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La Fedra di Racine
lia del re degli Inferi Minosse e di sua moglie Pasifae, che doveva innamorarsi del toro inviato da Poseidone e dare alla luce il minotauro, discendente del Sole per parte di madre, Fedra fu data in sposa a Teseo, eroe attico. A Trezene o ad Atene, dove lui sarebbe venuto a celebrare i misteri, Fedra incontra Ippolito, lio di Teseo e di un'amazzone chiamata a seconda delle versioni Melanippe, Antiope o Ippolita, e si innamora di lui. La storia di Fedra comincia in realtà con questa passione, dapprima taciuta, poi confessata sia alla nutrice sia allo stesso Ippolito durante l'assenza di Teseo, il cui ritorno provoca la calunnia di Fedra, il suo suicidio e la morte di Ippolito, imprudentemente maledetto da suo padre, in un combattimento con un mostro marino inviato da Poseidone. Presentiamo qui di seguito la sintesi della tragedia raciniana, di cui diamo un riassunto atto per atto, inserendo successivamente la prefazione scritta dallo stesso Racine:
ATTO I: La tragedia si apre con la decisione di Ippolito di allontanarsi da Aricia, la fanciulla amata, per andare alla ricerca di Teseo. e sulla scena Fedra che è consunta da un male misterioso. Enone, sua nutrice e confidente, riesce infine a strapparle il segreto: Fedra ama il liastro e pensa con sollievo alla morte. L'atto si chiude con l'annuncio della morte di Teseo e da ciò Fedra è indotta ad un barlume di speranza.
ATTO II: Ippolito rivela il suo amore ad Aricia, colei che, per decreto paterno, non dovrebbe amare. Il dialogo tra i due viene interrotto dall'arrivo di Fedra. Durante l'incontro la regina inizia col raccomandargli d'aver cura di suo lio, ma la sua passione non tarda a tradirsi con parole allusive finché esplode in una confessione disperata. Davanti a un Ippolito incredulo e turbato Fedra afferra la spada del giovane e tenta di uccidersi, ma sopraggiunge la nutrice che la porta via mentre ha ancora in mano la spada. Intanto corre voce che Teseo sia ancora vivo.
ATTO III: Enone esorta Fedra a partire, ma la regina spera ancora di poter conquistare il cuore di Ippolito offrendogli di regnare su Atene. Manda così Enone a convincere il liastro, ma poco dopo questa ritorna con l'annuncio dell'arrivo di Teseo. Fedra sgomenta pensa solo alla sua morte, rifiutandosi di dimenticare Ippolito nonostante le insistenze della nutrice. Dopo l'arrivo di Teseo con il lio il dubbio si insinua nella mente del re creduto morto, in seguito alle ambigue parole della regina semi incosciente e di Ippolito. Nell'ultima scena Ippolito in un dialogo con Teramene, sua confidente, si chiede quello che veramente nasconda la reticenza della matrigna.
ATTO IV: Enone accusa Ippolito aggiungendo alla calunnia indizi quali la spada per confermare la veridicità del suo discorso e convincere così Teseo. Il re impreca contro il lio invocando Nettuno perché lo punisca. Ippolito tenta inutilmente di difendersi confessando il suo amore per Aricia, senza accusare Fedra, ma il padre non si lascia convincere. Fedra supplica il marito di risparmiare Ippolito, pensando anche di confessare il suo folle amore, ma, cieca di gelosia dopo aver appreso di avere una rivale, non dice nulla in sua difesa lasciando così allontanare Teseo iracondo. Dapprima sola e in seguito con Enone, Fedra si abbandona al suo furore, ma sopraggiunto il rimorso scaccia malamente la nutrice.
ATTO V: Aricia rimprovera ad Ippolito il suo silenzio, ma egli le spiega le ragioni, sperando che a rendergli giustizia sarebbe stata l'ignominia che Fedra avrebbe in seguito subito. A Ippolito non resta nient'altro che fuggire e invita Aricia a seguirlo per poterla sposare. Teseo incontra poi Aricia e dalle sue parole allusive viene spinto ad interrogare nuovamente Enone. Appresa la morte della nutrice e il delirio in cui è caduta Fedra, capisce il suo errore e prega Nettuno di salvare il lio, ma sopraggiunge Teramene ad annunciare la morte di Ippolito dopo lo scontro con un mostro marino. Alla fine del racconto di Teramene appare Fedra che giustifica Ippolito confessando la sua passione. Per effetto di un veleno la regina muore di fronte a Teseo che dopo aver invocato l'oblio su tutta la vicenda decide di rendere onore al lio e di accogliere Aricia come lia.
