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ATTICUS



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ATTICUS

ATTICO

1. De Attici mira pueritia.

1. Straordinaria fanciullezza di Attico.

T. Pomponius Atticus, ab origine ultima stirpis Romanae generatus, perpetuo a maioribus



acceptam equestrem obtinuit dignitatem. 2 Patre usus est diligente et, ut tum erant tempora, diti in

primisque studioso litterarum. Hic, prout ipse amabat litteras, omnibus doctrinis, quibus puerilis aetas impertiri debet, filium erudivit. 3 Erat autem in puero praeter docilitatem ingenii summa suavitas oris atque vocis, ut non solum celeriter acciperet, quae tradebantur, sed etiam excellenter pronuntiaret. Qua ex re in pueritia nobilis inter aequales ferebatur clariusque exsplendescebat, quam generosi condiscipuli animo aequo ferre possent. 4 Itaque incitabat omnes studio suo. Quo in numero fuerunt L. Torquatus, C. Marius filius, M. Cicero; quos consuetudine sua sic devinxit, ut nemo his perpetuo fuerit carior.

T. Pomponio Attico, nato da antichissima origine della stirpe romana, mantenne la dignità equestre perpetuamente trasmessa dagli antenati. Si avvalse di un padre attento e, come erano allora i tempi, ricco e soprattutto appassionato di letteratura. Costui, nella misura in cui amava la letteratura, istruì il lio, in tutte le discipline, con cui l'età di bambino deve essere fatta partecipe. C'era poi nel ragazzo oltre l'attitudine dell'ingegno somma gradevolezza dell'atteggiamento e della voce, tanto che non solo apprendeva celermente, le cose che erano insegnate, ma anche le esponeva eccellentemente. Perciò nella fanciullezza era considerato notevole tra i coetanei e risplendeva più brillantemente di quanto i nobili condiscepoli potessero sostenere con animo sereno. E così incitava tutti col suo impegno. In quel numero ci furono L. Torquato, C. Mario lio, M. Cicerone; ma con la sua famigliarità li avvinse tanto che nessuno fu loro più caro per sempre.






2. De Attici vita Athenis.

2 Vita di Attico sd Atene.

Pater mature decessit. Ipse adulescentulus propter affinitatem P. Sulpicii, qui tribunus plebi interfectus est, non expers fuit illius periculi. Namque Anicia, Pomponii consobrina, nupserat Servio, fratri Sulpicii. 2 Itaque interfecto Sulpicio, posteaquam vidit Cinnano tumultu civitatem esse perturbatam neque sibi dari facultatem pro dignitate vivendi, quin alterutram partem offenderet, dissociatis animis civium, cum alii

Sullanis, alii Cinnanis faverent partibus, idoneum tempus ratus studiis obsequendi suis, Athenas se

contulit. Neque eo setius adulescentem Marium hostem iudicatum iuvit opibus suis, cuius fugam pecunia sublevavit. 3 Ac ne illa peregrinatio detrimentum aliquod afferret rei familiari, eodem magnam partem fortunarum traiecit suarum. Hic ita vixit, ut universis Atheniensibus merito esset carissimus. 4 Nam praeter gratiam, quae iam in adulescentulo magna erat, saepe suis opibus inopiam eorum publicam levavit. Cum enim versuram facere publice necesse esset neque eius condicionem aequam haberent, semper se

interposuit atque ita, ut neque usuram umquam ab iis acceperit neque longius, quam dictum esset, debere passus sit. 5 Quod utrumque erat iis salutare. Nam neque indulgendo inveterascere eorum aes alienum patiebatur neque multiplicandis usuris crescere. 6 Auxit hoc officium alia quoque liberalitate. Nam universos frumento donavit, ita ut singulis sex modii tritici darentur; qui modus mensurae medimnus

Athenis appellatur.

Il padre morì presto. Egli giovanetto per la parentela di P. Sulpicio, che da tribuno della plebe fu ucciso, non fu esente da quel pericolo.

Infatti Anicia, cugina di Pomponio, aveva sposato Servio, fratello di Sulpicio. E così ucciso Sulpicio, dopo che vide che la città era stata sconvolta dalla sedizione di Cinna e non gli veniva data la possibilità di vivere secondo dignità, senza offendere l'uno o l'altro partito, essendo gli animi dei cittadini disuniti, mentre alcuni favorivano i partiti sillani, altri i cinnani, pensando (essere) il tempo adatto di assecondare i suoi studi, si recò ad Atene. Ma non di meno aiutò il giovane Mario, dichiarato nemico, coi suoi mezzi, e col denaro ne alleviò la fuga. E perché quel viaggio non recasse qualche danno al patrimonio famigliare, trasferì là gran parte delle sue fortune. Qui visse così che meritatamente a tutti gli Ateniesi era carissimo.
Infatti oltre il favore, che era già grande nel giovane, spesso coi suoi mezzi alleviò la loro povertà pubblica. Infatti essendo necessario fare un prestito per lo stato e non avendone una giusta condizione, sempre intervenne ed in modo da non ricevere mai da loro un interesse e non tollerare il are più a lungo di quanto fosse stato detto.

Cosa l'una e l'altra che era per essi salutare. Infatti né sopportava, indulgendo, che il loro debito invecchiasse né crescesse col moltiplicare gli interessi.

Accrebbe questo impegno anche con altra liberalità. Infatti a tutti regalò frumento, così che fossero dati sei moggi di grano a ciascuno; e questo genere di misura ad Atene è chiamata medimmo.



3. De Atheniensium miris honoribus in Atticum.

3. Straordinarie onorificenze degli Ateniesi verso Attico.

Hic autem sic se gerebat, ut communis infimis, par principibus videretur. Quo factum est, ut huic

omnes honores, quos possent, publice haberent civemque facere studerent; quo beneficio ille uti noluit. 2 Quamdiu adfuit, ne qua sibi statua poneretur, restitit; absens prohibere non potuit. Itaque aliquot ipsi locis sanctissimis posuerunt: hunc enim in omni procuratione rei publicae actorem auctoremque habebant. 3 Igitur primum illud munus fortunae, quod in ea potissimum urbe natus est, in qua domicilium orbis terrarum esset imperii, ut tandem et patriam haberet et domum; hoc specimen prudentiae, quod, cum in eam se civitatem contulisset, quae antiquitate, humanitate doctrinaque praestaret omnes, unus ei fuerit carissimus.

Costui poi si comportava così, che sembrava disponibile verso gli umili, pari ai capi. Perciò accadde che, per costui offrissero tutte le cariche, che potevano, a nome dello stato e desiderassero farlo cittadino; ma lui non volle servirsi di tale beneficio. Fin che fu presente (in Atene) impedì che alcuna statua fosse posta per sé; assente non potè proibirlo. E così gli posero alcune efi nei luoghi più sacri: in ogni incarico dello stato lo consideravano aiuto ed ispiratore. Perciò (fu) quello il primo dono della fortuna, il fatto che era soprattutto nato nella città, nella quale c'era la sede dell'impero del mondo, tanto da averla come patria e come casa; questo (fu) segnale di intelligenza, il fatto che, essendosi recato in quella città, che le superava tutte per antichità, civiltà e cultura, lui solo le fu carissimo.



