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MARCO FABIO QUINTILIANO

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MARCO FABIO QUINTILIANO

Vita: Quintiliano nasce a Calagurris, in Spagna, nel 35; in questa città intraprende i suoi primi studi, per poi seguire il padre, insegnante di retorica, a Roma; divenuto oratore, torna in Spagna e esercita la professione di avvocato fino al 68, quando conosce Galba, un comandante militare che era allora, anche se per poco tempo, imperatore. Quest'ultimo, resosi conto delle capacità di Quintiliano, lo porta con sé a Roma, dove, nel 69, Vespasiano gli affida la direzione di una scuola di retorica, nella quale Quintiliano insegna con un nuovo metodo inventato da lui stesso e pago di un altissimo stipendio. Nell'87, smesso di insegnare, inizia a comporre le sue opere. Muore nel 96, lo stesso anno in cui muore anche Domiziano.

Opere

Ø      Declamationes minores: 19 componimenti.



Ø      Declamationes maiores: 145 componimenti.

Ø      Oratio contra Arpinatem: scritta contro Nevio Arpinate, accusato di uxoricidio.

Ø      Institutio oratoria: [v. Institutio oratoria]

Institutio Oratoria: È un'opera divisa in 12 libri, il cui titolo vuol dire letteralmente "formazione dell'oratore"; infatti è un vero e proprio manuale per la formazione di un perfetto oratore e per questo Quintiliano è considerato il primo studioso di pedagogia. L'opera è preceduta da una lettera indirizzata all'editore, in cui Quintiliano spiega come l'ha fatta, il tempo (due anni) che ha impiegato per la stesura, il valore, i fini e la dedica a Vittorio Marcello, un avvocato suo amico. L'oratore, secondo Quintiliano, deve saper, prima di tutto, parlare in pubblico, ma deve anche essere un uomo ricco di virtù morali, buono, generoso, altruista, deve sapersi vestire bene e usare un linguaggio corretto anche nella vita privata: se fosse disonesto, infatti, nessuno gli crederebbe. Secondo la filosofia, un oratore deve vivere solitario, dedicandosi alla meditazione e alla riflessione; secondo Quintiliano, invece, esso deve vivere a contatto con gli altri uomini, fare attività politica e cercare di risolvere problemi pratici. Le critiche mosse a Quintiliano sono proprio riferite al fatto che un uomo con tutte queste caratteristiche e nemmeno un difetto non esiste realmente; egli però risponde che, pur essendo vero questo, l'uomo deve sempre mirare al massimo per poter migliorare costantemente.

Stile: ½ è un divario tra lo stile ideale e quello di cui realmente fa uso:

ideale: stile ciceroniano, ben costruito e armonioso, ma irraggiungibile;

reale: prende a modello il periodo ciceroniano, ma lo imita in modo superficiale, facendo delle giunture tra le subordinate, rendendolo artificioso, cioè ricadendo nei difetti che aveva criticato negli altri autori (periodare rotto, troppe ure retoriche tra cui metafore, anastrofi, iperbati, iperboli).

Lingua: Usa un linguaggio aulico, non quotidiano, elegante e letterario.

Fonti

greche: Isocrate (oratore), Platone, Aristotele (filosofi);

latine: l'autore (sconosciuto) di "Del Sublime", un'operetta sull'arte oratoria e sulla sua decadenza, Tacito.

1° libro:          Contiene indicazioni generali sugli insegnamenti da dare al bambino: leggere, scrivere, cantare, suonare uno strumento musicale e fare semplici calcoli.

2° libro:          Descrive i primi rudimenti dell'arte oratoria: saper parlare, aver memoria, leggere letture esemplificative.

dal 3° al 6° libro:      Parla della prima fase della creazione di un'orazione, l'inventio, che consiste nel reperire tutti gli argomenti che possono servire; li distingue in:

giudiziari: per le orazioni pronunciate durante un processo;

deliberativi: usate per supportare una tesi che si vuole dimostrare;

epidittici: orazioni che possono essere fisicamente e praticamente dimostrate.

7° libro:          Tratta della dispositio, cioè la messa in ordine degli argomenti raccolti nella fase precedente; vanno infatti inseriti nei posti giusti in modo che possano rendere efficace l'orazione e convincere il pubblico e che aiutino a distinguere le cause dagli effetti.

8° e 9° libro:       Tratta l'elocutio, termine che deriva dal verbo latino loquor che significa parlare; indica gli aspetti che migliorano il discorso, come la collocazione delle parole all'interno delle frasi, la chiarezza espressiva, l'abbellimento retorico.

