitudine e dell'aridità degli individui che avvertono con disperazione la loro incapacità di aderire alla vita. La sua poetica, in un certo senso, rientra nel vasto movimento decadentistico.



Della vita dell'uomo gli interessano non i rapporti sociali, ma gli impulsi più segreti e oscuri, che paralizzano, ovvero gli aspetti dissociati e contraddittori del pensiero e dell'agire. Nei suoi romanzi appare evidente che la solitudine e l'alienazione dei protagonisti sono manifestazioni di una 'malattia mortale' che corrode non solo i singoli individui, ma l'intera società borghese, per cui non c'è alcuna speranza che la situazione possa migliorare. C'è insomma un abisso incolmabile fra la consapevolezza con cui si avverte questa tragedia e la possibilità di un'azione costruttiva: anzi, quanto più è forte la consapevolezza, tanto più è forte l'incapacità di reagire. Svevo e Pirandello, in questo senso, si somigliano molto.

Svevo si inserisce perfettamente in questa scoperta dell'inconscio (fatta da Freud), che è la strada anche di Proust e di Joyce, ed è questa la vera novità del suo romanzo. Svevo s'interessò molto di psicanalisi freudiana, che era stata divulgata negli anni successivi alla I guerra mondiale, ma il suo interesse è caratterizzato da uno spirito polemico e sottilmente ironico nei confronti di questa nuova disciplina. La psicanalisi viene vista come una terapia cui il protagonista dell'ultimo romanzo si sottopone scetticamente, per giungere, quasi contro questa stessa terapia, a ricostruire da solo le motivazioni profonde del suo comportamento.

La coscienza di Zeno (1923): Il protagonista, più che cinquantenne, è Zeno Cosini, un uomo che non essendo riuscito a smettere di fumare, arriva a farsi rinchiudere in una casa di cura (ove si verificano situazioni comiche: ad es. tentativo di seduzione di una matura infermiera per avere sigarette, sospetti sulla fedeltà coniugale della moglie, sino all'evasione notturna). Il dottore, vista l'inutilità dei primi metodi, lo aveva consigliato di scrivere la propria autobiografia, psicanalizzando se stesso, nella speranza di vederlo guarire. In realtà Zeno, quando inizia a scrivere il romanzo, lo fa in polemica con la terapia del dottore.

Il romanzo, in un certo senso, è come un diario a episodi (i 'ricordi') intercalato dal racconto vero e proprio (il 'monologo interiore'). Gli episodi principali sono il matrimonio con la seconda delle tre sorelle Malfenti, che non amava, dopo essere stato rifiutato dalle altre due, che amava. Le tappe che lo portano al matrimonio (così come a una relazione adulterina) sono casuali. Pur non avendo tatto, sa tradire la moglie senza destare il minimo sospetto. Ha fortuna negli affari, nonostante la scarsa stima di cui gode presso i parenti. Anzi, salva la posizione finanziaria del brillante cognato Guido, che sembrava destinato al successo. La morte del padre, la cui rievocazione gli suscita più che il dolore un profondo rancore: Zeno ricerca vanamente dentro di sé la commozione che gli appare doverosa nella circostanza, poi si rifugia in una inconsapevole ma comoda ipocrisia, al fine di sentirsi 'buono'.

Maggiormente analizzata è la malattia di Zeno, con tutti i suoi inutili quanto puntuali proponimenti di smettere di fumare. Zeno si considera 'malato', ma la sua malattia è da un lato 'immaginaria', dall'altro 'reale'. Immaginaria perché di comodo, reale perché gli condiziona di fatto tutta la vita. La vera malattia non è il tabagismo (che comunque nel romanzo resta irrisolta), ma l'alienazione, la netta divisione fra la ragione con cui egli analizza criticamente le contraddizioni della realtà e la volontà (i sentimenti) con cui cerca di affrontarle, che resta sempre impotente, conformistica, vuota. Lo scompenso fra la teoria e la prassi si rivela nei gesti con cui egli esprime proprio quello che non vorrebbe. Così, mentre agisce per conseguire un risultato, ne ottiene un altro; quando non s'interessa alle cose o alle persone è la volta che tutto gli riesce. Zeno stesso non sa giudicare se vale di più la furbizia o la fatalità.

In questa condizione la psicanalisi non serve come terapia ma solo come metodo d'indagine dei sintomi della malattia: essa può solo offrire la coscienza dell'alienazione, non l'esperienza del suo superamento. Svevo, in pratica, si serve della psicanalisi per condannare l'ipocrisia della società borghese, ma non offre valide alternative. Le uniche due sono le seguenti: 1) prendere coscienza di questa tragedia umana e limitare le proprie ambizioni o pretese, vivendo più a contatto con le esigenze della natura (ma non nel senso della moglie di Zeno, la quale, nel romanzo, soffre meno di lui, perché vive di più il presente, adeguandosi alla realtà. Secondo Zeno invece la mancata consapevolezza dell'alienazione rende Augusta ancora più malata di lui). 2) L'altra alternativa è offerta dall'ironia, che permette all'uomo di sopravvivere, anche se non in maniera convincente, nelle assurde contraddizioni della società borghese. Svevo si serve anche dello strumento del tempo, nel senso che il fluire del tempo confonde la coscienza, finché ne giustifica le azioni, anche quelle negative. Ecco perché lo psicanalista viene considerato da Zeno come un 'uomo ridicolo', che s'illude di poter guarire il suo paziente.






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