4. De Pomponii humanitate et doctrina.

4. La cortesia e la cultura di Pomponio.

Huc ex Asia Sulla decedens cum venisset, quamdiu ibi fuit, secum habuit Pomponium, captus adulescentis et humanitate et doctrina. Sic enim Graece loquebatur, ut Athenis natus videretur; tanta autem suavitas erat sermonis Latini, ut appareret in eo nativum quendam leporem esse, non ascitum. Item poemata pronuntiabat et Graece et Latine sic, ut supra nihil posset addi. 2 Quibus rebus factum est ut Sulla nusquam eum ab se dimitteret cuperetque secum deducere. Qui cum persuadere temptaret, "Noli,

oro te, inquit Pomponius, adversum eos me velle ducere, cum quibus ne contra te arma ferrem, Italiam reliqui. "  At Sulla adulescentis officio collaudato omnia munera ei, quae Athenis acceperat, proficiscens iussit deferri. 3 Hic complures annos moratus, cum et rei familiari tantum operae daret, quantum non indiligens deberet pater familias, et omnia reliqua tempora aut litteris aut Atheniensium rei publicae

tribueret, nihilo minus amicis urbana officia praestitit. 4 Nam et ad comitia eorum ventitavit, et si qua res maior acta est, non defuit. Sicut Ciceroni in omnibus eius periculis singularem fidem praebuit; cui ex patria fugienti HS ducenta et quinquaginta milia donavit. 5 Tranquillatis autem rebus Romanis remigravit Romam, ut opinor, L. Cotta et L. Torquato consulibus. Quem discedentem sic universa civitas Atheniensium prosecuta est, ut lacrimis desiderii futuri dolorem indicaret.

Qui essendo giunto Silla, tornando dall'Asia, fin che fu lì, tenne con sé Pomponio, catturato dalla cortesia e cultura del giovane. Parlava infatti greco così, che sembrava nato ad Atene; ma così grande era la grazia della lingua latina, che appariva in lui il garbo essere nativo, non acquisito.
Ugualmente declamava le poesie sia in greco che in latino così, che nulla si poteva aggiungere. Per tali cose accadde che Silla in nessun luogo se ne allontanava e desiderava condurlo con sé.
E tentando egli di persuaderlo, "Non volere, ti prego, disse Pomponio, condurmi contro coloro, per non esser con loro contro di te, io lasciai l'Italia." Ma Silla, elogiato l'impegno del giovane, partendo ordinò gli fossero offerti tutti i doni, che aveva ricevuto ad Atene.
Qui fermatosi parecchi anni, sia mettendo tanto di attività del patrimonio famigliare, quanto doveva un padre di famiglia non negligente, sia concedendo tutti gli altri tempi o alla letteratura o allo stato degli Ateniesi, non di meno prestò agli amici i doveri cittadini (a Roma).
Infatti venne ripetutamente sia ai loro comizi sia non mancò, se un qualcosa di più importante fu trattato. Per esempio a Cicerone in tutti i suoi pericoli offrì una singolare lealtà; ed a lui che fuggiva dalla patria regalò duecento cinquanta migliaia di sesterzi. Ma tranquillizzate le cose romane ritornò a Roma, come penso, sotto i consoli L. Cotta e L. Torquato. Ma tutta quanta la città degli Ateniesi accomnò lui che partiva così, che rivelava con le lacrime il dolore del futuro rimpianto.



5. De Pomponii amicizia cum M. Cicerone.

5. Amicizia di Pomponio con M. Cicerone.

Habebat avunculum Q. Caecilium, equitem Romanum, familiarem L. Luculli, divitem, difficillima natura. Cuius sic asperitatem veritus est, ut, quem nemo ferre posset, huius sine offensione ad summam senectutem retinuerit benevolentiam. Quo facto tulit pietatis fructum. 2 Caecilius enim moriens testamento adoptavit eum heredemque fecit ex dodrante; ex qua hereditate accepit circiter centiens sestertium. 3 Erat nupta soror Attici Q. Tullio Ciceroni, easque nuptias M. Cicero conciliarat, cum quo a condiscipulatu

vivebat coniunctissime, multo etiam familiarius quam cum Quinto, ut iudicari possit plus in amicitia valere similitudinem morum quam affinitatem. 4 Utebatur autem intime Q. Hortensio, qui his temporibus principatum eloquentiae tenebat, ut intellegi non posset, uter eum plus diligeret, Cicero an Hortensius, et, id quod erat difficillimum, efficiebat, ut, inter quos tantae laudis esset aemulatio, nulla intercederet obtrectatio essetque talium virorum copula.

Aveva uno zio materno Q. Cecilio, cavaliere romano, amico di L. Lucullo, ricco, di carattere difficilissimo.

Ma così rispettò la sua asprezza, che, colui che nessuno poteva sopportare, di costui mantenne la benevolenza senza scontro fino alla massima vecchiaia.
Di tale fatto riportò il frutto del rispetto. Cecilio infatti morendo con un testamento lo adottò e lo fece erede per tre quarti (del patrimonio); da quella eredità ricevette circa cento volte (cento migliaia) di sesterzi. La sorella di Attico era stata sposata a Q. Tullio Cicerone, e M. Cicerone aveva assecondato quelle nozze, con lui dalla scuola viveva molto amichevolmente, anche molto più famigliarmente che con Quinto, così che si poteva giudicare che vale più in amicizia la somiglianza dei costumi che la parentela. Trattava poi amichevolmente con Q. Ortensio, che in quei tempi deteneva il primato dell'eloquenza, così che no si poteva giudicare chi lo amasse di più, Cicerone o Ortensio, e, ciò che era difficilissimo, faceva sì che, tra coloro tra cui c'era così grande emulazione di prestigio, non intercorreva alcuna critica ed era il legame di tali uomini.



6. De Pomponii maxima observantia.

6. Massima riservatezza di Pomponio.

In re publica ita est versatus, ut semper optimarum partium et esset et existimaretur, neque tamen se civilibus fluctibus committeret, quod non magis eos in sua potestate existimabat esse, qui se his dedissent, quam qui maritimis iactarentur. 2 Honores non petiit, cum ei paterent propter vel gratiam vel dignitatem, quod neque peti more maiorum neque capi possent conservatis legibus in tam effusi ambitus largitionibus neque geri e re publica sine periculo corruptis civitatis moribus. 3 Ad hastam publicam numquam accessit.

Nullius rei neque praes neque manceps factus est. Neminem neque suo nomine neque subscribens

accusavit; in ius de sua re numquam iit: iudicium nullum habuit. 4 Multorum consulum praetorumque praefecturas delatas sic accepit, ut neminem in provinciam sit secutus, honore fuerit contentus, rei familiaris despexerit fructum; qui ne cum Q. quidem Cicerone voluerit ire in Asiam, cum apud eum legati locum obtinere posset. Non enim decere se arbitrabatur, cum praeturam gerere noluisset, asseclam esse praetoris. 5 Qua in re non solum dignitati serviebat, sed etiam tranquillitati, cum suspiciones quoque vitaret criminum. Quo fiebat, ut eius observantia omnibus esset carior, cum eam officio, non timori neque spei tribui viderent.

Nella realtà politica si comportò così che era ed era considerato del partito degli ottimati, né tuttavia si affidava alle fluttuazioni civili, poiché credeva che non erano più in possesso di sé coloro che si fossero consegnati a queste più di quelli che erano sballottati dalle (fluttuazioni9 del mare. Non cercò cariche, pur essendo esse aperte per lui o per credibilità o per prestigio, perché né si poteva aspirare (ad esse) secondo la tradizione degli antichi, salvate le leggi in mezzo ad elargizioni di così diffuso intrigo (politico) né (si potevano) esercitare secondo lo stato senza pericolo, essendo corrotti i costumi della società. Di nessuna cosa fu eletto né responsabile né imprenditore. Non accusò nessuno né a proprio nome né sottoscrivendo; non andò mai in tribunale per una cosa propria: non ebbe nessun processo. Accettò le cariche di molti consoli, offerte in modo da non seguire nessuno in provincia, da essere contento del prestigio, da disprezza re l'interesse del patrimonio famigliare; da non volere neppure andare in Asia con Q. Cicerone, potendo ottenere presso di lui il posto di delegato. Pensava infatti non essere conveniente essere aiutante di un pretore, non avendo voluto esercitare la pretura. Ed in tale cosa non solo era servitore del prestigio, ma anche della tranquillità, evitando anche i sospetti di accuse. Per cui accadeva che la sua riservatezza era più cara a tutti, vedendo che essa era attribuita al dovere, non alla paura o alla speranza.