10° libro:      È diviso in due parti, in cui discute di:

scrittori greci e latini: la lettura di essi è la base della cultura dell'oratore;

imitazione: diventare un imitatore è pericoloso, perché si può essere scoperti e la fama cadrebbe; meglio è invece l'emulazione, che consiste nel prendere spunto dagli altri autori per poi svilupparne lo stile e renderlo personale.

11° libro:      Tratta della:

memoria: è una dote naturale, ma si può acquistare con l'esercizio;

actio: è il completamento della preparazione e consiste nella gestualità, nella diversa emissione della voce e in tutto ciò che concorre al fascino dell'oratore.

12° libro:      Traccia le doti tecniche e morali che deve avere l'oratore, facendo sua un'espressione di Catone il Censore (vissuto tre secoli prima), che affermava che vir bonis dicendi peritus ("l'uomo onesto esperto del dire"), cioè che l'avvocato deve prima di tutto essere un uomo onesto.

Vengono trattati diversi argomenti:

Decadenza dell'oratoria: L'oratoria era un'arte molto importante nell'epoca di Cesare, mentre al tempo di Quintiliano è ormai decaduta; per quest'ultimo essa è il dono più grande da parte degli dèi. Quintiliano quindi analizza le cause della decadenza che l'hanno portata ad essere considerata semplice declamatio, riprendendo la tesi dell'autore del "Del sublime", che dice che la stessa Roma deve la propria fama proprio all'oratoria e che attribuisce alla decadenza dell'oratoria una causa morale, vedendo nelle riforme morali dell'età augustea tentativo di recupero di quest'arte; Quintiliano mostra invece di attenersi alla tesi proposta da Petronio [v. sopra], per poi passare ad analizzare le differenze formali e stilistiche tra le orazioni ciceroniane, che sono per lui il maggior esempio di quest'arte, e le declamationes del suo tempo che egli disprezza.

A l   t e m p o d i C i c e r o n e

A l   t e m p o d i Q u i n t i l i a n o

Le orazioni di Cicerone sono ben costruite, con periodi persino simmetrici geometricamente, con le diverse parti che si corrispondono alla perfezione; addirittura, le varie subordinate hanno un diverso grado di subordinazione che corrisponde all'importanza del loro contenuto, cosa che crea una perfetta armonia tra le parti.

Le orazioni sono artificiose: sono piene di ure retoriche, perché l'obiettivo non è la bella forma per persuadere il pubblico, ma attirarne l'attenzione in modo superficiale. La critica è rivolta in modo particolare al modo di scrivere di Seneca, accusato di avere uno stile corruptus (lett. spezzato), perché scrive istintivamente, senza curare la forma e facendo spesso uso delle sententiae per trasmettere in modo conciso un messaggio filosofico-morale.

Valore morale dell'oratoria: l'oratoria, secondo Quintiliano, ha un valore educativo. In quel tempo c'è a Roma la discussione sul valore della filosofia: Quintiliano è d'accordo con il potere politico che ha voluto l'allontanamento dei filosofi, perché pensa che questi ultimi suscitino un vero fascino nei giovani, sviandoli dallo studio dell'oratoria, che è invece più importante rispetto alla filosofia, perché quest'ultima ha un carattere aristocratico, e fa conoscere il pensiero di una persona, dando solo un'apparenza di verità. L'oratoria aveva un ruolo educativo nell'età repubblicana e deve riacquistarlo ora, per ricostruire la personalità degli uomini e dei valori morali: l'oratore deve studiare ma deve anche avere la consapevolezza della personalità costruita sui valori morali.

Studi da compiere: Nell'Institutio Oratoria, Quintiliano elenca le discipline liberali che devono costituire il bagaglio culturale di un buon oratore, ma anche dell'essere umano in quanto tale; le divide quindi in:

materie fondamentali: filosofia e storia, grammatica, poesia, diritto, retorica;

materie complementari: musica, astronomia, geometria.

Ci sono però due fondamentali contraddizioni all'interno di questo discorso, per quanto riguarda la:

storia: è concepita, diversamente da quanto accade oggi (esemplificativa, che si ripete), come semplice insieme di fatti e personaggi, cioè in modo superficiale;

poesia: oggi è un concentrato di pensiero dell'autore ed è universale (possono essere lette in ogni tempo e luogo, avranno sempre dei riscontri con la realtà perché parlano dell'uomo); per Quintiliano erano un semplice concentrato di ure retoriche.

