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TACITO - Agricola (96 d.C.), La Germania (98 d.C.), Dialogus de oratoribus (75 d.C.), Le Historiae e gli Annales

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TACITO


Nasce tra il 55 e il 58 d.C., da una famiglia benestante e di condizione sociale elevata. Percorre il suo cursus honorum sotto i Flavi, diventa pretore nell'88 sotto Domiziano e console nel 97 sotto Nerva.


Agricola (96 d.C.)      funzione politica

Nella prefazione Tacito giustifica il suo silenzio durante la dittatura di Domiziano e con la sua morte (96 d.C.) si può tornare a respirare e a scrivere. In questa parte è presente una condanna del regime di Domiziano, sotto il quale ci fu la soppressione della libertas, la messa al bando dei filosofi, un controllo poliziesco esercitato sulle persone e sulle parole e l'impedimento di ogni attività letteraria e culturale. Dopo la sua morte, Nerva ha saputo unire le esigenze del principato con la libertà dei sudditi, realtà un tempo inconciliabili. È presente quindi un omaggio a Nerva e Traiano.


L'opera procede attraverso un parallelismo oppositivo tra il passato e il presente (come avviene in Sallustio): il passato glorioso opposto al presente tragico con Domiziano. Tacito afferma, inoltre, che la sua prosa non sarà raffinata, ma incondita a rudi voce, ovvero grezza, rude e aspra. Non ha un genere definito, si può parlare infatti di una biografia, di un'opera storica, etnografica, di una laudatio funebri e di una consolatio.

Nella biografia del suocero Tacito espone la vita del personaggio in ordine cronologico, dalla nascita alla morte. Tacito dopo aver fornito concise notizie riguardo alla famiglia e all'educazione, fa il resoconto delle varie tappe della carriera di Agricola, fino al consolato, nel 77. Contemporaneamente lo scrittore delinea l'emergere delle qualità del suo eroe. Dopo il consolato, gli viene affidato il comando in Britannia. Qui Tacito dà spazio all'ampio excursus etnografico sulla popolazione della regione. Gli ultimi anni drammatici della vita di Agricola sono condensati in pochi moduli, che dipingono la crescente gelosia di Domiziano nei suoi confronti. Conclude l'opera con un bilancio complessivo della vita del defunto e una laudatio funebri che mira a celebrare le sue grandi doti morali e politiche, l'obbedienza e la moderazione, con un obsequium al principe Domiziano. Tacito giustifica questa inclinazione di Agricola nei confronti del dittatore dicendo che egli ha servito fedelmente non tanto il principe, ma lo Stato e per il suo bene. Questa giustificazione Tacito la allarga a tutti coloro che hanno servito Domiziano, tra i quali l'autore stesso, anch'esso implicato col regime.



Nell'opera è presente una lieve critica nei confronti degli stoici, poiché essi attuano, diversamente da Agricola, un'opposizione fino alla morte, definita "ribellione sterile". È presente quindi l'invito a non attuare una ribellione sterile, ma una collaborazione che mira al bene non tanto del princeps, bensì dello stato.


Lo stile è in armonia con la dignità e la nobiltà della materia; è presente una molteplicità di toni e registri, rifacendosi a modelli diversi. Nelle narrazioni delle vicende di guerra, Tacito si rifà al metodo sallustiano, utilizzando infiniti storici in serie e frequenti ellissi, che imprimono al racconto un andamento conciso, rapido e incalzante. I moduli finali, di tono solennemente oratorio, sono invece strutturati su periodi ampi e simmetrici, mostrando una struttura e un ritmo tipicamente ciceroniani. Tacito si serve, inoltre, della tecnica del rumor, la diceria: l'autore dice qualcosa che poi viene subito ritratto, lasciando così nelle orecchie del lettore una "voce" che lo rende attento e critico.