7. De Attici quiete in novis periculis.

7. Calma di Attico nei nuovi pericoli.

Incidit Caesarianum civile bellum, cum haberet annos circiter sexaginta. Usus est aetatis vacatione

neque se quoquam movit ex urbe. Quae amicis suis opus fuerant ad Pompeium proficiscentibus, omnia ex sua re familiari dedit. Ipsum Pompeium coniunctum non offendit. 2 Nullum ab eo habebat ornamentum, ut ceteri, qui per eum aut honores aut divitias ceperant; quorum partim invitissimi castra sunt secuti, partim summa cum eius offensione domi remanserunt. 3 Attici autem quies tantopere Caesari fuit grata, ut victor, cum privatis pecunias per epistulas imperaret, huic non solum molestus non fuerit, sed etiam sororis filium et Q. Ciceronem ex Pompeii castris concesserit. Sic vetere instituto vitae effugit nova pericula.

Accadde la guerra civile di Cesare, avendo circa sessanta anni. Si servì dell'esonero dell'età e non si mosse mai dalla città. Le cose di cui c'era stato bisogno per i suoi amici che partivano verso Pompeo, le diede tutte dal proprio patrimonio famigliare. Non contrariò lo stesso Pompeo, suo parente. Non aveva da lui nessun riconoscimento, come gli altri, che per mezzo suo avevano ricevuto o cariche o ricchezze; ma parte di essi contrarissimi ne seguirono gli accampamenti, parti con gravissimo suo risentimento rimasero in patria. Ma la calma di Attico fu tanto gradita a Cesare, che vincitore, mentre ai privati imponeva somme tramite lettere, a costui non solo non fu molesto, ma addirittura concesse (di uscire liberi) dagli accampamenti di Pompeo il lio della sorella (di Attico) e Q. Cicerone. Così con l'antico sistema di vita sfuggì i nuovi pericoli.



8. De Attici aequitate.

8. Equità di Attico.

Occiso Caesare, cum res publica penes Brutos videretur esse et Cassium ac tota civitas se ad eos convertisse, 2 sic M. Bruto usus est, ut nullo ille adulescens aequali familiarius quam hoc sene neque solum eum principem consilii haberet, sed etiam in convictu. 3 Excogitatum est a quibusdam, ut privatum aerarium Caesaris interfectoribus ab equitibus Romanis constitueretur. Id facile effici posse arbitrati sunt, si principes eius ordinis pecunias contulissent. Itaque appellatus est a C. Flavio, Bruti familiari, Atticus, ut eius rei princeps esse vellet. 4 At ille, qui officia amicis praestanda sine factione existimaret semperque a talibus se consiliis removisset, respondit: si quid Brutus de suis facultatibus uti voluisset, usurum, quantum hae paterentur, sed neque cum quoquam de ea

re collocuturum neque coiturum. Sic ille consensionis globus huius unius dissensione disiectus est. 5 Neque multo post superior esse coepit Antonius, ita ut Brutus et Cassius destituta tutela provinciarum, quae iis dicis causa datae erant a consule, desperatis rebus in exsilium proficiscerentur. 6 Atticus, qui pecuniam simul cum ceteris conferre noluerat florenti illi parti, abiecto Bruto Italiaque cedenti HS centum milia muneri misit, eidem in Epiro absens trecenta iussit dari, neque eo magis potenti adulatus est Antonio

neque desperatos reliquit.

Ucciso Cesare, sembrando che lo stato fosse in potere dei Bruti e Cassio e che tutta la città si volgesse a loro, trattò con Bruto così, che quel giovane con nessun coetaneo (trattò) più famigliarmente che con questo anziano e non solo lo considerava primo non solo per consiglio, ma anche in dimestichezza. Fu escogitato da alcuni che fosse istituito dai cavalieri romani un erario privato per gli uccisori di Cesare. Pensarono che ciò si poteva fare facilmente, se i capi di quell'ordine avessero dato i denari. Così da C. Flavio, amico di Bruto, fu chiamato Attico, perché volesse essere l'iniziatore di quella cosa. Ma lui, che pensava occorresse prestare servizi agli amici senza partigianeria e sempre si era staccato da tali iniziative, rispose: se Bruto avesse voluto usare qualcosa delle sue sostanze, se ne servisse, per quanto queste permettevano, ma su quella cosa con nessuno avrebbe trattato né si sarebbe unito. Così quel gruppo di consenso per il dissenso di costui solo si disgregò. Né molto dopo cominciò ad essere vincitore Antonio, così che Bruto e Cassio, tolto il controllo delle province, che erano state date ad essi dal console pro forma, essendo le cose disperate, partirono per l'esilio.
Attico, che non aveva voluto offrire denaro insieme con gli altri a quel partito fiorente, inviò in dono a Bruto, cacciato e che partiva dall'Italia cento migliaia di sesterzi, e comandò, lontano, ne fossero dati allo stesso trecento mila, né per questo adulò di più il potente Antonio né abbandonò i disperati.



9. De Attici maxima fide in omnes.

9. Massima lealtà di Attico verso tutti.

Secutum est bellum gestum apud Mutinam. In quo si tantum eum prudentem dicam, minus, quam

debeam, praedicem, cum ille potius divinus fuerit, si divinatio appellanda est perpetua naturalis bonitas, quae nullis casibus agitur neque minuitur. 2 Hostis Antonius iudicatus Italia cesserat; spes restituendi nulla erat. Non solum inimici, qui tum erant potentissimi et plurimi, sed etiam, qui adversariis eius se dabant et in eo laedendo aliquam consecuturos sperabant commoditatem, Antonii familiares insequebantur, uxorem Fulviam omnibus rebus spoliare cupiebant, liberos etiam exstinguere parabant. 3 Atticus cum Ciceronis

intima familiaritate uteretur, amicissimus esset Bruto, non modo nihil his indulsit ad Antonium violandum, sed e contrario familiares eius ex urbe profugientes, quantum potuit, texit, quibus rebus indiguerunt, adiuvit. 4 P. vero Volumnio ea tribuit, ut plura a parente proficisci non potuerint. Ipsi autem Fulviae, cum litibus distineretur magnisque terroribus vexaretur, tanta diligentia officium suum praestitit, ut nullum illa stiterit vadimonium sine Attico, (Atticus) sponsor omnium rerum fuerit. 5 Quin etiam, cum illa fundum secunda fortuna emisset in diem neque post calamitatem versuram facere potuisset, ille se interposuit pecuniamque sine faenore sineque ulla stipulatione credidit, maximum existimans quaestum memorem gratumque cognosci simulque aperiens se non fortunae, sed hominibus solere esse amicum. 6 Quae cum faciebat, nemo eum temporis causa facere poterat existimare: nemini enim in opinionem veniebat Antonium rerum potiturum. 7 Sed sensim is a nonnullis optimatibus reprehendebatur, quod parum odisse malos cives videretur. Ille autem, sui iudicii, potius, quid se facere par esset, intuebatur, quam quid alii laudaturi forent.