LA PREFAZIONE DI RACINE
'Ecco un'altra tragedia il cui soggetto è tratto da Euripide'. Nello stendere questa tragedia l'autore francese apporta però alcune modifiche rispetto al tragediografo greco in particolare nel delineare i protagonisti:
Fedra,
per Racine non è né del tutto colpevole né del
tutto innocente: 'E' vincolata dal proprio destino e dalla collera degli
dei ad una passione illegittima di cui lei per prima ha orrore'. Essa
compie ogni sforzo per scongerla, preferendo di gran lunga la morte, ma alla
fine è proprio l'eroina tragica ad essere sconfitta confessando il suo tremendo
amore; ed è la voce della morte di Teseo, basata sulla storia di un
viaggio favoloso del re di Atene come la si trova in Plutarco, che porta Fedra
a fare la sua confessione che non avrebbe mai osato fare finchè
avesse creduto vivo il marito. Proprio per questa parziale innocenza Racine ha tentato di renderla meno odiosa di quanto non
fosse nell'originale greco, affidando l'accusa contro Ippolito alla nutrice: a
questa infatti si addiceva meglio una simile bassezza piuttosto che ad una
principessa capace poi di esprimere sentimenti tanto nobili e virtuosi.Ippolito, mentre in Euripide e Seneca
è accusato di aver realmente violentato la matrigna, nella Phèdre viene accusato solo di
averne avuto l'intenzione. Inoltre Racine gli ha
attribuito 'qualche punto debole che lo avrebbe reso un poco colpevole
nei confronti del padre senza peraltro sminuire tutta la grandezza d'animo con
cui risparmia l'onore di Fedra e si lascia opprimere per non accusarla',
chiamando debolezza 'la passione che suo malgrado prova per Aricia, lia e sorella dei mortali nemici di suo
padre'.Il mito di Fedra ha sempre avuto un
ottimo successo di pubblico, sia nell'antichità che nel XVII secolo, perchè, a parere di Racine,
'essa possiede tutte la qualità che Aristotele esige dall'eroe
tragico e che sono adatte a suscitare la compassione e il terrore'.
Inoltre tra tutte le tragedie da lui scritte, egli afferma con sicurezza che
'in nessun'altra la virtù è
messa maggiormente in luce. Ogni più piccola colpa è severamente
punita. I peccati d'amore si confondono con i veri peccati. Le passioni vengono
descritte per mostrare tutto il disordine di cui sono causa'. Il fine
ultimo di tutti i tragediografi è quindi mostrare questa virtù,
facendo diventare il teatro una scuola in cui la si insegna al pari delle
scuole filosofiche; ed è questo che in ultima istanza si augura Racine.
Perché Fedra?
Al pari di Edipo la storia di Fedra si conura come un archetipo che percorre tutta la letteratura universale. La storia della seduttrice incestuosa o meno che si fa calunniatrice si ritrova in India, in Cina, in Egitto e fa da trama ad altre leggende della tradizione occidentale.Phèdre inoltre presenta una tipica situazione edipica: ritorna infatti, anche se in forma più mediata, il tema dell'incesto. 'Il mito di Phèdre e Hippolyte mette in scena non tanto Edipo quanto Giocasta. Il desiderio incestuoso perfettamente manifesto si sposta nella ura femminile . L'uomo deve solo subire e accettare la volontà dell'eroina . La presenza di Hippolyte risveglierà nella matrigna l'amante, facendole dimenticare il suo ruolo di madre.' (Alberto Capatti, Introduzione a Fedra, Mondadori).Ma un altro elemento tanto più interessante quanto meno esplicito collega il dramma di Fedra a quello di Edipo, quello della riflessione sul linguaggio; il linguaggio che maschera e tradisce le realtà interiori, dà peso alle apparenze, arreca morte rivelando quel che deve essere taciuto. Edipo non vuole ascoltare le parole di Tiresia, Fedra cerca di non pronunciare le parole fatali, ma il dramma si consuma proprio attorno a due momenti linguistici: la confessione e l'imprecazione. Alla parola non si può porre rimedio: il passaggio dal silenzio alla parola genera l'irrimediabile.