Agricola, sul letto di morte, riceve a casa sua molte visite, tra le quali un continuo via vai di messaggeri del principe (Domiziano), il quale, come lascia intendere Tacito servendosi della tecnica del rumor, vuole controllare le condizioni del morente piuttosto che preoccuparsi per lui. È infatti lo stesso autore che accenna ad una costante diceria la quale diceva che era stato tolto di mezzo col veleno, prendendo poi le distanze dalla stessa appena esposta ("Augebat miserationem constans rumor veneno interceptum: nobis nihil comperti adfirmare ausim").



Questo è il passo della cosiddetta laudatio funebris, esposta in toni apologetici, celebrativi (si noti ad esempio il verbo all'inizio per sottolineare l'azione). Nella prima parte viene presentato il clima di terrore e di sospetto che Domiziano ha voluto creare tra il popolo romano. Più avanti Tacito trova il coraggio di riconoscere le loro colpe (nos), quelle del senato, del quale faceva parte. In seguito c'è un paragone con il non plus ultra della tirannide, Nerone, il quale era migliore perché almeno non stava a guardare il delitto. Con Domiziano anche un sospiro era motivo di accusa, reso attraverso il campo semantico del vedere e dell'essere visti. Nella stessa parte viene accostato il pallore del popolo terrorizzato, al rossore di Domiziano e dei suoi misfatti, nascosto dal rossore della vergogna.

Nella seconda parte espone la fortuna di Agricola, ovvero la tempestività della sua morte non vedendo così gli obbrobri di Domiziano. Agricola, morendo, è come se "donassi al principe la tua innocenza, come fosse dovere di un uomo virile" ("tamquam pro virili portione innocentiam principi donares"): l'ha fatto per difendere non se stesso ma chi lasciava, la moglie o la lia; oppure l'ha fatto per magnanimità, in questo caso un atto doveroso di stima. Il passo si chiude con l'immagine comune e commovente di un uomo che, spirando, rivolge gl'occhi verso la luce, cercando con ansia qualcosa, in questo caso, forse, sua lia.




Prosegue la laudatio funebris onorando Agricola, passato da vir bonus a vir magnus. In seguito esorta la lia e la moglie a non piangere, ma onorare il defunto attraverso l'esempio (tema exemplum): infatti "l'efe del volto è fragile e peritura, mentre l'immagine spirituale è immortale". Così dicendo, invitando i posteri a tramandare la vicenda dl grande personaggio, Tacito esalta sì Agricola, ma anche chi ha compiuto finora questo compito, ovvero se stesso.


La Germania (98 d.C.)                     funzione politica

Come l'Agricola, è un'opera complessa e può essere ascritta a più generi letterari: etnografico, politico, informativo, moralistico; il genere più accreditato è comunque quello etnografico, con una spiccata funzione politica.

Il tema era d'attualità in quel periodo, infatti Traiano nel 98, durante il suo secondo consolato, sembrava in procinto di riprendere la guerra nelle zone germaniche. In quest'opera vengono descritti anche gli usi e i costumi di quelle popolazioni oltre il Reno, viste da Tacito sì come barbariche, ma come esempio di civiltà incorrotta.

L'opera si compone di due parti: una descrizione complessiva della Germania transrenana e dei suoi abitanti (moduli  1-27), e una rassegna più specifica delle singole popolazioni e delle loro caratteristiche (moduli 28-46). Nella prima parte vengono fornite delle notizie sui Germani in generale; ha poi inizio la trattazione relativa ai mores: sono passati in rassegna l'organizzazione politica e militare, la religione, il matrimonio, l'educazione e la cultura in generale. La seconda parte contiene l'esposizione delle istituzioni e usi delle singole tribù: vengono trattate partendo da quelle occidentali, passando poi a quelle settentrionali e infine quelle orientali. L'opera conclude con un modulo su popolazioni a est della Vistola, che Tacito è incerto se ascrivere alla razza germanica o asiatica.

Si pensa che Tacito abbia reperito tutta questa serie di informazioni da altre fonti letterarie, ad esempio dal De bello Gallico di Cesare e dall'opera di Plinio il Vecchio, il quale parlava di commercianti, soldati .

