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Nato nel 1441 fu un nobile signore feudale appartenente ad una famiglia vicina alla corte estense. Fino al 1476 visse a Reggio Emilia recandosi solo saltuariamente a Ferrara al seguito dei duchi per qualche missione diplomatica. Nel 1476 si trasferì a Ferrara come "comno" del duca Ercole e assunse gli incarichi di governatore a Modena (1480-83) e poi a Reggio dall'87 fino al 1494, anno della sua morte che precedeva di pochi mesi la discesa delle truppe di Carlo VIII che attraversavano la pianura padana dirette alla conquista del regno di Napoli.
In quel periodo Ferrara era uno dei centri più prestigiosi dell'Umanesimo italiano in seguito al forte impulso del marchese Leonello d'Este e dell'insegnamento di Guarino Veronese. Boiardo ebbe una cultura umanistica e lavorò molto alla traduzione volgare di classici latini e greci soprattutto finalizzata alla diffusione della cultura classica nella corte. Scrisse opere in latino di carattere pastorale ed encomiastico in onore degli Estensi e un'opera teatrale in latino, il Timone, adattamento di un dialogo di Luciano.
Il Canzoniere ( o Amorum Libri, titolo originale che richiama Ovidio) raccoglie 180 testi (per lo più sonetti e canzoni) scritti in volgare ed ispirati al suo amore per Atonia Caparra, dama della corte di Sigismondo d'Este. Precisa è l'architettura dell'organizzazione dell'opera: 3 libri di cui il primo canta le gioie dell'amore felice e corrisposto, il secondo le sofferenze del tradimento, il terzo, costellato di speranze, nostalgie e rimpianti, si chiude con il pentimento e la preghiera.
L'opera ricalca molto lo stile petrarchesco e anche quello stilnovista; ma rispetto alla lirica d'imitazione petrarchesca fiorita nel 400 l'originalità del Canzoniere sta nella carica poetica esuberante e fresca che investe gli schemi smorti della tradizione. Il primo libro in particolar modo appare come cosa nuova: l'amore è visto come un fremito universale di vitalità che anima tutte le cose, la sensualità si estende a tutta la natura. Anche il linguaggio si stacca dalla rarefatta stilizzazione e levigatezza proprie del Tetrarca e conserva qualcosa di spontaneo ed immediato.
Boiardo comincia a lavorare al suo capolavoro nel 1476, nel 1493 vennero pubblicati i primi due libri, in 60 canti, mentre il terzo libro fu composto molto più lentamente e fu interrotto al IX canto pochi mesi prima della morte del poeta. Nell'ultima ottava si coglie l'eco dei dolorosi eventi contemporanei che stavano avvenendo: la discesa di Carlo VIII.
Il poema riprende la materia cavalleresca, da secoli diffusa in Italia ed amata sia dal pubblico popolare sia da quello signorile, ed è destinato ad un'élite cortigiana, come annuncia il poeta stesso nel Proemio. Il titolo indica subito quale su quale novità Boiardo voglia far leva per suscitare l'interesse del pubblico: le gesta del fortissimo paladino Orlando, il saggio ed austero difensore della fede reso celebre dalle letterature precedenti, cado anch'egli in preda all'amore, come gli eroi dei romanzi bretoni. Boiardo compie così quella fusione tra il ciclo carolingio e quello arturiano avviata già nei secoli precedenti. Alle armi e agli amori fa da sfondo il meraviglioso fiabesco, tipico del romanze bretone, costituito da fate, maghi, incantesimi, mostri. Il poeta giustifica questa scelta sostenendo di preferire la corte di re Artù "per l'arme e per l'amore", a quella di Carlo Magno che "tenne ad Amor chiuse le porte/e sol se dette alle battaglie sante". Infatti, gli ideali del poeta sono amore e forza guerriera, virtù inseparabili per il perfetto cavaliere poiché solo Amore può procurare "onore" e "gentilezza".