Seguì la guerra fatta presso Modena. Durante quella se lo dicessi soltanto prudente, lo presenterei meno di quanto dovrei, essendo egli stato piuttosto profetico, se si deve chiamare profezia la perpetua bontà naturale, non è spinta da nessun caso né diminuita.
Antonio giudicato nemico era partito dall'Italia; non c'era nessuna speranza di ritornare. Non solo i nemici che allora erano moltissimi e potentissimi, ma anche quelli che si davano ai suoi avversari e nel danneggiarlo speravano di conseguire qualche vantaggio, perseguitavano gli amici di Antonio, desideravano spogliare la moglie Fulvia di tutte le cose, preparavano anche di uccidere i li. Attico, servendosi dell'intima amicizia di Cicerone, essendo amicissimo di Bruto, non solo per nulla assecondò costoro per colpire Antonio, ma al contrario per quanto potè, protesse i suoi famigliari che fuggivano dalla città, li aiutò, per quelle cose di cui abbisognavano. A P. Volumnio poi concesse quelle cose, che maggiori non avrebbero potuto partire da un padre. Alla stessa Fulvia, essendo impegnata in liti e oppressa da grandi paure, con così grande impegno prestò il suo aiuto, che ella non si presentò a nessun processo senza Attico, (Attico) fu garante di tutte le cose. Anzi, avendo ella comprato un podere nella prospera sorte a scadenza e non avendo potuto avere un prestito dopo la disgrazia, egli intervenne e prestò il denaro senza interesse e senza alcuna stipula, stimando grandissimo guadagno essere riconosciuto memore riconoscente e nello stesso tempo dimostrando che egli era solito essere amico non alla fortuna, ma agli uomini. Quando faceva queste cose, nessuno poteva pensare che egli agiva per opportunità: a nessuno infatti giungeva all'idea che Antonio si sarebbe impadronito del potere. Ma un poco era rimproverato dagli aristocratici, perché sembrava che odiasse poco i cittadini malvagi. Egli però guardava cosa della sua idea fosse giusto che facesse, , piuttosto che cosa gli altri sarebbero stati in grado di lodare.



10. De Attici singolari prudentia in civilibus procellis.

10. Singolare avvedutezza di Attico nelle bufere civili.

Conversa subito fortuna est. Ut Antonius rediit in Italiam, nemo non magno in periculo Atticum

putarat propter intimam familiaritatem Ciceronis et Bruti. 2 Itaque ad adventum imperatorum de foro decesserat, timens proscriptionem, latebatque apud P. Volumnium, cui, ut ostendimus, paulo ante opem tulerat - tanta varietas his temporibus fuit fortunae, ut modo hi, modo illi in summo essent aut fastigio aut periculo -, habebatque secum Q. Gellium Canum, aequalem simillimumque sui. 3 Hoc quoque sit Attici

bonitatis exemplum, quod cum eo, quem puerum in ludo cognorat, adeo coniuncte vixit, ut ad extremam aetatem amicitia eorum creverit. 4 Antonius autem etsi tanto odio ferebatur in Ciceronem, ut non solum ei, sed etiam omnibus eius amicis esset inimicus eosque vellet proscribere, multis hortantibus tamen Attici

memor fuit officii et ei, cum requisisset, ubinam esset, sua manu scripsit, ne timeret statimque ad se

veniret: se eum et illius causa Canum de proscriptorum numero exemisse. Ac ne quod periculum incideret, quod noctu fiebat, praesidium ei misit. 5 Sic Atticus in summo timore non solum sibi, sed etiam ei, quem carissimum habebat, praesidio fuit . Neque enim suae solum a quoquam auxilium petiit salutis, sed coniuncti, ut appareret nullam seiunctam sibi ab eo velle fortunam. 6 Quod si gubernator precipua laude fertur, qui navem ex hieme marique scopuloso servat, cur non singularis eius existimetur prudentia, qui ex tot tamque gravibus procellis civilibus ad incolumitatem pervenit?

All'improvviso la fortuna cambiò. Come Antonio ritornò in Italia nessuno non aveva pensato Attico in grande pericolo a causa della intima amicizia di Cicerone e di Bruto. E così all'arrivo dei generali si era allontanato dal foro, temendo la proscrizione, e si nascondeva presso P. Volumnio, a cui, come dimostrammo, aveva poco prima portato aiuto - così grande in questi tempi fu la varietà della sorte, che ora questi ora quelli erano al massimo o prestigio o pericolo -, ed aveva con sé Q. Gallio Cano, coetaneo e molto simile a lui. Anche questo sia un esempio della bontà di Attico, il fatto che visse così unitamente con lui, che aveva conosciuto ragazzo a scuola, che la loro amicizia crebbe fino alla estrema età.
Antonio però anche se era portato da così grande odio contro Cicerone, che non solo era a lui nemico, ma anche a tutti i suoi amici e voleva proscriverli, tuttavia esortandolo molti, fu memore del favore ed avendo chiesto dove fosse, scrisse di sua mano di non temere e di venire subito da lui: aveva tolto lui e Cano, grazie a lui, dal numero dei proscritti. Inoltre perché non capitasse qualche pericolo, poiché accadeva di notte, gli mandò una scorta. Così Attico nel massimo timore fu di protezione non solo per sé, ma anche per colui, che teneva carissimo. Né infatti chiese a qualcuno l'aiuto solo  della propria salvezza, ma del congiunto, perché apparisse che non voleva che nessuna sorte fosse disgiunta da lui. Che se viene ricoperto di particolare lode un timoniere, che salva la nave dalla tempesta e dal mare pieno di scogli, perché non sarebbe considerata la singolare avvedutezza di colui, che giunse alla incolumità da tante e così gravi bufere civili?



11. De Attici moribus et fortuna.

11. Comportamenti e sorte di Attico.

Quibus ex malis ut se emersit, nihil aliud egit, quam ut quam plurimis, quibus rebus posset, esset

auxilio. Cum proscriptos praemiis imperatorum vulgus conquireret, nemo in Epirum venit, cui res ulla defuerit, nemini non ibi perpetuo manendi potestas facta est: 2 quin etiam post proelium Philippense interitumque C. Cassii et M. Bruti L. Iulium Mocillam praetorium et filium eius Aulumque Torquatum ceterosque pari fortuna perculsos instituerit tueri atque ex Epiro iis omnia Samothraciam supportari iusserit. 3 Difficile est omnia persequi et non necessarium. Illud unum intellegi volumus, illius liberalitatem neque temporariam neque callidam fuisse. 4 Id ex ipsis rebus ac temporibus iudicari potest, quod non

florentibus se venditavit, sed afflictis semper succurrit; qui quidem Serviliam, Bruti matrem, non minus post mortem eius quam florentem coluerit. 5 Sic liberalitate utens nullas inimicitias gessit, quod neque laedebat quemquam neque, si quam iniuriam acceperat, non malebat oblivisci quam ulcisci. Idem immortali memoria percepta retinebat beneficia; quae autem ipse tribuerat, tamdiu meminerat, quoad ille gratus erat, qui acceperat. 6 Itaque hic fecit, ut vere dictum videatur :   

sui cuique mores fingunt fortunam hominibus.

Neque tamen ille prius fortunam quam se ipse finxit, qui cavit, ne qua in re iure plecteretur.


