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I promessi sposi



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I promessi sposi

modulo II

La notte di Don Abbondio trascorre angosciosa e agitata tra ricerche di scuse per non celebrare il matrimonio e incubi popolati di bravi e di agguati; tutte le sue paure peggiori sembrano assalirlo di colpo. In ogni modo, tra il sonno e la veglia egli riesce a elaborare un piano per superare le prevedibili obiezioni di Renzo e ritardare così le nozze, rimandandole di quindici giorni.

Per prendere gli ultimi accordi per il matrimonio, Renzo si reca da don Abbondio vestito in gran gala, con un cappello piumato e il pugnale dal manico bello (excursus storico sui costumi del seicento: anche gli uomini più pacifici, infatti, giravano armati e avevano una certa aria di braverìa). L'Autore coglie quindi l'occasione per presentarci il personaggio e ripercorre brevemente la sua storia: il promesso sposo è un giovane di vent'anni, rimasto orfano di ambedue i genitori fin dall'adolescenza. La sua professione, quella di filatore di seta, e i continui risparmi, gli hanno dato una certa tranquillità economica.

Interrogato da Renzo, tuttavia, il curato finge di non ricordarsi del matrimonio, poi, utilizzando termini latini per confondere il giovane (Renzo: " . Che volete ch'io faccia del vostro latinorum ? . "), lascia intendere che sono sopravvenuti degli impedimenti che obbligano a ritardare le nozze. Renzo accondiscende allo spostamento, ma rimane insospettito dal comportamento del parroco. Uscito dalla canonica, Renzo incontra Perpetua e riceve da lei conferma dei propri sospetti: don Abbondio è stato minacciato da qualcuno. Renzo torna velocemente nel salotto di don Abbondio e dopo aver imprigionato il parroco nella stanza, il giovane, con fare apparentemente minaccioso, lo costringe a dirgli la verità. Al ritorno di Perpetua, don Abbondio l'accusa di aver infranto il giuramento del silenzio fatto durante il loro colloquio la sera prima. Dopo un acceso battibecco tra i due, il curato si mette a letto vinto dalla febbre.



Intanto Renzo si dirige nuovamente verso casa di Lucia. Nella sua mente passano fieri propositi di vendetta, ma al pensiero della fidanzata egli abbandona ogni ipotesi violenta.

In questo momento prende forma uno dei punti fondamentali del discorso. Alla cinica filosofia di cui si fa portavoce don Abbondio (" . non si tratta di torto o di ragione, si tratta di forza . ") non c'è altra risposta se non quella violenta ma inutile di Renzo, alla quale però si contrappone una diversa concezione, che incomincia a delinearsi e trova il suo simbolo in Lucia: l'appello ai valori religiosi, la possibilità che questi possano trovare espressione in una chiesa fedele agli ideali di giustizia contenuti nel Vangelo. Alla chiesa serva del potere, quella di don Abbondio, si contrappone un'altra chiesa, una chiesa che porta, in contrapposizione alla logica della forza, quella della fede in Dio e nella sua giustizia, la chiesa di padre Cristoforo.

Dopo queste riflessioni, deposti gli atteggiamenti bellicosi, Renzo giunge nel cortile della casa, e incarica una bambina, Bettina, di chiamare in disparte Lucia e di condurla da lui. Lucia fa la sua prima apparizione, anche se la sua personalità si era già parzialmente delineata durante la redenzione di Renzo dai propositi di vendetta. Lucia, orfana di padre e di qualche anno più giovane di Renzo, è acconciata e vestita per le nozze: i suoi capelli neri sono raccolti in trecce fissate con spilloni, indossa un corpetto di broccato con un gonna pieghettata di seta, e attorno al collo porta una modesta collana. Il suo viso giovanile riflette una bellezza interiore. Lucia, circondata dalle amiche, viene raggiunta dalla bambina che le trasmette il messaggio di Renzo. La ragazza scende al piano terreno e Renzo la mette al corrente dell'accaduto, ed ella mostra di essere già a conoscenza della passione di don Rodrigo per lei (Lucia: " . fino a questo segno ! . "). Ai due si aggiunge poi Agnese. Lucia sale quindi a congedare le donne dicendo che il matrimonio è rimandato a causa di una malattia del parroco. Alcune di esse si recano alla canonica per chiedere conferma di quella malattia e Perpetua dice loro che don Abbondio ha un febbrone.





modulo III


Il modulo si apre con il racconto di Lucia ad Agnese e a Renzo dei suoi involontari incontri con don Rodrigo (questi, infatti, aveva avvicinato Lucia lungo la strada e aveva scommesso con un altro nobile, il conte Attilio, suo cugino, che la ragazza sarebbe stata sua). Lucia rivela poi di aver narrato l'accaduto a fra Cristoforo. Renzo e Agnese, l'uno come fidanzato, l'altra come madre, sono amareggiati dal fatto che Lucia non si sia confidata a loro. Al sentire gli episodi descritti da Lucia, Renzo viene colto da un nuovo attacco d'ira e da propositi di vendetta, ma Lucia riesce a placare le sue nuove ire.

Agnese consiglia poi al giovane di recarsi a Lecco, da un avvocato soprannominato Azzeccagarbugli e gli consegna quattro capponi da portare in dono al dottore. Renzo si mette dunque in cammino verso Lecco. Lungo la strada, agitato e incollerito, dà continui strattoni ai capponi che ha in mano: le povere bestie, pur accomunate da un triste destino, si beccano tra loro. Ciò dà l'occasione all'Autore per riflettere sulla mancanza di solidarietà tra gli uomini, anche quando questi sono accomunati dalle sventure (" . i quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra comni di sventura.").