Durante una "corte bandita" di Carlo Magno, cui partecipavano i migliori cavalieri cristiani e saraceni, e Angelica, la bellissima lia del re del Cataio (la Cina) e sfida tutti i presenti a misurarsi col fratello Argalia: chi vincerà otterrà il suo amore, chi sarà sconfitto cadrà prigioniero. Tutti i cavalieri s'innamorarono immediatamente di Angelica e accettarono la sfida. Argalia possedeva armi magiche e atterrò in breve molti nemici, ma infine venne ucciso da Ferraguto. Allora Angelica fuggì cercando di tornare in patria, ma Orlando e Rinaldo la inseguirono, trascurando per amore gli obblighi verso Carlo Magno. Nella selva della Ardenne Rinaldo bevve da una fonte che generò in lui odio per la donna; al contrario Angelica bevve da un'altra fonte innamorandosi del paladino. Dopo varie peripezie la fanciulla si rifugiò nella rocca di Albraccà, dove Orlando giunse a difenderla dal re di Tartaria Agricane, anch'egli innamorato di lei. Attorno all'assedio di Albraccà si addensano mille episodi finché Orlando uccide in duello Agricane. Intanto in Occidente i mori guidati da Agramente e dal re di Sna Marsilio invasero la Francia. Angelica, sempre in cerca di Rinaldo, trascina Orlando in terra francese: ma qui sia lei che Rinaldo devono nuovamente alla fonti dell'amore e dell'odio, scambiandosi le parti. Rinaldo ora, innamorato come un tempo di Angelica, si scontra con Orlando; i due vengono divisi da Carlo Magno, che promette la fanciulla a chi dei due combatterà più valorosamente nella battaglia imminente con i Saraceni. Qui si interrompe la narrazione che verrà poi ripresa da Ariosto nell'Orlando furioso.
A differenza del Pulci, che in quegli anni affrontava nel Morgante un'analoga materia, Boiardo sente profondamente i valori del mondo cavalleresco. Il poeta ritiene che quei valori che paiono tramontati nella società urbana e mercantile possono rivivere nella società cortigiana, in particolar modo in quella ferrarese, appassionata di prodezze e forza fisica, affascinata dalla lealtà e dalla cortesia e avida di amori sensuali e galanti. Non c'è nostalgia per i valori passati, nel Boiardo, ma fiducia nella loro praticabilità nel presente; Boiardo viene perciò definito come "cantore della cavalleria" anche se il mondo che canta non è più quello medievale, ma quello quattrocentesco in cui vede rivivere la cavalleria, svuotata dagli originari contenuti religiosi, etici e politici e riempia di valori moderni, rinascimentali.
La "prodezza" cavalleresca non è più solo forza guerriera, ma è la "virtù" dell'individuo libero, attivo ed energico che sa combattere ogni ostacolo e imporre il suo dominio sulla Fortuna. Torna così il tema della virtù umana, già sviluppato da Boccaccia fino agli umanisti e a Leon Battista Alberti, che vince la Fortuna; ne è esempio l'episodio in cui Orlando non riesce a raggiungere la Fata Morgana, simbolo della Fortuna inafferrabile e volubile. Il tema della vita attiva ed energica è l'anima delle varie battaglie e dei duelli, ma simboleggia a livello più alto, l'individualismo: la tensione verso l'affermazione di sé, la conquista della gloria e della fama. Pertanto anche l'onore perde la sua fisionomia feudale e rispecchia l'esigenza umanistica del primeggiare, come giusta ricompensa della propria virtù. Anche la lealtà e la cortesia assumono l'aspetto tutto moderno del rispetto verso gli altri, anche dei nemici, e la tolleranza verso credenze diverse. Ma il rozzo individualismo, che si basa sulla pura forza, non basta per definire un autentico ideale umano: esso deve essere integrato e raffinato dalle doti intellettuali, dalla cultura. In questo aspetto si coglie meglio il nuovo senso umanistico che Boiardo dà agli ideali cavallereschi: nell'episodio del duello fra Orlando e Agricane il re tartaro rappresenta il modello arcaico e superato di eroe guerriero, caratterizzato dalla mera forza bruta; Orlando è invece superiore a lui perché è un cavaliere colto, filosofo. Orlando stessa afferma che nel sapere risiede la forza dell'uomo e ciò lo distingue dai bruti: che è uno dei cardini della concezione umanistica.