Pedagogia: Quintiliano ha a cuore l'educazione dei giovani e afferma a questo proposito il principio dell'educazione permanente: quest'ultima deve cominciare alla nascita del bambino o, al massimo, a tre anni di vita, perché anche il bambino piccolo ha già una sua intelligenza e fin da subito può apprendere quelle che saranno le sue conoscenze di base. Inoltre l'essere umano, per la sua stessa natura, è portato a voler imparare sempre cose nuove, da quando fin dopo aver finito la scuola. Secondo l'autore, inoltre, lo studio del latino deve essere preceduto da quello del greco, perché il primo nasce dal secondo; ma esso deve essere seguito subito dopo dal latino, altrimenti lo studente rischierà poi di fare errori nella pronuncia e nella grammatica latina. Il bambino deve essere stimolato all'apprendimento anche attraverso il gioco e il premio; inoltre, il maestro deve avere un rapporto confidenziale con il discepolo.

328: COME INSEGNARE AI BAMBINI: L'APPRENDIMENTO COME GIOCO

Analisi testuale: Qui Quintiliano mette a confronto la scuola privata, intesa come il precettore che è chiamato a casa dal ricco, e quella pubblica, preferita dall'autore perché permette sia agli insegnanti che agli studenti di mettersi a confronto con chi è migliore di loro. L'insegnamento non deve essere assoluto, ma adeguato al carattere dell'alunno che l'insegnante ha di fronte; inoltre le materie vanno impartite contemporaneamente così da migliorare l'apprendimento globale. Lo studio deve essere poi organizzato come un gioco, un'occasione di crescita piacevole.

Traduzione

Io preferisco che il bambino cominci dalla lingua greca perché anche se noi non volgiamo, assorbirà (quel)la latina, che è in uso presso i più, nello stesso tempo, perché deve essere istruito prima anche nelle discipline greche, da cui derivarono anche le nostre.

Tuttavia non vorrei che ciò avvenisse in modo meticoloso, tanto che per lungo tempo si parli o si impari soltanto nella lingua greca, così come è proprio della tradizione per i più. Per questo infatti avvengono moltissimi errori di pronuncia, guastata nella fonetica straniera, e di lingua, per la quale quando le strutture greche si sono radicate per un'assidua abitudine, perdurano in modo tenacissimo anche in una diversa struttura della lingua.

Non lontano però devono seguire le strutture latine e presto andare parimenti. Così avverrà che quando avremo cominciato a curare con uguale attenzione l'una e l'altra lingua, nessuna delle due ostacolerà l'altra.

Alcuni non hanno ritenuto che debbano essere istruiti nelle lettere coloro che fossero minori di sette anni, poiché quell'età per prima potrebbe far acquisire la comprensione delle discipline e sopportare la fatica. Di questo parere tramandano che fosse Esiodo moltissimi, che vissero prima del grammatico Aristofane (infatti egli per primo negò che le esortazioni, nel quale libro si trova questo precetto, fossero di questo poeta).

Ma anche altri autori, tra i quali Eratostene, raccomandarono la stessa cosa. Meglio poi (il parere di coloro) che vogliono che nessuna età sia esente da studio, come Crisippo. Infatti, egli, sebbene abbia assegnato un triennio alle nutrici, tuttavia giudica che la mente dei bambini debba essere già formata da quelle con le migliori istituzioni (possibili).

Perché poi l'età non dovrebbe riguardare le lettere, che riguarda già i costumi? Né ignoro che in tutto quel tempo di cui parlo si ottiene a stento tanto quanto un solo anno poi potrebbe far ottenere; ma tuttavia mi sembra (che coloro) che pensano ciò abbiano risparmiato non tanto i discenti in questa parte (della loro vita) quanto i docenti.

Che cosa di meglio faranno del resto, da quando potranno parlare (infatti, è necessario che facciano qualcosa)? O perché noi dovremmo disprezzare questo profitto, per quanto sia piccolo, fino ai sette anni? Infatti, certamente, per quanto sia piccolo ciò che la prima età avrà portato, tuttavia il bambino imparerà alcune cose maggiori in quello stesso anno in cui avrebbe imparato cose piccole.

Ciò ripetuto di anno in anno va a vantaggio dell'educazione sommaria e, quanto tempo è stato guadagnato durante l'infanzia, è acquistato per l'adolescenza. Lo stesso precetto sia anche per gli anni successivi, affinché non cominci a imparare tardi ciò che ognuno deve imparare. Quindi non perdiamo subito la prima età e tanto meno perché gli inizi delle lettere si fondano sulla sola memoria, che non solo è già nelle cose piccole ma anche allora è fortissima.