Ma come si riprese da queste avversità, non fece niente altro che essere di aiuto a moltissimi, con quelle cose che poteva. Mentre il volgo cercava i proscritti per i premi dei generali, nessuno venne in Epiro, cui sia mancata qualche cosa, a nessuno non fu data la possibilità di rimanere li sempre: anzi anche dopo la battaglia di Filippi e la morte di C. Cassio e M. Bruto, decise di difendere L. Giulio Mocilla ex pretore e suo lio Aulo Torquato e gli altri colpiti da uguale sorte e ordinò che per essi fosse portato tutto dall'Epiro in Samotracia.



E' difficile seguire tutto e non (è) necessario.

Questo solo vogliamo si capisca, che la sua liberalità non fu né temporanea né astuta. Ciò può essere giudicato dalle stesse cose e dai tempi, perché non si vendette ai potenti, ma soccorse sempre gli afflitti; lui che rispettò Servilia, madre di Bruto, non meno dopo la morte di lui che quando era potente.
Così usando la liberalità non creò nessuna inimicizia, perché non offendeva nessuno, né se aveva ricevuto un'offesa, preferiva dimenticare che vendicarsi.
Ugualmente manteneva i benefici ricevuti con memoria immortale; quelli poi che aveva fatti, li ricordava fino a che era riconoscente chi li aveva ricevuto. Costui fece sì che sembri veramente il detto:
i propri costumi creano ad ognuno tra gli uomini la sorte. Né tuttavia egli creò prima la sorte che se stesso, lui che evitò in qualche cosa fosse rimproverato giustamente.




12. De Attici maxima amicorum cura.

12. Massima attenzione di Attico verso gli amici.

His igitur rebus effecit, ut M. Vipsanius Agrippa, intima familiaritate coniunctus adulescenti Caesari, cum propter suam gratiam et Caesaris potentiam nullius condicionis non haberet potestatem, potissimum eius deligeret affinitatem praeoptaretque equitis Romani filiam generosarum nuptiis. 2 Atque harum nuptiarum conciliator fuit - non est enim celandum - M. Antonius, triumvir rei publicae constituendae.

Cuius gratia cum augere possessiones posset suas, tantum afuit a cupiditate pecuniae, ut nulla in re usus sit ea nisi in deprecandis amicorum aut periculis aut incommodis. 3 Quod quidem sub ipsa proscriptione perillustre fuit. Nam cum L. Saufeii, equitis Romani, aequalis sui, qui complures annos studio ductus philosophiae Athenis habitabat habebatque in Italia pretiosas possessiones, triumviri bona vendidissent consuetudine ea, qua tum res gerebantur, Attici labore atque industria factum est, ut eodem nuntio Saufeius fieret certior se patrimonium amisisse et recuperasse. 4 Idem L. Iulium Calidum, quem post Lucretii Catullique mortem multo elegantissimum poetam nostram tulisse aetatem vere videor posse contendere, neque minus virum bonum optimisque artibus eruditum, quem post proscriptionem equitum

propter magnas eius Africanas possessiones in proscriptorum numerum a P. Volumnio, praefecto fabrum Antonii, absentem relatum expedivit. 5 Quod in praesenti utrum ei laboriosius an gloriosius fuerit, difficile est iudicare, quod in eorum periculis non secus absentes quam praesentes amicos Attico esse curae cognitum est.

Perciò con queste cose fece sì che M. Vipsanio Agrippa, congiunto da intima amicizia al giovane Cesare, mentre per il suo favore e la potenza di Cesare aveva la possibilità di ogni condizione, preferisse particolarmente la sua parentela e scegliesse la lia di un cavaliere romano alle nozze di (ragazze) nobili.
Di queste nozze fu intermediario M. Antonio - infatti non c'è da nasconderlo - triunviro per riorganizzare lo stato.
Col favore di costui potendo aumentare i suoi beni, fu tanto lontano dalla bramosia di denaro, che in nessuna cosa lo usò se non nello scongiurare i pericoli o le strettezze degli amici. E questo davvero fu notissimo sotto la stessa proscrizione. Infatti quando i triunviri, secondo quella consuetudine, con cui allora si facevano le cose, avevano messo in vendita i beni di L. Saufeio, cavaliere romano, suo coetaneo, che per parecchi anni abitava ad Atene spinto dalla passione della filosofia ed aveva in Italia ricchi possedimenti, per l'impegno e l'intervento di Attico accadde che con lo stesso messaggero Saufeio fosse informato che aveva perso e recuperato il patrimonio. Ugualmente liberò L. Giulio Calido, che, dopo la morte di Lucrezio e di Catullo, mi sembra poter sostenere che la nostra età ha prodotto di gran lunga come il più squisito poeta, e non meno galantuomo e dotato di ottime doti, che dopo la proscrizione dei cavalieri (era stato) inserito nel numero dei proscritti da P. Volumnio, comandante dei genieri di Antonio, a causa dei suoi grandi possedimenti africani. Al momento è difficile giudicare se per lui ciò sia stato più faticoso o più lodevole, si è saputo che nei loro pericoli ad Attico stettero a cuore non diversamente gli amici assenti che presenti.



13. De Attico bono patre familias.

13. Attico, buon padre di famiglia.

Neque vero ille vir minus bonus pater familias habitus est quam civis. Nam cum esset pecuniosus, nemo illo minus fuit emax, minus aedificator. Neque tamen non in primis bene habitavit omnibusque optimis rebus usus est. 2 Nam domum habuit in colle Quirinali Tamphilianam, ab avunculo hereditate relictam; cuius amoenitas non aedificio, sed silva constabat. Ipsum enim tectum antiquitus constitutum plus salis quam sumptus habebat; in quo nihil commutavit, nisi si quid vetustate coactus est. 3 Usus est familia, si utilitate iudicandum est, optima; si forma, vix mediocri. Namque in ea erant pueri litteratissimi, anagnostae optimi et plurimi librarii, ut ne pedisequus quidem quisquam esset, qui non utrumque horum pulchre facere posset, pari modo artifices ceteri, quos cultus domesticus desiderat, apprime boni. 4 Neque tamen horum quemquam nisi domi natum domique factum habuit; quod est signum non solum continentiae, sed etiam diligentiae. Nam et non intemperanter concupiscere, quod a plurimis videas, continentis debet duci, et potius diligentia quam pretio parare non mediocris est industriae. 5 Elegans, non magnificus; splendidus, non sumptuosus: omnisque diligentia munditiam, non affluentiam affectabat.

Supellex modica, non multa, ut in neutram partem conspici posset. 6 Nec praeteribo, quamquam nonnullis leve visum iri putem: cum in primis lautus esset eques Romanus et non parum liberaliter domum suam omnium ordinum homines invitaret, scimus non amplius quam terna milia peraeque in singulos menses ex ephemeride eum expensum sumptui ferre solitum. 7 Atque hoc non auditum, sed cognitum praedicamus: saepe enim propter familiaritatem domesticis rebus interfuimus.