Anche l'amore si distacca dal suo significato medievale: l'amore non è altro che una manifestazione di quel senso gioioso, energico e attivo della vita, che si rivela nella prodezza guerriera. Perciò amore e armi formano un'unità inscindibile, esprimono una visione laica, modana, edonistica della vita: "L'uno e l'altro esercizio è giovanile/ nemico di riposo, atto all'affanno".
Angelica incarna perfettamente l'ideal dell'amore: è donna in tutta la complessa mobilità della sua psicologia, seducente e tenera, sensuale e capricciosa, crudele e appassionata e non ha nulla a che vedere che le "angelette" stilnoviste o con la stilizzata ura di Laura.
Altro tema importante è il comico: il maggior esponente di questo tema è Brunello, nano scaltro ed agilissimo che, come gli eroi guerrieri cercano gloria ed onore, lui è spinto al furto da una passione irresistibile. Così mentre le sue imprese furfantesche suscitano il riso del lettore, vengono contemplate con grandiosità dal poeta con la stessa ammirazione con cui guarda le imprese dei guerrieri.
L'ironia di Boiardo non è perciò data da una visione distaccata e alienata del poeta rispetto ai fatti della storia (si è visto come per Boiardo la storia narrata si veicolo di ideali vivi e attuali), anzi è l'effetto di una coinvolta partecipazione del poeta alle vicende dei personaggi ed è indizio della simpatia dell'autore verso l'esuberanza dei suoi eroi, oltre che ottimo espediente per rendere il mondo narrato più familiare al lettore.
Come la materia è animata dalla vitalità, così lo è la struttura del poema: la trama si costruisce attraverso un proliferare inesauribile di fatti, personaggi, situazioni. L'affollarsi di avventure meravigliose, battaglie, duelli, incontri con mostri, giganti, maghi e fate, amori ed incantesimi è mosso dalla volontà di narrare una "bella istoria" che interessi il pubblico. L'intreccio di vicende e personaggi è incessante tanto da sembrare di non avere mai fine e continui sono i salti dell'attenzione del poeta da una vicenda all'altra. L'autore vuole coinvolgere il pubblico nella sua gioia di narrare, perciò si crea tra autore e pubblico una corrente di simpatia e complicità e sulla base di questo rapporto Boiardo vuole proporre al pubblico un modello di comportamento ideale nella società cortigiana. Molti elementi sono presi dai cantari: la ripetizione di formule stereotipate, le iperboli infinite specie nei duelli e nelle battaglie, le affermazioni di veridicità riguardo ai fatti più meravigliosi, tutte formule volte a creare il clima di simpatia con il pubblico, come l'ammicco dello scrittore colto al suo uditorio colto. La vitalità della materia e della narrazione si riflette anche nello stile: la lingua di Boiardo è lontana dalle rigide forme classicistiche che saranno proprie della letteratura del cinquecento, dominata dall'autorità del Bembo. Il fondo è il letterario toscano su cui si innestano spesso termini tipicamente "padani" e anche latinismi colti. L'effetto è di una grande freschezza e immediatezza in perfetta sintonia con lo slancio che pervade la narrazione. Nel cinquecento, in seguito ai canoni puristi del Bembo in ambito linguistico (che adotterà come modello assoluto il fiorentino trecentesco di Petrarca e Boccaccio) si guarderà con sufficienza al capolavoro di Boiardo; così come le imperfezioni e le trasandatezze che la fluente onda narrativa porta con se saranno viste con riprovazione da un gusto rigorosamente classicistico, tutto teso ad un'armonica perfezione formale. Ecco perché l'Orlando innamorato non ha auto la fortuna che meriterebbe, tanto che Francesco Berni lavorò ad un rifacimento del poema in fiorentino; e fu questa versione che continuò ad essere letta.
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