La Fedra di Seneca
Un posto particolarmente importante tra le opere di Seneca rivestono le nove tragedie 'cothurnate', cioè di argomento mitologico greco: Hercules Furens, Troades, Phoenissae, Medea, Phaedra, Oedipus, Agamemnon, Thyestes, Hercules Oetus. Di esse abbiamo scarse notizie; tuttavia sono le uniche tragedie latine ad esserci pervenute in forma non frammentaria e hanno rappresentato non solo la ripresa del teatro latino tragico arcaico, ma anche il punto di arrivo, ai limiti dell'espressionismo verbale, della 'tragedia retorica'. A causa della scarsità di notizie pervenuteci le tragedie senecane presentano alcuni interessanti problemi interpretativi, a cominciare dalla cronologia della composizione, legata ad un quesito di base, cioè se sono state composte per fini puramente artistici o con obiettivi politici, e ancora, se fossero destinate alla rappresentazione o alla lettura nelle sale di recitazione (recitatio). La critica propende per la seconda ipotesi perchè l'azione drammatica è sostituita dalla declamazione dei sentimenti (fine e profonda ne è la psicologia) e per la sottigliezza del dialogo sofistico.Della tragedia latina arcaica riscontriamo in quelle di Seneca il gusto del pathos, l'esasperazione della tensione drammatica ottenuta mediante l'introduzione di lunghe digressioni, che alterano i tempi dello sviluppo, inserendosi nella tendenza ad isolare singole scene come quadri autonomi; anche se alcune caratteristiche tecniche contrastano con la consuetudine del teatro antico in quanto alcuni passaggi di scena sembrano impossibili nel suddetto teatro. In ogni caso, esse appartengono a pieno titolo al genere tragico in quanto ne hanno la struttura tradizionale (prologo, episodi, cori, trimetro giambico).E' da sottolineare, comunque, che il tragico dello Snolo non rispetta lo spirito dei modelli greci: è un tragico, il suo, ideologico piuttosto che tematico, la realtà esistenziale è assolutamente negativa e tutti i drammi hanno una conclusione luttuosa. Le tinte fosche sono accentuate ed anche i particolari più truci; inoltre tutte le tragedie sono sempre alimentate dalla filosofia e dalla dottrina stoica dell'autore che, invece di indurlo alla speranza, o almeno alla certezza che una ragione provvidenziale domini il cosmo, riversa la sua visione in un pessimismo totale. Le vicende delle opere si conurano come conflitti di forze contrastanti , soprattutto all'interno dell'animo, nell'opposizione tra 'mens bona' e 'furor', la ragione e la passione. Al centro troviamo la rappresentazione dello scatenarsi delle passioni sfrenate, non dominate dalla ragione. Della ragione sono quasi sempre portavoce i personaggi secondari: nutrici, servi, destinati comunque a rimanere inascoltati. Del 'furor' sono, invece, spesso dominati i protagonisti: Medea, Atreo, Fedra Il 'lògos' si rivela incapace di frenare le passioni e di arginare, quindi, il male. Nascono, perciò, scenari d'orrore e di forze maligne, in una lotta tra bene e male che, oltre ad avere dimensione individuale all'interno della psiche umana, assume un aspetto più universale.Le tragedie si conurano anche grazie ad un carattere spiccatamente letterario, oltre che per quello moralistico e filosofico, grazie alle reminescenze di tanti autori e allo stile fortemente influenzato dalla retorica asiana, a cui dobbiamo la forma prettamente gonfia, barocca ed il gusto per il macabro.Infine all'autore non interessa tanto lo sviluppo dell'azione, di cui dà scontata la conoscenza, ma il dibattere su una serie di argomenti morali e politici, quali la colpa, il delitto, il 'regnum', la 'fides'. Prevalgono perciò gli scopi argomentativi, perseguiti con tutti gli strumenti della retorica. I personaggi sono portatori di determinati temi e tutto ciò fa derivare un tono declamatorio che generalmente infastidisce il lettore moderno.Tuttavia nelle tragedie più riuscite l'approfondimento psicologico è potente e raggiunge momenti di alta commozione: esempio lampante è sicuramente la 'Phaedra' . La materia della Fedra di Seneca è attinta da Euripide, probabilmente sia dall''Ippolito incoronato' sia dalla più audace prima edizione dello stesso dramma : l''Ippolito velato', che dovette suscitare scandalo tra gli spettatori.