Né quell'uomo fu considerato meno buon padre di famiglia che cittadino. Essendo danaroso, nessuno fu meno smanioso di comprare di lui, meno amante di costruzioni. Né tuttavia anzitutto non abitò bene e si servì di tutte le cose migliori. Infatti ebbe la casa sul colle Quirinale, la Tanfiliana, lasciata in eredità dallo zio paterno; ma la sua bellezza consisteva non nell'edificio, ma nel parco. Infatti la stessa abitazione costruita anticamente aveva più di buon gusto che sontuosità; in essa non cambiò nulla se non qualcosa, spinto dalla vetustà. Si servì di una servitù, se si deve giudicare dall'utilità, se dall'apparenza, appena modesta. Infatti in essa c'erano schiavi istruitissimi, ottimi lettori e moltissimi copisti, così che non c'era neppure uno accomnatore, che non sapesse fare bene l'uno e l'altro di questi (compiti, in ugual modo gli altri artigiani, che la cura domestica richiede, (erano) estremamente bravi. Né tuttavia non ne ebbe nessuno se non nato in casa e istruito in casa; e ciò non è solo segno di moderazione, ma anche di avvedutezza. Infatti sia il desiderare non controllatamente, cosa che vedi da parte dei più, deve essere considerato (tipico) del moderato, sia è di non mediocre iniziativa procurarsi (le cose) piuttosto con attenzione che col denaro. Elegante, non sfarzoso; splendido, non prodigo: ogni attenzione esibiva decoro, non lusso.
La suppellettile semplice, non molta, tanto che non si poteva vedere (piegare) verso né una parte né l'altra. Né tralascerò, benché io pensi che da alcuni sarà visto come superfluo: essendo anzitutto un raffinato cavaliere romano e invitando non poco signorilmente in casa sua uomini di tutti gli ordini, sappiamo che non era solito registrare da spendere per la spesa più di tre migliaia ( di assi), secondo il registro dei conti, per ogni mese mediamente.

E questo lo affermiamo non come sentito, ma come conosciuto: spesso infatti per amicizia abbiamo partecipato alle cose domestiche.



14. De Attici optimis lectionibus.

14. Le ottime letture di Attico.

Nemo in convivio eius aliud acroama audivit quam anagnosten; quod nos quidam iucundissimum arbitramur: neque umquam sine aliqua lectione apud eum cenatum est, ut non minus animo quam ventre convivae delectarentur: 2 namque eos vocabat, quorum mores a suis non abhorrerent. Cum tanta pecuniae facta esset accessio, nihil de cotidiano cultu mutavit, nihil de vitae consuetudine, tantaque usus est moderatione, ut neque in sestertio vicies, quod a patre acceperat, parum se splendide gesserit neque in sestertio centies affluentius vixerit, quam instituerat, parique fastigio steterit in utraque fortuna. 3 Nullos habuit hortos, nullam suburbanam aut maritimam sumptuosam villam, neque in Italia, praeter Arretinum et Nomentanum, rusticum praedium, omnisque eius pecuniae reditus constabat in Epiroticis et urbanis possessionibus. Ex quo cognosci potest usum eum pecuniae non magnitudine, sed ratione metiri solitum.

Nessuno durante un suo banchetto udì altra esibizione che il lettore; e ciò noi lo pensiamo piacevolissimo: né mai presso di lui si cenò senza una qualche lettura, così che i commensali fossero allietati non meno nell'animo che nel ventre: infatti chiamava quelli, le cui abitudini non si allontanassero dalle sue.
Essendo stato fatto così grande accrescimento di denaro, nulla cambiò della tradizione quotidiana, niente dell'abitudine di vita, ed usò un così grande controllo, che né si comportò poco decorosamente in due milioni di sesterzi, che aveva ricevuto dal padre, né visse in dieci milioni di sesterzi più sontuosamente di quanto aveva deciso e con pari dignità stette nell'una e nell'altra sorte. Non ebbe nessun giardino, nessuna lussuosa villa fuori città o al mare, né in Italia, eccetto ad Arezzo e a Nomento, un podere di camna, tutta la rendita del suo denaro consisteva nei possedimenti dell'Epiro e di città. E da questo si può capire che egli era solito misurare l'uso del denaro non per la quantità, ma per la razionalità.



15. De Attici maxima cura in amicos.

15. Massimo impegno di Attico verso gli amici.

Mendacium neque dicebat neque pati poterat. Itaque eius comitas non sine severitate erat neque

gravitas sine facilitate, ut difficile esset intellectu, utrum eum amici magis vererentur an amarent. Quidquid rogabatur, religiose promittebat, quod non liberalis, sed levis arbitrabatur polliceri, quod praestare non posset. 2 Idem in tenendo, quod semel annuisset, tanta erat cura, ut non mandatam, sed suam rem videretur agere. Numquam suscepti negotii eum pertaesum est: suam enim existimationem in ea re agi putabat; qua nihil habebat carius. 3 Quo fiebat, ut omnia Ciceronum, Catonis Marci, Q. Hortensii, Auli Torquati, multorum praeterea equitum Romanorum negotia procuraret. Ex quo iudicari poterat non inertia, sed iudicio fugisse rei publicae procurationem.

La menzogna né la diceva né poteva sopportarla. E così la sua cortesia non era senza serietà, né l'austerità senza affabilità, tanto che era difficile da capire, se gli amici lo rispettassero o lo amassero di più. Qualunque cosa era chiesta, scrupolosamente garantiva, perché riteneva (tipico) non del generoso, ma del superficiale promettere, ciò che non poteva mantenere. Ugualmente nel mantenere, ciò che aveva promesso una volta, era così grande l'impegno, che sembrava trattare non una cosa affidata, ma sua stessa. Mai provò disgusto di un affare intrapreso: riteneva che in quella cosa si trattava la sua reputazione; e di quella non aveva nulla di più caro. Perciò accadeva che amministrava tutti gli affari dei Ciceroni, di Marco Catone, di Q. Ortensio, di Aulo Torquato ed inoltre di molti altri cavalieri romani. Da ciò si poteva giudicare che aveva fuggito l'impegno dello stato non per pigrizia, ma per decisione.



16. De Ciceronis amicitia in Atticum.

16. Amicizia di cicerone verso Attico.

Humanitatis vero nullum afferre maius testimonium possum, quam quod adulescens idem seni Sullae fuit iucundissimus, senex adulescenti M. Bruto, cum aequalibus autem suis, Q. Hortensio et M. Cicerone, sic vixit, ut iudicare difficile sit, cui aetati fuerit aptissimus. 2 Quamquam eum praecipue dilexit Cicero, ut ne frater quidem ei Quintus carior fuerit aut familiarior. 3 Ei rei sunt indicio praeter eos libros, in quibus de eo facit mentionem, qui in vulgus sunt editi, undecim volumina epistularum ab consulatu eius usque ad extremum tempus ad Atticum missarum; quae qui legat, non multum desideret historiam contextam eorum temporum. 4 Sic enim omnia de studiis principum, vitiis ducum, mutationibus rei publicae perscripta sunt, ut nihil in his non appareat et facile existimari possit prudentiam quodam modo esse divinationem. Non enim Cicero ea solum, quae vivo se acciderunt, futura praedixit, sed etiam, quae nunc usu veniunt, cecinit ut vates.

Ma della affabilità non posso portare nessuna maggiore testimonianza, del fatto che da giovane fu piacevolissimo per Silla anziano, da vecchio per il giovane M. Bruto, ma con i suoi coetanei, Q. Ortensio e M. Cicerone, visse così, che è difficile giudicare, a quale età egli sia stato più adatto.
Benchè soprattutto Cicerone lo amasse, tanto che neppure il fratello Quinto gli fu più caro o più amico. Per tale cosa sono di testimonianza oltre quei libri, in cui fa menzione di lui, che sono stati editi per il pubblico, gli undici volumi di lettere dal suo consolato fino all'ultimo momento inviate ad Attico; e chi le legga, non rimpiangerebbe molto la storia organizzata di quei tempi. Così infatti tutto è stato descritto sulle passioni dei capi, sui difetti di comandanti, sui cambiamenti dello stato, tanto che nulla in questi non si evidenzia e si può facilmente giudicare che la saggezza sia in qualche modo profezia. Infatti Cicerone non solo predisse che sarebbero accadute le cose, che accaddero, (essendo) vivo lui, ma anche quelle che ora capitano nell'esperienza, le profetizzò come un profeta.