Né sono io tanto inesperto di et da pensare di dover forzare duramente i bambini piccoli e che si debba richiedere un completo rendimento. Infatti, sarà opportuno in primo luogo guardarsi da ciò affinché quello non odi gli studi che ancora non può amare e che non abbia in odio l'amarezza percepita oltre [i primi] anni rudi. Questo [studio] sia come un gioco, e sia richiesto e lodato e mai sia contento di non averlo fatto; qualche volta, anche se lui non vuole, sia istruito un altro che lui invidia; intanto gareggi e pensi di vincere più spesso; sia richiamato anche con premi che quell'età desidera.

Noi insegniamo cose piccole pur dichiarando di dover formare un oratore, ma la sua infanzia consiste negli studi e come l'allenamento dei corpi in seguito fortissimi prende inizio dal latte e dalle culle, così chi diventa un futuro sommo oratore qualche volta tentò un vagito e [provò] a parlare dapprima con una voce incerta ed è dubbioso circa le forme delle lettere: e, se non è abbastanza imparare questo, non per questo non è necessario.

Che se nessuno riprende un padre che ritenga che queste cose non devono essere trascurate in suo lio, perché si dovrebbe rimproverare, se qualcuno espone in pubblico quelle cose che dovesse fare correttamente a casa sua? E tanto più che i piccoli imparano più facilmente cose piccole e come i corpi non possono essere addestrati ad alcune flessioni delle membra se non sono teneri, così lo stesso irrobustimento rende gli animi più restii verso altri insegnamenti.

Forse Filippo re dei Macedoni, avrebbe voluto che a suo lio Alessandro fossero stati insegnati i primi elementi delle lettere da Aristotele, il più grande filosofo di quell'età, o quello avrebbe intrapreso questo compito, se avesse creduto che gli inizi degli studi non potessero essere trattati dal migliore anche nel modo migliore e riguardassero il totale?

Analisi sintattica


Puerum incipere: proposizione infinitiva;

Malo: proposizione principale;

Nobis nolentibus: ablativo assoluto;

Disciplinis Graecis: ablativo di limitazione;

Instituendus est: perifrastica passiva costruzione personale; instituor, insieme ad imbuor, sostituisce doceo al passivo;


Adeo: anticipa l'ut;

Velim: congiuntivo potenziale;

Utloquatur/discat: proposizione concessiva;

Loquendi: genitivo del gerundivo;


Utcoeperimus/officiat: proposizione dichiarativa; coepi ha solo i tempi derivati dal perfetto;



Instituendus: ellissi del soggetto eos e di esse, detta "attrazione modale": una proposizione subordinata che si tradurrebbe con l'indicativo si traduce con il congiuntivo, succede nelle relative e nelle temporali quando dipendono da un'infinitiva o da un congiuntivo; in questo caso è un'oggettiva: è una costruzione ad sensum, cioè molto concisa; è una perifrastica passiva costruzione personale;

Posset: congiuntivo potenziale;

Negavit esse: sottinteso hoc;


Melius: reggente ellittica con sottinteso est consilium eorum;

Vacare cura: costruzione di vaco + ablativo;

Quamvisdederit: proposizione concessiva;


Pertineat: congiuntivo potenziale;

Tantumconferre: proposizione ativa;

Possit: congiuntivo potenziale;

Videntur: costruzione personale di videor, il cui soggetto è qui;

Pepercisse: regge il dativo;


Ex quo: regge proposizione relativa;

Fastidiamus: congiuntivo dubitativo che regge l'accusativo;

Quodidicisset: proposizione ativa;


Per singulos: complemento di tempo continuato con un numerale distributivo;

Prorogatum: sottinteso est;

Quantum: regge il complemento di quantità temporis;

Adulescentiae: complemento di vantaggio;

Sit: congiuntivo esortativo;

Neincipiat: proposizione finale;

Cuique: introduce una proposizione relativa;

Discendum est: perifrastica passiva costruzione personale;

Perdamus: congiuntivo esortativo;


Adeo: regge l'ut;

Ut: introduce una consecutiva, regge l'infinitiva instandum con perifrastica passiva impersonale con ellissi del verbo esse;

Oderit: perfetto logico;

Rogetur/laudetur/gaudeat/contendat/putet/evocetur: congiuntivi esortativi;

Ipso nolente: ablativo assoluto;

Cui invideat: proposizione relativa che esprime possibilità;


Instituendum: perifrastica passiva costruzione personale, sottinteso esse;


Neglenda: perifrastica passiva costruzione personale, il cui soggetto è haec e sottinteso esse;

Cur improbetur: congiuntivo dubitativo;


An: introduce un'interrogativa;

Tradi: infinitiva con un verbo passivo;

Sicredidisset: proposizione ipotetica dell'irrealtà, l'apodosi è voluisset e susceptisset.