Per Seneca però non ci fu problema in quanto la Roma neroniana era assai più spregiudicata e 'moderna' dell'Atene periclea, e l'incesto era tra i temi entrati nella cronaca non meno che nella letteratura. Amore e morte è il binomio tragico già racchiuso nel mito che Seneca elabora e strizza fino a trarne gli effetti più spasmodici ed esasperati, da romanticismo barocco, ed il barocco è nel gusto del tempo, nel fondo della vita e dello spirito oltre che nella retorica di moda. Dapprima la protagonista coglie l'attimo di furore omicida di Ippolito con masochismo sublime e, in seguito, dopo la morte del ragazzo, la sua disperazione è tale da sperare di congiungere il suo destino a quello di lui attraverso la morte, di accomnarlo oltre essa. Fedra così viene ad essere la prima creatura della poesia antica che porti, o si illuda di portare, romanticamente il suo amore, il suo peccato, al di là della vita.I motivi di confronto tra il modello euripideo e la la tragedia senecana sono individuati in base a tre parametri basilari. Il primo sicuramente riguarda il contrasto passione/castità che diviene in Seneca contrasto tra 'furor' e 'mens bona'. In Euripide il dualismo è costituito dallo scontro tra i due personaggi e tra le due divinità che rappresentano queste forze: Afrodite, che apre la tragedia, e Artemide, che la chiude come 'dea ex machina'.In Seneca la lotta si trasferisce direttamente all'interno della coscienza della donna e, nello stesso tempo, si assolutizza in quella tra 'furor' e 'mens bona', tra asservimento alle passioni, di cui l'amore risulta l'esempio più tipico e devastante, e libertà da esse, filone conduttore della morale stoica. In Euripide, anche nella seconda edizione, Fedra non è più la primitiva ed istintiva cretese che conosce solo le leggi della passione, ma una donna che lotta contro il suo desiderio colpevole, contro il demone che l'agita, anche se è comunque destinata a perire e a distruggere tutta la famiglia. In Seneca, invece, anche se il personaggio è sconfitto, si afferma la possibilità dell'uomo di lottare con la passione e dominarla, in quanto l'amore non è un'imposizione dell'onnipotente divinità, ma puro istinto che l'uomo può controllare con la fermezza dello spirito. L'altro parametro preso in analisi è quello che evidenzia la trasformazione di Ippolito da devoto alla dea Artemide a saggio stoico per Seneca. Infatti nella versione euripidea il giovane ci è presentato come un casto seguce della dea, amante solo delle selve e della caccia, in Seneca egli diventa una sorta di filosofo sulla quale bocca l'autore pone le massime tipiche della saggezza stoica; quindi, lo stesso amore per la vita silvestre diviene distacco dalle passioni, disprezzo degli onori e del potere. Il terzo ed ultimo parametro riguarda un elemento di attualità politica, cioè l ' accusa al potere ritenuto autoritario e privo di 'lume'. Esso è un ulteriore elemento a favore della originalità del testo senecano ed è sicuramente legato al rapporto che lo scrittore aveva col principato di Nerone. Fedra, infatti, non è solo la donna in preda alla insana passione, ma anche la regina abituata ad imporre il proprio volere su quello degli altri e non a sottostarsi ad esso. Comunque tutte le differenze e gli elementi originali dell'opera di Seneca rispetto al modello greco non fanno altro che ricondurci alle differenze culturali e politiche delle due epoche, oltre che riflettere la matrice stoica dell'operato dello scrittore latino.