17. De Attici pietate.



17. L'affetto liale di Attico.

De pietate autem Attici quid plura commemorem? Cum hoc ipsum vere gloriantem audierim in

funere matris suae, quam extulit annorum XC, cum esset VII et LX, se numquam cum matre in gratiam redisse, numquam cum sorore fuisse in simultate, quam prope aequalem habebat. 2 Quod est signum aut nullam umquam inter eos querimoniam intercessisse aut hunc ea fuisse in suos indulgentia, ut, quos amare deberet, irasci eis nefas duceret. 3 Neque id fecit natura solum, quamquam omnes ei pares, sed etiam doctrina. Nam principum philosophorum ita percepta habuit praecepta, ut his ad vitam agendam, non ad

ostentationem uteretur.

Ma sull'affetto di Attico cosa potrei ricordare di più? Avendolo io sentito che si vantava durante il funerale di sua madre, che seppellì a novant'anni, avendone lui sessanta sette, che mai si era riconciliato con la madre, che mai era stato in contrasto con la sorella, che aveva quasi coetanea. E questo è segno che mai tra di loro intercorse lamentela o che costui fosse stato verso i suoi di tale benevolenza da considerare sacrilegio adirarsi con quelli che doveva amare.
E questo non lo fece solo per natura, benché tutti le siamo uguali, ma anche per cultura. Infatti tenne gli insegnamenti dei migliori filosofi così inculcati, da servirsene per guidare la vita, non per ostentazione.



18. De Attico moris maiorum imitatore.

18. Attico cultoredella tradzione degli antenati.

Moris etiam maiorum summus imitator fuit antiquitatisque amator; quam adeo diligenter habuit cognitam, ut eam totam in eo volumine exposuerit, quo magistratus ordinavit. 2 Nulla enim lex neque pax neque bellum neque res illustris est populi Romani, quae non in eo suo tempore sit notata, et, quod difficillimum fuit, sic familiarum originem subtexuit, ut ex eo clarorum virorum proines possimus cognoscere. 3 Fecit hoc idem separatim in aliis libris, ut M. Bruti rogatu Iuniam familiam a stirpe ad hanc aetatem ordine enumeraverit, notans, qui a quoque ortus quos honores quibusque temporibus cepisset; 4

pari modo Marcelli Claudii de Marcellorum, Scipionis Cornelii et Fabii Maximi Fabiorum et Aemiliorum. Quibus libris nihil potest esse dulcius iis, qui aliquam cupiditatem habent notitiae clarorum virorum. 5 Attigit quoque poeticen, credimus, ne eius expers esset suavitatis. Namque versibus, qui honore rerumque gestarum amplitudine ceteros Romani populi praestiterunt, 6 exposuit ita, ut sub singulorum imaginibus facta magistratusque eorum non amplius quaternis quinisque versibus descripserit: quod vix credendum sit, tantas res tam breviter potuisse declarari. Est etiam unus liber Graece confectus, de consulatu Ciceronis.

Fu pure sommo cultore della tradizione degli antenati e amante dell'antichità; e la ebbe così attentamente conosciuta, che la espose tutta in quel volume, con cui ordinò le magistrature. Infatti non c'è nessuna legge né pace né guerra né cosa famosa del popolo romano, che non sia stato annotata in esso nella sua epoca, e, cosa che fu difficilissima, inserì l'origine delle famiglie così, che da esso possiamo conoscere le discendenze degli uomini illustri. Questa stessa cosa fece separatamente in altri libri, così da enumerare per ordine, su richiesta di M. Bruto, la famiglia Giunia dall'inizio a questa epoca, annotando, da chi ciascuno fosse nato, quali cariche avesse ottenuto ed in quali epoche; in ugual modo (su richiesta di ) Marcello Claudio sulla (famiglia) dei Marcelli, di Scipione Cornelio e Fabio Massimo sulla (famiglia) dei Fabi e degli Emili. Di tali libri nulla può essere più dolce per coloro che hanno qualche desiderio di notizia di uomini famosi. Toccò anche la poesia,  per non essere privo di quella dolcezza, crediamo. Infatti espose in versi coloro che per gloria ed importanza di imprese superarono gli altri del popolo romano, così che descrisse sotto i ritratti di ciascuno i fatti e le magistrature loro con non più di quattro o cinque versi per ognuno: e questo sarebbe a stento credibile, che si fossero potuto esporre cose così grandi tanto brevemente. E' stato anche composto un unico libro in greco, sul consolato di Cicerone.



19. De Attici meritis fortunaque.

19. Meriti e fortuna di Attico.

Hactenus Attico vivo edita a nobis sunt. Nunc, quoniam fortuna nos superstites ei esse voluit, reliqua persequemur et, quantum potuerimus, rerum exemplis lectores docebimus, sicut supra significavimus, suos cuique mores plerumque conciliare fortunam. 2 Namque hic contentus ordine equestri, quo erat ortus, in affinitatem pervenit imperatoris, divi filii; cum iam ante familiaritatem eius esset consecutus nulla alia re quam elegantia vitae qua ceteros ceperat principes civitatis dignitate pari, fortuna humiliores. 3 Tanta enim prosperitas Caesarem est consecuta, ut nihil ei non tribuerit fortuna, quod cuiquam ante

detulerit, et conciliarit, quod nemo adhuc civis Romanus quivit consequi. 4 Nata est autem Attico neptis ex Agrippa, cui virginem filiam collocarat. Hanc Caesar vix anniculam Ti. Claudio Neroni, Drusilla nato, privigno suo, despondit; quae coniunctio necessitudinem eorum sanxit, familiaritatem reddidit frequentiorem.

Fino a qui le cose furono pubblicate da noi, essendo vivo Attico. Ora poiché la sorte volle che noi gli fossimo superstiti, esporremo le cose restanti e per quanto avremo potuto, insegneremo ai lettori con gli esempi delle cose, come sopra abbiamo mostrato, che i propri comportamenti determinano la sorte per ciascuno. Infatti costui contento dell'ordine equestre, da cui era nato, giunse alla parentela del generale, lio del divino (Giulio); avendo già prima ottenuto la sua amicizia con nessuna altra cosa che la raffinatezza della vita, con cui aveva catturato gli altri primi della città di pari grado, inferiori per sorte. Infatti una così grande prosperità ha raggiunto Cesare, che nulla non gli ha attribuito la sorte, che prima ha concesso a ciascuno, e gli ha offerto ciò che ancora nessun cittadino romano ha potuto raggiungere. Nacque poi ad Attico una nipote da Agrippa, a cui aveva dato la lia. Cesare promise costei di un anno appena a Ti. Claudio Nerone, nato da Drusilla; e tale unione sancì la loro parentela e rese l'amicizia più salda.



20. De Attici usu benevolentiaque cum Caesare et Antonio.

20. Famigliarità e benevolenza di Attico con Cesare ed Antonio.

Quamvis ante haec sponsalia non solum, cum ab urbe abesset, numquam ad suorum quemquam

litteras misit, quin Attico mitteret, quid ageret, in primis, quid legeret quibusque in locis et quamdiu esset moraturus, 2 sed etiam, cum esset in urbe et propter infinitas suas occupationes minus saepe quam vellet, Attico frueretur, nullus dies temere intercessit, quo non ad eum scriberet, cum modo aliquid de antiquitate ab eo requireret, modo aliquam quaestionem poeticam ei proponeret, interdum iocans eius verbosiores eliceret epistulas. 3 Ex quo accidit, cum aedis Iovis Feretrii in modulio, ab Romulo constituta, vetustate atque incuria detecta prolaberetur, ut Attici admonitu Caesar eam reficiendam curaret. 4 Neque vero a M. Antonio minus absens litteris colebatur, adeo ut accurate ille ex ultumis terris, quid ageret, curae sibi haberet certiorem facere Atticum. 5 Hoc quale sit, facilius existimabit is, qui iudicare poterit, quantae sit sapientiae eorum retinere usum benevolentiamque, inter quos maximarum rerum non solum aemulatio, sed obtrectatio tanta intercedebat, quantam fuit [incidere] necesse inter Caesarem atque Antonium, cum se uterque principem non solum urbis Romae, sed orbis terrarum esse cuperet.