338: NON COPIA MA NUOVA CREAZIONE: L'IMITAZIONE COME SUPERAMENTO DEL MODELLO

Analisi testuale: Questo pezzo è tratto dal decimo libro, in cui elenca le letture greche e latine consone alla formazione del buon oratore, importanti perché sono un vesto repertorio di ure retoriche, immagini ed espressioni poetiche; da queste, egli deve poi partire e passare dall'imitazione all'emulazione. Viene quindi definito il valore tecnico e il ruolo educativo dell'arte oratoria, che si deve avvalere dello studio di diversi autori, non di uno solo.

Traduzione

E così io [non] potrei persuadervi neanche di ciò, di assoggettarsi propriamente ad uno solo [autore] che si segua in tutti i casi. Di gran lunga il più perfetto dei greci Demostene, in qualche luogo altri [hanno] tuttavia [fatto] di meglio (egli moltissimo). Ma non è lui che deve essere imitato soprattutto, e non deve essere imitato lui solo.

E che dunque? Non è abbastanza che [egli] dica così tutte le cose, come ha detto M. Tullio [Cicerone]? Per me veramente sarebbe abbastanza se io potessi conseguire tutte [le doti]. A che cosa potrebbe nuocere assumere in alcuni luoghi la potenza di Cesare, l'asprezza di Celio, il rigore di Pollione, il gusto di Calvo?

Infatti inoltre è proprio dell'uomo saggio fare proprio se potesse ciò che è la cosa migliore in ognuno, poi nella difficoltà tanto grande dell'imitazione chi guarda un solo autore a stento consegue una qualche qualità. E quindi quando avrai scelto di riprodurlo tutto quanto a stento è impossibile per un uomo, poniamo davanti agli occhi le doti di parecchi, affinché si imprima [una qualità] da uno e una dall'altro e adattiamo ogni cosa nella parte in cui convenga.

L'imitazione poi (infatti più spesso dirò la stessa cosa) non sia soltanto nelle parole. Su ciò deve essere tesa la mente, quanto [di] appropriatezza ci sia stata in quegli uomini sia [nel trattare] nelle cose che nelle persone, quale piano, quale disposizione, quanto tutte le cose guardino al successo, anche quelle cose che sembrano [state assegnate] al piacere: che cosa sia fatto nel proemio [di un'orazione], quale modo di narrare e quanto vario, quale forza di dimostrare di confutare, quanta scienza nel muovere gli affetti di ogni genere (=applausi), e quanto la stessa lode popolare fosse assunta per utilità, che allora è bellissima, quando segue [naturalmente] non quando è cercata.

Se avremo considerato queste cose, allora veramente imiteremo. Colui che avrà aggiunto le proprie [doti] a queste doti, per supplire a quelle che mancano, sfrondi se qualcosa sarà eccessivo, quello sarà il perfetto oratore, che noi cerchiamo: quello che ora sarebbe opportuno che fosse realizzato perfettamente, quando toccarono a quelli che ora sono sommi. Infatti anche questa sarà la loro lode, affinché si dica che abbiano superato i predecessori, che abbiano insegnato ai posteri.

Analisi sintattica


Ne quidem: negano la parola posta tra loro;

Itaquesuaserim: proposizione prolettica, cioè spiegata dopo;

Suaserim: congiuntivo potenziale;

Quemsequantur: relativa, con il congiuntivo perché esprime possibilità;

Perfectissimus: esagerazione;

Imitandus: ellissi di est, perifrastica passiva costruzione personale (anche quello seguente);


Esset: apodosi della successiva ipotetica;

Sipossem: protasi dell'ipotetica della possibilità;

Noceret: congiuntivo dubitativo;


Prudentis: genitivo di pertinenza;

Cumsit: gerundio semplice;

Ponamus/aptemus: congiuntivo esortativo;

Uthaereat: proposizione finale;

Quoconveniat: proposizione relativa che esprime possibilità;


Saepius: ativo dell'avverbio;

Non: ci andrebbe ne;

Sit: congiuntivo esortativo;

Intendenda: sottinteso est, perifrastica passiva costruzione personale, proposizione prolettica;

Decoris: complemento di quantità;

Quod consilium/quae dispositio/quae ratio/quam varia/quae vis/quanta scientia/quam adsumpta/quae est: interrogativa indiretta con sottinteso est;

Quae videantur: proposizione relativa che esprime possibilità, costruzione personale di videor;

Data: sottinteso esse, infinito perfetto passivo;

Ad visctoriam: complemento di fine;

Narradi: gerundio latino in genitivo; se il gerundio è seguito dal complemento oggetto diventa gerundivo; si traduce con "di narrare".




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