Giunto alla casa dell'Azzecca-garbugli e consegnati i capponi a una serva, Renzo viene fatto accomodare nello studio: uno stanzone disordinato, polveroso e un po' decadente in cui spiccano, alle pareti, i ritratti degli imperatori romani, simbolo del potere assoluto. Il dottore lo accoglie indossando una toga consunta che lo fa apparire decrepito quanto i mobili della stanza. Azzeccagarbugli scambia Renzo per un bravo e, per intimorirlo, legge confusamente una grida che annuncia pene severissime per chi impedisce un matrimonio. Ha qui inizio il tragicomico equivoco tra Renzo e l'Azzecca-garbugli che, credendo che il giovane si sia camuffato tagliandosi il ciuffo che contraddistingue i bravi, si complimenta con lui per la sua astuzia. A questo proposito, l'Autore non perde l'occasione per sottolineare ancora una volta l'ottusità della macchina burocratica snola, e ci propone frammenti di gride in cui si vieta addirittura di portare il ciuffo. Renzo nega di essere un bravo, ma l'avvocato non gli crede e lo invita a fidarsi di lui, prospettando poi una linea di difesa. Scoperto l'equivoco, Azzeccagarbugli si infuria e rifiuta ogni aiuto, mettendolo infine alla porta, poiché colpevole di un crimine all'epoca gravissimo: essere vittima, e per di più senza appoggi nobiliari.



Intanto Lucia e Agnese si consultano nuovamente tra loro e decidono di chiedere aiuto anche a fra Cristoforo. In quel momento giunge fra Galdino, un umile frate laico, in cerca di noci per il convento di Pescarenico, lo stesso dove vive il padre Cristoforo.

Per eludere le domande del fraticello circa il mancato matrimonio si porta il discorso sulla carestia; Galdino racconta allora un aneddoto riguardante un miracolo avvenuto in Romagna. Lucia dona a fra Galdino una gran quantità di noci affinché egli, non dovendo continuare la questua, possa recarsi subito al convento ed esaudire la sua richiesta di inviare presso di loro fra Cristoforo. A questo punto il Manzoni ci tiene a precisare che, nonostante fra Cristoforo avesse a che fare con la gente umile, era un personaggio " . di molta autorità, presso i suoi, e in tutto il contorno . " e approfitta dell'occasione per un excursus sulla condizione dei frati cappuccini nel Seicento.

Renzo fa quindi ritorno alla casa di Lucia e racconta il pessimo risultato del suo colloquio con Azzeccagarbugli. Tra Renzo e Agnese si accende una piccola discussione, subito placata da Lucia, circa la validità del consiglio di rivolgersi all'avvocato. Dopo alcuni sfoghi di Renzo ed altrettanti inviti alla calma da parte delle donne, il giovane torna a casa propria.



modulo IV

Il modulo si apre con la descrizione del cammino di Fra Cristoforo dal convento del paese di Pescarenico, un piccolo villaggio di pescatori nei pressi di Lecco, alla volta della casa di Lucia. Sebbene il paesaggio autunnale sia splendido, il cammino del frate verso casa di Lucia è rattristato dalle immagini di miseria che si vedono ovunque: persone smunte, animali smagriti dalla fame, mendicanti laceri.

L'Autore, sulla scia della descrizione d'ambiente che ci lascia intravedere, materializzandolo, l'animo di Fra Cristoforo, ci fornisce anche una sua descrizione fisica. Fra Cristoforo è uomo vicino ai 60 anni, dalla lunga barba bianca, umile ma fiero al tempo stesso, con due occhi vivacissimi.

Il Manzoni s'inoltra dunque in una digressione sul passato del frate. Lodovico (questo è il nome di fra Cristoforo prima di prendere i voti), lio di un ricco mercante con ambizioni da nobile, viene educato in maniera aristocratica. Non essendo però accettato nella cerchia dei nobili, il giovane inizia, quasi per vendetta, a difendere gli umili contro i signorotti prepotenti.

Un giorno per strada, scoppia una disputa per futili motivi tra Lodovico ed un nobile arrogante. Nel corso della disputa che ne segue, il giovane, vedendo gravemente ferito Cristoforo, il suo più fedele servitore, uccide il signorotto. Lodovico viene condotto dalla folla nel vicino convento dei frati cappuccini, affinché possa trovar riparo dalla vendetta dei parenti dell'ucciso. Questi intanto circondano il convento al fine di colpire l'uccisore alla sua uscita. Durante la sua permanenza in convento Lodovico matura la decisione di farsi frate. Dona tutti i suoi beni alla famiglia del servo Cristoforo che era morto per lui e assume il nome di fra Cristoforo. Intanto il padre guardiano del convento convince il fratello del nobile ucciso ad accettare come rivalsa la scelta monacale di Lodovico. Prima di partire per il luogo del suo noviziato, fra Cristoforo chiede ed ottiene di domandare scusa alla famiglia dell'ucciso.

In casa del nobile vengono convocati tutti i parenti per assaporare la vendetta, ma con il suo contegno umile, fra Cristoforo ottiene un sincero perdono da tutti e induce i presenti a mitigare la loro superbia. Quale segno di riconciliazione il fratello dell'ucciso dona un pane al frate; questi, mangiatane una metà, conserverà il resto quale ricordo dell'accaduto. Oltre a predicare e assistere i moribondi, fra Cristoforo opera per rimuovere le ingiustizie e per difendere gli oppressi.

Riprende intanto la narrazione, e il frate, giunto alla casa di Lucia e Agnese, viene accolto con gioia dalle due donne.








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