L'atteggiamento dell'autore, che vede sempre come punto di riferimento Roma, è ambivalente: da un lato egli manifesta ammirazione e approvazione per i costumi semplici e austeri, per la loro sanità morale, per quelle virtù che un tempo appartenevano anche ai Romani: è per questo che la trattazione gioca su un continuo polemico confronto, per lo più allusivo e indiretto, con i corrotti costumi romani contemporanei; è qui che sorge l'intento morale dell'opera.

"chè di codesto vizio là non si ride, né il corrompere e l'esser corrotti si qualifica moda dei tempi"

Affiora però anche, soprattutto nella seconda parte dell'opera, un atteggiamento di superiorità e a volte di ripugnanza e di disprezzo per sistemi di vita ancora tanto rozzi e primitivi.

Ma è a proposito del più grave difetto dei Germani, la discordia, che Tacito rivela il suo vero intento, quello politico: egli vuole esortare un intervento militare da parte dell'imperatore su queste popolazioni divise tra loro, anche se emerge, dalla sconsolata preghiera di Tacito, un presentimento di fine: "incombendo ormai sull'impero il suo destino fatale, niente di meglio può offrirci la fortuna che la discordia fra i nostri nemici".


Dialogus de oratoribus (75 d.C.)     funzione politica

Il tema dell'opera è la retorica, molto dibattuto a quel tempo. Tacito ne dà però una spiegazione di tipo politico, non retorico, con uno stile quasi ciceroniano.

La vicenda è ambientata nel 75, nella villa di Curiazio Materno, nella quale avviene uno scambio di opinioni riguardo l'oratoria, a cui assiste anche Tacito. Curiazio, ritiratosi a vita privata per dedicarsi alla poesia, è un avvocato. Apro sostiene che l'oratoria è la principale disciplina, ha un'utilità pratica, dà prestigio e notorietà: è quindi un'arte da coltivare. Curiazio Materno sostiene la validità della poesia, coltivata nell'angulus graziano, che rinfranca lo spirito e addolcisce l'animo, e non ha bisogno di un clima agitato, al contrario dell'oratoria. Apro dice poi che la sua oratoria non è decaduta, ma solo cambiata, perché alla ricerca di nuove soluzioni; posizione opposta a questa è quella di Messala, il quale è convinto della decadenza a causa della mancanza di rigidità nelle scuole. Materno ne dà una spiegazione di tipo politico: l'eloquenza, l'oratoria, non può vivere nell'assolutezza; ha bisogno invece di un clima agitato, basato sulla competizione politica: dove non c'è libertà non c'è oratoria. Materno inoltre dice che la grande eloquenza nasce dalla licenza, cui gli sciocchi danno il nome di libertà; essa non si sviluppa negli Stati pacifici e ben ordinati, perché in essi i migliori trovano subito un accordo e le decisioni sono prese da uno solo, il più saggio.

Tacito, consapevole che l'oratoria non potrà più essere come quella gloriosa del passato, dice che bisogna cercare altre forme letterarie: Materno si è dedicato alla poesia, Tacito alla storiografia.


Le Historiae e gli Annales

Opera della maturità, stile tacitiano con modello Sallustio, forme frantumate (chiasmo, variatio, ellissi), prosa sentenziosa, dalla quale emerge anche la personalità dell'autore. Procedimento anno per anno (annalistico).

Historiae: dinastia dei Flavi (Vespasiano, Tito, Domiziano) con la guerra civile del 69 dalla quale uscì vincitore il fondatore della dinastia, Vespasiano.

Nella prefazione condanna gli storici del principato, inaffidabili o per servilismo o per ostilità contro i potenti.

Fonti dirette da persone vive, atti del senato, storici del tempo. Tecnica del rumor (vox populi, dicerie). Riporta varie opinioni di uno stesso fatto, conferendo una maggiore obbiettività, anche se poi è solo apparente, visto che l'autore fa leva, attraverso ure retoriche, solo su alcuni punti di vista, esprimendo talvolta dei giudizi personali.

Andamento asimmetrico e selettivo.

Annales: narra il periodo della dinastia giulio-claudia, dalla morte di Augusto a quella di Nerone. 14 - 68

Storia nata da scrittori in libertà dove c'era la repubblica, il popolo romano faceva la sua storia (collettività). Dopo la battaglia di Azio del 31 le libertà vengono meno e tutto va nelle mani del principe.