La Fedra di D'Annunzio
La Fedra di D'Annunzio è una ura artisticamente viva con atteggiamenti tra il folle e demoniaco.Ella, per assecondare troppo la sua passione trasgredisce le leggi morali e sociali che regolano la convivenza umana. È un essere primitivo, che non si integra nella normale vita, le cui manifestazioni anzi suscitano in lei delirio e agitazione. Nella tragedia dannunziana non spicca molto la sacralità tipica del dramma greco, ma piuttosto è posto l'accento su quanto d'umano suscita dolore e sofferenza. Ella si inasprisce alla notizia che Teseo è vivo, in quanto vede distrutta la propria gioia malvagia, mentre si inebria, rivivendo la gloriosa ultima ora di Capaneo, folgorato da giove su le mura di Tebe. Fedra esalta, quindi il sacrificio eroico che fu coronato dal sacrificio d'amore di lui moglie Evadne mentre mostra odio per Teseo, che rappresenta l'ostacolo costante al suo sogno vertiginoso di piacere, al suo amore non corrisposto per il liastro Ippolito.Sentimenti di odio e di ammirazione eroica nutrono l'anima complessa di Fedra. Ella è consapevole dei suoi impulsi incoercibili al piacere, al peccato, alla trasgressione e si vergogna di questa sua colpa. E proprio dal conflitto dei suoi desideri inapati, dei sentimenti peccaminosi nasce la sua malvagità, la sua empietà che la porta ad esaltare la ribellione di Capaneo a Zeus e il sacrificio amoroso di Evadne. Il personaggio mitologico, trattato da Euripide, diventa in D'Annunzio un tipo dannunziano. In Euripide spicca la donna che si strugge, langue e tutt'al più si esagita. In D'Annunzio Fedra è ansia furiosa, folle, abbandonata alle suggestioni del senso e dell'istinto sfrenato, che vede nell'erotismo e nella sensualità il mezzo per manifestare la vita profonda e segreta dell'io che sfugge al controllo dell'intelletto.E' insomma un misto di voluttà e istinto. Ella è quindi un'interprete genuinamente dannunziana dell'ideale orgiastico ed amorale del poeta, di un ideale immorale di una vita fondata sull'accettazione di ogni invito dei sensi, e sull'egocentrismo assoluto, sul rifiuto della razionalità, in nome di una conoscenza del mondo da raggiungere attraverso la suggestione immediata dei sensi, sul trionfo della vitalità istintiva.
Ed in nome di questo abbandono all'ebbrezza dei sensi e ai suggerimenti dell'istinto, l'erotismo di Fedra diventa angoscia, agitazione irrefrenabile, empietà furente contro Afrodite, abbattimento alternato, orgoglio passeggero, ma vilipeso al pensiero che tra qualche ora Ariandne la schiava tebana sarà tra le braccia di Ippolito.L'atteggiamento della Fedra euripidea è, potremmo dire, quasi romantico, di un dolore realistico e struggente, per un bene che non l'appartiene, quello della Fedra di D'Annunzio è tipicamente decadente, irrazionale, naturalistico, istintivo e perciò di una vogliosità incontrollata che assale Ippolito con tutti i mezzi a sua disposizione, dalla sfrontatezza invereconda e immorale alla lusinga di una promessa di potenza.Al rifiuto del giovane, ella passa alle offese e alle minacce, all'esasperante incalzare e alla folle presa. Ippolito fugge e Fedra momentaneamente s'abbatte.Ma ella, demone terribile s'inalbera presto nella sua fierezza amazzonica per l'ultima opera di ribellione alla ragione, e di esaltazione dell'istinto, ricorrendo, in maniera spietata e cinica, alla calunnia.Tuttavia non bisogna considerare questo gesto come fine a se stesso, ma come gesto di franca rivolta al volere degli dei e del Fato, come Capaneo di cui ella è stata ammiratrice ed esaltatrice.E questo prometeismo suggella la sua ribellione alle leggi della ragione per cercare, ma senza risultati, di far prevalere l'istinto sulla ragione, anche contro il volere degli dei. Fedra in D'Annunzio è, in conclusione, anima viva, con qualche mistura di follie nietzschiane; appartiene a quella categoria di caratteri demonici che, troppo asserviti dalla loro passione, si mettono al disopra delle leggi e della morale nella convivenza degli uomini; nature primitive in cui è convulsione e spasimo ogni normale manifestazione di vita. Fedra uccise Ippolito non per vendicarsi della repulsa, ma per vincere Afrodite, per domare in sé l'incestuoso amore per il liastro. E potrà dunque infine celebrare il proprio nome come 'il nome di chi sovverte antiche leggi per porre una sua legge arcana', e chiamare su di sé a bella posta l'ira di Artemide, ingiuriandola come casta ed inutile protettrice dell'ucciso Ippolito, mentre anche nella morte è lei la vittoriosa, lei che, pura ormai di colpa, si ricongiunge all'amato.
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