Benché non solo prima di questo fidanzamento, essendo lontano dalla città, mai inviò lettere a nessuno dei suoi, senza inviarne ad Attico, su cosa facesse, anzitutto cosa leggesse, in quali luoghi e fino a quando si fosse fermato, ma anche, essendo in città e per le sue infinite occupazioni godeva di Attico meno spesso di quanto volesse, nessun giorno passò avventatamente, che non scrivesse a lui, ora chiedendogli qualcosa dalla antichità, ora proponendogli qualche quesito di poesia, talvolta scherzando strappandogli lettere piuttosto verbose.
Da ciò accadde che, stando per crollare il tempio di Giove Feretrio sul Campidoglio, fondato da Romolo, scoperto per vetustà ed incuria, Cesare su avvertimento di Attico curò di ricostruirlo.
Ma non era meno onorato, lontano, da M. Antonio, tanto che accuratamente quello dalle terre più lontane, aveva a cuore di informare Attico, cosa facesse.
Cosa sia ciò, più facilmente lo giudicherà colui, che potrà valutare di quanta saggezza sia mantenere la famigliarità e la benevolenza di coloro, tra i quali non solo intercorreva non solo la rivalità di cose importantissime, ma un così grande astio, quanto fu necessario capitasse tra Cesare ed Antonio, desiderando l'uno e l'altro non solo di essere il primo della città di Roma, ma del mondo.



21. De Attici estremo morbo.

21. Ultima malattia di Attico.

Tali modo cum VII et LXX annos complesset atque ad extremam senectutem non minus dignitate quam gratia fortunaque crevisset - multas enim hereditates nulla alia re quam bonitate consecutus est - tantaque prosperitate usus esset valetudinis, ut annis XXX medicina non indiguisset, 2 nactus est morbum, quem initio et ipse et medici contempserunt. Nam putarunt esse tenesmon, cui remedia celeria faciliaque proponebantur. 3 In hoc cum tres menses sine ullis doloribus, praeterquam quos ex curatione capiebat, consumpsisset, subito tanta vis morbi in imum intestinum prorupit, ut extremo tempore per lumbos fistulae puris eruperint. 4 Atque hoc priusquam ei accideret, postquam in dies dolores accrescere febresque accessisse sensit, Agrippam generum ad se accersi iussit et cum eo L. Cornelium Balbum Sextumque Peducaeum. 5 Hos ut venisse vidit, in cubitum innixus "Quantam, inquit, curam diligentiamque

in valetudine mea tuenda hoc tempore adhibuerim, cum vos testes habeam, nihil necesse est pluribus

verbis commemorare. Quibus quoniam, ut spero, satisfeci, me nihil reliqui fecisse, quod ad sanandum me pertineret, reliquum est, ut egomet mihi consulam. 6 Id vos ignorare nolui. Nam mihi stat alere morbum desinere. Namque his diebus quidquid cibi sumpsi, ita produxi vitam, ut auxerim dolores sine spe salutis.

Quare a vobis peto, primum, ut consilium probetis meum, deinde, ne frustra dehortando impedire

conemini".

In tal modo avendo compiuto settanta sette anni ed essendo cresciuto fino alla estrema vecchiaia non meno in prestigio che rispetto e fortuna - infatti ottenne molte eredità con nessuna altra cosa che con la bontà - ed avendo goduto di così grande prosperità di salute, da non aver avuto bisogno di medicina per trent'anni, incontrò una malattia, che all'inizio sia lui che i medici trascurarono. Infatti pensarono fosse (malattia intestinale di ) tenesmo, per la quale erano proposti rimedi celeri e facili. In questa avendo passato tre mesi senza alcun dolore, improvvisamente una così grande violenza della malattia scoppiò nel basso intestino, che nell'ultimo periodo lungo le cosce vero fistole di pus. Ma prima che gli accadesse questo, dopo che giorno per giorno capì che i dolori crescevano e si aggiungevano le febbri, ordinò che gli fosse chiamato il genero Agrippa e con lui L. Cornelio Balbo e Sesto Peduceo. Come vide che questi erano giunti, appoggiatosi sul gomito "Quanta, disse, cura ed attenzione io abbia usato in questo tempo nel salvaguardare la mia salute, avendo voi come testimoni, per nulla è necessario ricordarlo con troppe parole. Poiché, come spero, a voi ho dato soddisfazione, che io non ho fatto nulla di altro, che mirasse a guarirmi, resta che io stesso provveda per me. Non ho voluto che voi ignoraste ciò. Infatti sta a me smettere di nutrire la malattia. Infatti in questi giorni quanto ho preso di cibo, così ho protratto la vita, che ho aumentato i dolori senza speranza di salvezza. Perciò vi chiedo, anzitutto, che approviate la mia decisione, poi, che non tentiate esortando invano di distogliermi."



22. De Attici morte.

22. Morte di Attico.

Hac oratione habita tanta constantia vocis atque vultus, ut non ex vita, sed ex domo in domum

videretur migrare, 2 cum quidem Agrippa eum flens atque osculans oraret atque obsecraret, ne id, quod natura cogeret, ipse quoque sibi acceleraret, et quoniam tum quoque posset temporibus superesse, se sibi suisque reservaret, preces eius taciturna sua obstinatione depressit. 3 Sic cum biduum cibo se abstinuisset, subito febris decessit leviorque morbus esse coepit. Tamen propositum nihilo setius peregit. Itaque die quinto, postquam id consilium inierat, pridie Kalendas Aprilis Cn. Domitio C. Sosio consulibus, decessit. 4 Elatus est in lecticula, ut ipse praescripserat, sine ulla pompa funeris, comitantibus omnibus bonis, maxima vulgi frequentia. Sepultus est iuxta viam Appiam ad quintum lapidem in monumento Q. Caecilii,

avunculi sui.

Tenuto questo discorso con così grande sicurezza di voce e di aspetto, da sembrare che migrasse non dalla vita, ma da casa a casa, poiché proprio Agrippa piangendo e baciandolo lo pregava e scongiurava, che ciò che la natura esigeva, lui stesso l'accelerasse proprio per sé, e poiché anche allora poteva sopravvivere alle situazioni, e si conservasse per sé ed i suoi, spense le sue preghiere con la sua taciturna ostinazione. Così essendosi astenuto dal cibo per due giorni, improvvisamente la febbre sve e la malattia cominciò ad esser più lieve. Tuttavia non di meno completò il suo proposito. E così al quinto giorno, dopo che aveva iniziato quella decisione, morì il 31 marzo sotto il consolato di Gn. Domizio e C. Sosio. Fu portato sulla lettiga, come lui stesso aveva prescritto, senza alcuna pompa funebre, accomnandolo tutti i buon, con grandissima folla di popolo. Fu sepolto presso la via Appia alla quinta (pietra miliare) nel monumento di Q. Cecilio, suo zio materno.










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