È presente un iniziale giudizio positivo del principato poiché assicura la pax (nelle Historiae); negli Annales il principato diventa però una necessità, il male minore.

Quelli che criticano vengono ascoltati perché danno immagine di indipendenza, ma spesso non è la verità.

Professione di metodo: parlare senza odio e amore (Historiae 1,1)

Poi moduli di fortissimo pessimismo tacitiano, nei quali c'è una visione complessivamente tragica: omicidi, corruzione, calamità naturali, catastrofi senza precedenti.

Si passa poi ad uno spiraglio di positività e l'autore si interroga allora sulle cause di questa situazione: poiché il castigo divino non è una giustificazione degna di uno storico, si mette alla ricerca di queste cause analizzando con metodo storico, senza amore e senza odio.

Si giunge così a delineare tre cause principali alle quali è dovuto il decadimento della civiltà:

  1. senato corotto profondamente come il popolo
  2. strapotere dell'esercito: non ubbidisce più al princeps e neanche al suo generale
  3. cupidita potentine: caduta la res pubblicae c'è lotta fra le fazioni e i princeps perché ognuno vuole il potere

Negli Annales vengono analizzati Tiberio e Nerone seguendo il loro sviluppo psicologico in negativo, secondo una parabola discendente fino a toccare il fondo. Come nelle Historiae, viene sottolineato il degrado del senato, spostando l'asse del potere all'imperatore, svilendo così la funzione di esso. Inoltre la storia perde il suo interesse perché non viene più fatta dal popolo romano.


L'attenzione di Tacito è rivolta al personaggio politico nella sua dimensione pubblica e non privata, analizzandone particolarmente l'aspetto psicologico che lo caratterizza. L'autore costruisce le sue ure ricorrendo alla tecnica sallustiana del ritratto, ossia trascurando le caratteristiche fisiche preferendo le qualità e i difetti morali; oppure ricorre all'epitafio, che segue immediatamente la descrizione della morte.

In mezzo a questo degrado spiccano comunque dei personaggi con virtù stoiche, quali Seneca e Petronio, due personaggi illustri, oppure la schiava Epicari, che si suicida eroicamente invece di sottrarsi alla tortura per estorcerle i nomi di altri congiurati.

In quest'opera vengono utilizzati anche molti discorsi indiretti, che spesso espongono reazioni, considerazioni, commenti, congetture della gente. Questo espediente permette al narratore di delineare, tenendosi in disparte, lo sfondo e l'atmosfera in cui si muovono gli eventi, o di anticiparne le conseguenze.

Ampio spazio è dato agli elementi patetici delle descrizioni di morti tragiche, narrazione di supplizi che mettono in evidenza lo strazio delle vittime: tutto ciò serve a sollecitare la partecipazione emotiva del lettore con un pathos derivante da una narrazione scarna e non da cumuli di ure retoriche.


Lingua e stile

Lo stile tacitiano non è omogeneo e compatto. Per le sue opere storiche egli adotta uno stile originale, pieno di tensione e gravità. Tacito si ispira a Sallustio usando termini rari e determinati costrutti. La lingua è caratterizzata da una coloritura arcaica e poetica. Si serve di un vocabolario molto ricco, evitando termini bassi e volgari, parole comuni e banali, e grecismi e molti termini tecnici, che sostituisce con perifrasi.

La prosa tacitiana è caratterizzata da una struttura sintattica basata sulla brevitas, una concisione e pregnanza eccezionali. C'è un vasto ricorso anche alla variatio, mostrando uno stile asimmetrico e imprevedibile. Ciò costituisce un andamento impervio e spezzato dei periodi, per evitare le soluzioni più ovvie e prevedibili. Tacito ha inoltre ereditato da Seneca l'uso della sententia concisa e brillante che, di volta in volta, riassume e generalizza il senso di un avvenimento, inserisce un sintetico quanto perentorio giudizio, aggiunge un commento inatteso.   




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